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Autore: Lady of the Circus    02/01/2013    3 recensioni
Tutti conoscamo le viciende della Compagnia dell' anello. E se alla compagnia si aggiungesse un altro membro? E se questo membro fosse una ragazza "allieva" di Aragorn? E se questa ragazza fosse di razza sconosciuta? Spero di avervi incuriosito un minimo, vi lascio alla lettura ;)
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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1. Autunno scarlatto
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Erano i primi giorni di settembre, la stagione che sopraggiungeva già si mostrava colorando di tonalità accese la fiera chioma degli alberi. Tingeva di tempera rossa il cuore delle foglie e ne indeboliva i gambi. Come figli che abbandonano i cari per scoprire il mondo, così le foglie abbandonavano i rami ,loro padri, per fluttuare leggere e delicate fino al suolo. Sembravano giocare tra di loro mentre in balia del vento ballavano in circolo, poi ,quando erano stanche, si accasciavano al suolo per riposare. Bastava però un soffio di vento che come musica ad una festa le faceva rianimare e riprendevano la loro danza allegra.
Immersa nell’ intensità  di quella antica ricorrenza di allegri colori e balli una piccola bambina si aggirava sola per l’ immenso parco. Cercava qualcosa, forse un ricordo perduto o un sorriso smarrito. Ecco che ritrova il sorriso che stava cercando, la sua bocca si piegò in una dolce curva spensierata. Si chinò e raccolse da terra quel che cercava: una piccola margheritina dai petali color della lavanda e un lungo gambo argenteo. Unì anche quel piccolo fiorellino al mazzo che teneva nella mano cicciotta. Lo contemplò con sguardo acceso: un bel mazzo composto da tutti i colori che la bambina conosceva. Fece una piccola corsetta fino agli argini del lago che ornava il parco e si sedette sull’ erba e le foglie vermiglie e viola. Si sporse quanto bastava per vedersi riflessa sullo specchio d’ acqua. Quel che si mostrò fu un volto infantile, con le guance paffute e qualche lentiggine sparsa sul nasino a patata. Occhi grandi  e di un colore che ricordava quello dei muschi di quei boschi. La ragazza sorrise mostrando il dente che mancava proprio al centro della sua bocca. Il volto di un colore pallido era circondato da una cascata di capelli corvini che cadevano in modo ribelle sul seno ancora immaturo della piccola. Probabilmente un’ altra bambina avrebbe fatto di quei fiori una graziosa coroncina oppure li avrebbe disposti a formare un mazzo da regalare alla madre. Alla piccola non interessavano certo questi passatempi futili ed infantili. Scelse accuratamente i fiori che le servivano, gli altri li gettò nel lago lasciando che galleggiassero in compagnia delle foglie purpuree che erano scivolate sull’ acqua. Dispose i fiori difronte a sé, ne scelse uno e lo posizionò al suo fianco con una precisione che avrebbe sorpreso un chimico. Ne prese un’ altro di colore e forma simile e lo accostò a quello precedente. Fece questa azione per lunghe ore finche non le finirono i fiori. Quando si alzò dal terreno, le ginocchia sporche di terriccio umido e indolenzite dalla lunga immobilità, guardò la sua opera dall’ alto. Si congratulò con se stessa della ben riuscita del lavoro, le piaceva sebbene fosse da perfezionare. Stava per riprendere il lavoro quando un lampo squarciò il cielo facendo sobbalzare la piccola. Non era un lampo di quelli comuni, era più feroce e portava una scia di malinconia e fetore di  morte. Un lampo di battaglia. La bambina scattò in piedi e corse verso la sua città. Era molto bella, splendente di una luce biancastra, cresceva sollevata dal suolo appoggiata per un tratto dagli alberi e per un tratto da una scogliera nera come la pece che faceva risaltare maggiormente i colori lattei delle mura della città. Quando però la bambina arrivò alla sua città questa non era più di quei tranquillizzanti colori pallidi, era tinta di rosso. La bambina era stanca per la corsa precipitosa sentiva il suo piccolo cuore battere fortissimo ed ebbe paura che questo saltasse via dal suo torace per quanto batteva forte. Aveva il fiato corto e le gambe deboli. Si appoggiò alle mura della città, le ricordava luminose e profumate. Ora erano scure e puzzavano di un odore ancora sconosciuto alla piccola. Sentì qualcosa sotto le mani, era viscido, scivoloso. Si osservò le dita, erano macchiate di questa strana sostanza rossa. Quando la bambina si rese conto di cosa si trattava si allontanò dal muro strillando terrorizzata. Inciampò su di una radice e cadde a terra. Qualcosa la toccò da dietro, quando si voltò la piccola vide la creatura più orrenda che avesse mai scorto. Era pustolosa e puzzolente, orecchie smisuratamente lunghe, occhi cupi e bui. La bocca era solo un piccolo foro dal quale uscivano denti appuntiti che si sovrastavano l’ un l’ altro come volessero uscire da quella bocca così piccola. L’ intero corpo della creatura era tutto tranne che simmetrico, sembravano pezzi disconnessi messi assieme grazie a non si sa quale stregoneria. Più spaventata di prima la bambina gridò ancora, ed ancora, fuggendo via con le mani trai capelli.
«MAMMA! MAMMA!» strillava disperata la piccola correndo come una pazza.  Correva e correva, senza meta sperando che qualcuno in quell’ ammasso di cadaveri, arti mozzati, teste separate dai propri corpi, la riconoscesse e la portasse via. Inciampò cadendo in una pozzanghera, era densa e di un colore rosso cupo. Pianse di disperazione e di dolore, pianse di terrore. Si sentiva in un incubo terribile, la paura prendeva man mano possesso del suo corpo impedendole di muoversi, impedendole di rialzarsi e fuggire, impedendole di reagire.
«MAMMA!» strillò ancora la piccola con le mani sulle orecchie per non sentire le strilla disumane delle vittime di quell’ assalto. Cadde un corpo davanti a lei, un giovane elfo, gli occhi spalancati e lo sguardo fisso. Conosceva quegli occhi, sapeva a chi appartenevano. Era il suo caro amico Uruh, compagno di giochi e fedelissimo confidente. Ora era lì davanti a lei ricoperto di sangue con una freccia conficcata nel torace. Strillò ancora più forte e indietreggiò carponi in preda al panico. Si raggomitolò tra due barili e qualche trave con le ginocchia strette al petto e lo sguardo spaurito. Metà del suo volto era macchiato di sangue, metà della sua anima intrisa di questo. Pianse forte, tanto come non aveva mai pianto. Rimase lì sotto nascosta finché non sentì le strilla diradarsi, gli stridii delle lame allontanarsi e i versi di quelle strane creature azzittirsi. Albeggiava ormai e dell’ incubo di quella notte se ne udiva solamente la scia: il gracchiare di corvi ed il gemere dei feriti, il pianto disperato di vedove ed orfani, gli strilli di dolori di chi in una notte ha perso casa, famiglia, denaro e vita. La bambina era esausta, si era stretta con tutte le sue forze alle sue ginocchia conficcandosi le unghie nei polpacci. Aveva ancora il volto rigato dalle lacrime ma decise che era giunto il momento di uscire dal nascondiglio. La vista che le si parò davanti le fece mancare l’ aria. Un odore acre di morte e fumo investì il sottile naso della fanciulla assalendole la gola e inumidendole gli occhi di nuove lacrime. La piccola tossì. Vedeva altri elfi girare tra i corpi. Molti erano disperati, sporchi in volto proprio come lei, inginocchiati con i cadaveri dei cari in grembo. Molte donne intonavano al cielo canzoni tristi. C’ erano poi altri che depredavano i copi dei caduti privandoli di tutto, anche delle scarpe. Poi c’ erano altri. La bambina non sapeva chi fossero, passavano con dei carri neri e prendevano i cadaveri strappandoli dalle braccia disperate degli afflitti parenti. Fiàin sperò solo che i suoi non fossero già su uno di quei carri, anzi osò sperare addirittura che fossero ancora vivi. Cominciò a correre tra i cadaveri. Ciò che vide la riempì di repulsione e di rabbia. Correva cercando di evitare quei resti di corpi ed i piccoli fuochi che li bruciavano.
«MAMMA! PAPÀ!» strillava ma nessuno sembrava sentirla o accorgersi di lei. Gli unici sguardi che la seguivano erano di compassione. Di nuovo quella rabbia, non voleva compassione, non voleva sguardi pietosi, voleva sua madre e suo padre o un aiuto a trovarli.
«MAMMA!» smise di correre guardandosi intorno e riprendendo a piangere «MAMMA!» Strillò più forte di prima ma non ricevette nessuna risposta. Poi vide un braccio uscire da un cumulo di macerie, una mano, un anello. Un anello di poco valore, per questo non era ancora stato rubato. Lo aveva donato lei alla madre, era un cerchietto di legno che aveva trovato accanto ad una quercia. Raggiunse quell’ arto strillando di dolore. «MAMMA!MAMMA!» Continuava a ripetere mentre liberava quel cadavere dalle macerie. In un'altra situazione non sarebbe riuscita neanche a smuovere una trave, ma la forza della disperazione e la rabbia possono permettere quasi tutto.  Sua madre era lì, ancora abbracciata a suo marito, freddi come l’ aria in una mattina d’ inverno, pallidi. Scrollò la spalla della madre piangendo disperata
«Mamma svegliati, su alzati! non vedi che è giorno? svegliati ti prego.» Lanciò un urlo e scoppiò nuovamente in un pianto dilaniante per il cuore. Cominciò a prendere a pugni i corpi dei genitori, non per rabbia né per cattiveria, li voleva solo svegliare. Le si avvicinarono quegli strani uomini vestiti di nero con i carri e la distaccarono a forza dal corpo dei suoi genitori. Lei si dimenava come un serpente, strillando, implorando che non la separassero da loro «NON FATELO! SONO ANCORA VIVI! DORMONO, STANNO SOLO DORMENDO! VI PREGO NON FATELO» Strillava ancora più forte di prima, quando lasciarono la presa su di lei la piccola rincorse il carro finché poteva continuando a ripetere la stessa frase. Pianse, strillò e lanciò oggetti contro il carro pregandoli di fermarsi, di tornare indietro. Purtroppo lei non era altro che un fantasma, come tutti quelli che vagavano per quella desolazione. Non esisteva agli occhi di nessuno.
Fiàin rimase lì a lungo, aspettando, sperando che il carro tornasse indietro restituendole i suoi genitori. Il fumo trascinato dal vento come cavalli che corrono con la brezza le veniva contro facendo ondulare le sue vesti ormai logore e i capelli unti e imbrattati di sangue rappreso. Pianse ancora e fissò l’ orizzonte finche non vide il carro scomparire del tutto alla sua vista da elfo. La fanciulla sentì un nitrito familiare, era Gaith, la puledra di suo padre. Si trattava della figlia di uno dei cavalli del regno di Rohan. Suo padre era stato una guardia imperiale prima che venisse esiliato. “Un giorno” le aveva detto il padre “questa cavalla solcherà le lande della terra di mezzo volando su di esse, e tu sarai con lei compiendo le più eroiche avventure.”
“Vuoi dire che è mia? Me la regali papà?” aveva risposto lei ingenuamente. Il padre le aveva sorriso carezzandole la guancia con le sue mani ruvide e callose. “No Fiàin, non è tua, lei sarà tua compagna. Correrete assieme al vento e tu ti potrai fidare di lei e lai si fiderà di te.” la bambina aveva sorriso e si era stretta al collo esile della puledra. “La chiamerò Gaith: vento. Ti piace papà?”
“Sì” aveva risposto lui “mi piace molto.”
 La fanciulla la cercò affannosamente seguendo il nitrito e la raggiunse felice. Corse vicino a lei e scoppiò a piangere stringendosi al suo collo. Non ne poteva più di quel posto, voleva solamente andarsene. Non aveva mai cavalcato Gaith, era ancora troppo piccola. Ma ora non le importava, voleva salire sulla groppa della sua più cara amica e spiccare il volo lontano da quel posto. Non perse neanche tempo a sellarla, si arrampicò su di un muretto e le saltò in groppa. La puledra non reagì scalpitando o innervosendosi, aveva capito le intensioni della bambina ed anche lei condivideva quel sentimento di nausea e disperazione. Fiàin slegò il muso della cavalla stringendo il crine morbido tra le dita. Sentiva il regolare respiro sotto le cosce, il cuore che batteva forte come stesse aspettando fremente qualcosa. La bambina si chinò in avanti fino a raggiungere con la bocca le orecchie del cavallo. Queste si tesero indietro come a voler facilitare l’ impresa della bambina. La piccola strinse i polpacci avvolgendo il costato della puledra.
«Portami dove va il vento, fammi volare.» le sussurrò la piccola in elfico. La puledra nitrì e partì al galoppo felice di abbandonare quei luoghi. Fiàin si dovette afferrarsi con tutte le sue forze, si aggrappò al collo e strinse le gambe. Poteva sentire ogni movimento del muscolo di Gaith, il sentimento di libertà investì anche lei sentendo il vento scompigliarle i capelli e pulirla dal pianto e dalla disperazione, si sentiva bene e l’ angoscia di prima aveva lasciato spazio ad un sentimento ben diverso, più felice e spensierato. Non sapeva di cosa si trattasse ma le faceva bene.

NdA: Bene bene bene. Ecco il primo capitolo della mia ff, che dire sono abbastanza soddisfatta sebbene il primo capitolo sia un po' Dark. Ci tengo a dire che con questa storia non intendo sostituirmi al grande maestro, la mia è solo una storia scritta per liberare la mia fantasia e per cercare di sfuggire a questa orribile raltà che ci circonda. Quindi vi prego di non essere troppo pignoli o troppo duri nei giudizi.
Al prossimo capitolo
Night_Moon
 
  
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