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Autore: clakis    01/01/2013    0 recensioni
Lo sconosciuto mi guardava come se avesse visto il sole per la prima volta. E in fondo era proprio così, Luca non ricordava nulla del suo passato e alla vista di Alice il suo cuore si riempie di un sentimento del tutto nuovo e sconosciuto e si sente come un neonato che messo al mondo inizia a scoprire ogni piccolo dettaglio di ogni cosa. Alice si è persa nel mondo, Luca non ricorda nulla di tutto ciò che lo circonda. Due cuori soli e persi non devono ritrovarsi prima o poi?
Genere: Romantico, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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 Secondo Capitolo:  Non so più chi sono.
Luca.

Non credo di aver visto mai in vita mia un volto così bello. Sono rimasto come un ebete a fissarla, incapace di fare altrimenti. La guardavo e ogni spazio vuoto del mio corpo si riempiva, come un serbatoio d’acqua.  Solo dopo 7 secondi  mi sono accorto che stava annegando e la paura si è impadronita di ogni mia singola cellula. Cercavo di prenderla ma la mia mano afferrava il nulla. Lei sorrideva e potrei giurarlo li si illuminarono gli occhi. Mi guardava intensamente come mai nessuna prima di allora, mi guardava come se mi conoscesse e mi sentii più scombussolato di sempre.  I muscoli tiravano ma non arrivavo mai. Era un incubo, ma il più reale di tutti. Un giovane con gli zigomi molto pronunciati ,un viso serio e con gli occhi a quasi due fessure  la prese e la trascinò verso l’alto. Gli occhi della donna  si chiusero e potrei costatare che perse conoscenza. Rimasi due secondi immobile, straziato. Con tutta la forza che avevo cercai di arrivare a riva e solo in quel momento mi accorsi che stavo finendo l’ossigeno. Quello che vidi in superficie fu un terribile colpo al cuore ,la figura bianca e immobile era sdraiata nella pietra più piatta. Lo stesso giovane di pochi secondi fa le premeva il petto con le sue stesse mani, non vi era nessun segno di vita da parte di quel corpo. Non riuscivo a credere a una cosa del genere, mi sentivo dannatamente in colpa. Non potevo restare più di un altro secondo lì, sarei crollato. Velocemente cercai di prendere la mia roba mentre i miei occhi, a alternanza di una manciata di secondi, si direzionavano verso la sua direzione. E ad ogni sguardo un pezzo di me volava via. Corsi verso il mio motorino mentre le mie orecchie sentivano il rumore sempre più vicino di un’autombulanza, sfrecciai a velocità impressionante verso la mia città, giurando a me stesso di non ritornare mai più a mare in quel paese. Gli occhi mi bruciavano incontrollati e questa volta non potevo dare la colpa al vento. 


6 Settembre 2010
Mi sveglio di soprassalto ed eccola lì, la stessa immagine che mi tormenta da mesi davanti ai miei occhi. La sconosciuta che annega e io non ho il potere di fare nulla. Così come ogni santissima cazzo di mattina resto fermo per 10 minuti sopra il letto e guardo il muro rosso davanti a me. La nausea mi assale e il senso di vuoto, abbandono e strazio diventa parte di me. Poggio la testa sulle ginocchia e prego con tutto me stesso che quello stato di consueta mancanza di me stesso finisca, la stanza traballa e a distanza di pochi secondi gli oggetti si muovono dinnanzi ai miei occhi. Fateli smettere! Cazzo!

-Luca è pronta la colazione!
Mia madre mi salva sempre, sarà forse il mio angelo personale? Mi alzo e come un ubriaco traballo e cerco di appendermi alla maniglia della porta. Cerco di risucchiare l’aria per riempire i polmoni ma ci riesco a malapena. Con i calzettoni fino al ginocchio e i pantaloncini a vita alta sembro proprio un.. coglione! Alla mia entrata con nonchalance in cucina, mia madre mi sorride e credetemi “non ho mai visto un sorriso così bello”.

-Ciao Luc.. ahahahhahah Ma come ti sei vestito?
Sghignazza come una pazza e mio fratello Walter di 15anni si unisce a lei. Cerco di fare l’offeso ma alla vista del mio piatto stracolmo di cibo il mio umore cambia  letteralmente per una ventina di secondi. 

-Mamma è il primo giorno di scuola, voglio morire!
Mi pentì subito di quella battuta orribile, la colazione iniziò a salirmi. Il volto pallido della sconosciuta balenò nella mia testa per una frazione di secondo, giusto il tempo per correre in bagno a vomitare tutto.

- Luca! Che hai?
- Niente Mà, il latte mi fa uno strano effetto!
- Ma se non ne hai bevuto manco un millesimo!
Che schifo di bugiardo che sono! Ma che devo dirti mamma? Che ogni volta che penso a quella ragazza bellissima il mio corpo si stacca da me? Che il senso di perdita mi attraverso fino alla punta dei capelli? Non posso dirtelo mamma, tu mi diresti “sei un codardo!”,sei scappato e non ti sei nemmeno azzardato ad accettarti che fosse viva. Non sei come tuo papà. E io a quel punto ti avrei ringraziato mamma, ti avrei risposto “eh menomale! Io non ti avrei mai abbandonata mentre lui l’ha fatto mamma. Io lo odio papà”. Ma che pensieri mi faccio alle 7 meno venti del mattino? Meglio una rinfrescata va!

Con lo zaino in spalla, più vuoto del mio cuore, corro per arrivare alla fermata in tempo. Attraversato il vialetto di casa mi giro e cerco di mandare un bacio alla mamma che ne rimanda uno di risposta. Con la mente cerco di scattarle una foto in modo che il suo sorriso rimanga con me tutta la giornata. Il bus è sempre in ritardo e dopo essermi accertato che da quella distanza la mamma non mi veda mi accendo una sigaretta. Di colpo un equilibrato senso di stabilità e calma mi riempie. Con tutte le forze che ho cerco di non pensare a quanto la mia vita non sia perfetta. Al fatto che mi sento sempre solo in mezzo a una folla, di non avere neanche uno straccio di amico e di come le ragazze sembrano evitarmi nonostante lo dicono tutte che sono “attraente”. Non che io mi senta così. Ho quasi diciotto anni e non so nemmeno cosa farne della mia vita, non so nemmeno più chi sono e chi ero ambito a essere. Non ricordo quasi nulla del mio passato, come se un enorme masso si fosse piantato su tutto ciò che ero, su tutti i miei ricordi. Mamma dice sempre che è stata colpa dell’incidente ma come può essersi volatilizzato via ogni cosa di me? La vista dell’auto in lontananza mi riempie di sollievo e cerco di fare un cenno all’autista.

-Buongiorno!
Nessuna risposta. Questo è il prezzo da pagare per essere educato? Cerco di farmene una ragione e cammino per cercarmi un posto libero. Le solite facce di cazzo che salgono in quel bus tutto l’inverno, mi fissano. Soffoco anche quest’altra forma di violenza che vorrei praticare e intreccio le mie mani serrandole una all’altra. Il tempo sembra non passare mai e a me sinceramente va bene così. Arrivati in piazza Santo Stefano  scendo di corsa e raggiungo la mia classe in un baleno ed eccoli lì tutti i miei compagni di classe, visi quasi conosciuti di cui a malapena so il nome e il cognome. Qualcuno mi sorride educato ma io cerco di non prestargli molta attenzione perché dentro di me sento nascere un sentimento che riempie quasi tutte le mie giornate: la delusione. Nei loro occhi vedo ciò che io ero prima, un normale alunno pieno di amici e ragazze che sente di  avere in mano il mondo mentre  adesso mi sento solo un naufrago approdato su un’isola sconosciuta. Appoggio la testa al banco e cerco di non pensare senza alcun risultato, le immagini di quella terribile giornata mi scombussolano e non faccio altro che pensare alla sensazione ambigua e quasi disumana che quella ragazza mi conosca . Mi sento arrabbiato verso me stesso perché sono stato io il colpevole della mia stessa tragedia, io avevo il mano il volante ed ero del tutto ubriaco, io non ho visto l’auto svoltare e sono stato io a prendermela a duecento all’ora. Io che adesso non ricordo più nulla di me ma solo il giorno che persi la concezione di tutto, le mie conoscenze, la cultura, i sentimenti, gli aspetti  della vita, persino le azioni elementari del mio corpo come “camminare”. Ed è colpa mia se adesso non riconosco quella donna e a malapena conosco me stesso. Non so più che devo fare, non so quali sono i miei obbiettivi, non so cosa farne della mia vita. Cerco di ascoltare la prof che spiega otto interi capitoli di storia e dopo circa 10 minuti apprendo ogni cosa e non ho bisogno nemmeno di studiare a casa. Sotto questo aspetto sono fortunato perché ho bisogno solo di un ascolto per memorizzare tutto, sarà forse che la mia mente è così vuota di tutto che qualsiasi cosa entra così velocemente solo per occupare quell’immenso spazio. Diversi occhi mi guardano anzi mi fissano ma con tutte le forze che ho cerco di non girarmi in nessuna direzione senza riuscirci, il fastidio prende il sopravvento e sposto la mia testa a destra e disintegro con lo sguardo un mio compagno di classe molto ma molto muscoloso e con delle braccia cinque volte più grandi delle mie. Solo in quel momento mi accorsi di aver fatto una cosa che non dovevo fare se volevo sopravvivere a questo mondo disastro e incolore. Il tipo si alza velocemente senza ascoltare le urla della prof che sicuramente si era accorta di ogni cosa e si avvicina lentamente verso il mio banco spoglio, più solo di me. Mi guarda incerto e so bene cosa vede : una facile preda dalle ossa fragili pronto a scappare a gambe elevate. Un sorriso tremendo si dipinge sul suo volto e quasi senza accorgermene mi sussurra all’orecchio
‘Andiamo fuori’. Ha una voce strana che non s’intona completamente al suo aspetto. I jeans tagliati e grezzi mi colpiscono ma di più la sua maglietta a giromanica nera che espone in bella vista i suoi muscoli enormi. Non so cosa io sia stato prima dell’incidente, se ho mai alzato le mani a qualcuno e se so come si fa a dare pugni ma penso che dev’essere istintivo, facile come respirare. Rispondo con un cenno della testa e mi dirigo fuori verso il campo, dietro di me tutti i miei compagni di classe mi seguono , alcuni intimoriti altri acclamano la rissa imminente. La povera prof, con i suoi 50anni superati e le braccia minuscole e fine, cerca in tutti modi di fermarci ma non ci riesce, così corre verso la parte opposta sicuramente andrà a cercare qualcuno. Mi ritrovo accerchiato da tutte quelle facce sconosciute e illuminate, si poteva ben vedere da chilometri che erano contenti anzi esaltati per quel nuovo episodio del tutto differente alla loro vita monotona e tranquilla. Mister muscolo che solo dopo pochi secondi ricordai che si chiamava “Cameron, soprannominato Cam” si avvicinò a passi lenti verso di me e negli occhi vidi un odio incomprensibile, almeno per me. Mi preparai mentalmente alla rissa ma non feci nemmeno in tempo di pensarla che Cam mi venne addosso tirandomi un pugno nella guancia sinistra. Sentivo l’odore del sangue scendermi attraverso il setto nasale ma non sentivo dolore, nemmeno una piccola parte. Mi alzai velocemente e d’improvviso ogni mio muscolo sapeva cosa fare, come muoversi. Andai in contro a Cameron e lo spinsi con tutta la mia forza e lui cadde a terra, come una foglia d’Autunno.  Resto lì per circa una frazione di secondo ma poi si alzò e a me sembrò più enorme di prima, i muscoli erano contratti ma a me non facevano alcuna paura.  L’adrenalina mi scorreva furiosa e iniziai a tirare ganci destri e ad ogni pugno il suo corpo sembrava essere sempre più piccolo e irrilevante. Non volevo più fargli del male, non ero io quell’essere che sentiva la voglia di continuare a fare violenza dentro di sé, così indietreggiai e coprendomi con la mano destra il sangue che ancora scolava con la sinistra feci segno di fermarsi ma lui non volle ascoltare e mi venne incontro furioso. Cercai di trattenerlo con una sola mano e sotto lo sbalordimento di tutti e anche il mio, ci riuscii. Non credevo di avere così tanta forza. Due figure grandi e quasi curve corsero verso la nostra direzione, erano la prof di storia e il preside che ci guardavano allarmati e potevo ben notare che alla vista del nostro sangue che sgorgava furioso, corsero ancora più veloce. Nel frattempo Cam cercava di tirarmi pugni e calci senza mai prendermi sul serio e io lo guardavo con occhi tristi cercando di trasmetterli con un solo sguardo, tutto il dolore e la tristezza che provavo per quella vicenda. Ma Cameron continuava a gridarmi, a dire quanto fossi uno sfigato, a rinfacciarmi l’incidente e di come avevo rovinato ogni cosa. Non sapevo cosa rispondergli perché non riuscivo a comprendere le sue ultime parole che oltrepassarono il mio corpo e mi spinsero a gettarmi a terra, sfinito. Ma Cam non continuò ad aggredirmi e con le lacrima agli occhi mi gridò prima di andarsene con il preside:
 
-Eri il mio migliore amico Luca, prima che rovinassi ogni cosa. Ti odio.
Il mio cuore si bloccò per una decina di secondi e tutti mi guardarono con una nuova espressione :‘l’incertezza’. Volevo dire qualcosa, chiedergli scusa in ginocchio a quel ragazzo che diceva di essere stato il mio migliore amico, quel ragazzo che non riuscivo nemmeno a capire di che colore fossero i suoi occhi e a non sapere quale fosse il suo cognome. Fino a quel momento avevo pensato di aver rovinato la vita a me stesso e alla mia famiglia ma adesso sapevo che non era così. Ero un mostro e come tutti gli esseri spregevoli meritavo di restare solo. 


Il più grande errore che un essere umano possa fare è, provare a dimenticare il dolore che prova, un dolore non si dimentica, torna sempre, più forte e straziante che mai, forse si dovrebbe solo imparare a conviverci.
 
da PensieriParole
   
 
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