Ho l’impressione che qualcuno, dopo aver letto questa shot, mi
picchierà. L’idea malsana di scrivere una cosa simile è nata all’una di stamattina, dopo aver parlato
con due pazze furiose (Marita e tiziaarandom), quindi non domandatevi il perché
abbia scritto una cosa simile. È la mia
prima fic dell’anno, è una Dragon
ed è pure Gender Bender (EVVIVA!). Difatti, quello che vedete
nell’icon qui accanto SAREBBE (anche se non sembra, infatti) Sandro. Volevo mettere l’icon di Lancelle, ma faceva pietà. Quindi, sorbitevi
il bel (Wtf…?) Domadraghi. Inizialmente avevo intenzione di fare una flash fluff di 500 parole, ma alla fine
sono riuscita a scrivere questa one shot
introspettiva-fluff di 4 pagine. Bello, vero? Detto questo, mi auguro che
questa shot sia di vostro gradimento. Buona
lettura!
Certe Notti
Dragonshipping
Come
da consuetudine, aveva trascorso l’intera serata immerso nelle tenebre della
Tana del Drago, allenandosi strenuamente pur di raggiungere il suo obbiettivo.
A fargli compagnia, solo il rumore del suo respiro affannato e il martellare
irregolare del suo cuore. Sandro chiuse gli occhi, nel tentativo di
riacquistare la calma e le energie necessarie per continuare il suo quotidiano
allenamento extra.
La
grotta era deserta. Tutti i Domadraghi giacevano dormienti nei loro letti, per
riposarsi in previsione dello spossante domani. Solo il Capopalestra si trovava
in quel luogo sacro, intento in un combattimento corpo a corpo con la sua
fedele squadra.
Sollevò
le palpebre improvvisamente e scattò di lato, appena in tempo per evitare
un’Idropompa del suo Kingdra. Ormai si era esercitato con i suoi compagni così
tanto da poter prevedere ogni loro mossa e da riuscire a eluderla di
conseguenza. Eppure, non pareva ancora soddisfatto dei suoi eccellenti risultati.
Doveva impegnarsi di più, se voleva diventare il degno successore dell’attuale
Maestro Drago. L’unico modo per affinare al meglio le sue capacità e acquisire
più potenza era impiegare tutto se stesso negli allenamenti fino a consumarsi,
anche a costo di stancare eccessivamente il suo fisico.
Chi
credeva che lo facesse solo per diventare una memorabile guida per Ebanopoli,
in parte sbagliava. Sebbene il suo addestramento sembrasse un masochistico
mezzo giustificabile da un nobile fine, in realtà si trattava di una ricerca
morbosa della perfezione.
Tuttavia,
per quanto si sforzasse, il suo traguardo assumeva sempre più le sembianze di
un sogno effimero e fugace. Nei momenti in cui se ne rendeva conto, le energie
lo abbandonavano improvvisamente, lasciandolo quasi privo di vita.
Nonostante
l’orgoglio gli imponesse di ignorare quei pensieri, di rialzarsi e di
combattere, Sandro prendeva sempre più coscienza delle sue debolezze e più se
ne capacitava, più aveva l’impressione di cadere nell’oscuro baratro dello
sconforto.
La
voce della verità non lo risparmiò neanche quell’oggi. Tuonò imponente nella
sua mente, assordandolo e costringendolo a scivolare a terra: Per quanto ti impegni, ci sarà sempre
qualcuno in grado di metterti al tappeto. Ti sconfiggerà, ti umilierà, ti
mostrerà che non vali nulla!, urlava a gran voce.
Lancelle. Quel nome si
impossessò brutalmente dei suoi pensieri, obbligandolo a rievocare ricordi
spiacevoli e dolorosi. Il giovane dai capelli azzurri digrignò i denti, mentre
cercava invano di scacciarli. Per quanto opponesse resistenza, quei frammenti
di passato dal sapore agrodolce e dal retrogusto amaro cercavano di trascinarlo
nella follia.
L’esito di
quella battaglia era da dirsi scontato. Ormai quel duello era giunto alla fine
e tutti gli spettatori erano convinti di sapere chi ne sarebbe uscito vinto e
chi vincitore.
Sandro curvò le
labbra in un ghigno beffardo, mentre scambiava uno sguardo d’intesa con il suo
Kingdra in piena salute. Sicuro di sé come mai era stato, additò la Dragonite
in fin di vita che giaceva nell’altra metà del campo, pronto ad ordinare
l’attacco finale in grado di sconfiggerla definitivamente.
La folla che
circondava i due sfidanti chiamava a gran voce il nome del suo Capopalestra,
reclamando la sua vittoria e incitandolo a porre fine a quell’inutile duello.
All’udire quelle urla cariche di emozione, l’adrenalina prese a scorrere nelle
sue vene, infondendo nuova energia nel suo corpo.
Come sempre,
straccare gli avversarsi gli donava un senso di appagamento senza pari. Gustava
il loro terrore come nettare prelibato e apprezzava la loro delusione come se
fosse la più alta qualità di un vino pregiato. Amava visceralmente percepire
l’odio profondo che questi nutrivano nei suoi confronti, poiché non questo non
faceva altro che alimentare il suo ego smisurato, e adorava scrutare i loro
volti offuscati dall’ombra della tristezza.
Tuttavia,
esisteva una categoria di quei pazzi esaltati che adorava più delle altre: quella
dei rivali per nulla arrendevoli, che avrebbero combattuto fino allo stremo pur
di ottenere la tanto ambita Medaglia Levante. Per quanto li considerasse stolti
senza alcuna speranza, traeva un certo godimento nel percepire la loro
determinazione e la loro rabbia. Era proprio la loro ostinazione a servirgli su
un piatto d’argento la succulenta possibilità di umiliarsi di fronte a un vasto
pubblico.
Nelle iridi
color miele di Lancelle, non lesse altro che una morbosa voglia di vincere.
Nonostante la situazione drammatica, però, il volto della giovane non era
deturpato da alcuna smorfia di dolore o ira, anzi. A differenza delle
aspettative del suo avversario, la Domadraghi appariva fin troppo calma e
serena, pur trovandosi in una condizione a dir poco critica.
Inutile dire
quanto Sandro amasse gli sfidanti troppo sicuri di sé.
Non era la prima
volta che si cimentavano in una sfida. Durante il loro viaggio di formazione –
dove avevano sconfitto gli altri Capopalestra di Johto -, avevano duellato
spesso per potersi allenare in previsione di sfide impegnative. Fino a quel
momento, però, il ragazzo ne era sempre uscito vincitore.
Perché proprio
in quel momento la giovane sperava di poter cambiare il corso del destino? Per
quale motivo aveva smesso di credersi inferiore al suo compagno d’allenamento?
«Faresti meglio
a ritirarti» la provocò il cugino, squadrandola dall’alto al basso con
sufficienza. Incrociò le braccia al petto, sostenendo con fierezza lo sguardo
di ghiaccio che l’altra gli aveva immediatamente scoccato. «Ti ricordo che io
non ho mai perso fino ad ora. Approfitta della mia magnanimità e vattene, prima
che ti sconfigga una volta per tutte».
«Al tuo posto,
io comincerei a preoccuparmi» fu la replica dell’altra. L’Allenatrice dai
capelli vermigli curvò le labbra in un sorriso speranzoso, per poi avvicinarsi
alla sua Dragonite e accarezzarle la schiena squamosa. «Io credo nella mia
squadra e so che insieme potremmo farcela. Quello che tu non vuoi capire,
Sandro, è che non puoi contare solo sulla forza! Esistono tipi di armi ben
peggiori, credimi, come la fiducia reciproca tra Allenatori e Pokèmon».
«Voi perdenti
chiacchierate sempre troppo» sospirò il futuro Maestro Drago, scuotendo il capo
con disappunto e facendo spallucce. Dopodiché, si mise in posizione di attacco,
pronto a porre fine a quella che considerava una vera e propria pagliacciata. «Non
vuoi riconoscere la sconfitta? Peggio per te. Kingdra, usa Iperraggio!».
«Contrastalo anche
tu con Iperraggio, Dragonite! So che puoi farcela!» gridò immediatamente la
sfidante, in un ultimo e disperato scongiuro.
Ciò che successe
poco dopo, solo in pochi lo videro. A causa della potenza e del bagliore dei
raggi lanciati da entrambi i Draghi, tutti gli spettatori furono così accecati
da tale luminosità da non riuscire a seguire l’esito della battaglia. Solo i duellanti,
a stento, riuscirono ad ammirare con i loro occhi ciò che accadde ai loro
fedeli amici.
Sebbene nessuno
fosse riuscito ad assistere all’evento, tutti si mostrarono stupiti allo stesso
modo di fronte a ciò che videro non appena la battaglia si concluse.
Inspiegabilmente,
entrambi i Pokèmon giacevano a terra, con le palpebre serrate e il corpo privo
di energie. Ma solo uno di loro riuscì a rialzarsi, proclamando così il suo
Allenatore vincitore.
E quel Pokèmon
fu Dragonite.
Sdraiato
sulla superficie umida del terreno roccioso, Sandro cedette alla tentazione di
chiudere gli occhi e abbandonarsi al sonno. Nel torpore dei suoi sensi,
l’immagine di Lancelle riemerse vivida nei suoi pensieri, senza concedergli
alcuna tregua.
Il
Capopalestra curvò le labbra in un sorriso rassegnato. Chissà come lei lo
avrebbe giudicato, se lo avesse visto in quelle condizioni. Sicuramente lo
avrebbe deriso, seppur con garbo, facendolo sentire un perdente ancor più di
quanto già non fosse; oppure lo avrebbe compatito, trattandolo come un bambino
piccolo alla disperata ricerca di attenzioni e comprensione. In entrambi due i
casi, la Campionessa avrebbe dimostrato la sua netta superiorità.
Nonostante
lo avesse umiliato dinnanzi a tutto il popolo di Ebanopoli, Sandro non riusciva
a nutrire il dovuto odio nei suoi confronti. Per quanto desiderasse attribuirle
la colpa della sua sconfitta, era conscio di essere stato proprio lui
l’artefice della sua stessa disfatta. Dopotutto, era a causa sua se la sua
squadra non era riuscita a rendere al meglio in quella battaglia; avrebbe
dovuto essere meno sicuro di sé e non abbassare la guardia, invece di
atteggiarsi in modo spavaldo come invece aveva fatto.
Nessuno
gli aveva fatto pesare in alcun modo la sconfitta, neppure la Domadraghi
stessa. Eppure lui non riusciva a scordare lo sguardo dispiaciuto che la cugina
gli aveva riservato, una volta presa coscienza dell’esito della battaglia.
Invece di essere felice per la sua vittoria, si era preoccupata per lui. Forse
lo aveva fatto perché sicura che il cugino non si sarebbe mai perdonato un
simile errore. Dopotutto, era stato sconfitto e pure compatito da una donna,
che per giunta era anche sua cugina.
Esisteva
qualcosa di più disonorevole?
Improvvisamente,
l’eco lontana di passi leggeri sul suolo roccioso lo richiamò al presente. I
muscoli del Capopalestra si tesero immediatamente, pronti a far scattare il
corpo non appena lui l’avrebbe comandato. Si concentrò sul rumore di quella
camminata, cercando di intuire a chi appartenesse.
Chi
mai poteva addentrarsi nella Tana del Drago a così tardo orario, oltre a lui?
Solo un pazzo masochista, oppure un malintenzionato.
Scattò
in piedi, non appena percepì quella presenza inopportuna farsi sempre più
vicina. Assunta istintivamente in posizione d’attacco, attese con impazienza
l’arrivo del suo bersaglio, pronto ad colpirlo nel momento fatidico. Il dovere
principale di un vero Maestro Drago era proteggere la sua patria anche a costo
della vita: se qualcuno era intenzionato a infierire sul suo popolo, era
obbligato a restituirgli il favore.
Tuttavia,
non appena riuscì a distinguere il contorno della figura misteriosa, il mondo
parve crollargli addosso in un tutta la sua pesantezza. Sbarrò gli occhi e
smise di respirare, quando riconobbe chi aveva di fronte.
«Lancelle»
mormorò in un soffio il giovane dai capelli azzurri, rilassandosi non appena la
riconobbe. Rimase comunque sul chi vive, ancora incapace di credere di avere
davvero davanti a sé la sua vecchia compagna di allenamento.
Molto
probabilmente si trattava di un miraggio, di un mero scherzo giocato dalla sua
mente provata. Era alquanto improbabile che la ragazza avesse lasciato
l’Altopiano Blu per recarsi da lui, per giunta durante la notte. Quale motivo
aveva, poi, per tornare ad Ebanopoli?
Eppure,
nonostante fosse consapevole della possibilità che la cugina fosse in realtà
una crudele illusione, si sforzò di credere che lei fosse davvero lì per lui.
«Sapevo
di trovarti qui, San» esclamò gioviale la Campionessa in persona, non appena
emerse dalle tenebre della grotta. Curvò istintivamente le labbra in un sorriso
affettuoso, inclinando leggermente la testa di lato e facendo ondeggiare così i
suoi capelli vermigli. «Non dovresti allenarti così tanto, sai? Finirai col
farti male, se continui così».
In
quel preciso istante, Sandro desiderò confidarle ogni cosa: per quale motivo si
trovasse lì, perché continuasse ad allenarsi fino allo stremo, il fatto che non
avesse dimenticato il giorno della loro ultima battaglia e quanto, nonostante
detestasse ammetterlo, gli mancasse la sua presenza. Sebbene la tentazione di
dar voce ai suoi pensieri fosse grande, fece affidamento a tutto il suo
autocontrollo per non cedere all’invitante tentazione di farlo.
«Perché
sei qui?» domandò infatti, cercando di sviare il discorso altrove. Incrociò le
braccia al petto e, inarcando un sopracciglio, la squadrò con fare
interrogativo. «Non dovresti essere a Kanto? A quest’ora, poi, dovresti
dormire».
«Mi
mancava l’aria di casa» confessò la Domadraghi, lasciandosi sfuggire una
risatina divertita di fronte all’espressione incredula del cugino. «E poi è da
così tanto tempo che non ci vediamo, che non riuscivo ad aspettare l’alba!
Quanti anni sono passati dal nostro ultimo incontro? Due? Tre? Ormai ho perso
il conto! Insomma, volevo vedere come stavi. Parlare sempre al Pokègear non fa
bene».
Il
Capopalestra si limitò a sospirare. Effettivamente, sebbene fossero trascorsi
innumerevoli giorni dal loro “Arrivederci”, Lancelle non era cambiata affatto
ed era rimasta la semplice Allenatrice di Pokèmon Drago che lui conosceva fin
troppo bene. In quell’istante, però, il suo comportamento velatamente infantile
e apparentemente superficiale non gli diede per nulla fastidio.
«Ma
non senti freddo, San?» domandò ingenuamente la Campionessa, mentre indicava
con leggero imbarazzo il torace nudo del ragazzo. Le guance di entrambi si
velarono istintivamente di rosso, non appena il giovane guerriero dai capelli
azzurri si accorse del suo stato decisamente impresentabile.
«Mi
stavo allenando» rispose con una punta di stizza l’altro, sviando lo sguardo
della cugina. Con un cenno di mano, richiamò a sé tutta la sua squadra, intenta
fino ad allora ad osservare con curiosità i due mentre parlavano. Li fece
rientrare nelle ball uno ad uno, per poi allacciare le sfere alla cintola.
«Sei venuta proprio quando stavo per smettere. Hai un tempismo dannatamente
perfetto, guastafeste».
In
realtà, se non fosse arrivata, Sandro non avrebbe avuto alcuna intenzione di
interrompere il suo addestramento. Quello era l’unico modo per permettergli
raggiungerla, di poterla incontrare e sfidare nuovamente. Una volta pensatoci
con la dovuta attenzione, il ragazzo constatò con sorpresa come la rivincita
fosse in realtà un espediente per vedere ancora sua cugina. Per quanto quei
pensieri fossero insolitamente intimi, non se ne vergognava affatto; dopotutto,
aveva trascorso gran parte della sua vita con quella ragazza, perciò era logico
che la reputasse una persona importante e degna di ricevere le sue attenzioni.
«Per
quanto tempo hai intenzione di rimanere in paese?» domandò il futuro Maestro
Drago, cercando di mascherare il suo timore, non appena valutata la possibilità
che la Campionessa potesse andarsene improvvisamente da un momento all’altro.
«A
proposito di questo volevo parlarti! Tu ti alleni troppo!» lo ammonì l’altra,
scuotendo il capo con fare rassegnato e lasciandosi sfuggire l’ennesima
risatina divertita. «Sei diventato così forte da non permettere a nessuno di
sconfiggerti. Per colpa tua, dato che nessuno riesce a meritare la Medaglia
Levante, nessuno può sfidare la Lega. Quindi significa che non ho nulla da
fare, là».
Se
solo avesse saputo che il Domadraghi si allenava non per restare imbattuto, ma
per poterla sfidare, forse avrebbe smesso di ridere. Si trovava dinnanzi a
quello che, in futuro, poteva essere un suo potenziale avversario. Tuttavia, in
quel preciso istante, il ragazzo non desiderava indossare le vesti di Maestro
Drago: voleva che la cugina lo guardasse per quello che realmente era, ossia
quel cugino al quale era legata in modo speciale. Alla fine avrebbero trovato
il tempo di regolare i conti, ma sarebbe stata un’altra storia.
«È
una bella notizia» commentò ilare il Capopalestra, sfoderando un ghigno
beffardo e guardandola con scherno. «Cercavo proprio una donna per le pulizie. Da
quando te ne sei andata, la casa è in condizioni pessime. In più, c’è anche un
mucchio di mie divise da lavare».
Detto
ciò, il giovane uomo si avviò lentamente verso l’uscita della Tana del Drago,
ignorando lo sguardo allibito e incredulo della sua vecchia compagna
d’allenamento. Trascorsero pochi secondi, prima di trovarsi affiancato ed
essere preso a braccetto da quest’ultima, pronta a rispondere per le rime alla
sua provocazione.
«Questo
significa che potrò cucinare tutti i giorni per te, esattamente come ai vecchi
tempi?».
«Per
l’amor del cielo, stai alla larga da quei benedetti fornelli».
Parla l’Autrice gusto
cioccolata e panna:
Sandro
e Lancelle mi ispirano tenerezza. Sono stata costretta a modificare l’IC originale dei
personaggi, adattandolo al loro sesso, quindi non assicuro nulla riguardo la buona
riuscita della shot. Però devo ammettere che
questa storia mi piace. Sono
soddisfatta di ciò che ho scritto, sebbene forse non sia perfetto.
Il titolo, invece, l’ho scelto un po’ a random: ho messo il titolo
della canzone di Ligabue Certe Notti,
però la storia non c’entra molto con il testo della canzone. Il riferimento dei
“fornelli” riguarda invece questa
canzone (il fornellino. Immaginatevi
Lance canta questa canzone). Detto questo, mi auguro che questa storia sia
stata di vostro gradimento. Mi auguro di ricevere tante belle recensioni! A presto!