Capitolo X
Albafica
si sedette sulla seggiola di legno del tavolino, nella sua stanza nella
locanda. Quando
era tornato si era stancamente sfilato la finanziera, posandola sul
letto e si era seduto davanti al camino, a riflettere.
Il pranzo era stato di certo tranquillo e le
conversazioni erano quelle tipiche della tavola, leggere e gioviali,
che a volte vertevano su argomenti più complessi ma che il
buonsenso tendeva a riportare su temi più banali,
più consoni all’atmosfera.
Eppure era stato anche illuminante, in un
certo senso: mangiare impegnava l’uomo a tal punto da
impedirgli artifici complessi per nascondere la propria natura. O per
lo meno, in generale era così e dunque aveva potuto
formulare alcune opinioni.
Prima di tutto, gli venne da scartare il
conte Frydendahl: era un uomo tranquillo, gioviale e pacato, attento e
curioso, ma non gli aveva dato l’idea che potesse nascondere
una natura tanto oscura come quella delle Stelle. Gli occhietti
infossati dell’uomo esprimevano una sincerità
genuina e il giovane guerriero non riuscì a trovarvi nulla
di offensivo o ambiguo. No, decisamente il conte era da scartare, si
disse.
Come era da scartare sua sorella, la
baronessa Eckersberg: in primo luogo, la donna andava a trovare i
parenti sempre più raramente –o almeno, era
ciò che aveva inteso dalle conversazioni e dai racconti
dell’anziano Jens- e dunque non poteva esercitare
l’influenza malefica necessaria a rendere Frydenjord il
villaggio moribondo che era. Ed in più, quella donna non gli
trasmetteva alcuna sensazione di pericolo, anzi, infondeva una certa
pace e serenità, coi suoi modi di fare dolci e materni, che
però mai le aveva visto rivolgere alle figlie.
Il giovane seguiva le venature del legno del
tavolo con le dita, mentre pensava. Sophia e Christina… no,
nemmeno loro, escluse categoricamente. La prima era troppo sciocca,
anche se di uno sciocco cattivo e malvagio e a modo suo, scaltro, ma
non era di certo tagliata per entrare nelle file di Hades: era un dio
crudele, non stolto.
Christina, invece… era una
ragazza a suo modo pacata e tranquilla, dal carattere remissivo che si
lasciava influenzare troppo facilmente da quello dispotico della
sorella minore. Nei suoi occhi chiari aveva letto
un’adorazione mista a invidia e rabbia nei confronti di
Sophia, che, evidentemente, doveva godere dei favori dei suoi parenti
più di lei. O così gli aveva detto Solveig, che
era ben informata su tutto.
-Ah, la baronessa Sophia… tutti
la tengono sul palmo della mano, parenti e amici. Sa, è
vuota come un barile di vino buonodopo
un giorno di festa, ma sa come comportarsi con la gente della sua risma
e come spendere e spandere le rendite del padre come si conviene ad
un’aristocratica francese –dicono sia segno di
buona educazione, ma’... Sua sorella no; la ricordo quando
erano ancora bambine, la baronessa Christina era una ragazzina tanto
timida e gentile, certo, non aveva il carattere dei Frydendahl, ma
nemmeno quel cattivo carattere degli Eckersberg –son gente
davvero pessima, nobili o meno. La nonna e le zie le han proprio
rovinate, soprattutto Sophia, Christina, povera ragazza,
l’han sempre valutata meno della sorella.- aveva detto l’ostessa la sera
prima, versandogli un boccale di vino.
Forse la ragazza traboccava di sentimenti
repressi, ma non la credeva proprio in grado di essere una Stella
Malefica e poi, come sua madre, frequentava poco Frydenjord.
Il reverendo Hans invece, lo lasciava un
po’ perplesso. Né Jens né Friederieke
Frydendahl parevano averlo molto in simpatia, a differenza del conte,
di suo figlio e della signorina Bernstein; gli era parso un uomo calmo
e inoffensivo, certo, forse un po’ fanatico rispetto al suo
credo, ma nulla di così esagerato o preoccupante. Non gli
aveva fatto un’impressione particolare, ma… forse
era comunque meglio tenerlo d’occhio, Jens conosceva il
villaggio e il castello meglio di lui e se quell’uomo aveva
dubbi sul pastore, poteva anche non avere tutti i torti.
Per quanto riguardava la signorina
Bernstein, la donna era forse quella che gli aveva destato meno
sospetti o dubbi: vanesia e sciocca, non sembrava nemmeno in grado di
nuocere ad un insetto, forse era solo in grado di far irritare la
contessa sua allieva.
Erano Ludvig e Friederike Frydendahl a
lasciarlo perplesso: il giovane conte era una persona decisamente
ambigua, il suo sguardo sfuggente pareva nascondere molte cose, sotto
quell’apparenza da damerino dongiovanni e ad Albafica non
piaceva per niente la sensazione che gli trasmetteva, come di pericolo
imminente e di minaccia. Eppure, al tempo stesso, visto
l’affetto che l’uomo evidentemente provava per sua
sorella, si sentiva sciocco a diffidare di lui: come poteva una persona
tanto attaccata alla propria sorella tramare contro il villaggio e
allearsi con Hades? Farlo significava anche mettere in pericolo
Friederieke e Ludvig non sembrava proprio in grado di farlo. Anche dopo
il pranzo, durante la breve passeggiata nei giardini, il giovane si era
intrattenuto con la sorella, parlando e scherzando e tutto era parso
come un idillio… poteva essere davvero solo una finzione?
Davvero il conte poteva fingere quei sentimenti d’affetto per
la sorella minore ed in realtà tramare alle spalle della sua
famiglia?
E Friederieke, la bella contessa, poteva
essere lei la Stella? si chiese, sentendo il cuore stringersi. Non
riusciva a convincersi che lo fosse, ma il dubbio rimaneva. Era una
giovane donna scaltra ed intelligente, forse anche troppo, a cui quella
vita pareva stare stretta. Forse la sua astuzia era ancora impacciata
dalla vita di agi che conduceva e dalla protezione del padre e del
fratello –che evidentemente adorava-, ma Albafica non
dubitava che crescendo sarebbe diventata più simile a sua
zia, più brava a recitare la sua parte in quel gioco di
menzogne e intrighi che era la nobiltà. Poteva davvero
essere lei…?
Albafica, sentendo un fastidio sconosciuto a
quella domanda, la scacciò dalla mente. Decise di riposare
un poco, si era accorto che stando troppo a Frydenjord lo stancava,
forse a causa del grigiore ed
invece aveva bisogno di essere riposato e lucido; si sdraiò
e lentamente riuscì a prendere sonno.
Quando Albafica Van Dijk se ne
andò, Iedike, stanca, si scusò e andò
nel suo salottino privato. Si sedette davanti al caminetto con un
libro, forse Voltaire avrebbe potuto distrarla, ma non ci contava molto.
Si era accorta che lo strano senso di
spossatezza che la prendeva quando scendeva al villaggio iniziava a
comparire anche al maniero e tutto ciò la inquietava:
qualunque cosa fosse, stava diventando più forte.
Da quando era comparso il grigiore,
nessuno al villaggio era più lo stesso, tranne il caro,
vecchio Jens: la gente era sempre triste, stanca eppure ormai scoppi di
ira violenta, quasi omicida, erano all’ordine del giorno.
Però, finchè al castello tutto era normale,
Iedike non si era preoccupata troppo, ma ora…
ora… no, non voleva pensarci. Non poteva nemmeno immaginare
cosa sarebbe successo se il grigiore avesse mutato anche loro: era come
un morbo malefico che succhiava l’anima delle persone e le
trasformava in bestie rabbiose.
Più passava il tempo,
più era sicura che padre Hans c’entrasse qualcosa:
era dal suo arrivo che tutto aveva iniziato a diventare strano,
ma… quello stesso giorno suo fratello era tornato da Londra
e le era parso diverso, c’era qualcosa, nel suo
sguardo… no, non poteva essere Ludvig la causa di tutto.
Suo fratello era una brava persona, anche se
un po’ vanesio e donnaiolo, non avrebbe mai fatto del male a
nessuno! E poi Jens, che pareva saperla lunga sul grigiore,
le aveva detto che pure lui dubitava di padre Hans. Sì,
doveva per forza essere così, doveva essere padre Hans, non
poteva essere Ludvig!
Jens era un uomo saggio, non avrebbe mai
dubitato del pastore, se no fosse stato certo e di sicuro sapeva o
aveva un’idea di cosa fosse il morbo che affliggeva il
villaggio.
-Non abbassate mai la guardia,
contessina.- aveva detto l’anziano stalliere
–Questa nebbia, questo grigiore si nutre di anime
semplici. Ma voi avete una mente forte.- l’aveva
redarguita l’uomo. –Non fatevi mai
incantare, tenete sempre la mente in movimento.
Provò a leggere un paio di righe,
ma non ne aveva voglia. La stanchezza e i pensieri che si rincorrevano
per la sua mente le rendevano arduo concentrarsi su quella lettura
così colta e che pure sembrava superficiale e vanesia: che
poteva saperne Voltaire di problemi seri e inquietanti come il grigiore?
Oh, se solo tutte le risposte che le servivano avesse potuto trovarle
in uno dei libri di suo padre!
Posò il tomo sul tavolino accanto
a sé.
Oltre al grigiore, c’era anche
qualcos’altro che la impensieriva: lo straniero, Albafica Van
Dijk.
Era un uomo straordinariamente bello e
affascinante, di certo quel genere di giovane che faceva battere molti
cuori, ma non pareva curarsi o rendersi conto di quanto il suo aspetto
fosse piacevole e attraente, era molto modesto, doveva dire. Ed educato
e anche intelligente, aveva uno sguardo vivo ed indagatore e,
nonostante dissimulasse bene i propri pensieri, vi aveva potuto
scorgere un’inquietudine e un sospetto non dissimile da
quelli che albergavano nel suo cuore.
Che anche lui sapesse? Be’, si era
presentato come un amico dell’anziano Jens, ma forse era ben
altro. Forse Jens gli aveva parlato del grigiore,
gli aveva chiesto aiuto… o forse lei si stava illudendo.
Forse era davvero un mercante, forse
Frydenjord e i Frydendahl erano condannati a soccombere al grigiore.
No, si disse, non l’avrebbe permesso! Si alzò e si
diresse in camera sua, chiamando Edda. Le disse di aiutarla e si
cambiò, indossando abiti più adatti ad una
cavalcata: doveva andare al villaggio, a parlare con Jens.
Percorse i corridoi un po’
tortuosi del maniero, poiché chi l’aveva costruito
evidentemente non aveva ritenuto necessario creare una pianta regolare,
diretta alle stalle, quando incontrò la signorina Bernstein.
-Ma… contessa! Dove andate?-
chiese, sorpresa di vederla. Pensava che la giovane nobile stesse
riposando, invece si era cambiata e si dirigeva verso le cucine, o le
stalle.
-A farmi una cavalcata.- rispose la ragazza,
senza nemmeno fermarsi. Si lasciò alle spalle la sua
istitutrice, che rimase ferma a guardarla per qualche istante, prima di
dileguarsi.
Iedike fece sellare un cavallo e
partì al galoppo verso Frydenjord; due figure la osservavano
dalla finestra.
-La contessa ha molti dubbi nel cuore e si
fa troppe domande. Che dobbiamo fare?
-Attendiamo e vediamo come si evolve la cosa. Potrebbe tornarci utile.
Sì, sono tornata. Té, speravate che i Maya m'avessero fatto la pelle, ne?
Scherzi a parte, ho un ritardo assurdo e mi dispiace :/ Spero di essere più regolare con i prossimi capitoli :)
Alla prossima.