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Autore: Kiyara    02/01/2013    1 recensioni
Palestina, 30 d.C. circa. Re Erode Antipa è preoccupato per il proliferare di falsi profeti e falsi Messia nella sua terra occupata dai Romani. Allo scopo di assicurarsi che la situazione non stia precipitando, invia un fedele servitore di palazzo tra la gente, come diremmo oggi "sotto copertura".
ATTENZIONE: Non mi ritengo un'esperta di questo periodo, se qualcuno riscontrasse degli errori me lo comunichi e provvederò a correggere.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità
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Capitolo I: La missione di Giovanni

Aveva un nome comune. Giovanni. Tanta gente si chiamava Giovanni, persino un profeta che il re aveva fatto decapitare un po’ di tempo prima. Onestamente non la capiva troppo questa storia di perseguitare dei poveri popolani che speravano di guadagnare credito agli occhi degli altri spacciandosi per Messia. Perché ce n’erano eccome di Figli di Dio e di creduloni in quel periodo difficile, specie tra i poveri, perché erano quelli che più subivano le tasse degli invasori. I ricchi no, invece, a loro cosa importava chi c’era al potere? Ebrei, Romani, nessuna differenza, avrebbero comunque preservato le loro ricchezze facendosi gli affari loro e tenendosi stretto il denaro che possedevano. Erano i poveri quelli fragili, quelli che per abitudine o ignoranza continuavano a osservare le Scritture e a riconoscere nel primo ciarlatano un po’ speciale che passava il Redentore, colui che li avrebbe salvati dai loro aguzzini, come aveva fatto Mosè prima di lui e come si aspettavano avrebbe fatto qualcun altro alla difficoltà successiva. Perché era questo il più grande problema degli Ebrei, ricchi e poveri, Giudei o Galilei, pubblicani o zeloti che fossero: erano tutti convinti che gli sarebbe bastato dire Adonai, aiutaci! e tutto sarebbe stato risolto da un fedele servo di Dio che avrebbe affrontato i potenti, lottato, sofferto al posto loro e magari si sarebbe addirittura sacrificato per loro. Ma mai una volta che uno di questi umili credenti si decidesse a fare qualcosa lui stesso. Delle donne, poi, neanche a parlarne: per quanto la Torah si fosse prodotta in grandi onori in confronto ad analoghi testi stranieri per quelle dolci creature, la società si era evoluta in modo più consono alle zone che abitava e le teneva ora in scarsa considerazione. Il che era un vero peccato, pensava Giovanni, perché a dispetto delle idee comuni le donne erano molto intelligenti, le principesse che serviva lo dimostravano ogni giorno, e si sarebbe forse potuto trovare qualche idea brillante con lo sforzo congiunto degli uomini e delle donne. Ma no, niente da fare, ognuno rimaneva intento nei suoi compiti, fermo nel posto che gli era stato assegnato e così dovevano passare intere generazioni prima che il paladino tanto atteso finalmente sorgesse. E i Sacerdoti non facevano nulla per cambiare le cose!
I Sacerdoti erano una casta che non capiva. Erano i profondi conoscitori delle Scritture, coloro che dovevano rappresentare il Signore in terra, ma erano agli occhi di Giovanni e di molti altri, dei semplici uomini e a dirla tutta anche un po’ bigotti. Si ergevano a giudici di verità ed esempio per tutti i fratelli, ma negli anni si erano avvicinati sempre più agli invasori, dimenticando di essere una mediazione, accontendandoli in ogni richiesta così che nessuno poteva più guardare un Sacerdote senza chiedersi per chi stesse parlando. Quantomeno a Gerusalemme, ed era da li che veniva Giovanni. Aveva respirato l’atmosfera del palazzo reale fin da bambino perché suo padre era un servitore del re, di Erode il Grande. La sua famiglia non se la passava male, anzi, viveva sicuramente meglio di moltissime persone; certo non potevano neanche lontanamente ritenersi ricchi, ma essere servitori di palazzo comportava una certa comodità e anche una certa fiducia da parte del re.
Tutti i figli di Simone, compreso Giovanni, avevano frequentato la scuola ed avevano appreso bene l’Arte, la Storia, la Geografia, le Lettere e l’ebraico perché era non era possibile recarsi al Tempio a Gerusalemme senza sapere l’ebraico, non si sarebbe capito nulla. La lingua era in disuso già da tempo e la utilizzavano solo i religiosi nei loro riti e gli sposi nelle promesse matrimoniali: nessuno si sarebbe sognato di andare in giro e parlare ebraico come fosse lingua corrente. Si prediligevano piuttosto – oltre all’aramaico, lingua ufficiale dello Stato – il greco semplice e i dialetti locali; il latino era evitato accuratamente anche da chi lo sapeva perché era la lingua degli invasori e chiunque fosse stato sentito a parlarlo sarebbe stato considerato un pubblicano, un collaborazionista, e a meno che non fosse un nobile o un Sacerdote sarebbe stato immediatamente emarginato.
A proposito dei reali c’era da dire che ne sapevano di cose: anche loro erano istruiti in Lettere, Storia, Geografia e Arte, sicuramente molto meglio di Giovanni, e in più conoscevano anche le Scienze.
Avevano una grazia surreale, si muovevano sinuosi sotto le loro vesti morbide e sapevano trattare con chiunque, dai capi del popolo agli ambasciatori stranieri. Nessuno di loro si chiamava Giovanni. Prediligevano nomi rari e altisonanti come Erode o con origini greche come Filippo. C’era chi diceva che non fossero completamente Ebrei, ma avessero un retaggio più vario. Tutto era possibile, specie per gente nella loro posizione, che si era trovata a dover stringere alleanza con le persona più improbabili, coi nemici di sempre o con culture per lungo tempo sconosciute. Ma poi che importava in fondo il loro lignaggio? Neanche Davide, dicevano, era completamente Ebreo eppure nessuno aveva dubbi sul fatto che fosse stato un grande re per gli Israeliti. E poi i reali conoscevano l’ebraico; non solo, Giovanni li aveva sentiti sostenere intere conversazioni in quella lingua antica e aveva faticato a stargli dietro. Quando venivano i Sacerdoti parlavano ebraico e coi Romani parlavano greco. Erano persone straordinarie.
Nessuno sapeva esattamente come avessero reagito all’invasione e come continuassero a considerarla tutt’ora. Certo aveva limitato il loro potere, ma i Romani li lasciavano amministrare la giustizia e non avevano imposto quasi nulla di loro, se non pagare il tributo. Si erano limitati a dipingere qualche scritta in latino su alcuni edifici pubblici delle capitale, ma anche quello era sembrato più un aiuto ai loro soldati che un invito a unire le due culture: i loro dèi erano ancora un mistero, l’abbigliamento al di fuori del campo militare era assai raro e non si era mai vista una sola loro donna. Per fortuna: donne avrebbe voluto dire bambini e Giovanni dubitava che Ebrei e Romani sarebbero stati contenti di vedere i propri figli prendere confidenza con quelli dell’altro popolo, cosa che sarebbe stata prima o poi inevitabile. Giovanni non sapeva come avrebbe reagito: lui non aveva figli e grazie tante, la missione affidatagli da re Erode richiedeva già da sola una grande responsabilità.




Angolo autrice:
Che dire? L'ho scritta alle quattro di notte e ne sono molto soddisfatta. Questo primo capitolo è un po' un'introduzione alla realtà del tempo e alla storia stessa, dal prossimo capitolo comincia il vero e proprio viaggio. Comunque è solo un esperimento, se mi direte che proprio non si regge in piedi, la cancello. Non mi viene in mente nient'altro da dire riguardo alla storia, ma se avete delle domande o delle precisazioni, scrivete pure (si, vi sto spronando a recensire!) e io vi risponderò.
  
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