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Autore: Akemi_Kaires    02/01/2013    2 recensioni
{Gender Bender!Dragonshipping; Male!Sandra/Female!Lance}
«Ma non senti freddo, San?» domandò ingenuamente la Campionessa, mentre indicava con leggero imbarazzo il torace nudo del ragazzo. Le guance di entrambi si velarono istintivamente di rosso, non appena il giovane guerriero dai capelli azzurri si accorse del suo stato decisamente impresentabile.
«Mi stavo allenando» rispose con una punta di stizza l’altro, sviando lo sguardo della cugina. Con un cenno di mano, richiamò a sé tutta la sua squadra, intenta fino ad allora ad osservare con curiosità i due mentre parlavano. Li fece rientrare nelle ball uno ad uno, per poi allacciare le sfere alla cintola. «Sei venuta proprio quando stavo per smettere. Hai un tempismo dannatamente perfetto, guastafeste».
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lance, Sandra
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Gender Bender | Contesto: Videogioco
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Ho l’impressione che qualcuno, dopo aver letto questa shot, mi picchierà. L’idea malsana di scrivere una cosa simile è nata all’una di stamattina, dopo aver parlato con due pazze furiose (Marita e tiziaarandom), quindi non domandatevi il perché abbia scritto una cosa simile. È la mia prima fic dell’anno, è una Dragon ed è pure Gender Bender (EVVIVA!). Difatti, quello che vedete nell’icon qui accanto SAREBBE (anche se non sembra, infatti) Sandro. Volevo mettere l’icon di Lancelle, ma faceva pietà. Quindi, sorbitevi il bel (Wtf…?) Domadraghi. Inizialmente avevo intenzione di fare una flash fluff di 500 parole, ma alla fine sono riuscita a scrivere questa one shot introspettiva-fluff di 4 pagine. Bello, vero? Detto questo, mi auguro che questa shot sia di vostro gradimento. Buona lettura!

 

Certe Notti

Dragonshipping

 

 

Come da consuetudine, aveva trascorso l’intera serata immerso nelle tenebre della Tana del Drago, allenandosi strenuamente pur di raggiungere il suo obbiettivo. A fargli compagnia, solo il rumore del suo respiro affannato e il martellare irregolare del suo cuore. Sandro chiuse gli occhi, nel tentativo di riacquistare la calma e le energie necessarie per continuare il suo quotidiano allenamento extra.

La grotta era deserta. Tutti i Domadraghi giacevano dormienti nei loro letti, per riposarsi in previsione dello spossante domani. Solo il Capopalestra si trovava in quel luogo sacro, intento in un combattimento corpo a corpo con la sua fedele squadra.

Sollevò le palpebre improvvisamente e scattò di lato, appena in tempo per evitare un’Idropompa del suo Kingdra. Ormai si era esercitato con i suoi compagni così tanto da poter prevedere ogni loro mossa e da riuscire a eluderla di conseguenza. Eppure, non pareva ancora soddisfatto dei suoi eccellenti risultati. Doveva impegnarsi di più, se voleva diventare il degno successore dell’attuale Maestro Drago. L’unico modo per affinare al meglio le sue capacità e acquisire più potenza era impiegare tutto se stesso negli allenamenti fino a consumarsi, anche a costo di stancare eccessivamente il suo fisico.

Chi credeva che lo facesse solo per diventare una memorabile guida per Ebanopoli, in parte sbagliava. Sebbene il suo addestramento sembrasse un masochistico mezzo giustificabile da un nobile fine, in realtà si trattava di una ricerca morbosa della perfezione.

Tuttavia, per quanto si sforzasse, il suo traguardo assumeva sempre più le sembianze di un sogno effimero e fugace. Nei momenti in cui se ne rendeva conto, le energie lo abbandonavano improvvisamente, lasciandolo quasi privo di vita.

Nonostante l’orgoglio gli imponesse di ignorare quei pensieri, di rialzarsi e di combattere, Sandro prendeva sempre più coscienza delle sue debolezze e più se ne capacitava, più aveva l’impressione di cadere nell’oscuro baratro dello sconforto.

La voce della verità non lo risparmiò neanche quell’oggi. Tuonò imponente nella sua mente, assordandolo e costringendolo a scivolare a terra: Per quanto ti impegni, ci sarà sempre qualcuno in grado di metterti al tappeto. Ti sconfiggerà, ti umilierà, ti mostrerà che non vali nulla!, urlava a gran voce.

Lancelle. Quel nome si impossessò brutalmente dei suoi pensieri, obbligandolo a rievocare ricordi spiacevoli e dolorosi. Il giovane dai capelli azzurri digrignò i denti, mentre cercava invano di scacciarli. Per quanto opponesse resistenza, quei frammenti di passato dal sapore agrodolce e dal retrogusto amaro cercavano di trascinarlo nella follia.

 

L’esito di quella battaglia era da dirsi scontato. Ormai quel duello era giunto alla fine e tutti gli spettatori erano convinti di sapere chi ne sarebbe uscito vinto e chi vincitore.

Sandro curvò le labbra in un ghigno beffardo, mentre scambiava uno sguardo d’intesa con il suo Kingdra in piena salute. Sicuro di sé come mai era stato, additò la Dragonite in fin di vita che giaceva nell’altra metà del campo, pronto ad ordinare l’attacco finale in grado di sconfiggerla definitivamente.

La folla che circondava i due sfidanti chiamava a gran voce il nome del suo Capopalestra, reclamando la sua vittoria e incitandolo a porre fine a quell’inutile duello. All’udire quelle urla cariche di emozione, l’adrenalina prese a scorrere nelle sue vene, infondendo nuova energia nel suo corpo.

Come sempre, straccare gli avversarsi gli donava un senso di appagamento senza pari. Gustava il loro terrore come nettare prelibato e apprezzava la loro delusione come se fosse la più alta qualità di un vino pregiato. Amava visceralmente percepire l’odio profondo che questi nutrivano nei suoi confronti, poiché non questo non faceva altro che alimentare il suo ego smisurato, e adorava scrutare i loro volti offuscati dall’ombra della tristezza.

Tuttavia, esisteva una categoria di quei pazzi esaltati che adorava più delle altre: quella dei rivali per nulla arrendevoli, che avrebbero combattuto fino allo stremo pur di ottenere la tanto ambita Medaglia Levante. Per quanto li considerasse stolti senza alcuna speranza, traeva un certo godimento nel percepire la loro determinazione e la loro rabbia. Era proprio la loro ostinazione a servirgli su un piatto d’argento la succulenta possibilità di umiliarsi di fronte a un vasto pubblico.

Nelle iridi color miele di Lancelle, non lesse altro che una morbosa voglia di vincere. Nonostante la situazione drammatica, però, il volto della giovane non era deturpato da alcuna smorfia di dolore o ira, anzi. A differenza delle aspettative del suo avversario, la Domadraghi appariva fin troppo calma e serena, pur trovandosi in una condizione a dir poco critica.

Inutile dire quanto Sandro amasse gli sfidanti troppo sicuri di sé.

Non era la prima volta che si cimentavano in una sfida. Durante il loro viaggio di formazione – dove avevano sconfitto gli altri Capopalestra di Johto -, avevano duellato spesso per potersi allenare in previsione di sfide impegnative. Fino a quel momento, però, il ragazzo ne era sempre uscito vincitore.

Perché proprio in quel momento la giovane sperava di poter cambiare il corso del destino? Per quale motivo aveva smesso di credersi inferiore al suo compagno d’allenamento?

«Faresti meglio a ritirarti» la provocò il cugino, squadrandola dall’alto al basso con sufficienza. Incrociò le braccia al petto, sostenendo con fierezza lo sguardo di ghiaccio che l’altra gli aveva immediatamente scoccato. «Ti ricordo che io non ho mai perso fino ad ora. Approfitta della mia magnanimità e vattene, prima che ti sconfigga una volta per tutte».

«Al tuo posto, io comincerei a preoccuparmi» fu la replica dell’altra. L’Allenatrice dai capelli vermigli curvò le labbra in un sorriso speranzoso, per poi avvicinarsi alla sua Dragonite e accarezzarle la schiena squamosa. «Io credo nella mia squadra e so che insieme potremmo farcela. Quello che tu non vuoi capire, Sandro, è che non puoi contare solo sulla forza! Esistono tipi di armi ben peggiori, credimi, come la fiducia reciproca tra Allenatori e Pokèmon».

«Voi perdenti chiacchierate sempre troppo» sospirò il futuro Maestro Drago, scuotendo il capo con disappunto e facendo spallucce. Dopodiché, si mise in posizione di attacco, pronto a porre fine a quella che considerava una vera e propria pagliacciata. «Non vuoi riconoscere la sconfitta? Peggio per te. Kingdra, usa Iperraggio!».

«Contrastalo anche tu con Iperraggio, Dragonite! So che puoi farcela!» gridò immediatamente la sfidante, in un ultimo e disperato scongiuro.

Ciò che successe poco dopo, solo in pochi lo videro. A causa della potenza e del bagliore dei raggi lanciati da entrambi i Draghi, tutti gli spettatori furono così accecati da tale luminosità da non riuscire a seguire l’esito della battaglia. Solo i duellanti, a stento, riuscirono ad ammirare con i loro occhi ciò che accadde ai loro fedeli amici.

Sebbene nessuno fosse riuscito ad assistere all’evento, tutti si mostrarono stupiti allo stesso modo di fronte a ciò che videro non appena la battaglia si concluse.

Inspiegabilmente, entrambi i Pokèmon giacevano a terra, con le palpebre serrate e il corpo privo di energie. Ma solo uno di loro riuscì a rialzarsi, proclamando così il suo Allenatore vincitore.

E quel Pokèmon fu Dragonite.

 

Sdraiato sulla superficie umida del terreno roccioso, Sandro cedette alla tentazione di chiudere gli occhi e abbandonarsi al sonno. Nel torpore dei suoi sensi, l’immagine di Lancelle riemerse vivida nei suoi pensieri, senza concedergli alcuna tregua.

Il Capopalestra curvò le labbra in un sorriso rassegnato. Chissà come lei lo avrebbe giudicato, se lo avesse visto in quelle condizioni. Sicuramente lo avrebbe deriso, seppur con garbo, facendolo sentire un perdente ancor più di quanto già non fosse; oppure lo avrebbe compatito, trattandolo come un bambino piccolo alla disperata ricerca di attenzioni e comprensione. In entrambi due i casi, la Campionessa avrebbe dimostrato la sua netta superiorità.

Nonostante lo avesse umiliato dinnanzi a tutto il popolo di Ebanopoli, Sandro non riusciva a nutrire il dovuto odio nei suoi confronti. Per quanto desiderasse attribuirle la colpa della sua sconfitta, era conscio di essere stato proprio lui l’artefice della sua stessa disfatta. Dopotutto, era a causa sua se la sua squadra non era riuscita a rendere al meglio in quella battaglia; avrebbe dovuto essere meno sicuro di sé e non abbassare la guardia, invece di atteggiarsi in modo spavaldo come invece aveva fatto.

Nessuno gli aveva fatto pesare in alcun modo la sconfitta, neppure la Domadraghi stessa. Eppure lui non riusciva a scordare lo sguardo dispiaciuto che la cugina gli aveva riservato, una volta presa coscienza dell’esito della battaglia. Invece di essere felice per la sua vittoria, si era preoccupata per lui. Forse lo aveva fatto perché sicura che il cugino non si sarebbe mai perdonato un simile errore. Dopotutto, era stato sconfitto e pure compatito da una donna, che per giunta era anche sua cugina.

Esisteva qualcosa di più disonorevole?

Improvvisamente, l’eco lontana di passi leggeri sul suolo roccioso lo richiamò al presente. I muscoli del Capopalestra si tesero immediatamente, pronti a far scattare il corpo non appena lui l’avrebbe comandato. Si concentrò sul rumore di quella camminata, cercando di intuire a chi appartenesse.

Chi mai poteva addentrarsi nella Tana del Drago a così tardo orario, oltre a lui? Solo un pazzo masochista, oppure un malintenzionato.

Scattò in piedi, non appena percepì quella presenza inopportuna farsi sempre più vicina. Assunta istintivamente in posizione d’attacco, attese con impazienza l’arrivo del suo bersaglio, pronto ad colpirlo nel momento fatidico. Il dovere principale di un vero Maestro Drago era proteggere la sua patria anche a costo della vita: se qualcuno era intenzionato a infierire sul suo popolo, era obbligato a restituirgli il favore.

Tuttavia, non appena riuscì a distinguere il contorno della figura misteriosa, il mondo parve crollargli addosso in un tutta la sua pesantezza. Sbarrò gli occhi e smise di respirare, quando riconobbe chi aveva di fronte.

«Lancelle» mormorò in un soffio il giovane dai capelli azzurri, rilassandosi non appena la riconobbe. Rimase comunque sul chi vive, ancora incapace di credere di avere davvero davanti a sé la sua vecchia compagna di allenamento.

Molto probabilmente si trattava di un miraggio, di un mero scherzo giocato dalla sua mente provata. Era alquanto improbabile che la ragazza avesse lasciato l’Altopiano Blu per recarsi da lui, per giunta durante la notte. Quale motivo aveva, poi, per tornare ad Ebanopoli?

Eppure, nonostante fosse consapevole della possibilità che la cugina fosse in realtà una crudele illusione, si sforzò di credere che lei fosse davvero lì per lui.

«Sapevo di trovarti qui, San» esclamò gioviale la Campionessa in persona, non appena emerse dalle tenebre della grotta. Curvò istintivamente le labbra in un sorriso affettuoso, inclinando leggermente la testa di lato e facendo ondeggiare così i suoi capelli vermigli. «Non dovresti allenarti così tanto, sai? Finirai col farti male, se continui così».

In quel preciso istante, Sandro desiderò confidarle ogni cosa: per quale motivo si trovasse lì, perché continuasse ad allenarsi fino allo stremo, il fatto che non avesse dimenticato il giorno della loro ultima battaglia e quanto, nonostante detestasse ammetterlo, gli mancasse la sua presenza. Sebbene la tentazione di dar voce ai suoi pensieri fosse grande, fece affidamento a tutto il suo autocontrollo per non cedere all’invitante tentazione di farlo.

«Perché sei qui?» domandò infatti, cercando di sviare il discorso altrove. Incrociò le braccia al petto e, inarcando un sopracciglio, la squadrò con fare interrogativo. «Non dovresti essere a Kanto? A quest’ora, poi, dovresti dormire».

«Mi mancava l’aria di casa» confessò la Domadraghi, lasciandosi sfuggire una risatina divertita di fronte all’espressione incredula del cugino. «E poi è da così tanto tempo che non ci vediamo, che non riuscivo ad aspettare l’alba! Quanti anni sono passati dal nostro ultimo incontro? Due? Tre? Ormai ho perso il conto! Insomma, volevo vedere come stavi. Parlare sempre al Pokègear non fa bene».

Il Capopalestra si limitò a sospirare. Effettivamente, sebbene fossero trascorsi innumerevoli giorni dal loro “Arrivederci”, Lancelle non era cambiata affatto ed era rimasta la semplice Allenatrice di Pokèmon Drago che lui conosceva fin troppo bene. In quell’istante, però, il suo comportamento velatamente infantile e apparentemente superficiale non gli diede per nulla fastidio.

«Ma non senti freddo, San?» domandò ingenuamente la Campionessa, mentre indicava con leggero imbarazzo il torace nudo del ragazzo. Le guance di entrambi si velarono istintivamente di rosso, non appena il giovane guerriero dai capelli azzurri si accorse del suo stato decisamente impresentabile.

«Mi stavo allenando» rispose con una punta di stizza l’altro, sviando lo sguardo della cugina. Con un cenno di mano, richiamò a sé tutta la sua squadra, intenta fino ad allora ad osservare con curiosità i due mentre parlavano. Li fece rientrare nelle ball uno ad uno, per poi allacciare le sfere alla cintola. «Sei venuta proprio quando stavo per smettere. Hai un tempismo dannatamente perfetto, guastafeste».

In realtà, se non fosse arrivata, Sandro non avrebbe avuto alcuna intenzione di interrompere il suo addestramento. Quello era l’unico modo per permettergli raggiungerla, di poterla incontrare e sfidare nuovamente. Una volta pensatoci con la dovuta attenzione, il ragazzo constatò con sorpresa come la rivincita fosse in realtà un espediente per vedere ancora sua cugina. Per quanto quei pensieri fossero insolitamente intimi, non se ne vergognava affatto; dopotutto, aveva trascorso gran parte della sua vita con quella ragazza, perciò era logico che la reputasse una persona importante e degna di ricevere le sue attenzioni.

«Per quanto tempo hai intenzione di rimanere in paese?» domandò il futuro Maestro Drago, cercando di mascherare il suo timore, non appena valutata la possibilità che la Campionessa potesse andarsene improvvisamente da un momento all’altro.

«A proposito di questo volevo parlarti! Tu ti alleni troppo!» lo ammonì l’altra, scuotendo il capo con fare rassegnato e lasciandosi sfuggire l’ennesima risatina divertita. «Sei diventato così forte da non permettere a nessuno di sconfiggerti. Per colpa tua, dato che nessuno riesce a meritare la Medaglia Levante, nessuno può sfidare la Lega. Quindi significa che non ho nulla da fare, là».

Se solo avesse saputo che il Domadraghi si allenava non per restare imbattuto, ma per poterla sfidare, forse avrebbe smesso di ridere. Si trovava dinnanzi a quello che, in futuro, poteva essere un suo potenziale avversario. Tuttavia, in quel preciso istante, il ragazzo non desiderava indossare le vesti di Maestro Drago: voleva che la cugina lo guardasse per quello che realmente era, ossia quel cugino al quale era legata in modo speciale. Alla fine avrebbero trovato il tempo di regolare i conti, ma sarebbe stata un’altra storia.

«È una bella notizia» commentò ilare il Capopalestra, sfoderando un ghigno beffardo e guardandola con scherno. «Cercavo proprio una donna per le pulizie. Da quando te ne sei andata, la casa è in condizioni pessime. In più, c’è anche un mucchio di mie divise da lavare».

Detto ciò, il giovane uomo si avviò lentamente verso l’uscita della Tana del Drago, ignorando lo sguardo allibito e incredulo della sua vecchia compagna d’allenamento. Trascorsero pochi secondi, prima di trovarsi affiancato ed essere preso a braccetto da quest’ultima, pronta a rispondere per le rime alla sua provocazione.

«Questo significa che potrò cucinare tutti i giorni per te, esattamente come ai vecchi tempi?».

«Per l’amor del cielo, stai alla larga da quei benedetti fornelli».

 

 

Parla l’Autrice gusto cioccolata e panna:

Sandro e Lancelle mi ispirano tenerezza. Sono stata costretta a modificare l’IC originale dei personaggi, adattandolo al loro sesso, quindi non assicuro nulla riguardo la buona riuscita della shot. Però devo ammettere che questa storia mi piace. Sono soddisfatta di ciò che ho scritto, sebbene forse non sia perfetto. Il titolo, invece, l’ho scelto un po’ a random: ho messo il titolo della canzone di Ligabue Certe Notti, però la storia non c’entra molto con il testo della canzone. Il riferimento dei “fornelli” riguarda invece questa canzone (il fornellino. Immaginatevi Lance canta questa canzone). Detto questo, mi auguro che questa storia sia stata di vostro gradimento. Mi auguro di ricevere tante belle recensioni! A presto!

  
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