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Autore: Keyth    02/01/2013    0 recensioni
[Il Seggio Vacante ]
La vita, a Pagford, non è finita con un funerale. Dieci anni dopo ritroviamo i nostri personaggi di nuovo a Pagford, qualcuno cambiato, qualcuno no. Alcuni cercano ancora tracce del loro passato, altri cercano un futuro. E di nuovo le storie dei cittadini si intrecciano, e si ripetono gelosie, trame e incomprensioni che avevano logorato, o altre volte intrecciato, le vite della scorsa generazione. Ci sarà almeno un nuovo personaggio, e si vedrà una versione più cresciuta di quelli che abbiamo amato nel libro della Rowling, da Ciccio a Andrew, da Gaia a Cincia. Questo è il mio seguito.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Su, in cima alla collina appena fuori dalla cittadina di Pagford, si apriva un grande cancello in ferro battuto. Quel cancello, dai cardini leggermente arrugginiti, portava a uno dei luoghi più tristi della contea, al cimitero di Evergreen. Vicino all’entrata, posteggiata a cavallo tra due posti macchina, sostava una decappottabile grigia di seconda mano, con tettuccio aperto e chiavi ancora inserite.

Quando le vide, Rosamunde scosse la testa «Ricchi». Rose era una venticinquenne dai tratti tipicamente anglosassoni: naso piccolo e all’insù, capelli biondo rossiccio, occhi verdi e una tempesta di lentiggini su naso e guance. Stava andando a trovare la madre naturale, Terry, seppellita nel cimitero di Evergreen una decina di anni prima. Terry, disoccupata e tossicodipendente, aveva vissuto per anni ai Fields, un quartiere degradato al confine con Pagford in cui il sesso e la droga erano gli unici diversivi. Rosamunde si vergognava di sua madre, l’ultima volta che l’aveva vista, al centro di recupero di Bellchapel, quasi non l’aveva riconosciuta. Pallida ed emaciata, sembrava uno scheletro. Una maglietta lisa, fucsia con la scritta “Teenage dream” lasciava pensare che fosse un capo rubato, o al massimo ritrovato in qualche discarica.

Quella volta, Rose, si era fatta coraggio, e aveva deciso di andare a trovare la madre naturale che non vedeva da almeno dieci anni. Aveva pensato e ripensato a quella visita mille volte dopo che il centro di cura per tossicodipendenti di Bellchapel l’aveva contattata.

 

Gentile Rosamunde Chat,

sono Katherine Lux, psicoterapeuta, le scrivo per conto del Centro di recupero Bellchapel di Pagford. La contattiamo per informarla che sua madre, Terry Weedon, ha deciso di farsi ricoverare nella nostra struttura. Terry è “pulita” da due mesi, e dopo molte sedute di terapia ha deciso di voler ricucire i rapporti che ha rotto nel suo periodo buio con l’eroina. Le saremmo grati se si facesse avanti per incontrare Terry, che al momento non ha alcun contatto con parenti e familiari.

 

Se è interessata la prego di contattarmi al numero 055 9977 o alla mail katlux@bellechapel.com

Cordialità,

 

Katherine Lux

 

Rosamunde non si era lasciata illudere da quella lettera, sapeva che Terry non sarebbe mai cambiata, ma sarebbe rimasta una madre anaffettiva, che si era liberata in un modo o nell’altro dei figli, facendone adottare alcuni e abbandonando al loro destino tutti gli altri. A lei era andata anche troppo bene, all’età di cinque anni i servizi sociali l’avevano portata via da casa di Terry e l’avevano affidata alla famiglia Chat. I nuovi genitori, una coppia di cinquantenni che non era riuscita ad avere figli, l’aveva accolta a braccia aperte, educata con rigore, ma senza esagerare, e amata profondamente. Rose, così calma e posata, si chiedeva se la genetica esistesse. Cosa ne era dei geni “cattivi” di Terry, degli zii e dei nonni naturali? Era bastata una buona educazione per allontanarsi dai guai?

Dei suoi fratellastri non aveva mai avuto notizie direttamente, ma aveva visto spesso i loro nomi sulle cronache locali. Cheryl arrestata per rapina a mano armata tre anni prima, Mary arrestata per spaccio di droga, il cugino Dane messo in prigione per omicidio, Krystal suicidata con una dose di eroina e infine Robbie, che a soli tre anni era stato lasciato solo a vagare sulle rive di un fiume. Una fitta di vergogna aveva appena fatto arrossire Rose, ormai a pochi metri dalla tomba di Terry.

 

Quella volta che dieci anni prima era andata a Bellchapel era poco più che una ragazzina. All’entrata aveva chiesto di vedere la signora Lux, e in pochi minuti una bella trentenne, capelli a spazzola corvini e abito rosso a fiori bianchi, l’aveva stretta caldamente «Allora sei venuta, Rosamunde Chat!». Sembrava la aspettasse da giorni. In fondo era passata solo una settimana dalla sua lettera.

«Sì, sono io. Sto cercando mia madre, Terry. Non penso che sappia che sto arrivando» aveva detto Rose con una certa sicurezza, senza che il tremore delle gambe la tradisse.

«No, non lo sa che sei qui. Ci sperava, ma è una donna molto pessimista e arrendevole. Non che non abbia i numeri per uscire dalle sue dipendenze, ovvio. Però..».

Rose aveva smesso di ascoltarla. Si era voltata a guardare il corridoio bianco, asettico, illuminato con le luci al neon. Un paio di infermiere vagavano per quello spazio senza tregua, trafficando con le cartelle cliniche. Da quel corridoio di affacciava almeno una decina di porte. In una di quelle, forse…

«Va bene, Rosie, andiamo!» la psicoterapeuta le aveva appoggiato una mano sulla spalla, e l’aveva spinta verso quel corridoio.

L’incontro con Terry, nello studio di Katherine Lux, era stato molto più che deludente. Quasi macabro. Rose era seduta su una poltroncina, dietro un tavolo basso, in una stanza che voleva ricordare un salotto di casa. Davanti a lei sedeva la madre naturale, capelli scombinati, maglietta fucsia e un piccolo livido sul braccio. «Ciao, cara, come stai?» l’aveva salutata Terry mentre si sedeva faticamente su un’altra poltrona. Rose aveva scrollato le spalle. Per il resto della seduta – perché di questo si trattava – aveva a malapena parlato. Probabilmente Terry si era anche scordata che lei esistesse. L’idea dell’incontro doveva essere venuta al Centro Bellchapel. Le gambe le continuavano a tremare per la tensione, ma la trepidazione che aveva provato per le strade di Pagford si era trasformata in disgusto. Come poteva essere imparentata con quel soggetto, così trasandato e assente? Come aveva fatto sua madre, Terry, ad abbandonare tutti i figli per l’eroina? Come aveva fatto a scegliere l’eroina?

 

Ma ora erano passati dieci anni, e il risentimento era svanito. Per Terry, morta di attacco cardiaco due anni prima, provava solo pena. Non aveva vissuto, la sua esistenza era stata un vegetare passivo. Aveva assistito alla nascita e alla morte dei suoi figli anestetizzata dalle droghe, probabilmente non aveva neanche mai sofferto davvero.

La tomba di Terry si trovava all’inizio del campo B, tra i pagfordiani e gli yarviliani morti negli ultimi dieci anni. La sua lapide era ingrigita dal tempo e poco curata. Rose si accucciò e cominciò a grattarla con una spugna. Le passate vigorose su quella lapide incisa erano un gesto liberatorio. La distraevano dalla desolazione di Evergreen, dove i suoi fratellastri, Krystal e Robbie, erano seppelliti, e le facevano dimenticare quanto fosse triste che Terry non avesse nessuno, oltre a lei, a portarle dei fiori al cimitero.

Sistemata la lapide, Rose si rimise in piedi. Sospirò, e come sempre si rimise sui suoi passi, verso l’uscita del cimitero. Passando per le stradine ciottolate di Evergreen non poteva far a meno di leggere le lapidi più fiorite. Mary Green, morta a Pagford nel 2005, amava i crisantemi; Louise Flight, morta a Yarville nel 2002, adorava i girasoli; Andrew Packmann, nato a Manchester, ma morto a Yarville nel 2010, sembrava tifare il Real Madrid dalla quantità di sciarpe lasciate sulla sua tomba.

Piano piano Rose aveva diminuito il passo fino a fermarsi. Che ne era di Robbie? Quella povera creatura era stata un’altra vittima delle distrazioni di Terry e di Krystal, che stava calcando le orme di sua madre. Si guardò intorno, e cercò la zona più crudele di Evergreen, quella dei piccoli innocenti. Il campo C era per metà occupato da tombe ricoperte di fiori e giocattoli. C’erano molti piccoli uomini in quella fetta di cimitero, alcuni addirittura neonati, a cui avevano fatto appena in tempo a dare il nome e a fare una fotografia, e poi si erano spenti per qualche motivo.

Dopo aver passato in rassegna i nomi di quei bambini, rimaneva ancora una fila di tombe, le ultime prima che il cimitero si chiudesse con uno spesso muro di mattoni. Un rumore distrasse Rose, e le fece sollevare lo sguardo. Solo ora si accorgeva di un giovane, più o meno della sua stessa età, alto e biondo. Aveva i capelli un po’ lunghi, che gli cadevano sugli occhi. Portava un piumino con il cappuccio di pelo, aperto davanti, beige scuro. Ai piedi, un paio di Timberland, con cui stava schiacciando il mozzicone di una sigaretta ancora fumante. Il ragazzo era proprio davanti alla tomba di Robbie. «Salve» azzardò Rose. Lui fece un cenno del capo, bofonchiò qualcosa e, ancora con una rosa rossa in mano si allontanò, diretto verso l’uscita. Rose aggrottò le sopracciglia. «Ma cosa…?». Scrollò le spalle, e tornò a concentrarsi sul piccolo tumulo di terra che copriva Robbie. Si accucciò, e fu felice che quel suo primo incontro con il fratellastro, mai incontrato, non fosse crudo come quello con Terry. Sulla tomba di Robbie, pulita e ben tenuta, era posata una rosa bianca, bianco perdono. Rose passò una mano su quel fiore vellutato, e notò con piacere che era fresca, tagliata da poco. Si risollevò sulle gambe, e con un sospiro riprese il sentiero di ciottoli che portava all’uscita. L’aria di quel pomeriggio di Gennaio cominciava a raffreddarsi. Erano solo le quattro, ma il sole stava già calando all’orizzonte, lasciandosi dietro un’ombra scura di freddo. Con le mani in tasca, Rose oltrepassò il cancello di ferro, e svoltò verso sinistra. Un rombo di motore la fece rallentare. Davanti a lei quella macchina grigia decappottabile stava ripartendo con il ragazzo biondo alla guida. Si lanciarono uno sguardo, poi lui ripartì a gran velocità giù per la collina. 

  
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