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Autore: Lunastortas    02/01/2013    1 recensioni
Forse dovevo rimanere ordinaria.
Genere: Avventura, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Lei. Sì, lei navigava nei mari più inquieti, vibrava nell'acqua con quelle creature che convivevano con uno dei misteri della terra. Scalava le più maestose montagne, con una spietata determinazione divorava i passi che la saperavano dalla vista più grandiosa che Madre Natura potesse offrire. Correva lunghe le pianure più ostili che il mondo le offrisse. Il cuore le si riempiva di adrenalina mentra lottava contro un felino per sopravvivere. Solo uno sarebbe rimasto. Correva, respirava, osava. Viveva. Senza sapere che significasse "sopravvivere" o "resistere". Lei sapeva benissimo cosa le aspettava di diritto. Ed era decisa a prenderselo. Ma non ora. 
06:00 . Sabrina si svegliò con molta calma. Era un sogno fantastico. Lei Regina del Mondo. Con uno sbuffo si alzò dal letto e strisciando i piedi, quasi le costasse maggiore energia di alzare mille kilogrammi, portò il suo culo pesante nel bagno e iniziò il quotidiano rito di preparazione. Doccia, denti, viso, vestiti, deodorante, trucco e coronò il tutto con un po' di profumo. Era palloso, ma per essere bella e accettata doveva portare una maschera color caramello. Prese le cuffie, Sante accompagnatrici di ogni viaggio e avventura, baciò alla svelta la madre e se ne andò. Il vento le soffiava contro e il freddo le ghiaccio un sorriso sulle labbra. Arrivò, finalmente, alla fermata e aspettò tramando, pregando qualsiasi Essere Lassù di non far arrivare il bus in ritardo. Ma solo allora, iniziò ad osservare il paesaggio circostante. Una serie di colline la accerchiavano, creando una sorta di valle, dove la popolazione non era molta, e quei pochi abitanti che vi abitavano, non erano molto socievoli. La fermata era posta su una strada principale e nel lato opposto di solito vi erano due ragazzi che aspettavano una corriera che portava in una destinazione del tutto diferrente dalla mia. Accanto alla fermata opposta c'era un bar, molto accogliente e rustico dove tutti gli abitanti di quella losca cittadina, erano soliti andare la Domenica, subito dopo una noisa e settimanale Messa. Ma c'era qualcosa quel giorno che diede molto da pensare a Sabrina. Non c'era traccia dei ragazzi. Nè di alcun cliente del bar. Ora che ci pensava meglio non era passata nessuna macchina. Cosa moto insolita visto che spesso aveva problemi di insonnia causati appunto dal sommesso rumore di macchine. Non fece in tempo a formulare un qualsiasi pensiero che arrivò il bus. L'autista colse Sabrina del tutto impreparata. Forse perchè veniva dalla parte sbagliata, ma c'era qualcosa in quella corriera che le faceva intuire di dover prendere quell'autobus. Infatti, lo prese. L'autista salutò Sabrina, come suo solito fare, ma appena messo piede nel primo gradino, notò che quella mattina, nell'autubus, c'era più gente del solito. Persone che Sabrina non aveva mai visto, persone invece che Sabrina non vedeva da tempo. Nascose questo suo pensiero e sorrise a tutti, un normalissimo, assonatissimo 'buongiorno'. Trovò il primo posto libero e ci si sedette. Gli Audioslave la accompagnarono in un sogno ad occhi aperti. Immaginò di andare nella parte opposto dove doveva andare e che la corriera ebbe come destinazione una montagna ricoperta di un velo bianco. Ma quando Giulia, l'amica di Sabrina, le diede uno scossone capì che non era immaginazione: l'autista si era fermato davanti ad una copia esatta della loro scuola, solo che era in un avvallamento di fronte la montagna bianca. Con passo insicuro si avvicinò all'edificio, e fu tutto uguale. Stessi tre piani, stessi studenti, stesse risate, borbottii. Era tutto uguale. Solo che nella mente di Sabrina era tutto... bianco. Tutto ricoperto di quella soffice neve che brillava sotto il sole. Fu subito circondata dalle sue amiche, che, come al solito, le chiesero le solite cose. "Come stai, stronza?" Oh, dolcissime. Ma Sabrina non fece caso alla domanda o all'appellativo che le avevano affibbiato. La sua mente vagava distante, forse nella vetta di quella montagna bianca che accostava la scuola. Ma la campanella ruppe i suoi sogni e con fare monotono si avviò in classe. Un passo dopo l'altro si sentiva sempre più stanca e fu tremendamente felice di sedersi nell'ultimo banco, aspettando Il Fontana, il suo migliore amico. Mentre aspettava sentii una ventata gelida pungerle le guance. Cercò la finestra aperta, per poterla chiudere, maledicendo in cuor suo, tutte le bidelle della scuola. Ma non ne trovo nessuna. Lasciò stare e trornò al posto ma quando si stava per sedere una gocciolina le cadde in testa. Di sacattò alzò lo sguardo e vide che non c'era nessun soffito. Solo un grande albero da cui proveniva la goccia. Un urlo interiore crebbe, un angoscia terribile. Con il panico negli occhi, si mise seduta. Il suo migliore amico arrivò e la vide stranita. Si fece raccontare tutto. Ma qualcosa in Sabrina non andava. Era così turbata da non riuscire a trattenere un tremito al cuore. Inizio a prudergli il petto. Il fastidio era insopportabile. Intanto lo sguardo dell'amico si era posato sul petto e, con un misto di disgusto e preoccupazione, avvisò l'amica che una specie di tentacolo le stava uscendo appena sotto la gola. Sabrina guardò immediatamente e rimase inorridita. Presa dal panico, recuperò una forbice e cercò di tagliarlo, ma appena Giulia la vide le corse incontro, urlandole che se lo avrebbe fatto, sarebbe morta dissanguata. Voleva morire. Voleva solo andarsene; tutto quello che sembrava bianco e limpido, ora sembrava una voragine oscura pronta a divorarla da un momento all'altro. I suoi compagni la deridevano, fatta eccezione per i suoi due migliore amici. Così loro, con le lacrime agli occhi, la portarono via, mentre lei sembrava seguire i suoi passi con occhi spenti e privi di emozione. Andarono in bagno e Sabrina iniziò ad urlare, a graffiare le pareti, in preda ad una crisi isterica. Poi, all'improvviso si calmo. E, come se sapesse già cosa avrebbe visto, si alzò i pantaloni fino alle ginocchia. E lì, in quel esatto momento morì dentro. Quelle che sembravano unghie di cani, erano infilate nel ginocchio e formavano una sorta di scudo, come se fossero squame. La cosa peggiorò quando vide che anche nelle mani stava capitando lo stesso. Voleva mangiare, aveva fame. Smise di pensare, scollegò qualsiasi cosa, sentimento, emozione. Le sue iridi diventarono nere come la notte. Ma quando incotrò lo sguardo dell'amico, una fiammella le scaldò il cuore, e, anche se ora aveva tutto l'aspetto di un mostro, era di nuovo umana, nel cuore. Si mosse qualcosa. La terra iniziava ad alzarsi, portando i tre sempre più in alto. E quando ormai si alzarono ad una centinaia di metri da terra, in bagno, con tutto il suo fascino, si persentò una professoressa che nessuno dei tre ragazzi aveva mai visto. Non disse nulla, ma le sue labbra si aprirono in un sorriso diabolico. Così come, nello stesso momento, il piano iniziò a precipitare. Sabrina, o quel che rimaneva di lei, soffriva terribilmente di vertigini, e cadere così le faceva venire il cuore in gola. Si avvicinava sempre di più al terreno. Mancava pochi metri. Rivisse la sua vita in quegli istanti.  Le squame, il tentacolo, era un mostro. Con gli occhi neri colmi di lacrime lanciò un ultimo sguardo ai due ragazzi. E mentre il suolo sembrava sempre più vicino, chiuse gli occhi aspettando il fragoroso schianto. 
Si svegliò di soprassalto. Era un sogno. Solo un sogno. Anzi, un incubo. Ma Sabrina pensò che era così reale che le venne un tuffo al cuore. Tremò, rivivendo quegli sitanti di terrore. Le squame, il tentacolo, la derisione, la professoressa. Una lacrima percorse la guancia. Quell'incubo era il peggiore di tutti. Ma ora doveva andare a scuola, quella vera. Così si alzò, si preparò e si incamminò. Quel giorno fu un bella giorna per lei e la sua famiglia. Sua madre sistemò la casa, a cominciare dalla camera di Sabrina che era un disastro. Con uno sbuffo, iniziò a rifare il letto. E mentre sistemava i cuscini, ordinava il lenzuolo e tirò su le coperte, qualcosa molto simile ad un'unghia di un cane, nera come la pece, cadde al suolo. 
  
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