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Autore: fanny6    02/01/2013    0 recensioni
"-Grazie, ma credo che nessuno potrà fare niente per questo rottame- la sua voce diceva più di tutti i suoni che avessi sentito prima. La guardai estasiato mentre prendeva a calci una ruota, e la mia prima preoccupazione fu quella che non si facesse male.
-Hei, hei, hei….!- la fermai, tirandola indietro con una mano –Così ti fai male!- protestai.
-Scusa- abbozzò un sorriso.
E il mio mondo ricominciò a girare."
Dopo la nascita di Renesmee, Jacob ha giurato di non amare altri che Bella per tutta la sua vita, nonostante sappia di averla persa per sempre. Le cose, però, non vanno mai come le pianifichiamo.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Jacob Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Capitolo 1
 
Joseline
 
Non ero mai stata in un posto come LaPush prima di allora. L’odore della foresta, il suono del mare che si infrangeva violento sugli scogli mi rimbombava nelle orecchie.
La vecchia riserva dei Quileutes era un posto che mi attirava, e nonostante avessi dovuto lasciare tutte le mie vecchie amicizie per trasferirmi lì, ero felice.
Il cambio di abitazione era dovuto al fatto che mio padre (con cui vivevo, soli, dopo la morte di mia madre) che era biologo marino, aveva deciso di prendersi una pausa dalle conferenze susseguitesi senza tregua dall’uscita del suo ultimo libro: voleva studiare il clima e la fauna di quel mare cupo, forte, imponente.
Gli abitanti della riserva erano davvero pochi, più o meno una trentina di famiglie, e a quanto pareva si conoscevano tutti da generazioni.
Non sapevo come avrei fatto ad attaccare bottone con qualcuno, contando il fatto che era estate, quindi non c’era l’ultimo anno di liceo a consentirmi di fare amicizia con coetanei.
Certo, la parlantina non mi mancava, ero una persona molto spontanea e piuttosto espansiva, tuttavia non sapevo proprio da dove cominciare.
Avevo già visitato LaPush due o tre volte, prima di quel 20 Giugno, tutti viaggi motivati dal trasloco, e questa volta finalmente io e papà ce l’avevamo fatta: era tutto a posto, potevamo ritenerci ufficialmente abitanti della riserva.
-Josie…aiutami con questo scatolone!- mio padre, un uomo di mezza età piuttosto robusto, con i capelli brizzolati e una faccia bonaria, reggeva tre scatoloni di cartone tra le braccia.
-Ancora libri? Ma papà…se andiamo avanti così non ci sarà più spazio nemmeno per respirare!- protestai, afferrando il più piccolo dei tre.
-Non protestare Josie, ricordati che è grazie al mio sapere che hai un tetto sopra la testa- ridacchiò lui, portando tutti gli scatoloni nel salotto. Si era divertito da matti ad arredare tutta la casa in stile etnico e nativo, un altro dei motivi per cui aveva scelto LaPush, oltre che per il suo favoloso patrimonio culturale: adorava le vecchie leggende dei Quileutes, e si divertiva a raccontarmele per mettermi paura.
-Posso andare a fare un giro alla spiaggia?- domandai, pregustando quella meraviglia di mare
-Certo che puoi….io finisco con gli scatoloni, e poi mi butto alla ricerca di qualcosa da mangiare stasera- acconsentì, dandomi una pacca sulla spalla –Vedrai che troverai presto qualche amica simpatica-
Sorrisi della sua ingenuità: come se a diciassette anni potessi fare amicizia costruendo castelli di sabbia. Però magari avrei trovato qualcuno che perlomeno potesse fare quattro chiacchiere con me, ed era già qualcosa.
Misi un paio di vecchi shorts di jeans, una canottiera bianca e sotto il costume; infilai i sandali e mi gettai fuori dalla porta, allegra.
Quel posto mi piaceva, e mi piacevano i cambiamenti. Ero contenta di avere un nuovo posto da affrontare, scandagliare, esplorare, di cui capire i meccanismi.
La spiaggia era a pochi passi da casa (papà non aveva resistito alla vicinanza del mare).
Il cielo non era perfettamente limpido: qualche nube si addensava in alto, vicina al sole. In compenso, faceva davvero caldo. La spiaggia era piena di famiglie in vacanza, bambini che giocavano.
Cominciai a guardarmi intorno, per cercare di intravedere qualcuno con cui fosse possibile parlare. Individuai un gruppo di ragazzoni, tutti altissimi e muscolosissimi, con qualche ragazza: erano tutti nativi, la loro pelle color ruggine spiccava come i loro capelli neri e lucidissimi. Provai una certa invidia: mi ero sempre ritenuta abbronzata, ma la mia carnagione biscotto svaniva a confronto con quei colori così belli, così adatti a quel posto.
Nonostante la mia buona volontà, non ebbi la forza di avvicinarmi. Sembravano un gruppo chiuso, elitario, molto intimo e familiare, e poi quei ragazzi erano davvero enormi.
Ridevano tra loro e parlavano con complicità, e non mi sembrava il caso di andarli a interrompere: mi avrebbero presa per una turista alle prime armi.
-…Sono preoccupato, Sam. Ora che questa faccenda con i Volturi si è conclusa credo che sarebbe un bene per lui lasciar perdere questa storia di Bella. Voglio dire, è tornato con noi, e ne sono felice, ma…non so…-
-Dagli tempo, Quil. Sono sicuro che quando troverà la ragazza giusta sarà felice anche lui- e il ragazzo che aveva parlato, che sembrava il capo della piccola compagnia, diede un bacio alla ragazza accanto a lui.
Mi voltai con un sospiro: non volevo sembrare indiscreta, e avevo anche capito quanto fosse difficile entrare in un gruppo come quello dei ragazzi della riserva per un’estranea. Mi era bastato poco, era il modo in cui si guardavano, parlavano. Sapevano tutto l’uno dell’altro, e anche le ragazze. Non sarebbe stato così facile.
Decisi di percorrere tutta la spiaggia, lunga, sabbiosa, il vento che mi scuoteva i capelli a colpi di onde. LaPush era davvero un paradiso selvaggio e naturale.
Quasi non mi ero accorta delle nuvole che si erano addensate, e che cominciarono a scatenare un temporale estivo, le gocce di pioggia grandi e per niente fredde. Cominciai a correre nella direzione di casa mia, notando che sulla spiaggia non era rimasto quasi nessuno.
Entrai in casa fradicia, non ebbi nemmeno il tempo di cambiarmi o asciugarmi i capelli perché il telefono cominciò a squillare.
-Pronto? Papà?-
-Josie, tesoro, sono rimasto bloccato sulla scogliera! Devi venirmi a prendere subito, sono sotto il temporale e ho i libri con me! Vieni in macchina, devi prendere la strada alta!- sentii la voce disturbata dalla scarsa capacità della linea e dalla pioggia
-Okay, sto arrivando- urlai, cercando di farmi sentire.
Non presi nemmeno l’ombrello, tanto ero già bagnata, e mi infilai in macchina, una vecchia carretta, a mio parere, a cui mio padre era molto affezionato.
Accesi il motore, che emise un bello sbuffo prima di decidersi a consentire alla macchina di partire. Presi la strada indicata da mio padre (non che avessi molte alternative) e la povera vecchia Golf iniziò ad incespicare su per quella strada mezza sterrata. Non volevo nemmeno sapere come mio padre fosse riuscito ad arrivare fin là  a piedi.
Ero finalmente arrivata ad un rettilineo, la pioggia che si era fatta più fine, quando la macchina si fermò di colpo. Tentai di far ripartire il motore una, due, tre volte, e mi resi conto che non aveva la minima intenzione di risorgere. Bel guaio.
 
Jacob
 
Non mi importava che Bella fosse felicemente sposata, con pure una piccola bimba-mostro (che pure era bellissima e disarmante). Io l’avrei sempre amata, più di quanto lei amasse me. In modo diverso. In modo sbagliato. Merda. Come diavolo mi ero ficcato in quella situazione? Il vecchio me, non potevo credere fosse passato solo poco più di un anno, il vecchio Jacob non sarebbe stato mai così arrabbiato, così sarcastico, così disperato. Beh, ma il vecchio Jacob era andato da un pezzo. Quel Jacob  che lei chiamava il “mio sole che scaccia le nuvole” aveva incontrato l’eclissi. E adesso erano guai.
L’essere tornato, come doppia alfa, nel mio vecchio branco, non migliorava certo le cose, poi. Tutti che sapevano quanto ero stupido e patetico.
Merda. Dovevo smetterla di abbrutirmi così, ero davvero patetico.
Fortunatamente avevo la mia forma di lupo a distrarmi, proprio come adesso. Correvo svelto, agile, nella foresta sotto la pioggia che mi dava una sensazione piacevole.
Avevo intenzione di andare alla scogliera, stare un po’ da solo (di nuovo) e cercare di levarmi Bella e il suo succhiasangue (piccolo-mostro annesso) per almeno cinque minuti. Mi bastavano cinque minuti senza quella tortura. “Sarai per sempre il mio migliore amico, Jake, ti voglio un bene dell’anima”. Bello. Fossi capace anche io! Cosa diavolo c’era di sbagliato in me?!? Perché non riuscivo a dimenticarla, o a comportarmi davvero come un amico?!? A rassegnarmi, perlomeno. O forse era lei quella sbagliata, se preferiva la quella specie di vita da vampiri con il succhiasangue telepatico e una bambina che, per quanto fosse davvero adorabile, aveva rischiato di ucciderla per venire al mondo.
-Smettila, Jake, smettila di pensarci!- mi dissi, arrabbiato.
Stavo per accelerare quando un forte rumore metallico mi fermò. Veniva dalla strada, qualche decina di metri al di sopra della foresta dove correvo.
Mi ritrasformai, per precauzione, infilai i pantaloni che portavo sempre legati alla caviglia e, svelto, salii fino in strada. Magari qualche viandante si era perso. Volevo sentirmi utile, in qualche modo, così mi sbrigai a raggiungere la strada.
Una macchina orribile stava lì, inerte, con il cofano aperto e una ragazza bagnata fradicia tentava di capire cosa non andasse in quella carretta.
-Hei- esclamai –Serve una mano?- tutto pur di distrarmi
Lei fece un salto. Avevo dimenticato di essermi mosso velocemente. Si voltò spaventata.
E poi fu il caos.
Sentivo tutte le mie energie, mentali e fisiche, concentrarsi sull’unico particolare del suo viso, sentivo che era diventata il centro dell’universo e che non potevo farci niente.
Mi sentivo completo, e, cosa assolutamente impensabile fino a qualche attimo prima, non sentivo nessun dolore, nessun tormento.
Non potevo crederci. Cosa cavolo stava succedendo?
-Grazie, ma credo che nessuno potrà fare niente per questo rottame- la sua voce diceva più di tutti i suoni che avessi sentito prima. La guardai estasiato mentre prendeva a calci una ruota, e la mia prima preoccupazione fu quella che non si facesse male.
-Hei, hei, hei….!- la fermai, tirandola indietro con una mano –Così ti fai male!- protestai.
-Scusa- abbozzò un sorriso.
E il mio mondo ricominciò a girare.
 
  
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