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Autore: Cassie chan    02/01/2013    22 recensioni
ATTENZIONE: non tiene conto degli eventi del settimo libro...!!Sono passati alcuni anni dalla fine della guerra, ed Hermione Jane Granger vive estromessa dal suo mondo, quello della magia, a causa di una condanna ricevuta tempo prima. Fidanzata delusa, disoccupata cronica, cinica perenne, Hermione ormai dispera dell'arrivo del principe azzurro. Ma quando arriva, non è facile riconoscerlo nelle fattezze affascinanti ma DECISAMENTE irritanti di Draco Lucius Malfoy, specie se babbano anche lui... ma la vita è decisamente strana e può anche capitare che ci si imbatta in una piccola fiaba, proprio quando si credeva di vivere in un incubo...:) PUBBLICAZIONE CAPITOLO 51 : 14 LUGLIO 2020
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Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Lavanda Brown, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'THE "HAVE A LITTLE FAIRY TALE" SAGA. '
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RIASSUNTO DEI CAPITOLI PRECEDENTI: Draco ed Hermione sono riusciti a fuggire dalla trappola tesa da Astoria, alias Summer Layton, che si è alleata con Pucey e Montague, gli assassini di sua sorella Helena, per uccidere entrambi dopo aver compreso il legame che unisce i due. Hermione, ancora parzialmente sotto il controllo dello Zahir che Astoria, con l’inganno, le ha fatto creare, è senza voce e sotto il pesante rischio di essere nuovamente controllata dalla Greengrass, che vuole che uccida Draco. Quest’ultimo l’ha portata a casa di Pansy Parkinson, per proteggerla, prima di recarsi in un luogo sconosciuto, senza riuscire a parlare con Hermione e senza sapere che la ragazza è innamorata di lui e che l’effetto dello Zahir è parzialmente sopito. Draco per aiutare Hermione a tornare sé stessa, ha convocato una sua vecchia conoscenza, la figlia di Igor Karkaroff, Raissa, che le ha detto che l’unico modo per tornare libera, sarebbe concentrarsi sull’amore che Draco nutre per lei. E per farlo, le mostra i ricordi che Draco ha su di lei, conservati da Blaise Zabini per farli vedere a Serenity, qualora fosse accaduto qualcosa a Draco stesso. Ma, mentre Hermione sta rivivendo i ricordi di Draco, essi sembrano scomparire nel nulla. Al suo risveglio, Hermione apprende che cosa Draco sta facendo: si è rivolto ad un demone, Adamar, per ottenere i poteri necessari per difendere Hermione e Serenity da Astoria. Il prezzo per tale demone sono i suoi ricordi di Hermione stessa, la cosa più preziosa che ha, per questo essi sono scomparsi. Se Draco fallisse la prova oppure decidesse di ritirarsi dalla stessa, Adamar gli restituirebbe i suoi ricordi. Ad Hermione, non resta che aspettare che Draco ritorni. Insidiata da Dimitri il fratello di Raissa ed oramai vicina a perdere le speranze, una sera di pioggia, Hermione distingue un’ombra nel vialetto d’ingresso della casa di Pansy. È Draco che misteriosamente è riuscito a tornare. I due finalmente si riuniscono e passano la notte assieme. Trascorrono dieci giorni assieme di perfetta felicità: decidono di contattare Harry per rivelargli la loro situazione, ma il Ministro è ignaro che Astoria abbia una spia nella sua cerchia più fidata. Nonostante i tentativi di Blaise e Draco, la spia non viene individuata e, quindi, sono costretti ad usare Daphne Greengrass e una sua passata relazione con il Ministro, per contattare Harry, in modo che non lo sappia nessuno. Daphne verrà avvicinata da Pansy, la sera del suo compleanno, quando dà una festa a casa sua. Nella stessa occasione, Draco chiede ad Hermione di sposarlo: la ragazza, raggiante, sta per accettare, ma vedendo l’anello con cui Draco la chiede in moglie, che è lo stesso anello di Helena, crolla e decide di prendersi del tempo per pensare, dilaniata dal dubbio che Draco non la ami quanto abbia amato Helena stessa. I due si lasciano momentaneamente, ed Hermione esce nel giardino della villa. Intanto nel futuro, dopo cinque anni, Hermione è tornata a casa di Pansy Parkinson assieme a Seth e a suo figlio Alex. Pansy, che adesso è sposata con Dean, però, non sa dove Draco sia. Dean, però, le rivela che Draco, cinque anni prima, è andato via da lì con Raissa Karkaroff, la sorella di Dimitri. Hermione, sempre più vicina a perdere le speranze, ricordando gli eventi degli anni passati, ripete che la sera del compleanno di Pansy è stata l’ultima sera in cui ha visto Draco. Quella sera, infatti, Hermione venne rapita da Dimitri Karkaroff che si era alleato con Astoria, Pucey e Montague, proprio per separarla da Draco e farne la sua “regina”. La crudeltà e la determinazione di Dimitri a fare sua Hermione, si spingono al punto di catturare anche Hayden, l’amico babbano che Hermione frequentava precedentemente, ferendolo gravemente e rendendolo incapace per sempre di camminare. Nella sua prigionia nel castello di Dimitri, però, Hermione apprende di essere incinta di Draco, cosa che spinge Astoria, sterile e desiderosa di fare suo l’ultimo erede dei Malfoy, cosa che sicuramente le garantirebbe la possibilità di riavere Draco, a prendere tempo con Dimitri e ad ingiungergli di non toccare Hermione nel tempo della gravidanza. La ragazza, però, dopo dieci giorni, viene liberata dalla prigionia da Helder, la sua amica Empatica, Harry e Ron, ma durante la fuga, batte violentemente la testa, restando in coma per tre mesi. Al suo risveglio, si trova in Italia, dove gli amici la tengono nascosta, fingendo persino un matrimonio con Ron, fino a quando Hermione apprende della morte di Dimitri ed Astoria, potendo tornare in Inghilterra con suo figlio per cercare Draco. Una traccia per trovare Raissa risiede inaspettatamente in un incontro che Draco, incalzato da Adamar durante la sua prova, aveva fatto nell’aldilà: una donna di nome Tatia Krasova gli aveva chiesto di riferire ad Hermione il suo nome in modo che si ricordasse di lei. Hermione, però, non la conosce. Cinque anni dopo, tuttavia, Hermione, Dean, Pansy e Seth scoprono che Tatia Krasova era una profetessa, il cui nome era stato celato e nascosto da Raissa, strappando la pagina di un libro, testimoniando quindi un probabile contatto tra le due. Tatia non voleva che Hermione si ricordasse di lei cinque anni prima, ma in quel momento, alla scoperta del gesto di Raissa.

 

 

 

 

Capitolo 37 – Red string of fate

 

Ho sempre creduto nel potere dei libri di unire le persone. Io, i libri li ho sempre idolatrati, questo si sa, sia che fossero testi di scuola o che fossero romanzi. È come se per me contenessero tutte le risposte del mondo ed ogni modo per evadere dalla vita: per quanto uno si sforzi e magari rivoluzioni completamente sé stesso, comunque siamo nati con una vita sola addosso.

Per quanto, per esempio, io faccia tutto per cambiare, sarò sempre una donna inglese, nata babbana, che ha avuto un figlio a ventiquattro anni e che ama un uomo di nome Draco Lucius Malfoy.

I libri, spesso, ti danno l’illusione che tu possa essere un’altra persona, ti fanno vivere in un altro mondo e in un’altra era. Puoi essere chi vuoi, leggendo.

E, in questi cinque anni, ho desiderato tantissime volte essere un’altra, in modo egoista e colpevole me ne rendo conto. Ma spesso capitava e non ci posso fare niente.

L’Italia non era diversa dalla cella polverosa in cui ero rinchiusa quando ero prigioniera di Dimitri: era come sempre una terra bellissima, dorata, luminosa, piena di gente affabile e cordiale. Ma c’erano giorni in cui era semplicemente un’altra prigione, dal tetto azzurro come il cielo e dai confini di mare trasparente. Ero persino su un’isola, come se non potermi muovere liberamente non fosse già sufficiente… e questo acuiva ancora di più quella sensazione claustrofobica.

I libri erano l’ora d’aria alla fine della giornata.

A letto, con Ron accanto, ne divoravo decine dei generi più diversi, spesso addormentandomi anche alle tre di notte per finirne uno che mi aveva particolarmente catturato. Per qualche ora, mi dimenticavo chi ero. E quando sollevavo gli occhi dalla pagina e scoprivo con la vista che mi bruciava, che ero ancora lì, che ero ancora io, che Ron era ancora lì e che Draco ancora non c’era... annegavo nei sensi di colpa, ma non potevo impedirmi di iniziare un nuovo romanzo che mi portasse via da lì.

Via dal dolore, via dalla nostalgia, via dall’amore che non provavo per Ron e da quello che non moriva mai per Draco, via dal continuo terrore che accadesse qualcosa ad Alex.

Ron, vedendomi più presa del solito dai libri, aveva cercato di avvicinarsi a me, iniziando anche lui a leggere qualche libro prima di andare a dormire: tendenzialmente crollava dopo poche pagine, addormentandosi a bocca aperta con il libro aperto sulla faccia. Però riuscì a finirne qualcuno, anche se non con il ritmo forsennato con cui leggevo io.

I ricordi migliori che ho della nostra vita da pseudo-sposati, sono i giorni in cui, sbuffando, veniva a dirmi che aveva finito un libro che io gli avevo consigliato, ma che non gli era piaciuto. E intavolavamo lunghissime discussioni sul perché la protagonista aveva fatto questo e non quell’altro, spesso interrotte solo dall’arrivo di Alex che, come sempre, aveva a sua volta finito qualche libro e voleva dire la sua. Mio figlio ha quasi prima imparato a leggere che a parlare. E ha lo stesso amore maniacale per la lettura che ho io, come con tantissime altre cose che condivide con me.

Non che sia una mia piccola copia al maschile, intendiamoci… certe volte somiglia così tanto a Draco da suscitarmi la stessa irritazione.

Ma almeno legge quanto leggevo io alla sua età.

Quindi, quando ovviamente una settimana fa è saltato fuori dal libro di Pansy il nome di Tatia Krasova ed ovviamente è diventato necessario fare tutte le ricerche del caso su vecchi e nuovi tomi per scoprire di chi si trattava, io ne sono stata quasi felice. Era come tornare ai tempi di Hogwarts e dei compiti. Sentivo già l’odore della pergamena e dell’inchiostro, il sapore della cioccolata alla cannella che mi piace bere quando leggo, e, per forza di cose, avendo trascinato a suon di lagne e minacce, i miei amici in questa storia, mi immaginavo lo stesso miracolo accaduto con Ron.

Discussioni animate, interpretazioni sugli autori, idee delle più varie, supposizioni da confutare: Tatia è stata a suo modo famosa, ma ovviamente solo in Russia. E non essendo in grado di leggere ancora il cirillico, mi dovevo accontentare delle poche e lacunose fonti inglesi, di cui non era da tralasciare nulla, considerando che non è ancora assolutamente inconfutabile che esista un legame tra Raissa e Tatia. Potrebbe aver strappato quella pagina per i motivi più disparati… e potrebbe anche non averlo fatto lei, a conti fatti.

Comunque il fatto che lei sia una Profetessa e che abbia incontrato Draco nel regno dei morti, dicendogli espressamente di far sì che io mi ricordassi di lei… è una circostanza più che convincente nel farmi cercare ogni notizia su di lei. Io non la conoscevo affatto, non so assolutamente chi sia. E ci fosse anche solo una speranza che lei abbia visto qualcosa su me e Draco, sin da quel momento, e voglia adesso aiutarmi in qualche confuso modo… bè, ripeto, giustifica ogni nottata sui libri per sapere quanto più possibile su di lei.

Ma ovviamente non avevo fatto i conti con la gentaglia da cui sono circondata, e che dopo una settimana di ricerche, ormai sta perdendo il lume della ragione.

È una fresca mattina di metà luglio, siamo tutti in biblioteca e siamo sommersi dai libri da spulciare e leggere. Ogni tanto, un gufo entra dalla finestra portandone un altro, lo deposita sul tavolo e vola via, dopo aver reclamato una ricompensa di cibo. All’ingresso di ogni gufo, Seth, Pansy e Dean borbottano ed inveiscono all’indirizzo del povero animale, mentre io cerco di concentrarmi. Alex e Charisma colorano dei libri illustrati, non badando minimamente a noi.

All’ingresso del dodicesimo gufo di quella mattina, mandatomi dal proprietario del Ghirigoro, Seth scoppia ed inveisce: “Non studiavo così tanto dai tempi della maturità!”.

Roteo gli occhi nervosamente, ignorandolo e continuo a leggere, gettando un’occhiata ad Alex per vedere se sta bene.

“Io non studiavo così tanto, tipo, da… mai!” commenta accorato Dean, scagliando lontano il tomo che ha appena concluso di leggere.

“Non credo che ai MAGO non hai studiato per nulla…” borbotto scocciata, voltando un’altra pagina “In fondo li hai passati con voti soddisfacenti se non ricordo male…”.

“Oltre ogni previsione quasi ovunque, sì…” ribatte lui casualmente, stiracchiandosi “Millicent Bulstrode aveva davvero studiato bene…!”.

“Che diamine c’entra lei adesso?” commento, senza davvero ascoltarlo, massaggiandomi il collo stanco.

“Ah bè, c’entra eccome… se non mi avesse passato tutto lei, dubito che avrei superato gli esami…”.

“Che cosa?!” mi scandalizzo, guardandolo storto. In tutto questo, ovviamente, Pansy è rimasta assolutamente inerme, seduta a gambe accavallate sul divano mentre sfogliava velocemente un libro con aria annoiata. Dubito che stia davvero leggendo, credo che guardi solamente le immagini e passi oltre. Cosa che mi costringerà a rivedere anche i libri che lei dovrebbe aver letto.

“Aveva un’enorme cotta per me, sin dal primo anno…” mi risponde Dean, non scomponendosi per nulla, attirando l’attenzione di Seth che ha tipo il fiuto di un cane da caccia quando si tratta di pettegolezzi “E quindi quando ci furono i Mago, la adulai un po’ e le promisi un appuntamento ad Hogsmeade… così mi fece copiare senza tante storie…”.

“E ci sei uscito poi con lei?” chiede Seth curioso, sporgendosi oltre il tavolo con gli occhi luccicanti. Dean rotea gli occhi e sospira: “Se conoscessi Millicent Bulstrode, non mi faresti questa domanda…”. A bocca spalancata, biascico: “Mi era sembrato strano che avessi effettivamente studiato… e che non mi avessi chiesto nemmeno il più piccolo dei suggerimenti… sei… sei… scorretto! Ed abbietto! Ecco che cosa sei! Hai imbrogliato! Ed hai ingannato pure quella poveraccia della Bulstrode!”.

“Ma figuriamoci…” dice noncurante Dean, agitando una mano “Dalla morte di Silente c’erano molti meno controlli… tu da chi hai copiato Pans?”.

“Metà da Blaise… e credo l’altra metà sempre da Millicent…” risponde lei, senza nemmeno alzare gli occhi, poi, ispirata, dice senza cambiare tono di voce: “Adesso capisco perché l’invito al nostro matrimonio che spedì a Millicent, mi ritornò indietro pieno di Tranello del Diavolo…”.

Mentre sto quasi per cadere dalla sedia guardandoli, Dean replica scioccato ed inorgoglito dallo scatto di gelosia della Bulstrode: “Non me l’avevi mai detto!”.

“Non sei certo il mio biografo…” risponde Pansy, guardandolo oltre la copertina del libro.

“E la cosa non ti è sembrata strana?!”.

“Ah no… credevo che ce l’avesse con me perché mi ero sposata prima di lei… insomma ce l’aveva con tutte per quel motivo, è ancora zitella per quello che ne so… le rimandai la partecipazione e la imbottii di Pus di Bubotubero…” .

Questi sono pazzi, PAZZI! .

Dean scrolla le spalle e riprende scocciato a leggere, mentre Seth che brama dalla voglia di partecipare, inizia a trillare tutto contento: “Una volta, un ex di Kevin mi spedì un ciambellone pieno zeppo di fragole! E io sono allergico…! Mi venne quasi uno shock anafilattico! Ma poi Kevin mi portò all’ospedale e mi fecero un’iniezione o qualcosa del genere… fu una scena bellissima! Lui aveva ancora l’uniforme della polizia, sembrava una scena da ufficiale e gentiluomo!”.

Mi scompiglio sconcertata i capelli chiedendo con un filo di voce, vagamente stupita: “Certo, deve essere bellissimo avere come ex degli assassini che bramano ucciderti con dei pacchi avvelenati…”.

“Non è colpa nostra se hai due ex che fanno pena…” soffia Pansy, guardandomi dall’alto in basso “Di quello che hai mollato in Italia, meglio che non parlo… e l’altro… figuriamoci… uno che non si toglie i calzini per fare l’amore, non è manco degno di considerazione…”.

“Non sapevo che Malfoy non si togliesse i calzini…” commenta stupito Dean, mentre io spalanco la bocca, affrettandomi a coprire le orecchie di Alex che, ovviamente, captato il suo cognome, dice: “Non è vero! Io i calzini me li cambio ogni giorno… zio Dean è un bugiardo, mamma!”.

“Veramente io non parlavo di Draco… ma di te…” continua Pansy come se nulla fosse “Che io ricordi e la Granger può confermare… Draco non usava proprio il pigiama…”, e via alle occhiate maliziose. In tutto questo, Alex non ha smesso un secondo di divincolarsi per togliersi le scarpe e mostrare i suoi piccoli calzini perfettamente puliti, Dean ha continuato a difendersi sostenendo che l’episodio dei calzini è accaduto solo una volta e solo perché faceva freddo, e Seth alterna fasi da “credo di essermi innamorato di Kevin per la divisa, insomma è il non plus ultra per un uomo, rendiamoci conto!” a “che fortuna, tutte e due siete state con Danny! Herm non mi ha mai dato particolari, è così possessiva, dai dimmi qualcosa Pansy! Non tenetevi il meglio per voi!”.

Quando Pansy tra gli schiamazzi generali inizia a raccontare della sua prima volta con Draco, sostenendo a viva voce che quando lo fai con un Malfoy, te lo ricordi per tutta la vita, mentre Dean la guarda agghiacciato e Seth pende dalle sue labbra, capisco che è decisamente il momento di fare una pausa.

Sempre tenendogli le mani sulle orecchie, prendo Alex ed esco fuori, non prima di aver urlato rossa in viso: “Se quando rientro, sento ancora il nome di Draco in un discorso di tale tenore, giuro che vi sminuzzo e vi metto a macerare nell’aceto bianco!”.

“Che vi dicevo, è troppo possessiva!” sussurra complice Seth, sedendosi stile comare accanto a Pansy “Danny è un bene dell’umanità! Deve essere portato alla conoscenza di più persone possibili! Ed anche se ormai è di tua esclusiva proprietà, avremo anche il diritto di averne una conoscenza indiretta!”.

Chiudo la porta con un piede, sbattendola, lasciando che il sorriso che per un attimo mi ha curvato le labbra, scoppi solo nel momento in cui arrivo nel corridoio, quando Alex, liberato dalla mia stretta, ripete battendo il piede: “Mamma, voglio dei nuovi calzini!”.

 

 

Da quando ho trovato quel libro e il riferimento a Tatia, è come se qualcosa si fosse improvvisamente acceso dentro di me: qualcosa che, tanto per intenderci, era morto cinque anni fa nel momento esatto in cui ero stata separata da Draco. E’ qualcosa che assomiglia spaventosamente persino alla felicità. Certo, è ovvio, Draco è ancora disperso chissà dove, forse è anche con Raissa, magari mi odia, forse si è persino scordato chi sono, ma… qualcosa finalmente si sta muovendo. Ed uscire dall’impasse in cui mi sono mossa in questi ultimi anni, è qualcosa di straordinario, al punto da darmi le vertigini e l’ebbrezza. E ripeto, non è successo nulla di che: del resto, non sono nemmeno certissima che trovare informazioni su Tatia Krasova mi conduca da Raissa.

Ma se Tatia cinque anni fa ha detto a Draco di farmi ricordare di lei e io sono più certa di non conoscerla… poteva riferirsi solo a questo, solo al momento in cui ho trovato quel libro, visto che era una Profetessa e magari vedeva nel futuro anche dall’aldilà. Ho pensato anche ad un altro piccolo particolare: Tatia non era in pace, Draco me l’aveva fatto capire chiaramente.

Non era come Helena, trasfigurata di luce e rifulgente come un angelo. Era tra le anime che Adamar aveva mandato per punire Draco stesso, tra gli spiriti probabilmente morti violentemente e sicuramente ancora incattiviti verso la vita. Tatia, peraltro, quando era apparsa a Draco, aveva ancora una ferita all’addome, forse la stessa che l’aveva uccisa.

Eppure sono convinta che non sia una specie di spirito vendicatore, che vuole colpire me o Draco, o peggio ancora mio figlio. Sono certa che, in qualche confuso modo, mi voglia aiutare e sono anche certa che Raissa c’entri qualcosa. Quindi, anche se di lei al momento so ancora molto poco dato che il materiale scarseggia, certamente sono nella migliore direzione per trovare Draco da cinque anni a questa parte. La sensazione di calore agli arti che mi ha liberato dal torpore autoimpostomi in questi anni, si è tradotta anche nella considerazione di un particolare che, fino ad ora, non avevo ancora considerato ed apprezzato appieno: sono libera. Posso finalmente muovermi come voglio, uscire per un gelato, fare una passeggiata, andare in un parco, persino andare fino al mare se mi va, anche se questo non credo che mi andrà mai.

Da quello stramaledetto volo nel lago di Hogwarts, quando io e Draco fuggimmo da Astoria e stavo per morire annegata, ho un terrore sacrosanto dell’acqua. 

Ma intanto tutto il resto lo posso fare e quindi, approfittando del fatto di aver perso quei tre perversi dietro chiacchiere scabrose, sono finalmente uscita in città con Alex, che non aveva mai visto Londra. Di primo acchito, tutto lo ha spaventato, mi ha stretto la mano guardandosi attorno con gli occhi grigi socchiusi e sospettosi, abituato com’è alla nostra casa nella piccola isola siciliana dove vivevamo fino a dieci giorni fa. Ma è bastato entrare ad Harrods e si è ovviamente trasformato, mentre correva in giro tra gli espositori di giocattoli come un pazzo, indicandomi ogni tanto qualcosa.

Ma il bello di Alex è che non è un bambino assolutamente comune: sarà che sono io che lo vedo così, essendo sua madre. Ma mi sorprende sempre, come faceva Draco.

Spesso, nei momenti peggiori della mia vita, ho davvero creduto che Dio me l’abbia mandato per sopportare meglio l’assenza di suo padre.

Con le braccia ingombre di macchinine, robottini ed altri giocattoli di plastica, mi ha guardato con gli occhi brillanti: “Posso averne uno?!”.

“Puoi prendere solo una cosa, Alex… ci manca soltanto dover fare un’altra valigia per tutta quella roba…” ho borbottato, incrociando le braccia.

E lui, immediatamente, senza nemmeno pensarci un secondo, ha lasciato tutto su uno scaffale, trattenendo per sé solo un piccolo involto azzurro.

“Che cos’è?” ho chiesto, chinandomi alla sua altezza. E lui, sollevando il mento come sono solita fare sempre io e mettendo il broncio come faceva solo Draco, ha berciato categorico: “I miei nuovi calzini… così lo zio Dean non dirà più che un Malfoy non si toglie i calzini! Gliela farò vedere io!”. Ho trattenuto le risate alla sua faccia seria mentre gonfiava le guance, e ho annuito dandogli ragione.

A parte questa fissazione insana, adesso, per i pedalini che è tutta colpa di Pansy e della sua lingua lunga, ovviamente mi ha ricordato Draco come nulla al mondo, al punto da farmi stringere la gola in un nodo che mi ha ispirato a piangere. Alex sa poco quanto niente della stirpe dei Malfoy e di tutto quello che ne consegue, ho sempre pensato che fosse dovere di Draco, quando lo avessimo trovato, dirgli tutto del prezioso retaggio che ha. Certo, erano doppiogiochisti razzisti e tutto il resto, ma sono sempre una delle famiglie più antiche di Maghi della Gran Bretagna, anche se probabilmente l’illustre albero genealogico si sta rotolando nella tomba dato che l’ultimo erede non è null’altro che un Mezzosangue. Però, appunto, Alex dei Malfoy non sa nulla.

Questo orgoglio è tutto suo, tutto di Draco: mio figlio ce l’ha nel sangue. E credo che lo usi spesso perché, inconsciamente, è la sola cosa che lo rende unito a suo padre. Gli piace dire che è un Malfoy perché è la sola cosa che concretamente sa di suo padre: il nome. Si è sempre fatto bastare solo quello, aiutato anche dal fatto che io non ho nemmeno una fotografia di Draco. E, come se non bastasse, ho di lui una memoria che è pelle, sangue e cuore, poco adatta ad essere condivisa con un bambino. I miei ricordi di Draco, specie di quando era piccolo, non sarebbero molto adatti a darne un quadro esaustivo e soprattutto vero ed onesto. Che gli dovrei dire? Che era un aspirante assassino? Che lo è stato in guerra? Che era figlio di uno dei peggiori Mangiamorte in circolazione? Quindi sono sempre stata contenta che Alex non mi facesse eccessive domande su Draco. Di lui, appunto, aveva solo il nome e quello lo sfoggiava sempre orgogliosamente in decine di circostanze. Poi, con il tempo, mentre mio figlio cresceva, mi sono resa conto che era strano, che non poteva essere imputato solo al candore di un bambino che, innocentemente, accetta una realtà che gli era stata messa sotto gli occhi fin dalla nascita. Era sempre vissuto con l’idea di un padre lontano, ci si era abituato, ma non faceva domande su di lui, non chiedeva come fosse o perché non fosse con noi, anche se ha sempre frequentato altri bambini che avevano sempre la mamma e il papà. Me ne sono preoccupata, ovviamente, ma non volevo chiedergli direttamente qualcosa, in fondo era felice, lo è sempre stato. Era sereno, e comunque nominava “il suo papà” in molti discorsi. Ma non era curioso a riguardo.

Un giorno, senza che nemmeno lo chiedessi, mentre guardavamo Alex che giocava in giardino con Ron, Helder rispose alla mia domanda muta: “E’ un bambino felice, sereno ed amato… devi stare tranquilla… ti vuole bene come nulla al mondo. E vuole bene anche a Ron… e persino a suo padre, anche se non lo conosce… ma nella sua mente… Alex scinde Draco e suo padre, come se fossero due persone diverse. Del secondo, sa che è il suo papà e tanto gli basta. Del primo, non chiede nulla… perché sente che ti fa soffrire e fa arrabbiare Ron… per quello sta zitto…”.

Avevo incassato le parole di Helder con un sospiro, chiudendo gli occhi ed accontentandomi di sapere che almeno era sereno al riguardo.

Per questo, quando finiamo le compere e ci sediamo in un parco a mangiare un gelato, la domanda di Alex che mi giunge improvvisa, come un lampo in cielo, non mi sorprende poi del tutto. In dieci giorni, è tutto cambiato: mi vede più serena, Ron non c’è e sente nominare Draco decine di volte da Pansy e da Seth. Improvvisamente tutta la curiosità di mio figlio risorge come un fiore d’estate.

“Mamma, posso farti una domanda?” mi dice cauto, guardandosi le scarpette da ginnastica rossa, mentre agita i piedi avanti ed indietro sull’altalena.

“Certo tesoro che puoi…” sorrido incoraggiante, improvvisamente persino pronta per quelle domande che so già che arriveranno.

“Mi prometti che non ti arrabbi?” bercia lui, a testa bassa, continuando a guardarsi i piedi. Sorrido nuovamente, mi chino sui talloni e poggio le mani sulle sue ginocchia, esortandolo a continuare.

Lui, illuminandosi, dice con un filo di voce, dopo aver sollevato gli occhi verso di me: “Ma perché papà non è con me e con te? Non ci voleva bene?”.

Qualcosa nell’aspetto di Alex mi fa bruciare gli occhi e pizzicare la gola, ma trattengo con tutte le mie forze il pianto, sospirando. Alex ha le spalle contratte, il labbro inferiore che trema, gli occhi grigi lucidi e stringe forte le corde dell’altalena tra i pugnetti. Questa domanda doveva tenersela dentro da chissà quanto tempo.

“Tu che cosa pensi, tesoro?” chiedo, cercando di incoraggiarlo e simulando una calma che non possiedo “Pensi che papà non ci voglia bene?”.

Lui sembra spiazzato dalla mia domanda e fa una smorfia strana, mettendo una specie di broncio buffo, mentre riflette pensosamente. Dopo qualche secondo, fa incerto: “La maestra, una volta, mi ha detto che siamo nati perché la mamma e il papà si volevano tanto bene…”, poi, acquistando colore sulle guance, asserisce con il tono di chi sta tranquillizzando un fratello minore: “… quindi doveva volerti bene tanto, mamma!”. Sorrido e gli accarezzo piano la guancia, il nodo in gola che non ne vuole sapersi di sciogliersi. Respirando ancora, sussurro convinta: “Visto? La sapevi già da solo la risposta… la maestra aveva ragione… papà voleva molto bene alla mamma… e per questo, sei nato tu…”.

“Ma perché allora non sta mai con noi?” chiede ancora, animandosi e spingendosi con l’altalena “Il papà di Marco non c’è mai a casa… ma la sua mamma dice sempre a Marco che loro sono dimezzati e quindi non stanno più assieme! Pure voi siete dimezzati?!”.

“Dimezzati…? Ah vuoi dire, divorziati…” capisco, lasciandomi sfuggire un altro sorriso e rendendomi conto di quanto mio figlio abbia captato in questi anni, senza però fare il benché minimo accenno. Siccome il discorso si preannuncia lungo e siccome questa spiegazione gliela devo da troppo tempo per liquidarla in due minuti, lo sollevo dall’altalena, per poi sedermi con lui in braccio che, ormai, non mollerà l’osso se non del tutto convinto. Infatti, si volta di mezzobusto verso di me, continuando ad interrogarmi con gli occhi grigi spalancati.

“Allora, tesoro…” inizio con un filo di voce, poi mi do coraggio e respiro profondamente, stringendolo “La mamma e il papà si volevano molto bene… e proprio perché erano tanto felici, un giorno, decisero di farti nascere… perché volevano tanto che tu nascessi e stessi con loro. Per me e papà sei sempre tu la cosa più importante del mondo…”, sospiro ancora, tecnicamente io e Draco non abbiamo deciso proprio niente su Alex, ma ovviamente non mi pare il caso che mio figlio sappia di non essere stato né programmato, né tantomeno gradito in un primo momento. Alex annuisce vigorosamente con il capo, come tutte le volte che ha capito qualcosa e ne è profondamente soddisfatto. Incoraggiata, proseguo, dondolandomi avanti ed indietro: “Solo che, un giorno, arrivarono delle persone molto cattive… un mago ed una strega…”.

“Come te e Ron, mamma?” chiede lui, incuriosito, agitandosi sulle mie gambe. Conosce la magia da quando era piccolo, si divertiva vedendo gli occhi di Helder cambiare colore, ha persino spostato diversi oggetti quando era in fasce, specie quando si innervosiva. Da un paio di anni, da quando ha avuto l’età per capire, gli ho parlato della differenza tra babbani e maghi e sa quindi di dover evitare di far vedere i suoi poteri. Ciò, quindi, si è tradotto in un’ossessione verso la magia che lo porta a chiedermi ad ogni compleanno il numero di anni che mancano per andare ad Hogwarts.

“Sì, Alex… come me, Ron… ed anche come papà, zia Pansy e zio Dean…”.

“Zio Seth, invece, non è un mago? Lui dice sempre che fa magie contro il crispo…”.

Mi gratto la guancia, l’ho sentito io stessa Seth cianciare in quel modo questa mattina: ha dato uno sguardo ai miei capelli, che non ho avuto modo di lisciare, e mi ha dato tutta una sfilza di boccette che secondo lui, “fanno magie contro il crespo”. Inutile dire la fine che hanno fatto quelle boccette. Accidenti a lui e alle orecchie di Alex che sente sempre tutto!

Per semplicità, replico ad Alex che lo zio è un tipo di mago particolare che fa delle magie senza bacchetta. Poi riprendo: “Il mago e la strega, però, non erano buoni come me e papà o come gli zii… erano molto cattivi… e non volevano che mamma e papà stessero assieme, e potessero stare con te. E quindi raccontarono tante bugie a papà, dicendogli che la mamma non gli voleva più bene…”. Alex sgrana gli occhi grigi, come se gli stessi raccontando una fiaba, e mi guarda rapito: “Erano proprio tanto cattivi, allora!”.

“Già, tesoro…” sorrido tristemente, guardando oltre il mio bambino e concentrando per un attimo lo sguardo sul cielo tra i palazzi di Londra “E quindi papà divenne molto triste e decise di andare via con la tua sorellina e non tornò più… quindi la mamma rimase da sola e, siccome tu eri piccolo piccolo, andò lontano così da poterti far nascere… perché il mago e la strega cattivi volevano fare del male anche alla mamma…”.

“E Ron? A lui non volevano fare male?”.

“No, Alex… Ron stava con noi perché è un vecchio e caro amico della mamma, e la voleva aiutare…” ribatto velocemente, arrampicandomi nelle spiegazioni che posso e non posso dare a mio figlio su me e Ron “Lui è come zio Harry… te lo ricordi? E voleva aiutare me e te… quindi è rimasto con noi…”.

“Ho capito…” dice serio Alex, grattandosi la testa, poi, dopo qualche secondo di silenzio, mi chiede ancora: “E la strega cattiva e il mago cattivo, adesso, non ci sono più?”.

“No, tesoro… per questo siamo tornati a casa… adesso gli zii ci stanno aiutando a cercare papà… così…”.

“… così gli diciamo che tu gli vuoi bene, e che anche io gli voglio bene, e lui torna sempre a casa con noi! Vero mamma?” mi interrompe Alex, battendo le mani contento. Annuisco, sorridendo, e lo abbraccio forte, baciandolo sulla fronte. Lui si divincola quasi subito, saltando dall’altalena, e si mette di fronte a me, dondolandosi con le gambe.

Contento mi chiede: “Mamma, ma com’è papà? Zia Pansy, quando mi ha visto, ha detto che sono uguale a papà! Ha detto identico spiaccicato!”.

“Spiccicato, Alex…” lo correggo meccanicamente, poi sorrido ispirata: “La zia aveva ragione… era uguale a te… forse possiamo chiederle se ha una foto di papà di quando era piccolo… lo vorresti vedere?”. Alex annuisce contento e continua con le sue domande, mentre va avanti ed indietro. Sembra un professore che interroga una studentessa.

“Quindi a papà non piacevano le carote così come non piacciono a me?” dice fiero, guardandomi con gli occhi socchiusi.

“No, a papà le carote piacevano…” dico convinta, smorzando la sua espressione sorniona. Ovviamente non ricordo se a Draco piacessero le carote, ma Alex lo sta chiedendo solo perché sa che, se dico di no, la prossima volta dirà che non le mangia perché “nemmeno a papà piacciono”.

“Ma papà era furbetto proprio come te…” esclamo allegramente, prima di saltare dall’altalena ed acchiapparlo al volo, facendogli il solletico. Lui inizia a muoversi convulsamente, ridendo come un pazzo, mentre cerca di sfuggirmi. Alla fine, il trillo del mio cellulare mi fa desistere e lo lascio andare, e lui, con espressione da uomo maturo rassegnato, si sistema i vestiti disordinati dal mio impeto.  Trattenendomi dal ridere mentre lo guardo, rispondo al telefono: “Pronto?”.

“Herm, sono Seth, dove sei? Abbiamo una pista!” la voce di Seth mi trapana l’orecchio da parte a parte, facendomi allontanare il cellulare con una mano. Alex, seguendo la mia manovra salva-timpano, scoppia a ridere ed inizia a giocherellare con una lattina che c’è per terra. Mentre gli ingiungo severamente di non toccarla, cerco di prestare attenzione a Seth: “Una pista? Guarda che non siamo in un poliziesco, Seth… spiegati!”.

“Uno di quei libri che sono arrivati stamattina era una traduzione di un testo dal russo…” mi spiega velocemente Seth, la voce squillante “E c’erano molte informazioni su questa Tatia… molto più che in tutti gli altri libri messi assieme che dicevano solo quando era nata e quando era morta… vieni a casa che ti spiego!”.

Riagganciando, dopo essermi massaggiata l’orecchio vigorosamente ed aver agguantato Alex che ha lasciato perdere la lattina per dedicarsi completamente ad un piccione malaticcio, afferro la bacchetta e, guardandomi attorno, mi smaterializzo a casa di Pansy.

 

 

Quando arrivo a casa di Pansy, devo trattenere tipo per la collottola Seth che, come un cucciolo scodinzolante, mi viene incontro nell’ingresso e smania dalla voglia di raccontarmi quello che ha scoperto. Pansy e Dean sono seduti in cucina con Charisma ed entrambi sospirano fragorosamente al mio arrivo, evidentemente sollevati dal fatto che finalmente posso sorbirmi Seth al posto loro.

Prima che Seth inizi a cianciare a tutto spiano, chiedo a Pansy se Lyria, la loro elfa, può occuparsi di Alex. Dopo stamattina, mi sono resa conto di quanto sia assolutamente vitale e necessario per me proteggere mio figlio anche da questa ricerca spasmodica di suo padre. Deve saperne quanto meno possibile, non deve illudersi, non deve sperare inutilmente. Il peso di questa cosa deve essere solo sulle mie spalle, dato che sono sua madre. E, sebbene ingenuamente avessi sempre pensato che Alex non avesse una vera e propria visione delle cose tra me e Draco, mi sono oggi resa conto che ne aveva invece una tutta sua, ricavata da mozziconi di discorsi e frasi nemmeno del tutto corrette.

Fino a quando io stessa non sarò certa di come stanno le cose tra me e Draco e tra lui e noi, io devo proteggere Alex dalla possibilità che io stessa o Draco gli possiamo fare del male.

Prima era solo il mio cuore ad essere a rischio. Adesso, c’è anche mio figlio di mezzo. E non posso permettere a nessuno, tantomeno a suo padre, di ferirlo in nessun modo. Ho rinunciato a tutto per la serenità e la sicurezza del mio bambino, ho represso lacrime e rabbia, ho ucciso il mio amore, sono rimasta per cinque anni in Italia. E se adesso trovare Draco è la cosa migliore per Alex, il giorno in cui non lo sarà più, dovrò rassegnarmi a smettere di farlo e a rinunciare per sempre e davvero a lui.

Quando Alex finalmente è uscito con Lyria, a cui Dean affida anche Charisma, ci sediamo tutti e quattro in salotto dove Pansy fa comparire del tè freddo sul tavolino basso di cristallo. Seth ingurgita in tre sorsi il contenuto del suo bicchiere, non so se per prepararsi al suo immenso discorso esplicativo, o per riprendersi dalla serie di gorgheggi lamentosi da cane in cerca d’attenzione che ha prodotto fino ad ora. Fatto sta che in qualche minuto, si degna di dirmi tutto quello che hanno scoperto.

Nei libri inglesi, di Tatia Krasova si diceva semplicemente che era una chiaroveggente, dotata di un forte potere di previsione del futuro e che era morta in giovane età, probabilmente uccisa dai Mangiamorte. Insomma informazioni abbastanza intuitive, che non mi avevano detto niente di che su di lei, anzi avevano persino confermato la tesi che Tatia poteva essersi rivolta a Draco solo per ottenere vendetta per la sua morte, qualora mi avesse creduto ancora il capo degli Auror. Questo era quello che avevo supposto in un primo momento con Draco stesso, non dandoci quindi nemmeno peso eccessivo… ed implicitamente la cosa mi era stata confermata anche da Raissa, quando glielo avevamo chiesto.

Nel testo, invece, che Seth ha letto ne viene dato un quadro molto più preciso.

Tatia era nata a San Pietroburgo circa ventotto anni fa, quindi oggi avrebbe avuto la mia stessa età: i suoi genitori si erano separati appena la bimba era nata, a seguito della scoperta da parte della madre di Tatia che il padre era un Mangiamorte dei più terribili. Tatia, quindi, piccolissima, si trasferì con la madre in un piccolo paesino al confine con la Finlandia. L’autore, come nota di colore, aveva aggiunto che nel suddetto paesino, vivevano molte donne che, sposate con Mangiamorte, si erano rifugiate lì con i figli piccoli per sfuggire al destino loro riservato dai genitori.

E ne aveva fatto qualche nome.

Nel piccolo paesino, ai piedi della montagna, avevano abitato anche Dimitri e Raissa Karkaroff con la loro madre.

La prova, quindi, del legame tra Raissa e Tatia è ormai evidente. Raissa, quindi, molto probabilmente strappò volutamente la pagina del libro che consultava quella mattina di cinque anni fa, evidentemente messa in allarme dalla domanda che io avevo fatto su Tatia solo la sera prima. Tre indizi, in fondo, fanno una prova… e Raissa, quando le chiesi di Tatia, non disse nemmeno nulla di eccezionale, non accennò minimamente al fatto che fosse cresciuta nel suo paesino, cosa anch’essa abbastanza strana se non aveva nulla da nascondere.

Seth continua dicendomi che, al termine della prima guerra magica, il padre di Tatia non tornò a casa: la piccola iniziò a manifestare i suoi poteri proprio in quell’occasione, quando, nonostante avesse appena imparato a parlare, previde che il padre era stato ucciso. Da allora fu praticamente idolatrata nel paese, molta gente veniva da lontano per conoscerla e parlarle, spesso per sapere il destino dei propri cari in guerra. Ma Tatia, spesso, non riusciva ad essere chiara nelle sue previsioni, oppure molte volte semplicemente non ne aveva; essendo il suo potere così instabile ed incontrollabile, ben presto la gente perse interesse per lei e il pellegrinaggio presso la sua abitazione si esaurì. In ogni caso, era molto conosciuta in zona: anche se non riusciva a controllare le sue previsioni, esse continuavano ad esistere. In molti casi aveva infatti predetto la morte di alcune persone, o ne aveva salvate delle altre, anche quando era solo una bambina.

Ed ancora, torna il nome Karkaroff: Tatia aveva quattordici anni quando, tornato il Signore Oscuro, predisse ad Igor Karkaroff che sarebbe morto per mano dei Mangiamorte, spingendolo alla fuga.

Anche questa circostanza depone in favore di un legame tra Raissa e Tatia. Probabilmente se Tatia fece quella previsione e si premurò anche di riferirla, doveva sussistere una specie di legame con il padre di Raissa stessa. Forse erano persino amiche, oltre che compaesane.

Alla morte della madre, poco prima della fine della seconda guerra magica, Tatia si trasferì a Tampere, in Finlandia. Ma non da sola… aveva solo diciotto anni, ma si era sposata. Con un tale Ilai Radcenko. I due, però, furono felici solo per un anno scarso: Tatia fu ritrovata morta il giorno del suo diciannovesimo compleanno, nella casa che divideva con Ilai. Si fecero molte teorie a riguardo, ma prevalse la tesi per la quale Tatia fosse stata uccisa da Mangiamorte, desiderosi di vendetta, anche se erano passati tantissimi anni dalla morte del padre. In mancanza di prove che potessero individuare i responsabili, tutti dettero per buona questa teoria, specie considerando il periodo nero dopo la guerra. Di gente morta, ne veniva trovata ogni giorno. E spesso spiegazioni non c’erano. Vendette trasversali, regolamenti di conti, rapine finite male di Mangiamorte incattiviti dalla fuga e dagli stenti: ricordo ancora tantissimi episodi, accaduti quando ero il Capo degli Auror. Io stessa, in molti casi, avevo dovuto concludere delle indagini con un nulla di fatto. Ovvio che la cosa fosse accaduta anche a Tatia.

La sola cosa che risulta meno ovvia in questa storia, è il collegamento che ho io con Tatia: Raissa ok, potrebbe averla conosciuta, ma che cosa c’entro io? Perché ci ha tenuto che Draco si ricordasse di lei in modo da riferirmi la cosa? Certo, se Tatia non è propriamente uno spirito pacifico al momento, magari vuole ancora che io vendichi la sua morte… e magari Raissa ha una qualche responsabilità nel suo omicidio. La cosa mi agghiaccia, specie se Raissa dovesse essere ancora con Draco e Serenity… ma loro dovrebbero essere vivi, Helder li ha sempre sentiti tali. Ma potrebbero essere in pericolo… e magari Tatia vuole aiutarmi in questo, vuole aiutarmi a trovare Draco. Ma come? È morta, come potrei entrare in contatto con lei? Adamar fece sì che Draco la incontrasse ma per punirlo, non so nemmeno se esiste un altro modo che non implichi magia nera e la possibilità concreta di lasciarci le penne.

Prima, avrei rischiato tutto, ovviamente. Ma adesso Alex fa sì che la mia scarsa attenzione per la mia incolumità, sia decisamente salita.

La sola strada che concretamente mi resta, è trovare qualcuno che la conosca. Parlarci, cercare di capire chi fosse. Potrei persino capire effettivamente se ha avuto dei contatti con Raissa.

L’unica persona che sembra ancora in grado di darmi queste informazioni, è Ilai Radcenko, suo marito.

Dopo aver finito di parlare con Seth ed aver comunicato la mia intenzione di parlare con Ilai Radcenko di Tatia, Dean e Pansy riescono a farmi sapere qualcosa di lui grazie ai contatti che hanno all’ambasciata dove lavoravano a Parigi: una loro conoscente riesce in un paio di ore a farci sapere l’indirizzo attuale del marito di Tatia. A quanto pare, vive ancora a Tampere, in Finlandia.

Ergo, non mi resta che andare lì. Seth ovviamente decide di accompagnarmi e si scaraventa in camera sua per prenotarci dei posti sul primo volo disponibile. La sua gioia trillante mi impedisce di dirgli che io potrei viaggiare benissimo per mezzi magici, impiegandoci la metà del tempo e non affrontando il mio secolare terrore per gli aerei. Ma questo significherebbe lasciarlo qui e, al momento, dirglielo potrebbe costare la salute già precaria del mio sistema nervoso, oltre che del mio apparato uditivo. Quindi, lascio correre.

“Vengo anche io con voi…” mi dice sicura Pansy, guardando oltre di me Dean che culla Charisma che non ne vuole saperne di prendere sonno.

Inarco un sopracciglio: “E Dean?”.

“Lui se ne sta qui con la bambina…” sciorina lei con nonchalance, stiracchiandosi come un gatto al sole “Potreste aver bisogno di aiuto… insomma che sappiamo di questo Radcenko? Seth non è certamente un mastino e non c’entra nulla il fatto che sia un babbano… anche da mago, terrorizzerebbe al massimo un Avvincino…”.

“Come mai tutta questa disponibilità?” borbotto scettica guardandola, non del tutto convinta.

“Mi offendi Granger… non potrei essere sinceramente preoccupata per te e per Seth, oltre che per Alex?”.

“E?” la incalzo, incrociando meccanicamente le braccia.

Pansy si gira su sé stessa, dando volutamente le spalle a Dean che continua a canticchiare ninna nanna a Charisma che hanno solo l’effetto di farla ridere a crepapelle. Dean sospira, gettando occhiate in tralice a Pansy che, invece, mi sussurra con voce innocente: “… per puro caso, questo weekend verranno qui sia mia madre che mia cognata… strega purosangue la prima, babbana la seconda… non mi ero accorta di aver detto di sì a tutte e due per lo stesso giorno…”.

Le spalle mi si afflosciano, mentre lancio un’occhiata di solidarietà al povero Dean che, ignaro del suo destino, continua ad agitare sonaglini per calmare Charisma.

“La Finlandia mi pare sufficientemente lontana per una Fattura Orcovolante da parte del mio caro maritino…” bisbiglia melensa Pansy, prima di allontanarsi e prendere la piccola dalle braccia del padre. Mi gratto la guancia a disagio, sotto lo sguardo indagatore di Seth.

Lui, senza fare una piega, sospira ed intuisce i miei pensieri, anche se da babbano di queste cose non ne capisce ancora nulla.

Con una mano sotto al mento e l’espressione saputa, dice solo una parola, omnicomprensiva di tutto quello che sto pensando.

Serpeverde…”. 

 

 

In questi cinque anni io non sono stata nulla di diverso dalla mamma di Alex.

Non credo che c’entri solo l’istinto e la spinta primordiale a difendere il proprio piccolo, mettendo in quint’ordine ogni propria esigenza o desiderio. Credo che io abbia fatto di necessità, virtù. Sono sempre stata una persona sinceramente preoccupata degli altri, ma il legame che si instaura con un bambino, con il proprio figlio, è una cosa che non si può descrivere e spiegare a nessuno. Alex mi ha semplicemente annullato il pensiero di me stessa. E questo è avvenuto in un momento in cui avevo disperatamente bisogno di non pensare a me stessa.

Nel momento in cui l’avessi fatto, avrei avvertito solo la lacerante distanza da Draco che mi avrebbe obnubilato ogni volizione.

Quindi, insomma, essere mamma ha contribuito a non farmi perdere la sanità mentale, mentre ero “prigioniera” in Italia. In fondo, era come se non fossi mai uscita dal castello di Dimitri: dovevo pensare a me stessa, nella sola funzione che ciò portasse alla salvezza prima, e alle felicità poi, del mio bambino.

Per questo, quando Pansy e Dean mi convincono a lasciare Alex a casa con Dean dato che non sappiamo concretamente che ci aspetti in Finlandia, per un attimo mi sento monca.

Al momento, per la prima volta da cinque anni, io non sono la mamma di Alex. Il mio bambino è al sicuro, è protetto, sicuramente ha preferito restare a giocare con Charisma piuttosto che seguirmi in questo viaggio astruso, so che è felice. Io, invece, sento migliaia di piccole sensazioni indimenticate che mi punteggiano la schiena, come se esse fossero ombre solo tenute a bada dalla luce dell’amore per mio figlio. Certo, è ovvio ed è scontato che io non abbia smesso all’improvviso di essere quella che sono stata in cinque anni, e comunque sono sempre la mamma di Alex.

Ma quello che sto facendo adesso, in un certo senso, senza Alex che mi ricordi sempre che è anche il figlio di Draco, mi sembra di farlo solo ed esclusivamente per me stessa.

Il tempo, senza che Alex con la sua presenza mi ricordi quanto concretamente ne è passato, si annulla e si eclissa. E mi sento di nuovo la ragazza che uscì in giardino la sera del compleanno di Pansy, dopo aver rifiutato una proposta di matrimonio dall’uomo che amava. Stranamente, non ho più pensato ad Helena in questi anni. Sono ancora a mio modo convinta che quella sera, per come andarono le cose, feci la cosa giusta, specie sapendo che cosa accadde la mattina dopo, quando Draco promise ad un’Astoria con le mie sembianze di lasciar andare Helena. Se tutto questo non fosse accaduto, io e Draco saremmo marito e moglie, lo so, lo sento.

E questo mi riempie di un tale senso di nostalgia, rimpianto e rimorso che adesso mi stringe la gola e mi spinge a piangere ancora come se tutto questo fosse accaduto solo ieri.

Soffoco le lacrime in gola, guardando ancora nella borsetta, da cui esco il distintivo da Auror che mi sono portata dietro. Cercando di distrarmi, riporto alla mente la strategia che ho elaborato con Seth e Pansy per poter parlare liberamente con Ilai Radcenko. La cosa ovviamente più semplice, era fingere ancora di essere il Capo degli Auror e di essere venuta a fare un’indagine in merito alla morte di Tatia. Cercherò di non nominare direttamente Raissa, non so fino a che punto il marito di Tatia potrebbe essere coinvolto con lei e con Dimitri, ma in ogni caso dalle sue risposte potrò capire come stavano le cose e se posso fidarmi di lui; da lì, ovviamente, si apriranno i giochi.

Mi stiracchio distrattamente, cercando di tenere a bada la risorta malinconia e la neonata insicurezza, e getto un’occhiata in tralice a Seth e Pansy seduti nella fila contigua alla mia. Sospiro a lungo, li sto ignorando dall’inizio del viaggio per la loro solita attitudine a fare discorsi strambi, che tendenzialmente mi trascinano in un vortice di folla suicida ed omicida. Al momento, Pansy sta infatti rianalizzando tutto l’albero genealogico della famiglia di Seth, che cerca di risponderle come meglio può, agitando le mani nella foga della conversazione.

Uno adesso si può chiedere che diamine cerchi Pansy Parkinson, Purosangue decaduta, snob impenitente, nella genealogia del babbano Seth Green… si dà il caso che Seth sia omonimo di un indesiderabile passeggero delle liste in mano alle compagnie aeree, forse qualche terrorista o un semplice disturbatore della quiete pubblica che, da allora, è diffidato dal viaggiare in aereo. Io non escludo che, invece, l’omonimia non esista e che si parli della stessa persona, specie perché una volta Seth mi raccontò di essersi preso una cotta per un, parole sue, “tipo da infarto” che faceva lo steward per la British Airlines. Quindi non voglio nemmeno immaginare che cosa abbia fatto per il suddetto amore della sua vita, che poi è durato circa due mesi scarsi… comunque Seth nega di essere lui stesso sgradito sui voli di linea e diciamo che gliela faccio passare. Ogni volta che prende un aereo, quindi, deve chiarire che non è il Seth Green, invece, terrorista, omicida o chissà che altro, e per sbrigarsi, spinge i controllori a verificare il nome da nubile di sua madre, Esperanza Mendes, cubana. E lì, la cosa si risolve. Fino ad oggi. Perché Pansy ha sentito il nome di sua madre, e ha dato di matto. A quanto pare, i Mendes a Cuba sono come i Malfoy in Gran Bretagna.

Una famiglia magica, di Purosangue, ricchissimi e persino collegati a Fidel Castro in persona.

Io ovviamente ho liquidato il tutto, dicendo che probabilmente era anche in questo caso un’omonimia, considerando che Seth non ha una goccia di sangue magico nelle vene e nemmeno conosceva qualcuno con dei poteri prima di venire in contatto con me e con Draco. Pansy, invece, che non ha mai abbandonato del tutto le sue reticenze sui babbani e sui mezzosangue, sta scandagliando da ore la sua stirpe: va abbastanza sul regime dell’eccezione, lei. I babbani sono tutti idioti, tranne Dean perché me lo sono sposato. Tranne la Granger, perché Draco qualcosa in lei ci doveva trovare.

Ed adesso deve anche spiegarsi la sua strana simpatia per Seth, trovando un’origine purosangue della sua piacevolezza.

Seth, peraltro, si è fatto abbastanza suggestionare da tutta la storia ed intervalla la ricostruzione della sua famiglia con aneddoti assurdi sulla sua infanzia, dove secondo lui sono evidenti i segni della sua latente magia: effettivamente perdere la maglietta arancione che gli aveva regalato sua zia e che lui odiava, oppure imparare a memoria la canzone di Natale in dieci minuti, sono tutti segni evidenti di magia, come negarlo. Quindi ciò credo che spieghi abbondantemente perché li ignoro per tutto il viaggio, per tutto l’atterraggio, per tutta la ricerca dei nostri bagagli e per quella di un mezzo di trasporto, che ci conduca in centro dal piccolissimo aeroporto di Tampere. È una giornata bellissima, colma di luce e sole, con il cielo da cartolina. La strada è costeggiata da alberi di pino ed abete che diffondono un quieto odore di bosco, muschio, rugiada. La gente stessa sembra vacanziera ospite di una natura ancora incontaminata: ogni tanto, vediamo spuntare un laghetto dalle acque verdi e trasparenti. È una bellissima terra, le persone sono cordiali ed educate, parlano quasi sottovoce come se avessero sempre paura di disturbare. Tampere è un’allegra piccola metropoli, attraversata da un fiume: il dislivello di una cascata è stato sfruttato per creare energia idroelettrica, una grande centrale di mattoni rossi torreggia vicino al nostro albergo. I viali sono ampi, con delle fioriere in cima ai lampioni, e c’è un aria rilassata e pacata. Mi piace molto questa città, sarebbe piaciuta anche ad Alex.

Mentre camminiamo, cercando di raccapezzarci con i nomi gutturali delle strade, Seth non la smette di fare foto con il telefonino, orientandosi prevalentemente sulla “fauna locale”, ossia su ogni individuo di sesso maschile che trova minimamente interessante. Appena obietto che lui è fidanzato, mi risponde che le guarderà con Kevin senza problemi, “siamo una coppia dal comune senso estetico”. Roteo gli occhi, armeggiando con la cartina, mentre Pansy procede indolente accanto a me, guardando le vetrine con aria annoiata e indifferente. Ma ogni tanto i suoi occhi vengono catturati da qualcosa e deduco che, in realtà, è molto interessata a tutto, ma ovviamente non vuole darlo a vedere.

Finalmente, dopo circa un’ora di tentativi, riesco a decifrare la cartina e le strade e, con un po’ di informazioni della gente del posto, riusciamo a trovare la strada dove vive Ilai Radcenko, il marito di Tatia. È una strada seminascosta, apparentemente deserta, in periferia. Piccole casette bianche ad un piano, circondati da fazzoletti di terra, spuntano da entrambi i lati della strada. Anche la casa di Ilai e Tatia non differisce di molto da quell’assieme asettico e sempre identico a sé stesso. La cosa che stranamente mi colpisce in tutto quel nitore accecante, è una siepe di fiori rossi che distingue la casa di Ilai da tutte le altre: mi chino a sfiorarli con la punta delle dita, sono fiori di ibisco e forse nemmeno dovrebbero crescere in Finlandia.

Toccando un petalo, sento un lieve pizzicore sul polpastrello: magia, sicuramente.

Almeno abbiamo la certezza che qui ci abitano dei maghi.

Ripasso con Pansy e Seth la versione che dobbiamo dare, ingiungendo a loro due di stare entrambi zitti: entrambi sbuffano, Pansy perché non crede alle mie capacità di Ex Capo degli Auror e Seth perché è costituzionalmente incapace di stare zitto per quarantacinque secondi di fila. Ma il mio celebre sguardo raggelante li fa tacere all’istante. O meglio fa tacere Seth, figuriamoci… Pansy continua a borbottare, ma almeno lo fa sottovoce.

Con un lungo sospiro, busso alla porta di acero bianco, su cui è appesa una ghirlanda di frutti piccoli e rossi. Dopo qualche minuto, trafelata, viene ad aprire una donna. Ha i capelli lunghi e castani legati in una crocchia scomposta sul capo, è un po’ in carne e dimostra circa una quarantina d’anni. Su una guancia rossa e sudata, ha un buffo sbuffo di farina.

Una donna… la guardo sovrappensiero. Forse ho sbagliato casa… magari Ilai non vive più qui… oppure… si è risposato.

In ogni caso, con voce ferma, chiedo: “Buongiorno signora… mi scusi per il disturbo… avrei bisogno di parlare con Ilai Radcenko… vive qui?”.

La donna si asciuga velocemente le mani su un canovaccio umido, sono anch’esse sporche di farina e pasta aggrumata. Getta uno sguardo confuso a me, Seth e Pansy e sussurra: “Chi lo cerca?”. Parla perfettamente inglese, per fortuna, non mi ero premunita di accertarmi che capissero la mia lingua. Ha solo un accento più duro e gutturale del mio, perfettamente acclimatato al suo aspetto.

“Sono Hermione Jane Granger… e loro sono due miei colleghi…” dico ferma, con un sorriso deciso “Sono il Capo degli Auror dell’Inghilterra… avrei da fargli qualche domanda in merito alla morte di sua moglie… Tatia Krasova…”. Al nome di Tatia, l’espressione della donna si rasserena e diventa più distesa, aprendosi ad un timido sorriso.

“Capisco… prego accomodatevi…”. Ci fa cenno di seguirla all’interno, in un piccolo salottino bianco con un divano rosso anch’esso. Nell’aria, c’è un odore invitante di cannella e mele. Seth lo fiuta come un cane da caccia, lo guardo con sguardo severo prima che dica qualche sciocchezza.

La donna si siede di fronte a noi, su una poltrona che sembra a malapena contenerla, e poggia lo straccio su un tavolino basso. Distrattamente noto una cornice, rossa anch’essa. Una foto di un matrimonio: riconosco subito Tatia perché Draco me l’aveva mostrata quando mi aveva riferito il suo messaggio dall’oltretomba. Ma nella foto sembra più giovane, più bella, straordinariamente felice. Ha un vestito semplicissimo bianco, stretto in vita, con una gonna a ruota lunga fino al ginocchio. Stringe il braccio di un ragazzo più alto di lei, abbronzato in viso, con capelli castani spettinati e un sorriso contagioso riflesso negli occhi scuri. Non sembra russo, né tantomeno finlandese. La foto della felicità di Tatia ed Ilai mi stringe il cuore, mi fa seriamente dubitare del fatto di essere venuta qui a disturbare quest’uomo dopo dieci anni dalla morte della moglie, e solo per i miei fini personali. Poi mi dico che comunque cercherò di scoprire davvero qualcosa sulla morte di Tatia, anche solo per mandare poi le informazioni a Beckwith, il vero Capo degli Auror inglese, così la sua morte non resterà impunita.

Inoltre, è strano da spiegare… ma da quando sono entrata in questa casa, ho la sensazione tiepida che Tatia voglia che io stia qui. La sento respirare sulla mia nuca, mi avvolge di un calore placido sulle spalle come una coperta di lana. Non è la sensazione sgradevole che sentivo quando Helena si metteva tra me e Draco, perlomeno nei miei pensieri e nelle mie percezioni. È una sensazione estremamente piacevole, invece. Mi scioglie la gola e mi fa sentire al sicuro.

“Ilai non è in casa al momento…” esordisce la donna, estraendo una bacchetta dalla tasca del grembiule a scacchi e facendo comparire del tè con dei pasticcini. Seth ci si fionda su come un assatanato, sotto lo sguardo pietrificato mio e di Pansy.

“Io sono sua sorella… Anya…” sorride la donna, mentre guarda Seth mangiare a tutto spiano, seminando briciole dappertutto “Da quando Tatia è morta… vivo qui con Ilai… non volevo lasciarlo solo… figuriamoci lui non avrebbe mai voluto che stessi qui, crede di potercela fare da solo… e sicuramente è così. Ma Tatia… è stata l’unica donna che abbia mai amato. Ed è morta in quella maniera orribile…”. Anya si asciuga silenziosamente un angolo dell’occhio destro con il grembiule, trattenendo un singhiozzo prima di chiederci: “Che cosa c’entra il Ministero inglese con la sua morte? Qui ormai le indagini sono chiuse da anni…”.

Mi ero preparata un’elaborata storiella, avrei alluso ad una pista di omicidi simili a quelli di Tatia che erano avvenuti in Inghilterra che ci avevano fatto pensare allo stesso omicida. Ma improvvisamente, la stessa mano che mi si è poggiata sulla schiena da quando sono entrata qui, mi suggerisce che sarebbe sbagliato mentire a questa donna, darle speranze inutili. Non posso raccontare la verità, tutta la storia… ma non è nemmeno giusto che dica una bugia. La mia bocca si apre senza controllo, e sussurro: “So che le sembra assurdo… ma qualcuno ha visto Tatia… nell’aldilà… lei ha chiesto a questa persona di farmi il suo nome e di ricordarmi di lei… io però non la conosco, non la conoscevo… forse Tatia vuole giustizia… dato che non è riuscita ad averla…”.

Anya resta sconvolta dal mio racconto, esattamente come Seth e Pansy che erano rimasti ad un’altra versione e che mi guardano esterrefatti. Ma sono sempre più convinta di aver fatto la cosa giusta: la cognata di Tatia ovviamente chiede numi e spiegazioni, e gliene fornisco sommariamente qualcuna, non alludendo però né a Draco, né a Raissa e Dimitri. Dico solo i particolari che ricordo dell’aspetto di Tatia e di quello che aveva detto. Anya rimane qualche secondo in silenzio, le mani tra i capelli, lo sguardo basso.

“Non voglio arrecare a lei o a suo fratello altro dolore… ma comprende che non potevo ignorare una cosa del genere…” sussurro timidamente, le mani che si torcono in grembo.

“Certo… e la ringrazio di essere venuta fin qui, per una persona che nemmeno conosce…” bisbiglia Anya, sollevando il viso “Non so che cosa potrebbe volere Tatia da lei… non so perché non abbia fatto avere a me o ad Ilai stesso questo messaggio, in dieci anni, se davvero ne aveva la possibilità… eravamo la sua famiglia… lei non aveva fratelli o genitori… eravamo la sola casa che aveva…”.

“Crede che vorrebbe vendicarsi?” chiedo esitante, sporgendomi nervosamente verso il tavolino ed afferrando un biscotto al burro che però non porto alle labbra. Anya esita un pochino, incassa le spalle e riflette qualche secondo. Poi, sospirando, chiosa sicura: “No, non lo credo… Tatia era una ragazza buona, gentile, generosa. Bastava guardarla per sentirsi a casa, al sicuro, felici… specie da quando aveva conosciuto Ilai. Erano una cosa sola. Davvero. Mio fratello l’amava così tanto… e lei lo amava nello stesso modo. Non credo che siano mai esistite due persone più innamorate di loro…”. Annuisco con il capo, già dalla foto mi era sembrato lampante il legame tra loro. Ne ho viste decine di foto di matrimoni nella mia vita, eppure qualcosa della loro mi spinge sempre a guardarla ancora, come se ci fosse qualcosa sotteso tra Tatia ed Ilai che l’occhio della fotocamera ha percepito, ma non è riuscito a fissare su pellicola. Penso a me e a Draco, al dolore che ci siamo portati dentro in questi anni… a come mi è sempre sembrato immenso come un’onda nera che avanzava implacabile in una landa deserta.

E poi penso ad Ilai… trovare morta la donna che ami. Trovare morto Draco, senza possibilità di salvarlo, di morire al suo posto, di morire con lui.

Credo che sarei davvero andata a pezzi. Stavolta, sul serio. Negli anni la mia forza è stata anche saperlo vivo. Che avrei fatto se un giorno Helder mi avesse detto che non lo sentiva più?

Deglutisco pesantemente, tornando al tempo presente. Chiedo cauta, con un filo di voce ad Anya: “Che mi dice del giorno della sua morte?”.

“Non le posso dire molto, signorina Granger…” bisbiglia Anya, guardandosi il grembiule e lisciandolo con le dita “Io vivevo a San Pietroburgo allora, con nostra madre. Seppi tutto quando le cose erano già accadute. Ilai la trovò morta in casa rientrando di sera… era il giorno del suo compleanno. Di Tatia, intendo. Compiva diciannove anni. Non c’erano segni d’infrazione, in casa non mancava nulla, non era stata derubata… né tantomeno…”, la voce di Anya esita un attimo, riprende forza con un lungo sospiro: “Non l’avevano toccata. Non era nemmeno ferita. L’autopsia rivelò solo un ematoma celebrale e delle profonde lesioni sempre a livello del cervello… come se l’avessero forzata a fare qualcosa che non voleva con la sua mente… con i suoi poteri… pensammo subito a qualcuno interessato alla sua dote di chiaroveggente…”.

“Era quindi abbastanza conosciuta per il suo dono, vero? Ed aveva ancora delle visioni quando morì?”.

“Certo che sì… facevano sempre parte di lei…” asserisce convinta Anya “Non era mai riuscita a controllarle, nonostante avesse sempre voluto fermarle. La facevano soffrire, la dilaniavano spesso. Quando Ilai l’aveva conosciuta, era spesso autenticamente devastata da queste premonizioni… ma poi con lui accanto, le aveva accettate. Ilai l’aveva convinta a pensare che facessero parte di lei e che, provenendo dalla sua mente, poteva fermarle. Ci era anche riuscita qualche volta, le viveva molto più serenamente adesso. Ma forse, così facendo, fermò anche la visione del giorno della sua morte e non riuscì ad evitarla…”.

“Aveva dei nemici? Persone che volevano farle del male?”.

“No, non si poteva fare a meno di volerle bene. Era piccola, dolce, sempre allegra. Ci hanno detto che forse sono state persone che ce l’avevano con suo padre… era un Mangiamorte, ma penso che lo sappiate… ma era morto da vent’anni… che diamine potevano volere ancora da Tatia? E poi viveva qui, in Finlandia… era felice…” Anya si interrompe per un attimo, ricacciando indietro le lacrime. Continua dopo qualche attimo di esitazione, la voce più tremula: “Inoltre anche le modalità della morte erano state strane, non erano da Mangiamorte. Niente Marchio Nero, niente rivendicazioni, niente minacce pregresse, niente di niente. Ma non si venne mai a capo di nulla. Ci dissero che forse volevano che si unisse ai Mangiamorte, volevano il suo potere di previsione del futuro per sapere se Colui che non deve essere nominato sarebbe tornato, dopo che era stato ucciso da Harry Potter… ma io non ci ho mai creduto. E nemmeno Ilai. Abbiamo fatto anche qualche indagine per conto nostro. Ma non siamo mai arrivati a nulla… non capisco perché Tatia stia cercando giustizia da lei, signorina Granger… non lo so davvero… se c’entrassero i Mangiamorte, lo stesso Capo degli Auror finlandese avrebbe trovato qualcosa… Tatia non vi ha dato alcun indizio che potrebbe fare luce sulla cosa?”.

Nego pensosamente con il capo, Tatia disse solo poche parole a Draco. Voleva solo che mi ricordassi di lei. Ma perché, maledizione? Per un attimo, inizio seriamente a dubitare della fiducia che ho riposto in questa strada. Mentre inseguo i miei pensieri, concedo però involontariamente a Pansy di aprire bocca, deve essersi scocciata del mio cambio di programmi e si deve essere convinta di essere giustificata a parlare anche lei.

“Tatia conosceva per caso una tale Raissa Karkaroff?!” la voce di Pansy mi fa trasalire e la guardo innervosita, aggrottando le sopracciglia e rimproverandola. Avevo deciso di attendere che tornasse Ilai per parlare direttamente di Raissa, e comunque l’avrei presa molto alla larga. Accidenti a lei! Pansy, senza scomporsi, bisbiglia velenosa: “Granger che tu finga di essere ancora il capo degli Auror, non ti rende tale… e soprattutto non ti rende il mio di Capo…”. Seth guarda entrambe come un bambino guarderebbe la mamma e il papà quando litigano, e ci bisbiglia di stare calme. Sospiro profondamente, tornando a guardare Anya che non ha seguito il nostro silenzioso scambio di opinioni.

“Ricordo una Raissa…” medita Anya con calma, grattandosi la nuca “Era un’amica di Tatia ed Ilai… ma non si vedevano da anni, dall’inizio della Seconda Guerra Magica… lei era partita per un lungo viaggio… infatti mancò anche al matrimonio di Ilai… tornò con suo fratello solo per il funerale di Tatia… erano entrambi sconvolti dalla fine della loro amica…”.

Il legame quindi c’è, constato superficialmente. Non che avessi qualche dubbio: quindi Raissa aveva volutamente negato quel giorno di conoscere Tatia. E doveva anche aver strappato la pagina del libro di Pansy, prima che collegassimo lei e Tatia. Questo, ovviamente, mi puzza. Aveva evidentemente qualcosa da nascondere. Il lungo viaggio di cui Anya ha parlato, facendo un po’ di calcoli, dovrebbe essere quello che lei e Dimitri avevano fatto per trovare Adamar, da cui avevano ottenuto la Conoscenza Assoluta. Sicuramente, se non si erano fatti vivi al matrimonio di Tatia che a quanto pare è avvenuto in piena guerra, deve essere stato perché erano nascosti: Draco mi aveva raccontato che aveva salvato loro la vita, proteggendoli dal pericolo che Voldemort li reclutasse nelle sue schiere di Mangiamorte a causa dei loro poteri. Eppure, continua ad esserci qualcosa che mi sfugge. Se era solo una sua amica, perché non dirci subito chi era? Mi ricordo perfettamente l’espressione di Raissa, quando le chiesi di lei, anche se non allusi assolutamente al messaggio che aveva dato a Draco nell’aldilà. Raissa rimase assolutamente indifferente. Né un ricordo, né un segno di cedimento. Poteva anche non avere voglia di condividere la cosa con noi, ok, ma quella freddezza… come faceva ad essere devastata per la sua morte e poi a ricordarla come un pezzo di ghiaccio cinque anni dopo? C’è decisamente qualcosa che non torna.

Comunque a quanto pare anche Ilai la conosce. Anya ha detto che era un’amica di entrambi. Quindi forse lui sa qualcosa: Tatia deve avermi guidato qui perché Ilai sa qualcosa.

“Credi che Ilai sappia dove sia Raissa adesso?” chiedo, senza giri di parole, suscitando la reazione soddisfatta di Pansy, dato che sembra che abbia appreso al meglio la sua lezione di interrogatorio.

Anya nega energicamente con il capo: “No, non credo proprio… Ilai ha tagliato i ponti con tutto il suo passato in Russia… troppi ricordi… non credo che la senta ancora…”. Le mie spalle si afflosciano alla risposta di Anya e il cuore mi rotola fino alle scarpe, e credo che anche Pansy e Seth provino qualcosa di molto simile. Eppure, la stretta calda alla nuca non mi abbandona, non mi lascia in pace. C’è qualcosa, ancora qualcosa che devo capire. Non è possibile che essere venuti qui sia stato inutile. Non lo credo, non può essere. Devo aspettare che torni Ilai. Magari Anya non lo sa, ma si sentono ancora. Comunque lui è il solo a potermi dire davvero come stavano le cose tra Tatia e Raissa. Anya deve saperne poco quanto niente.

“Potrei dare un’occhiata alle cose di Tatia per favore?” chiedo improvvisamente ispirata, aggrappandomi disperatamente all’ultima cosa che mi è venuta in mente. La tensione di Pansy, accanto a me, suggerisce che, se fosse per lei, Crucerebbe Anya per farle ammettere quello che, secondo lei, sa e non dice. Ma io, invece, non credo che ci stia omettendo volutamente qualcosa.

E’ evidente che non sa davvero nulla di Raissa.

“Certo…” annuisce con un sorriso, guidandomi in una stanza laterale che deve essere la camera da letto di Ilai e Tatia. Anche qui, il colore dominante è il rosso che risalta sanguigno contro il bianco delle pareti. Rosso il copriletto, rosse le tende, rossa una piccola poltrona. E rossa è la scatola di cartone che Anya esce dall’armadio e mi porge delicatamente.

Una scatola rossa. Un’improvvisa scossa mi scuote i nervi, facendomi rabbrividire: Draco. La scatola di Helena. L’odore di ciliegia. Anche Draco aveva una scatola rossa per il ricordo della donna che amava. Ilai ne ha una uguale. Più vado avanti e più mi convinco che non è una coincidenza che sono qui, che non è un caso che sono arrivata in questa casa.

Tatia vuole che io sia qui, vuole che scopra qualcosa proprio qui.

Apro la scatola con deferenza, accanto allo sguardo commosso di Anya e a quelli curiosi di Seth e Pansy che non riescono ovviamente a capire il mio interesse. Cosa che peraltro, da una prima occhiata sfugge anche a me. Sono ricordi di una vita spezzata, ricordi di sogni interrotti, ricordi di illusioni bruciacchiate: tutto commovente, tutto straziante, tutto doloroso.

Ma anche tutto al contempo normale ed eccezionale come una qualsiasi delle miliardi di vite che affollano il mondo. Fotografie, un’agenda, una cartolina, una bambola di pezza, un fiore secco, un paio di scarpette da neonato sempre rosse. Le guardo superficialmente, intenerita sì, ma non interessata.

Poi, improvvisamente qualcosa attira la mia attenzione: un libro. Comune. Un libro qualsiasi. Vecchio, polveroso, dalla copertina strappata.

Lo esco delicatamente come una reliquia, ne leggo il titolo a rilievo ed il mio cuore perde un colpo.

Profetesse Europee. Storia della Divinazione femminile attraverso i secoli.

Il libro di Pansy. Il libro a cui Raissa strappò la pagina che parlava di Tatia: un’altra copia dello stesso libro. Ancora non può essere una coincidenza. Non può. Lo sfoglio velocemente, qui la pagina mancante su Tatia ovviamente c’è, per il resto sembra uguale al libro che ho già visto da Pansy. Però, mentre lo finisco di sfogliare sconfitta, pregustando già il sapore amaro dell’ennesima coincidenza senza senso alcuno, i capelli mi si drizzano sulla nuca. La stretta calda ha quasi le fattezze di una mano rovente poggiata sul mio capo. Deglutisco con forza, cercando di far scivolare giù un peso sulla gola che mi ha quasi chiuso la respirazione. È qui che mi voleva portare.

Tra l’ultima pagina e la copertina, c’è una busta rettangolare di carta rossa: una lettera. Con poche lettere scritte in cirillico. È chiusa, sigillata, da uno stemma bianco di ceralacca. La estraggo con cura, reggendola tra due dita come se scottasse. Seth e Pansy la guardano senza capire, mentre Anya invece resta inerme, come se l’avesse già vista.

“E’ l’ultima cosa che ha lasciato Tatia. Una lettera. Scritta chissà quando…” aggiunge con un filo di voce, chiudendosi nelle spalle “Ilai l’ha trovata un mese dopo la sua morte, in quel libro. Ma non si può aprire… non sappiamo che cosa c’è scritto…”.

“Non si può aprire?!” chiede Seth sconcertato, mentre un’ondata di brividi mi travolge. Anya annuisce ancora, indicandomi la scritta sulla busta: “E’ protetta da un incantesimo forte, che non siamo mai riusciti a rompere. Potevamo forzarlo, ma avremmo distrutto la lettera stessa. È stato il tormento di Ilai per anni… specie per quell’iscrizione…”.

“Che cosa d-dice?” chiedo, tremando a disagio, guardando Anya e reggendo la busta tra le mani.  

“Tre parole…” soggiunge Anya, guardando le lettere nere sulla carta rossa “Tre parole senza senso… dice: il tuo nome.”.

Rabbrividisco, annaspo e stringo la lettera tra le mani. Improvvisamente tutto mi appare chiaro. Nitido, definito, incontestabile. La stretta sulla nuca diventa dolce, quieta, tranquilla, ispirandomi curiosamente a piangere. Dille che ricordi il mio nome. Il messaggio dato a Draco, quel giorno. Il tuo nome.

La lettera è per me. E’ sempre stata per me.

Solo una cosa può provarlo adesso.

Senza esitare, il respiro affannato, gli occhi allucinati, giro la busta di carta in modo da avere il sigillo di ceralacca davanti agli occhi. Lo avvicino alle labbra e sussurro con un filo di voce, sotto lo sguardo attonito dei presenti: “Sono Hermione Jane Granger”. Il sigillo si spezza nel mezzo, emettendo un piccolo bagliore perlaceo. La busta si apre tranquillamente, come se nulla fosse.

All’interno, un paio di fogli scritti con una grafia precisa e tondeggiante. La lettera era per me.

Anya mi guarda sconvolta, mi stringe forte per un braccio ed osserva avida la lettera, biascicando: “Si è aperta… era… è sempre stata… per te, Hermione Granger…”. Sconvolta, annuisco con un sospiro spezzato mentre Seth e Pansy osservano le mie manovre, ormai del tutto atterriti e silenti. Una lettera di una donna che non ho mai conosciuto… mi aspettava qui, da dieci anni.

Ha sempre voluto che venissi qui. Le parole dette a Draco, erano la chiave per capire.

Che cosa mi avrà scritto in questa lettera dieci anni fa? Dieci anni fa… avevo diciotto anni, avevo appena sconfitto Voldemort, stavo con Ron.

E se… da allora… lei avesse sempre saputo tutto?

Estraggo i fogli velocemente, improvvisamente arsa dalla voglia di sapere. Dalla busta cade una strana pietra, rossa, lucida, come un pezzo di ambra, ma rossa, appunto. Stringendola tra le dita, avverto del potere magico intenso, forte. Ma mentre mi sto chiedendo di che cosa si tratta, la lettera di Tatia mi vola via dalle mani in un soffio, atterrando poco lontano. Mi volto in direzione della porta, irata, furibonda, sentendomi defraudata. Ma poi mi arresto così, sgonfiandomi progressivamente.

Fermo sulla soglia, con una spalla appoggiata allo stipite ed una bacchetta sguainata rivolta verso di noi, Ilai fa improvvisamente la sua comparsa. Stringe nella mano destra i fogli della lettera che mi ha sottratto pochi istanti fa, mentre mi guarda severamente, uno sguardo duro e roccioso negli occhi scuri. Non appare molto diverso dalla foto che ho visto poco fa, sebbene siano passati dieci anni. Ha capelli ispidi e scuri sul capo ed occhi dello stesso colore, sembrano due immense pozze di petrolio. I lineamenti sono marcati, scolpiti nella pietra di un’espressione perennemente accigliata. È molto alto, più di me sicuramente, ma anche più di Draco o di Dimitri, e sembra schiacciare tutti con la sua altezza, il soffitto della stanza sembra a malapena contenerlo. Qualcosa nel suo viso mi ricorda Draco, quando lo rividi al Petite Peste: i gesti mozzicati, gli occhi tristi e stanchi, le labbra serrate. Il viso di uno uomo che ha perso la donna che amava. Hanno qualcosa di così straordinariamente comune lui e Draco, da darmi quasi le vertigini. E vedendo l’espressione di Seth e Pansy, capisco che anche loro hanno avvertito la stessa acuta sensazione. Ilai, per un po’, si limita a fissarci facendoci sentire sgraditi ospiti nella sua casa e nella sua vita, mentre continua a stringere i fogli della lettera di Tatia. Quando parla, la voce è greve, pesante, ma a suo modo melodiosa.

“E’ una lettera di mia moglie… e si dà il caso che sarò io a leggerla… fosse anche che è stata lei, signorina Granger, ad aprirla…” ingiunge severamente al mio indirizzo, facendomi intuire che evidentemente deve aver seguito tutta la scena senza che ce ne accorgessimo. Sembra completamente disinteressato a me o a Seth e Pansy, e sembra anche completamente indifferente al motivo per cui siamo qui e stavamo frugando tra le sue cose. Tutto il suo essere è catalizzato dalla lettera, l’ultima cosa che Tatia ha lasciato di sé. Come ha preannunciato Anya, deve esserne stato effettivamente ossessionato per anni. Lo capisco, ci mancherebbe. Anzi, se sono stata il modo per fargli avere le ultime memorie della donna che amava, ben venga. Mi fa sentire un po’ meno in colpa per essere venuta qui a sconvolgergli la vita. Quindi annuisco immediatamente, abbassando vergognosamente lo sguardo. Certo, brucio ancora dalla voglia di sapere qualcosa, anche perché tecnicamente la lettera è per me, non per Ilai. Ma non conoscevo questa donna in fondo. Suo marito ha ogni diritto di leggerla prima di me.

Qualcosa, però, succede prima che lui possa iniziare a leggere. Ilai, infatti, abbandona le braccia lungo i fianchi, dopo che, con un altro gesto lieve della bacchetta, ha sospinto di nuovo i fogli verso di me. Li prendo di nuovo in mano senza capire, guardandolo dall’altra parte della stanza con espressione interrogativa.

“L’inchiostro sparisce, se la tocco io…” asserisce freddamente “Tatia deve averla destinata a lei personalmente… mi farebbe la cortesia di leggerla ad alta voce, signorina Granger?”. Ha un tono sofferto e stanco, eppure sempre resettato su una galanteria naturale e su una nobiltà incontestabile, specie evidentemente quando si rivolge ad una donna. Gli occhi, però, sono cupi, bigi, spenti. Si chiede perché la lettera sia per me, per una sconosciuta. E non per lui. Imbarazzata, me lo chiedo anche io. In Ilai, però, scorgo i germi di una rassegnata consuetudine. Deve essere stato abituato negli anni alle stranezze della sua consorte. Forse questa è solo una fra le tante, forse persino in una cosa del genere c’è chi ritrova un affetto perduto e sorride di dolorosa nostalgia.

I fogli non appena li riprendo in mano, ritornano pieni di parole scritte da una mano frettolosa. Tatia deve aver stregato la carta per far sì che la leggessi solo io. Chissà se posso davvero leggerli ad alta voce, a tutti. Dubbiosa, li soppeso fra le mani con esitazione. Poi, rompendo gli indugi e respirando forte, inizio a leggere ciò che Tatia mi ha scritto dieci anni fa.

 

E’ strano scriverti, Hermione Granger.

Non è strano perché io non ti conosco, tu non mi conosci e non ci conosceremo mai.

A queste cose ti abitui quando sei una profetessa: entri continuamente nelle vite e nei destini intimi degli altri senza che questo, alla fine, ti sconvolga. È un’abitudine lacerante, ma ci si abitua a tutto, anche alle cose più strane e senza spiegazione. E sebbene per tutta la mia vita io mi sia sentita una  pettegola che spia la polvere in casa degli altri, ormai questo conta davvero poco. Specie adesso.

È strano scriverti, Hermione Granger,  perché, tra quindici minuti esatti, mi uccideranno.

Non trovi assurdo che, adesso, io stia scrivendo a te, ad una perfetta sconosciuta, a pochi minuti dalla mia morte? Io lascio il mio testamento ad una donna che non conosco, e lascio all’oblio della mia morte tutto il resto della mia vita. E’ assurdo, vero? Ho diciannove anni, sto per essere barbaramente assassinata, mi sono appena sposata, non sarò mai madre. Dovrei correre, scappare, cercare una via di fuga. Inseguire vendetta o giustizia. O perlomeno, dovrei dire adesso a mio marito che lo amo, che mi dispiace. Dirgli che quest’anno assieme è stato il più bello della mia vita. Ma lui questo lo sa. Lo deve sapere, sennò vuol dire che non ci siamo mai amati abbastanza. E questo non lo credo.

Scappare non serve, ti abitui anche all’impotenza quando sei una profetessa. La vendetta e la giustizia, in un contorto modo, sono legati a te, tra poco lo capirai.  Ma in realtà più che la condanna per chi mi farà questo, a te io chiedo l’assoluzione per me stessa.

Perché  se stai leggendo questa lettera, vuol dire che tutto quello che mi è stato mostrato stamattina, è successo davvero. Vuol dire che il futuro che mi si è dipanato davanti agli occhi, i tuoi prossimi dieci anni sono davvero accaduti.

Ed allora, se sei qui, la colpa è solo mia ed è giusto che tu lo sappia.

Quando sei una profetessa, impari una cosa importante. La Vista ti concede di spiare solo un destino, quello più probabile. Ma è solo uno, uno soltanto:  dalle decisioni più piccole, nascono conseguenze impensabili. E milioni di destini, tutti diversi. Il libero arbitrio esiste, non dubitarne mai. Per questo, una parte di me spera che tu non arrivi mai a leggere questa lettera, spera che la tua strada sia diversa, spera che adesso per miracolo io abbia persino sbagliato. Potrei impedire tutto anche adesso, spedendoti questa lettera, ma forse peggiorerei il tuo futuro, forse ti cambierei la vita in peggio. Lascerò a te il modo di decidere chi amare e che cosa fare. In un confuso quanto assurdo modo, mi fido di te. E forse, se davvero sei arrivata a questa lettera, non cambieresti una virgola di quello che hai scelto.

Perché se sei qui, adesso, tu ami di un amore impossibile ed incomparabile Draco Malfoy ed hai un meraviglioso bambino di nome Alex. E sono certa che, nonostante il dolore che hai provato, non cambieresti nulla di questo. Sceglieresti sempre Draco, daresti sempre la vita ad Alex.

Ma, mentre adesso ti scrivo, sei un’eroina del Mondo Magico, hai appena sconfitto Voldemort, hai un fidanzato che ami da anni, stai per diventare Auror, Draco Malfoy a stento lo sopporti. Nella migliore delle ipotesi, se avessi questa lettera, la getteresti prima ancora di finirla. Nella peggiore, faresti di tutto per non realizzare questo futuro.

Quindi, adesso, io ripongo la mia fiducia in te e nelle tue scelte.

Nasconderò questa lettera appena la finirò, così, solo tu stessa, da sola, sceglierai di amare Draco Malfoy. A me stessa, lascerò solo la possibilità di aiutarti se verrà il momento. Tra qualche anno, esattamente cinque, non so bene come, incontrerò Draco Malfoy nell’aldilà: gli chiederò come si chiama la sua donna. Se mi dirà il tuo nome, sarà il segnale che tutto quello che ho visto, è successo. Ed allora sarà il mio dovere aiutarti: donerò a Draco il mio di nome, così tu verrai a cercarmi. Indirettamente: perché sei a casa mia per cercare Raissa Karkaroff.

La mia assassina.

Il destino che ho cercato di cambiare, Hermione Granger, è stato questo: so dall’età di dieci anni che Raissa Karkaroff mi avrebbe ucciso non appena ne avessi compiuti diciannove. E lei è mia sorella, in tutti i modi in cui due persone possono essere sorelle senza mettere di mezzo il sangue.

Siamo cresciute nello stesso paesino e lei e Dimitri sono sempre stati per me i miei fratelli maggiori.  La mia era una vita solitaria, lo è sempre stata: mia madre era sola, vedova, disperata, spesso beveva e si assentava da casa per mesi. Io, poi, avevo questo dono maledetto, vedevo il futuro, profetizzavo tragedie e morti di cui già il mondo era saturo. Avevo un anno e mezzo, quando ho visto la morte di mio padre. Credo che mia madre da quel momento, mi abbia sempre odiato. Per quello, mi lasciava spesso da sola. Ero piccola, molto, quando i nostri vicini di casa si resero conto delle sue continue assenze. Erano in tre, Dasha e i figli Raissa e Dimitri, poco più grandi di me. Raissa e Dimitri sono sempre stati per me due fratelli. Premurosi, accondiscendenti. Mi hanno sempre viziato ed amato come se fossi davvero la loro sorella minore. Per me, che ero sola, senza amici ed evitata da tutti, erano la salvezza.  Sono sempre stati affascinati ed incuriositi dal mio dono. Mi facevano domande, prendevano appunti, collegavano eventi a me, mi sfidavano a prevedere il futuro, ed anche se le visioni non arrivavano mai a comando, per me e per loro era un gioco divertente. Mi faceva sentire potente ed ammirata, mentre loro erano sempre più curiosi di capire “come funzionassi”. All’inizio, credo che la loro fosse solo curiosità, poi divenne il desiderio altruista di fermare un potere che spesso mi faceva soffrire, dopo divenne solo un’insana ossessione che ebbi la sciagura di capire troppo tardi. Facevo tutto quello che Raissa mi diceva, le riferivo le profezie prima che ai diretti destinatari, accettavo che mi facesse degli incantesimi per vedere quello che vedevo io nella sua testa, o che mi somministrasse il Veritaserum per sapere se mentivo. Dimitri non era meno ossessionato di sua sorella, ma era tenero e gentile con me, mi trattava come una principessa, mi faceva regali. Io ero tutto per lui, me lo diceva sempre. Credo di aver sempre inconsciamente pensato che, un giorno, ci saremmo sposati. Non mi ha mai detto che mi amava e non so se io, nel mio infantile modo, lo abbia davvero amato. Ma era qualcosa di così naturale pensarmi un giorno come sua moglie, che non sapevo nemmeno concepire per me un futuro diverso da quello che mi avrebbe legato per sempre a lui.

Poi arrivò quel giorno di settembre di nove anni fa.

E la mia vita cambiò per sempre.

Era la sera prima del mio primo giorno di scuola a Durmstrang, e correvo in giardino sotto la luna piena. Dimitri e Raissa mi ingiunsero di stare attenta, ma mi sentivo felice, contenta, serena, amata. Caddi e mi sbucciai un ginocchio, Raissa e Dimitri vennero immediatamente ad aiutarmi.

Il sangue della mia ferita… sulle loro mani.

Mi si annebbiò la vista, persi i sensi. Ed ebbi la mia prima visione di me, a diciannove anni, che venivo assassinata da Raissa.  Il mio mondo, tutto quello che credevo, tutto quello che sapevo, si rovesciò come un castello di sabbia nel vento. Ebbi la febbre per giorni, nella mente solo il dolore della ferita che lei mi avrebbe inferto e che non era nulla in confronto al terribile laceramento di sentirmi odiata da quella che, per me, era una sorella. Avevo sentito il suo odio, la sua rabbia, la sua violenza. E questo, faceva più male di tutto il resto. Dimitri ci sarebbe stato, ma non mi avrebbe salvato, mi avrebbe pianto, ma non avrebbe fatto nulla per impedire a Raissa di uccidermi.

Per settimane, evitai Raissa e pensai al modo in cui potevo impedire quel futuro.

Non era facile cambiare le visioni, non lo è mai stato, occorreva desiderare con tutte le proprie forze, richiamare le forze positive sul futuro. Ero poco più di una bambina e, come se non bastasse, non capivo perché Raissa potesse desiderare di uccidermi, fosse anche in un solo futuro possibile. Poi capii che era la sua ossessione per me che l’avrebbe portata a questo. Il desiderio malato di capire come funzionasse la mia mente, da dove venissero le mie visioni, il mio potere. Dovevo cercare per lei un desiderio che fosse più grande di questo. Non sapevo quale potesse essere, pensai scioccamente al fatto che lei fosse felice, serena, appagata e realizzata. Era mia sorella, volevo il suo bene prima ancora che il mio. Non volevo rinunciare a lei e a Dimitri, concretamente e scioccamente ero aggrappata a loro. Per anni mi avevano convinto che fossi una specie di creatura divina, a cui tutto era concesso e nulla poteva essere negato. Ero sicura che avrei potuto trovare un modo in cui impedire quel futuro. Mi affidai totalmente al mio potere, cercando di canalizzare tutta la positività che potevo sul futuro. Qualcuno esaudì il mio desiderio.

Mandò l’amore a Raissa.

Il giorno in cui lei mi rivelò con lo sguardo colmo di lucciole che era innamorata, la visione sparì. Il mio futuro appariva denso e dubbioso, ma una cosa era certa: né lei, né Dimitri avrebbero attentato alla mia vita. Fu il giorno più bello della mia vita fino a quel momento. Il mio destino, incerto come quello di tutti gli uomini, mi sembrava comunque risplendere di vita e luce propria. Tutto grazie a questo ragazzo arrivato nel mio paese in un giorno di inizio estate. Era coetaneo di Dimitri, quindi aveva un anno in più di Raissa e quattro più di me, e lei se ne era innamorata perdutamente, a quanto pare anche abbastanza ricambiata. Uscivano assieme e lei parlava sempre di lui, me lo descriveva con meravigliosi aggettivi, diceva che voleva sposarlo una volta diventata maggiorenne. Io mi sentivo la fata buona di una fiaba: me lo avrebbe presentato la sera del solstizio d’estate. Nel nostro paese, si teneva sempre una festa in quell’occasione, ballavamo, cantavamo, giocavamo attorno al fuoco, le montagne che stormivano all’orizzonte, la luce sospesa delle notti chiare della Russia. Raissa voleva sapere che ne pensavo di lui, ero la sua sorellina, bramava la mia approvazione più di qualsiasi cosa al mondo. Accettai, ovviamente, ero felicissima, quella sera Raissa mi regalò un suo bellissimo vestito blu notte con la gonna a ruota, ballavo davanti al fuoco e mi divertiva vedere le pieghe della gonna ruotare. Vidi arrivare da lontano Raissa con Dimitri, mi fermai e li corsi incontro. Sorrisi ad entrambi, mi indicarono il ragazzo accanto a Raissa e me lo presentarono.

Hermione, pensa al momento in cui hai capito di amare Draco.

Pensa al momento immediatamente successivo a quella consapevolezza.

Pensa a quando l’hai guardato.

Tutto contemporaneamente esplode e trova posto.

Prima senti il vuoto deflagrante della desolazione, il cupo silenzio del tuo petto, l’eco dei frammenti sparsi. Poi, immediatamente dopo, è ruscello, alluvione, maremoto. Ovunque. Anneghi, soffochi, annaspi. Improvvisamente colma, al punto che trabocchi. Di lui.

Non sapevo nemmeno che significava, fino a quella sera, fino a quando quel ragazzo mi tese la mano e mi disse sorridendo il suo nome.

Ilai.

Dimitri non era amore: era affetto, cura, dedizione, pazienza, dolcezza.

Non era Ilai.

Non sarebbe mai stato Ilai.

Il destino mi aveva fatto pagare il prezzo del desiderio: volevo la vita? Volevo Raissa e Dimitri nella mia vita? Il prezzo era innamorarmi follemente del ragazzo di Raissa.

Ovviamente l’avrei accettato, andava bene.

Ilai era bello da spezzare il fiato, era forte, generoso, divertente. Stare con lui mi faceva dimenticare chi ero. Non ero il fenomeno da baraccone con le visioni e i destini da intrecciare: ero una ragazzina felice, allegra, che voleva tutto dalla vita e se lo sarebbe preso. Non mi sentivo onnipotente, mi sentivo debole, fragile, pronta ad andare sempre in pezzi. Lui soltanto riusciva a tenermi assieme. Diventammo amici, uscivamo spesso con Raissa e Dimitri… lentamente, tra Ilai e Raissa le cose iniziarono ad andare peggio, lui non aveva occhi che per me.

Il vero prezzo del destino che avevo scelto, non era che io mi innamorassi di Ilai.

Era che lui si innamorasse di me.

Ci baciammo il giorno del mio sedicesimo compleanno. Non appena mi baciò, toccai contemporaneamente l’inferno e il paradiso: la visione tornò.

Raissa mi avrebbe ucciso il giorno del mio diciannovesimo compleanno. 

Dimitri e Raissa non ci misero molto a scoprire di me e di Ilai, andarono su tutte le furie, mi chiamarono puttana e traditrice. Sentii il loro odio e pensai che forse non sarei nemmeno arrivata al mio diciannovesimo compleanno, mi avrebbero ammazzato prima. Scoprire cosa era l’amore ebbe l’effetto di rendermi coraggiosa al punto tale da capire che dovevo sciogliere i legacci, che mi tenevano avvinta ai Karkaroff. Quello per loro, era un sentimento malsano, non meno di quanto non fosse il loro attaccamento a me. Dovevo tagliare i ponti, tutto. Pensai di fuggire, ma sapevo che probabilmente non sarebbe servito. Cercai quindi un nuovo desiderio dentro di me, stavolta disinteressandomi completamente se esso li avrebbe portati lontano da me. Se l’amore non li aveva salvati, dovevano allora diventare più potenti, perdere interesse in me, capire che in fondo il mio potere era qualcosa di scontato, stupido, irrilevante.

Stranamente anche questa volta fui ascoltata.

La visione sparì più o meno nello stesso momento in cui vennero a sapere dell’esistenza di Adamar, il demone delle fragilità umane. Decisero di partire per ottenere la Conoscenza Assoluta, forse anche per allontanarsi da me e da Ilai, convinti che sarebbero ritornati così potenti da far ritornare le cose a posto.

Dimitri mi chiese di aspettarlo.

Non lo feci.

Mi fidanzai ufficialmente con Ilai, lo sposai.

Non sapevo quanto tempo avevo, la visione era sparita, certo, ma poteva tornare. E poi era ricominciata la guerra, io ed Ilai potevamo anche morire in un modo assolutamente imprevisto alle mie visioni.  Volevo disperatamente stare con Ilai.

Ci trasferimmo a Tampere e credetti di aver trovato la gioia.

La guerra finì, vinse Harry Potter. Io ed Ilai stavamo bene. Dimitri e Raissa non erano tornati, forse erano morti in guerra o non avevano superato le prove di Adamar.

Una mattina, vidi nei miei pensieri una bambina. Pensai che fosse mia figlia: era bionda, aveva due grandi occhi nocciola-verdi, si chiamava Charlotte, il nome che avrei sempre voluto dare ad una mia bambina. Mi salutava e mi ringraziava, dicendomi che era andato tutto bene. Le credetti. Sbagliai.

Dimitri e Raissa sono tornati qualche mese fa.

Non sono più le persone che conoscevo, specie Dimitri. Sono diventati potenti, implacabili, hanno perso l’amore per il padre che tanto avevano amato. Si sono incattiviti a causa della guerra che hanno passato nascosti per evitare che il Signore Oscuro ne facesse dei loro seguaci.

Li ha salvati un tale Draco Malfoy.

L’ho odiato, ma adesso non conta più niente, si odierà lui stesso per quello che ha fatto.

Sapevo che era questione di tempo prima che la visione tornasse.

Stamattina, ho espresso un altro desiderio: il mio ultimo desiderio, da egoista. Avevo Ilai negli occhi che rideva, indicandomi i fiori rossi del giardino. Ed avevo ancora l’immagine di Charlotte nella testa. Senza pensare, senza rendermene conto, piangendo tra me e me, ho pregato che qualcuno prendesse il mio posto, che trovassero un’altra da tormentare, che finalmente mi lasciassero in pace. E sono stata accontentata.

Mi sarà data la pace con la morte. E troveranno un’altra.

Sarai tu, Hermione Granger.

Per questo sei qui, oggi: perché imprudentemente io ho espresso questo desiderio. Senza peraltro avere nessuna garanzia di salvarmi, anzi accelerando solo la mia fine. Ma a questo punto, davvero, mi va anche bene morire oggi. Sono stata felice, ho rischiato tutto per stare con Ilai e ho perso. Mi hanno promesso la pace con la morte. Ma non posso perdonarmi di aver coinvolto te, un’innocente, e Draco Malfoy. Non posso perdonarmi. Quindi ti dirò tutto quello che so per aiutarti a trovare Raissa. Se tutto quello che ho visto è accaduto, li hai conosciuti per liberarti di un maleficio. Hanno detto a Draco di Adamar, magari Dimitri sperava persino di liberarsi di lui. Dimitri ti ha rapito e condotto al suo castello, hanno ingannato Draco per fargli credere che non lo vuoi più, ti sei scoperta incinta, hai avuto un figlio. Sei stata in una sorta di esilio per tutti questi anni, sei tornata adesso e sei alla ricerca di Draco. Ti hanno detto che Raissa potrebbe essere ancora con lui.

Quello che non sai, è la parte che ha Raissa in questa storia. L’hai creduta innocente per anni, ma adesso hai iniziato a sospettare di lei, forse da quando hai collegato me e lei. Ed ovviamente adesso, sai di aver avuto ragione. Lei non mi ucciderà volutamente, lo farà per spaventarmi e darmi una lezione, quando tra poco verranno. Ma non saprà controllare i suoi poteri e mi ucciderà. Dimitri sarà distrutto dalla cosa, la odierà, vorrà ucciderla. Raissa stessa vorrà uccidersi, non tanto per il senso di colpa per quello che mi ha fatto, ma per Ilai, per il fatto che lui la odierà per quello che ha fatto. Lo ama ancora, lo amerà sempre. Ed è questa la parte peggiore di tutto. Io non posso permetterle che abbia Ilai, in nessun modo posso lasciarle l’uomo che amo.

Dimitri e Raissa saranno complici come sempre.

Nasconderanno le tracce del loro passaggio in casa mia, si procureranno un alibi, piangeranno al mio funerale. E stringeranno un Voto Infrangibile: Dimitri prometterà a Raissa di non dire nulla ad Ilai di lei e della parte che ha avuto nel mio omicidio, purché lei lo aiuti qualora un giorno trovassero una donna che susciti in Dimitri lo stesso amore ed interesse malsano che gli ho suscitato io.

Ed un giorno Dimitri la troverà.

Sarai tu.

E chiederà a Raissa di aiutarlo a portarti via da Draco Malfoy. Lei sarà esitante ed incerta, ma avrà ripreso a frequentare Ilai anche se solo come amica, e quindi terrorizzata che il fratello gli riveli tutto della mia morte, accetterà di aiutarlo. Sarà lei a suggerire l’incantesimo per far assumere ad Astoria il tuo aspetto e i tuoi pensieri, sarà lei a far cadere le barriere di Villa Parkinson e sarà lei a scegliere di seguire Draco Malfoy, per controllarlo. Dapprima lo farà per impedire che lui ritorni da te, ma quando tu sparirai, lo farà per riportarti da Dimitri qualora tu torni da Draco stesso. Non vedo oltre, non so dove sono, non so che cosa stiano facendo, non vedo nemmeno che fine abbia fatto Dimitri adesso nel momento in cui tu vivi e leggi questa lettera. Forse non lo vedo perché è morto. Una cosa, però, la so per certo. Raissa non lascerà mai andare Ilai. Continuerà a sentirlo, a scrivergli lunghe lettere, mentre sarà con Draco. Ilai sa perfettamente dove è. Non te lo dirà, ovviamente, fino a quando non gli leggerai questa lettera, credo che Raissa nel corso degli anni gli racconterà una serie di fandonie per cui non può tornare in Russia, forse mettendo anche di mezzo il Ministero inglese, dicendo che ha delle grane con loro da risolvere. Ma appena gli leggerai questa lettera, Ilai capirà tutto, ti aiuterà, ti dirà dove Raissa si trova. Digli che deve perdonarmi per non avergli detto nulla, per non aver lasciato che trovasse questa lettera, per non avergli detto che era stata Raissa ad uccidermi. Mi odierà probabilmente, mi odia già adesso mentre leggi questa lettera che è l’ultima cosa che ho lasciato e che non era per lui. Ma io dovevo proteggerlo, Hermione Granger: l’altra cosa che ho visto del futuro è che, se Ilai avesse affrontato da solo Raissa o Dimitri, sarebbe morto. Stando con te, sarà al sicuro. Ti affido la sola cosa che mi è rimasta, Hermione Granger: ti prego, proteggilo come proteggeresti Draco o come proteggeresti tuo figlio. È la sola cosa che ti chiedo, e so che non ne ho diritto, ma non ho bisogno di vedere il futuro per sapere che ora, verrà con te, a cercare Raissa. Proteggilo, Hermione, ti prego. E spero che come Draco, un giorno, ha dimenticato Helena e si è innamorato di te, Ilai trovi un’altra donna da amare. Si merita ogni felicità del mondo. Spero che con tutto questo io sia riuscita perlomeno in parte a riparare le mie colpe. Non sarà mai sufficiente a compensare quello che hai già passato, e che forse ancora passerai. Ma mi illudo che mi perdonerai, che avrai pace un giorno e che la darai anche a me. L’ultima cosa che ti lascio è il ciondolo che hai trovato in questa lettera: è una magia antica, bianca, che nella mia famiglia viene trasmessa di generazione in generazione, dalle madri alle figlie femmine. È una goccia di sangue di Unicorno solidificata, persa durante il parto: è rarissima. E produce un incanto potente, solo per le madri. Un solo singolo incantesimo per il desiderio più grande di una madre per suo figlio: saprai tu quando usarlo, è il mio ultimo dono per te, Draco ed Alex. Io non l’ho potuto usare mai. E a mia madre non è mai saltato in mente di usarlo per liberarmi del mio potere. Ma tu sei una brava madre, lo so, lo sento. E sicuramente saprai quando e come usarlo, se sarà necessario.

Arrivano Hermione Granger. Arrivano.

Per favore, dì ad Ilai di ricordarsi della cannella bruciata. Digli che è la sola cosa a cui riesco a pensare adesso. E digli che lo amo, sempre, per sempre, da sempre.

Sii felice, Hermione Granger… per me.

 

Quando finisco di leggere, ho la bocca impastata e la gola secca. Imputo a quello la mia incapacità assoluta di aprire bocca e di dire una cosa qualsiasi. Ma anche il mio sguardo non riesce a sollevarsi dalle pagine che Tatia ha scritto poco prima di morire. Resta basso, incollato a quelle lettere panciute, da ragazzina appena sposata che si era disperatamente innamorata ed aveva solamente osato essere felice. Nel silenzio, sento distintamente Seth iniziare a piangere, lui è sempre stato quello più forte di tutti noi. Ci vuole forza e coraggio a piangere, sì, perché quando scopri una cosa del genere, quando leggi una cosa del genere, le lacrime sono sfogo e ristoro. E sebbene i miei occhi si siano fatti umidi, sebbene mi pizzichi la gola, sebbene la stretta sulla nuca ormai è una vertigine rovente, io non riesco a piangere. Milioni di sensazioni si affannano nella mia mente e nel mio cuore: la gratitudine per questa donna che no, non potrei mai odiare, per aver dato una spinta al mio destino. Il dolore incredibile per quello che le è accaduto. La rabbia per Dimitri e Raissa, il desiderio di farli pagare anche questa. La paura per quello che ho rischiato in mano a quell’uomo. Il terrore cieco e sordo per Draco e Serenity, che forse sono ancora con quell’assassina. Tutto esplode in me con lo scoppio di un’esplosione, ma restando contenuto al mio corpo, tanto che si traduce soltanto in una piccola lacrima che mi sfiora la guancia e in una feroce stretta allo stomaco. Mi stringo nelle spalle, sentendo improvvisamente freddo ed imponendomi di alzare lo sguardo. Pansy ha stretto timidamente un braccio di Seth, lui si è piegato su di lei e continua a singhiozzare nell’incavo del suo collo. Anya ha una mano sulla bocca, trema, è fredda e bianca in viso.

Ed Ilai… è scivolato a terra, poggiandosi sui talloni. Borbotta qualcosa, non si riesce ad intendere che stia dicendo, ha un pugno infilato in bocca. Cola del sangue.

Le lacrime finalmente sgorgano senza controllo, senza rendermene conto faccio qualche passo malfermo e sorpasso Seth, Pansy ed Anya, la goccia di sangue di Unicorno ancora tra le dita. La lettera mi è caduta poco fa dalle mani, planando leggera ed inconsistente come una nuvola di pioggia marzolina. Esitante, mi fermo davanti ad Ilai e mi chino alla sua altezza, ha lo sguardo completamente allucinato, i denti che mordono senza sosta la pelle della mano. Delicatamente prendo il pugno che serra in bocca, lo stacco dalle labbra e lo trattengo tra le mie mani, impedendogli di farsi male ancora. Ilai sbatte le palpebre, mi vede davanti a sé, sembra riconoscermi a fatica. Gli occhi sono lucidi, ma non piange. Resta immobile, guardandomi, mentre adesso sono le labbra che prende a mordere. Stringo il suo pugno serrato tra le mani, cercando di dargli coraggio, anche se non so nemmeno io come fare. Le lacrime non me lo fanno mettere nemmeno del tutto a fuoco. Uno scatto nervoso delle dita, e lo sento dire con angoscia: “L’ha uccisa… è stata Raissa ad ucciderla… e Tatia… l’ha sempre saputo… non me l’ha mai detto… io… l’avrei protetta, io avrei…”.

“Lo so… “ sussurro a mezza bocca, reprimendo un singhiozzo, mentre Ilai si aggrappa a me con tutte le sue forze. Si piega, finalmente piange di rabbia e dolore sulla mia spalla, Tatia ci unisce e ci divide allo stesso tempo. Piango anche io la morte di una donna che non conosco, che è la mia salvezza e la mia speranza, ma di cui non so nemmeno il colore della voce. Non so cosa faceva nei giorni di pioggia, non so se amasse il tè con lo zucchero o senza, non so se aveva l’abitudine di dormire con la luce accesa, non so se le piacesse leggere o magari dipingere.

Non so niente di lei, e non lo saprò mai. Eppure la piango come un’amica, una sorella, una compagna.

Stringo Ilai come se fosse lui stesso un amico, un fratello, un compagno, come se non l’avessi conosciuto solamente adesso.

Tutti e due siamo due reduci, due sopravvissuti ai Karkaroff. Questo ci unisce come non può unire nessun altro al mondo: sappiamo entrambi cosa abbiamo rischiato personalmente, sappiamo entrambi chi abbiamo messo in mano loro. Tatia non è tornata. Draco potrebbe non tornare nemmeno lui. Il dolore sepolto in cinque anni, quello a cui mio figlio ha messo sempre freno, esplode come un cancro ormai all’ultimo stadio. Piango le lacrime che non ho mai pianto, urlo la pena che non ho mai urlato, maledico la rabbia che non ho mai maledetto, mastico l’amarezza che non ho mai masticato. Ilai fa a suo modo lo stesso, ci aggrappiamo l’uno all’altra, siamo fratello e sorella. Non credo che ci sarà qualcuno che mi capirà più di lui. E’ un legame istantaneo, fatale, che Tatia ha plasmato per noi. E ci arrendiamo ad esso. Lo proteggerò come lei mi ha chiesto. Lui mi proteggerà come lei gli avrebbe chiesto. Saremo noi stessi a rendere vero l’ultimo desiderio di Tatia.

Così quando, cercando di calmarmi, apro bocca di nuovo, so già che cosa Ilai mi risponderà. Lo so perfettamente, non avevo bisogno nemmeno di chiederglielo.

“Raissa ha l’uomo che amo… ha Draco…”.

“Ti porterò da lei…”.

 

 

In Finlandia, contrariamente ai piani, ci sono rimasta per quindici giorni.

Non so perché, ma l’atmosfera di qui mi calma molto, mi rasserena, mi dà l’impressione di non crollare a pezzi. Cammino molto, passeggio, trascorro le ore sulle rive del fiume di Tampere, lo sguardo fisso sui fiori rossi che lo costeggiano e il libro sempre chiuso sulle mie ginocchia. Non riesco a lasciare la Finlandia, questa è la verità.

E non c’entra nulla che sia una terra bellissima, magica, incantata. Non c’entra nulla il calore educato della gente che mi circonda, non c’entra nulla il desiderio comprensibile ed umano di prendermi una pausa da me stessa e dal mio essere una super-mamma, fosse anche per un paio di giorni.

Fosse così, l’avrei accettato. Avrei persino giustificato ed assolto me stessa per non aver immediatamente preso un aereo per tornare da mio figlio, non appena la faccenda di Tatia si era chiarita.

Una crepa, una singola crepa corre dentro di me come se fossi vetro scheggiato. Se mi muovo, se faccio un passo… probabilmente mi frantumerò.

Non appena ho letto la lettera di Tatia, la crepa era già lì, piccola, invisibile, rassomigliante a migliaia di altri segni che la vita mi ha lasciato addosso. Di primo acchito non me ne sono accorta, come non mi accorgo mai di niente che abbia troppo a che fare con me stessa, da quando ho perso Draco. Pensare a me stessa, ai miei sentimenti, ai miei pensieri, è diventato qualcosa di scomodamente rinviabile ed evitabile nel corso degli anni. Per sopravvivenza, ovvio.

Appena l’atroce strappo che avevo sentito dentro, al ricordo della fine di Tatia, si era un po’ placato, mi sono resa conto in modo compiuto che avevo Draco più vicino di quanto non fosse stato in cinque anni. Certo, Ilai sapeva dove era Raissa, non dov’era Draco dato che lei nelle sue lettere non gli aveva mai detto nulla a riguardo. Ma avevo un indirizzo, cosa nemmeno lontanamente immaginabile fino a poco tempo fa. Ed avevo Raissa, che era stata sicuramente l’ultima persona a vederlo.

L’ansia spasmodica di trovare Draco si era confusa in un calderone bollente di emozioni al desiderio di vendicare Tatia, di scovare Raissa e di fargliela pagare. Tutto in me sembrava ribollire per la voglia di muovermi e di raggiungere il paesino in riva al mare, a pochi chilometri da Londra, dove a quanto pare si trovava Raissa e dove aveva detto ad Ilai di avere degli affari suoi da sistemare, che l’avevano trattenuta lì. Chiacchiere, ovviamente, anche Tatia me l’aveva confermato. Se era rimasta in Inghilterra, era stato prima di tutto per Draco, per controllarlo a nome di Dimitri, qualora io lo avessi raggiunto o lui avesse cercato me. Dopo la morte di Dimitri stesso, ovviamente, tutto diventava più nebuloso. Potevano anche non essere più assieme. Raissa poteva aver perso utilità nel sorvegliarlo, come era ovvio, non essendo più vincolata dal Voto Infrangibile con Dimitri. E lui, da quanto aveva detto Harry al ritrovamento del suo cadavere, era morto da circa dieci giorni.

Dieci giorni, più il tempo che era passato da quando la notizia mi era stata comunicata ed ero partita, faceva un tempo più che ragionevole perché Raissa avesse abbandonato Draco al suo destino. Peraltro, Ilai mi aveva spiegato che lei non gli scriveva da circa due settimane e mezzo, più o meno da quando Dimitri era morto. Quindi, tutto faceva pensare che lei potesse essere sparita di nuovo. E ciò mi rendeva ancora più angosciata di quanto già non fossi, colmandomi di sudore freddo per tutta la notte e non facendomi addormentare, presa com’ero dalla smania di ripartire per inseguire Raissa e per non darle ulteriore vantaggio. Ma non ero sola, non potevo agire egoisticamente come se lo fossi.

C’erano Pansy e Seth, d’accordo, ma loro mi avrebbero seguito immediatamente, fino in capo al mondo per trovare Draco.

Ma adesso, in un confuso modo che ha tutto della predestinazione, io sono legata anche ad Ilai. Non potevo semplicemente andarmene, quando lui aveva ricevuto un colpo simile e non era nemmeno in grado di muoversi o parlare. Per sette giorni, era rimasto chiuso nella sua camera, al buio, senza mangiare e senza dormire. Mi muovevo spasmodicamente fuori dalla porta, cercando di trattenermi dalla tentazione di pressarlo o di chiedergli direttamente che cosa avesse intenzione di fare, oppure di salutarlo e partire da sola. Ogni volta che, però, innervosita e fiaccata dal nervosismo, rifacevo la valigia e cercavo di andarmene, puntualmente rimanevo con la mano bloccata a mezz’aria mentre stavo per bussare alla sua porta. Mi paralizzavo, la stretta calda sulla nuca che mi faceva formicolare il cuoio capelluto, e tornavo indietro, disfacendo la valigia. Tatia voleva che lo proteggessi. Dovevo restare accanto a lui, ed aspettarlo. Lo dovevo a lui e a Tatia stessa. E se lei mi aveva protetto al punto di farmi avere quella traccia, lo avrebbe fatto anche successivamente. Dovevo fidarmi di lei e di Ilai. Sapere che si sarebbe ripreso, confidare che avrebbe superato lo shock di sapere che quella che era ormai diventata per lui la sua migliore amica, era stata anche l’omicida di sua moglie.

Intanto la crepa era lì, uno spacco piccolo ed invisibile da cui ancora non sgorgava nessuna goccia di sangue. Pizzicava un po’, ma di quel fastidio sommesso su cui ti ergi noncurante, dicendoti che non è nulla. Poi arriva il momento che la pelle davvero si lacera, ed il sangue ti macchia le dita, ed il pizzicore diventa d’improvviso dolore acuto di fiamma.

Devi correre allora, tamponare la ferita, disinfettare e restare immobile. Restare immobile.

La crepa, in me, si è definitivamente aperta cinque giorni fa.

Una lettera l’aveva creata ed una lettera l’ha aperta ancora di più, trattenendomi sulla soglia dell’immobilismo per paura di rompermi del tutto.

Una lettera di Raissa, per Ilai, scritta solo tre giorni fa. Aveva scritto sciocchezze, inezie, racconti di aneddoti estivi e di curiosità stupide, nulla di che. Eppure, adesso, ogni parola per Ilai era una coltellata. L’affetto che lei ci aveva messo in quelle poche righe, era macchiato dal sangue di Tatia. Io avevo cercato segni, tracce, indizi di Draco nelle sue scarne parole.

Alla fine, li avevo trovati. Erano come sempre equivoci, ombrosi, foschi, come tutto da quasi cinque anni, ma c’erano.

L’indirizzo di Raissa era lo stesso: lo stesso di cinque anni prima, quando aveva iniziato a scrivere ad Ilai, dicendo che per un po’ non poteva venirlo a trovare personalmente. Lo stesso di quei lunghissimi anni che avevo trascorso in Italia. Lo stesso di prima e dopo la morte di Dimitri. Raissa è rimasta nello stesso posto, dove aveva accompagnato Draco cinque anni fa. Adesso è ancora lì.

E Draco dovrebbe essere ancora lì, con lei.

A meno che non abbia deciso di trasferirsi da solo lontano da lì e Raissa, dopo la morte di Dimitri, non abbia fatto nulla per impedirglielo, ormai non più interessata a lui.

Il disinfettante sulla mia piaga, allora, ho scoperto essere solo una cascata iridescente di granelli di sale.

Oramai la risposta a tutte le domande sbocciate, maturate ed imputridite in questi anni, è ad un passo. E io, adesso, sto sperando in quello in cui non ho mai sperato prima.

Se Raissa fosse ancora in quel paesino per i suoi motivi personali e Draco non fosse più lì… perderei il bandolo della matassa che mi ha guidato fino ad ora, quello che Tatia ha seminato paziente e che mi sfuggirebbe dalle dita. Tutto si riaprirebbe in modo confuso e nebbioso. Draco potrebbe essere ovunque, Raissa potrebbe non saperlo o potrebbe anche non dirmelo.

Potrei davvero essere vicina a perderlo sul serio, stavolta. Evaporerebbe come se non fosse mai esistito, lasciando Alex orfano del suo ricordo e della sua conoscenza. E lasciando me vedova del matrimonio che mi sono negata cinque anni fa.

Prospettiva allarmante, tragica, da infarto. Ma non è la peggiore. No, non lo è.

Se le cose fossero andate così, se non fossero più assieme… lo cercherei, ovviamente. Non mi arrenderei, mai. Forse troverei persino nuova forza e nuovo coraggio.

Ma se fosse ancora con lei… se lui e Serenity fossero ancora con Raissa… non mi concederei nemmeno l’attimo fugace e ristoratore del sollievo e della gioia. Essi sparirebbero subito, veloci, fulminei, come meteore nel nero cupo della notte. Annegherei nella preoccupazione che lei abbia fatto loro qualcosa, che abbia mentito, che li abbia fatto del male. E se scoprissi che non fosse così, se scoprissi che Raissa è rimasta con loro perché Draco lo voleva, perché lui l’ha voluta lì accanto a lui, indipendentemente dagli scopi di Raissa…

Io non riuscirei ad accettarlo. Non ce la farei. Non lo vorrei nemmeno vedere. Probabilmente impedirei anche ad Alex di conoscere finalmente suo padre.

Potrebbe avere una moglie, adesso. O una fidanzata, o una compagna, o un’amante, persino un’amica. Non sono così ingenua da crederlo vergine di una donna, in tutti questi cinque anni. Perdonerei le scappatelle, giustificherei le notti di sesso, dimenticherei baci e carezze ad una che non fossi io.

Riuscirei anche ad accettare una donna che porta un anello al dito, con dentro il nome Malfoy.

Sorriderei con il cuore spezzato a chi lo chiama “amore”, a chi gli passa il sale a tavola, a chi dorme con lui.

Giuro che lo farei. Probabilmente maledicendola, maledicendomi, maledicendolo. Ma lo farei. Perché lo amo. Ed amo mio figlio.

Li lascerei conoscere, restando sul proscenio. E cercherei di dimenticare tutto quello che è accaduto tra noi, non permetterei a Draco né il rimorso, né il rimpianto né tantomeno il ricordo.

Nulla che lo separi dalla donna che amasse adesso.

Ma se quella donna fosse Raissa… se anche lui ci fosse andato a letto, una sola singola volta… io non lo vorrei sapere. Non lo vorrei vedere mai più.

Non vorrei accostarli assieme nemmeno nella più lasciva e sporca delle fantasie. Mi farebbe schifo, la vendetta mi esploderebbe nel ventre, Tatia armerebbe le mie mani. Forse vorrei uccidere lei e ferire mortalmente lui. Non ce la farei, ecco.

Semplicemente, tutto andrebbe in pezzi, io andrei in pezzi.

Il demone che lo Zahir creò dalla mia anima, non sarebbe nulla a confronto.

Ecco perché resto immobile, ecco perché non voglio sapere.

Ecco perché resto in Finlandia: fin quando non devo sapere, posso ancora sperare. Non so in cosa esattamente… ma posso ancora farlo.

Il fiume davanti a me, mentre resto seduta sull’argine, brilla di luce riflessa come una scia di stelle. D’un tratto la luce si oscura lievemente, sobbalzo alla vista di un’ombra che si siede accanto a me.

So chi è, senza nemmeno guardare.

Ed è strano che sia così, ma lo so e basta.

Lo so dalla sensazione che provo in fondo allo stomaco: calore tiepido, sicurezza inconsapevole, fiducia istantanea. Conoscendomi, uno si immaginerebbe che tale trasporto io lo senta per Harry, o per Ron, o per Seth, o comunque per una persona che conosco da anni. Non da giorni.

Ed invece io, tutto questo lo sento per Ilai Radcenko.

Ci conosciamo da quindici giorni, abbiamo parlato tre volte in tutto, ci siamo guardati a malapena. Eppure, sento di potermi fidare ciecamente di lui.

Tatia è la responsabile, tira dall’alto dei Cieli i fili rossi che ci uniscono come se fossimo due marionette alla sua mercé. Non mi dà fastidio, però. Mi rilassa profondamente. Mi sento sempre protetta.

Ilai guarda a sua volta il fiume, gli occhi scuri concentrati, circondati dalle ciglia nerissime che vibrano ad ogni respiro. I capelli sono spettinati e i vestiti sono sgualciti, ma ha le palpebre meno pesanti ed un’aria quasi riposata. Anya mi ha detto che è un medico, un pediatra per la precisione. In questo riconosco distintamente i suoi movimenti educati e lenti, la voce pacata, le mani delicate. Persino l’espressione, seppure sofferente, è sempre dolce e quieta. Ha un qualcosa di estremamente tranquillizzante, che mi spinge sempre a sentirmi calma, avendolo vicino.

Senza una parola, mi porge un bicchiere di carta dalla forma allungata, ancora caldo. Lo guardo senza capire, togliendo piano il coperchio. L’odore me lo fa riconoscere subito, sorrido tenendo il bicchiere tra le mani che si riscaldano piano. Cappuccino aromatizzato al caramello. Lo sorseggio piano, grata, in silenzio.

“E’ il mio preferito…” esordisce Ilai dopo un po’, guardando con un sorriso lieve il fiume.

“Anche il mio…” ribadisco, pulendomi la schiuma dalle labbra, poi dico calma: “Non la trovi una cosa strana? Cioè… non hai l’impressione che…”.

“… ci conosciamo da sempre?” sorride Ilai, guardandomi di lato per un momento, prima di tornare a guardare l’acqua che scorre “Sì… ce l’ho anche io questa sensazione. Ti spaventa?”.

“No… oserei dire persino che mi calma…”.

“Anche a me…” sospira profondamente Ilai, distendendosi sull’erba accanto a me, le braccia incrociate sotto il capo e gli occhi ritagli di nuvola “Credo che sia stata Tatia… credo che sia lei a farci sentire così uniti… come se ci conoscessimo da anni. Con lei è sempre stato così. Sapeva le cose prima che accadessero… e non c’entra la chiaroveggenza, o il futuro. Conosceva proprio il cuore delle persone… era strana, a volte faceva persino paura… e sono convinta che sapesse anche questo. Per questo ha fatto sì che venissi qui, per questo non ha nascosto la lettera altrove… voleva che ci conoscessimo… e ci aiutassimo… voleva che io avessi te vicina quando fosse giunto il momento di sapere la verità… e voleva che tu avessi me vicino quando ne avessi avuto bisogno…”.

Assimilo le sue parole con consapevolezza, senza eccessiva sorpresa: è quello che ho sempre pensato anche io. Ogni coincidenza di questo percorso, di questi ultimi anni mi sembrano disseminate da Tatia stessa dieci anni fa. Ed in questo rientra anche questa strana familiarità tra me ed Ilai. Si alza un alito di vento fresco, chiudo gli occhi respirando la luce del sole.

“Credi che adesso io ne abbia bisogno?” chiedo più a me stessa che ad Ilai, riaprendo gli occhi “Credi che adesso… io abbia bisogno di te?”.

“Difficile non accorgersene…” commenta lui laconico, sollevandosi a sedere “Questa storia… non è una tragedia solo per me, che ho perso mia moglie. Tu hai perso a tua volta delle persone che amavi… o meglio, non hai ancora finito di perderle… e non avere la certezza che ciò sia successo, non sapere se ciò sia successo davvero… non volerlo nemmeno sapere… credo che sia la parte peggiore…”. Ancora, ha capito tutto da solo. Non che fosse difficile, intendiamoci… Seth ed io ne abbiamo già parlato. Ma con lui, con tutti… io devo spiegare prima, e dopo capiscono.

Con Ilai non ce n’è bisogno, capisce da solo prima ancora che parli.

“Prima o poi dovrò saperlo, però, no?” sorrido tristemente, guardandomi le scarpe e gettando poi distrattamente un sasso nel fiume. La pietra descrive una linea semicircolare che si conclude con un tonfo sordo d’acqua, sollevando schizzi argentei. Il silenzio di Ilai dura fino a quando l’acqua si calma, tornando una linea piatta.

La sua voce è grave, sembra risuonare dal suo petto come se echeggiasse da una caverna: “E prima o poi io dovrò affrontare Raissa… e da quello non so che potrà uscirne… ora come ora, vorrei solo…”.

“Ucciderla?” suggerisco, abbracciandomi le ginocchia, rifiutandomi di guardarlo in volto. La mia voce non ha tracce della patina polverosa dei miei soliti giudizi morali, ma solo la profonda consapevolezza che aver odiato Dimitri Karkaroff per tutti questi anni, mi ha fatto scendere maggiormente a patti con la parte più violenta ed irrazionale di me stessa. I pensieri spesso non si possono fermare, così come i desideri o i sentimenti. Sono le azioni che ci qualificano.

Se pensi di uccidere, non sei un assassino. Sei solo umano. Se poi uccidi, allora diventi un omicida. E smetti di essere umano.

Io non ucciderei mai, per quanto possa averlo pensato. Ed Ilai non lo farebbe a sua volta, lo so. Lo sento.

Ilai annuisce con un breve cenno del capo, me ne accorgo con la coda dell’occhio. Il suo sguardo per un attimo si eclissa di fiducia spezzata e dolore spento. È come se tenesse a freno dentro di lui un uragano che lo spazzerebbe via, se solo gli desse il potere di farlo. Lui ha parlato del mio di dolore e della mia di perdita, ma Draco c’è ancora, io so che è vivo. Ilai, per quanto possa anche ottenere vendetta o giustizia, non riavrà mai indietro Tatia. A questo non c’è paragone in niente al mondo.

“La scelta sarà di entrambi…” dice Ilai infine con un filo di voce, guardandomi dritto negli occhi “Saremo entrambi a decidere che fare di lei… non sarà solo una tua o una mia responsabilità… lei pagherà… non le permetterò di farla franca. La morte ci ha tolto Dimitri dalle mani… ma non sarà lo stesso con Raissa…”.

Annuisco convinta con il capo, su questo non ci piove. Ma c’è altro che lui deve sapere. C’è altro che Ilai dovrà sapere, prima che definitivamente questa cosa ci leghi del tutto, prima di intraprendere questo viaggio assieme. A suo modo, come tutto il resto, sento che lui già lo sa. Ma ho bisogno di dirlo ad alta voce, anche a me stessa.

Andare a cercare Raissa e forse Draco potrebbe costarmi tutto: la speranza, la fiducia, l’amore. Persino la mia stessa anima.

Potrei tornare un involucro vuoto, molto peggio di quello che mi rese lo Zahir. Potrei trascinare me stessa ed Ilai, senza contare Pansy, Seth e il mio stesso figlio, in un vortice di annientamento da cui non riuscirei a salvare nessuno. Potrei far rischiare loro la vita, per quanto io ne possa sapere. Per questo, per tutto quello che comporta questo viaggio, ho bisogno di pormi dei limiti, delle linee guida, per sapere esattamente quando tornare indietro prima che sia troppo tardi.

La mia voce è chiara, mentre scandisco: “Dovremo essere pronti entrambi a partire, allora… solo allora lo faremo… non importa quanto tempo ci vorrà… ma dobbiamo essere uniti in questo. Altrimenti saremo spazzati via…”, respiro a fondo mentre Ilai mi guarda, dandomi silenziosamente il suo assenso: “Io ho un figlio e devo pensare ad Alex prima di tutto. Se capirò che qualcosa può metterlo in pericolo, non esiterò a mettermi anche contro di te se dovesse necessario… nessuno deve toccare in nessun modo mio figlio…”.

“Non permetterò che facciano del male al tuo bambino…” ripete deciso Ilai, stringendo inconsciamente la mia mano ancora abbandonata sull’erba. Mi aggrappo ad essa, fissandolo dritto negli occhi scuri: “Io ho bisogno di sapere, di capire… Raissa pagherà… ma devi promettermi che… aspetterai che io capisca cosa c’è tra lei e Draco, qualora siano ancora assieme…”. Ho paura di fargli troppo male per come stringo forte la sua mano, ma Ilai non fa una piega, non dice nulla, continua solo a stringermi forte lasciandomi intendere che abbia capito perfettamente quello che chiedo.

“… e se… capirò che…”, la mia voce si rompe lasciando sfuggire una nebbia confusa di pianto che tento a fatica di nascondere. Un singhiozzo deforma le mie parole, ma Ilai continua a tenere stretta la mia mano e riesco quindi a fatica a terminare: “… se dovessi rendermi conto che stanno… assieme… devi farmi una promessa…”.

“Ti porterò via da lì… porterò via da lì sia te che Alex, te lo giuro…” bisbiglia Ilai, guardandomi in viso e prevenendo ogni mia altra parola. Sgrano gli occhi lucidi di pianto, ancora una volta ha capito tutto da solo. Rendo ancora grazie silenziosamente a Tatia, per questo dono che mi ha fatto. Ha voluto che affrontassimo questa cosa nella maniera migliore possibile. E ci ha creato a nostra immagine e somiglianza un’ eco dell’anima, che rende tutto un pochino più semplice. Non di tanto, ma perlomeno posso sperare di avere qualcuno che conduca me ed Alex fuori da tutto questo.

E fa molto davvero. Non tanto per me, dubito che tornerei mai normale dopo aver visto Draco con Raissa. Ma per Alex, devo sapere che, se lo porto con me, ci sarà qualcun altro a proteggerlo.

“Grazie…” sussurro piano, asciugandomi una lacrima che cade lungo il viso “Avrò bisogno solo di qualche giorno… voglio andare a prendere Alex… poi possiamo andare… tu sei pronto?”.

Ilai mi lascia la mano e stringe la mascella, dicendo di sì.

Solo pochi giorni… ed avrò le risposte che cerco…

 

 

Solo pochi giorni: ed ho avuto le risposte che cercavo.

Non eravamo pronti.

Né io, né Ilai. Non era pronto nessuno. Non lo saremmo mai stati, anche se avessimo avuto mille e mille anni.

Il cielo mi sembra sanguinare, anche se è solo il tramonto quieto di un giorno d’estate di una piccola cittadina sul mare, che odora di iodio e di sale, di gente calorosa, di feste di paese. Tutto sembra andare a fuoco, io stessa brucio, annaspo, e poi annego, soffoco, riemergo, muoio daccapo.

Non ero pronta, non lo sarei mai stata. Mai e poi mai, per quanto tempo ci mettessi.

Seth prende in braccio Alex che mi guarda senza capire, mentre resto in ginocchio nascosta dietro il cespuglio della villa bianca sulla sommità della collina, circondata da rampicanti e fiori viola.

L’ho riconosciuta subito, ovviamente, appena l’ho vista. Ed è stato l’ennesimo colpo al cuore. L’ennesimo, l’ulteriore, ma mai l’ultimo. Mai, non finisce mai la storia per cui io debba sempre auto-infliggermi dei colpi mortali solo per vedere se riesco a sopravvivere. Già c’era tutto il senso, tutto, tutto, solo nel vedere che Raissa scrive ad Ilai dalla casa che Helena aveva sempre desiderato di comprare anni prima, quando veniva su una spiaggia poco lontana da qui, con Draco.

Potevo andarmene, no? Potevo già capire tutto, no? Ed invece me ne sono stata zitta, imponendomi di non morire dissanguata dentro, giusto per rendermi conto che se uno mi spara dritto al petto, io posso pure respirare ancora per altri cinque minuti.

Cinque minuti provvidenziali.

E non ne avevo bisogno, non ne dovevo aver bisogno come invece continuavo a dirmi di avere.

Seth si allontana con Alex in braccio, lui deve pensare che stiamo solo facendo una gita, deve continuare a pensarlo. Per quello sono qui anche Dean e Pansy, con Charisma. Sento Alex raggiungere la sua amichetta, iniziare a giocare, ridere. Sta bene, non ha visto nulla, non si è accorto di nulla.

Guardo Ilai nello stesso momento in cui lui si volta a guardare me, cerco la sua mano, lui la intreccia forte con la mia.

Non eravamo pronti, non lo saremmo mai stati.

Lui non era pronto a rivedere Raissa, viva, vegeta, sorridente, assassina senza rimorso. Un vestito chiaro, i capelli più lunghi, l’aria fredda nei tratti dissolta.

Ma lui finge di stare bene, deve farlo, capisce subito che per me è peggio.

Serro gli occhi forte, cancellando la parola maledetta che mi vibra nella testa, quella che impedirei persino ad Alex di usare ancora, nonostante sia la parola più bella e dolce che io conosca.

Mamma.

Una bambina bionda, gli occhi azzurri da cielo di primavera. Un paio di scarpette rosse di vernice, una salopette di jeans, un sorriso furbo.

Una bambina che non ho mai dimenticato, una bambina che ha nel sangue l’amore per questa casa e per questa terra, una bambina che dopo cinque anni, non potrei scambiare con nessuna bambina del mondo. Una bambina che ho detto a mio figlio di chiamare sorella.

La mia bambina bionda… la mia Serenity… che chiama mamma l’assassina di Tatia Krasova.

Serenity chiama mamma Raissa Karkaroff.

 

 

 

Grazie a chi ha ancora la pazienza e la voglia di seguire questa storia! Risponderò alle recensioni promesso…J Scusate la brevità, ma scappo, corro e fuggo come sempre! Un Bacione a tutti!!! Cassie

   
 
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