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Autore: MimiRyuugu    03/01/2013    3 recensioni
"Non posso disubbidire a Elisea. Senza di lei probabilmente sarei su una strada puzzolente a fare a graffi per uno scarto di cibo con i miei coetanei. Oh che sbadato che sono! Sarò annebbiato dal pranzo troppo abbondante. Non mi sono nemmeno presentato! Chiedo perdono. Il mio nome è Dante. Esatto, sono un gatto e mi chiamo Dante."
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonsaaaalve *-*
ebbene si, mi sono decisa a pubblicare anche questo racconto che, con il resto di ciò che pubblico di solito, non ci azzecca nulla. Però è il racconto che ho mandato al concorso "500 Storie d'Autunno" per il Nanowrimo di Novembre 2012. è stato indetto (come ogni anno) dal Reader's Bench in collaborazione con il canale Prismatic310 (di cui la stimata Fede è youtuber e giudice del concorso). Non ho vinto, ma sono stata felice di partecipare e far leggere qualcosa di mio alla giurata, che è una persona che stimo assai. Il tema era libero e io mi sono gettata a capofitto in quest'idea strampalata. è piuttosto elementare rispetto a ciò in cui mi imbarco di solito, però non mi sembra così brutto.

Dopo questa lunghiiiiisssima premessa, vi lascio alla storia :3
Buona lettura <3


Occhi di Gatto
 

Sono in salotto. Me ne sto comodamente accoccolato sul divano, fra le coperte. Ogni tanto il mio sguardo si posa sulla portafinestra del salotto. Fuori il vento impazza e fa volare le foglie oramai staccate dagli alberi. È autunno oramai e la temperatura è gelida. Non mi azzardo nemmeno a pensare di uscire, anche se ho già il mio pelo per la stagione fredda. Agli umani piace tanto quando sono così gonfio. Si divertono a farmi rotolare e ad accarezzarmi. Non sono particolarmente schizzinoso riguardo ai contatti con loro. Quei buffi esseri che mutano la voce in tua presenza. Certe volte mi scappa uno sguardo da “sai che ho più anni di te? È inutile che fai quel gridolino isterico”. Tanto so che non tutti ci arrivano. Gli unici umani con cui ho difficoltà a essere ben disposto sono i cuccioli. Certi sono davvero insopportabili. Come il marmocchio dell’appartamento quattro, secondo piano. È un bimbo grassottello con la bocca sempre sporca di cioccolato. E dire che la madre è smilza e dai tratti sembra anche un po’ un gatto siamese. Viso lungo, occhietti che ti scrutano. Ecco, il figlio è qualcosa di incredibilmente irritante. Appena mi vede mi corre incontro, incespicando nelle stringhe delle sue scarpe (che a dieci anni ancora non sa allacciarsi decentemente). Poi purtroppo mi raggiunge e inizia a soffocarmi con le sue carezze. Un po’ di delicatezza per l’erba gatta! Sono un essere vivente, non un pupazzetto da schiacciare. Gli graffierei molto volentieri quel visino paffutello. Però ho promesso a Elisea che non avrei fatto danni, o almeno non all’interno delle mura del condominio. È la sacra promessa infrangibile. Non posso disubbidire a Elisea. Senza di lei probabilmente sarei su una strada puzzolente a fare a graffi per uno scarto di cibo con i miei coetanei. Oh che sbadato che sono! Sarò annebbiato dal pranzo troppo abbondante. Non mi sono nemmeno presentato! Chiedo perdono. Il mio nome è Dante. Esatto, sono un gatto e mi chiamo Dante. Fortunatamente sono anche stato salvato dalla maledizione per cui metà degli animali domestici sono vittima di sciocchi nomi da parte dei padroni. Avrei potuto essere un Fufi, Pallino, Pinky o addirittura un Chicco. Invece la mia padrona è stata clemente e mi ha degnato di un nome importante. Perché anche se sembra strano che io lo sappia, conosco l’uomo da cui è stato preso il nome che porto. Dante Alighieri, una delle personalità più importanti della letteratura italiana. Lo so perché la mia padrona si premura di tenermi informato di tutto. E no, non è una vecchia pazza che passa le ore parlando con un gatto. Bhe, in effetti, ore parlando con me Elisea ne passa. Solo che lei è una studentessa e quindi a qualcuno dovrà pur ripetere ciò che studia no? Insomma, Elisea è la mia padrona. O gatto-salvatrice. O ancora la mia coinquilina. Non mi piace l’appellativo “padrona”, però rende bene l’idea di che cosa ha fatto lei per me quando ero solo un micio sperduto. Ovviamente non parlo la lingua degli umani, ma nonostante ciò io e lei ci intendiamo alla grande. È una ragazza giovane, sulla ventina d’anni umani. Ha i capelli lunghi e lisci, del colore del legno chiaro. Ed i suoi occhi. Miao, se fosse stata una gatta me ne sarei innamorato perdutamente. Gli occhi più limpidi che abbia mai visto, d’un azzurro da togliere il fiato. Belli quasi quanto i miei oserei aggiungere. Ha un ciuffo ribelle in mezzo alla fronte ed è costantemente impegnata a litigare con un paio d’occhiali dalla montatura fine, che le scivolano sulla punta del naso. È piuttosto gracilina però ben bilanciata nel suo metro e settanta. Non era così quando l’ho incontrata la prima volta. Era anni e anni fa. Io ero solo un gattino vagabondo, senza mamma e senza fratelli. Era una giornata di pioggia e nessuno badava a un piccolo batuffolo bianco in mezzo al marciapiede. Tutti troppo occupati a correre verso un riparo, inveendo contro le gocce battenti. Rischiai di essere schiacciato da quei frettolosi piedi molte volte. Non mangiavo da giorni e oramai ero arreso ad una morte certa per fame. Senza contare il clima che in quei giorni faceva letteralmente schifo. Poi d’improvviso mi sentii al caldo. Una mano si era posata sulla mia testolina. Quando alzai gli occhi al cielo la vidi. Una ragazzina dagli occhi dello stesso colore della pioggia che mi stava infreddolendo da ore. “Ma che ci fai qui piccolino? Come sei magro…” mi aveva detto. Sembrava perfino preoccupata. Elisea tentò di tirarmi su con una mano sola (l’altra teneva l’ombrello) e io la morsi perché mi lasciasse andare. Non avevo bisogno dell’aiuto di una sporca umana che mi avrebbe donato solo sguardi compassionevoli. Però con lei non fu così. Nonostante le mie proteste mi infilò sotto il suo giaccone. Al caldo. Una volta al buio mi addormentai senza fare storie. Ero debole. E quando mi svegliai mi trovai in un morbido asciugamano. Il mio pelo era asciutto e sul pavimento qualche metro in la c’era una ciotola di latte fumante. Mi guardai in giro stranito per un paio di minuti. Finché la vidi tornare. Mi ricordo ancora che Elisea aveva i capelli legati in due codini bassi. Sembrava davvero più piccola, struccata e in tuta da casa. “Lo so che hai fame, purtroppo ho solo croccantini per gatti adulti…spero che tu riesca a mangiarli…” aveva esordito. Versandone un po’ in una ciotola. Annusai diffidente. Ero allenato a captare l’odore pungente del veleno o della candeggina. Eppure non sentii nulla. Così sconfitto dalla fame iniziai a mangiare. E non mi importava se fossero troppo duri, era cibo. E per me in quel momento il cibo era sacro. Così capii che Elisea non era una minaccia. Sua madre si dimostrò un po’ meno comprensiva. Avevano già un gatto adulto in casa, per cui un piccolino comportava responsabilità. Riguardo all’altro gatto mi tennero lontano da lui per i primi giorni. Io me lo immaginavo come un mostro pronto ad azzannarmi alla prima occasione. Quando però Elisea aprì la camera da letto dei suoi genitori, ne rimasi estasiato. Beatrice era una gatta soriana. Dal pelo arancione con striature marroni. Occhi gialli come fari nella notte. All’inizio il pelo le si rizzò e sentii tutta la sua ostilità. Senza pensarci nemmeno Elisea si chinò e le fece una carezza. “Lui è Dante…ha sofferto tanto, per cui mi aspetto che tu lo accolga bene…sei più vecchia e più saggia, quindi mi aspetto che tu capisca Bea…” le sussurrò. La gatta sembrò calmarsi. L’umana ci lasciò da soli a scrutarci. “E così tu saresti il mio Dante eh? Ti aspettavo più grande e più bello…” mi punzecchiò subito. Io cercai di rizzarmi a sedere, tenendo la testa alta. Anche se il mio istinto di cucciolo mi imponeva di correre verso di lei e giocare con la sua lunga coda. “A quanto pare dovremo convivere…io sono Beatrice, vivo qui da molti anni oramai…sono la gatta da compagnia della madre di Elisea, per cui lei puoi averla tutta per te…” continuò a dire. Avvicinandosi sempre di più. Fece un giro intorno a me analizzandomi. “Mezzosangue eh?” ghignò quasi. Io la fulminai con lo sguardo. “Sono soriano anche io!” le miagolai di rimando. Con quella punta di orgoglio da cucciolo ferito. “Solo per metà…l’altra metà?” mi chiese. Ancora in tono canzonatorio. “Siamese…” sussurrai quasi. Beatrice mi scrutò ancora. “Le basi ci sono…chissà se prima o poi riuscirai a diventare un gatto di classe…” soffiò infine. Per poi tornare nella sua stanza. Da quel momento cercai sempre di essere all’altezza delle sue aspettative. Però ero un cucciolo, quindi cercai di giocare con lei. Non posso dire che Beatrice fu come una madre, direi più una maestra. Quando morì, l’anno prima al trasferimento di Elisea, fu un duro colpo. La madre di Elisea era distrutta. Ma io rimasi con lei fino alla fine. Sono già passati cinque anni dal mio arrivo a casa. Due dalla morte di Beatrice. Elisea è cresciuta e ora va a quella scuola che gli umani chiamano Università. Un’altra città, un’altra casa. Io l’ho seguita senza nemmeno pensarci. Molti umani credono che noi gatti pensiamo solo a noi stessi. Che badiamo solo alle nostre nove vite. Sciocchezze! Certo, esiste l’orgoglio di gatto. Ma la fedeltà che un felino prova nei confronti di chi l’ha adottato va ben oltre ogni comprensione umana. Se Elisea sta male io lo sento. Se è felice faccio le fusa. È un’empatica che non tutti i gatti possono provare completamente e non tutti gli umani riescono a far crescere. Diciamo che è merito di entrambi: un gatto da la sua lealtà all’umano che se la sa guadagnare. È questo che loro ignorano. Fortunatamente la mia umana è intelligente. Sento dei passi in lontananza. Nemmeno il tempo di stiracchiarmi che la porta del salotto si apre ed entra lei. In pigiama, l’aria stanca e una tazza di the fra le mani. I capelli legati alti e con qualche ciuffo che esce dall’elastico. Gli occhiali sulla punta del naso. Mi vede e trotterella quasi fino al divano. “Quanto vorrei essere come te Dante! Stare tutto il giorno a rotolarmi senza dover studiare…” sospira. Io la guardo scettico. Lo dice ad ogni fine sessione di studio. L’indomani avrà sicuramente un esame. Elisea è un’abitudinaria. Oramai conosco tutto di lei. Più di quanto potrebbe fare un umano che prova a diventare il suo compagno. “Non riuscirò mai a prendere 26, questo esame è un suicidio!” si lagna ancora. Iniziando a rotolare per davvero sul divano. Mi alzo a sedere e mi sposto un po’ più in la. Non mi va di venir investito dai suoi cinquanta kili di lamentele. “Cos’è, mi abbandoni pure tu ora? Non bastava Giada, che si è ritirata dall’appello ieri…sono completamente sola!” esclama con tono tragico. Non mi stupisco che non abbia nemmeno valutato una carriera d’attrice. La sua interpretazione fa veramente schifo. Ma come posso starmene li a gongolare quando la mia coinquilina si danna? Non capisco perché gli umani abbiano così tanti esami e impegni da rispettare nella vita. Comunque, piano mi incammino verso di lei. E con un balzo mi piazzo sulla sua pancia. Acciambellandomi comodamente. Elisea mi guarda divertita. “Bene, da laureanda a cuscino…la mia vita è migliorata ora…” commenta. Io faccio finta di dormicchiare. Ed ecco che subito lei mi prende delicatamente e mi abbraccia. Odio questa posizione. Mi fa sembrare alquanto stupido. Con le zampe anteriori aperte e la coda che si muove li in mezzo. “Menomale che ci sei tu Dante…perché non ti trasformi in un umano? Così sarei anche già accasata...e mamma la smetterebbe con le sue fissazioni da partito del 1900…” sospira ancora. Trasformarmi in un umano? Ma nemmeno per sogno! Con quella strana forma e senza pelo! Costretto ad indossare strati di stracci per ripararmi dal freddo! E vogliamo parlare delle zampe? Senza artigli. Che inutilità! Sbuffo di poco per farmi sentire. “Lo so che non ti piacciono queste posizioni da gatto scemo, però ho bisogno d’affetto!” reclama Elisea. Con quella vocina che pian piano diventa sempre più acuta. Lo fa sempre quando è nervosa o agitata. La trovo perfino più carina di un miagolio qualunque. Così mi lascio coccolare. Sono un gatto dal cuore tenero lo so. Come se l’umiliazione non bastasse, mi parte anche un sonoro concerto di fusa. Poi vedo il suo sguardo soddisfatto e infondo mi sento un po’ meglio anche io. Se è per farla rilassare, una sciocchezza da gatto non mi costa nulla. Tanto non ci vede nessuno qui. La mia reputazione da felino adulto e altezzoso è salva. Diciamo pure che sono il padrone del condominio. A dire il vero senza Elisea non sarei nemmeno qui. Erano vietati gli animali fino a quando si è trasferita lei. Poi la padrona della baracca, amica di sua madre, ha fatto un’eccezione. In cambio avrebbe dovuto pagare un extra sull’affitto. E per avermi in casa con lei Elisea di certo non si è fatta scrupoli finanziari. Anche se all’inizio la retta dell’appartamento la pagava la cara genitrice. E brava mamma Onorina! Però la mia Elisea non sen’è stata con le mani in mano. Dopo il primo mese era partita già alla ricerca di un lavoretto part-time, che anche se ha tardato un po’ ad arrivare, almeno le permette di aiutare mammà con le spese. Università e affitto non sono una cosa da nulla da quanto ho capito. Quanto è costoso per questi umani avere un tetto sulla testa! E la metà delle volte, lo spazio è pure sprecato. Una volta conobbi un mio simile, un siamese dall’aria piuttosto snob (che novità, lo sanno tutti che i siamesi non hanno nel loro vocabolario le parole umiltà e modestia), che abitava in una mega villa con la padrona. Una vecchina sola, dai nipoti lontani. Era una delle case vicine alla nostra nel vecchio quartiere a Lodi. Qui in centro a Milano, di spazio non ce n’è per le belle villette. Solo appartamenti tutti impilati come gigantesche scatole vuote. Comunque, dicevamo. Questo siamese se la spassava alla grande. Aveva anche una stanza tutta per se. Però non ci dormiva mai, perché finiva sempre accoccolato fra le braccia della vecchina. Poteva anche fare tenerezza una coppia del genere. Ovviamente il felino era legato alla vecchia per la questione della lealtà, di cui ho miagolato poco sopra. Rimembrate? In ogni caso, non mi sono mai lamentato della mia condizione da “gatto d’appartamento”. Anzi, in giornate come questa, quando il vento fuori è gelido e le foglie ti si avventano contro, il divano su cui sto ora mi sembra il posto più accogliente del mondo. Certo, lo sarebbe di più senza una studentessa mezza nevrotica dai cali affettivi che mi spupazza come un peluche. Ma che ci posso fare, Elisea è carina così. “Hey Dante…ti ricordi quando ti ho portato a casa anni fa? Era in questo periodo…” esordisce all’improvviso quest’ultima. Io caccio un miagolio seccato. Mi stai schiacciando la coda con quel piede! Ed in più è in quel terribile calzino multicolor antiscivolo, il peggiore con le dita! Oltre che essere brutto mi fa un tantino impressione. “Oh scusa…comunque, era proprio autunno quando ti ho portato a casa…mamma per poco buttava fuori me…e Beatrice, quanto casino per farla rimanere chiusa in camera di mà per giorni…” inizia a raccontare. Alzando lo sguardo e scrutando il soffitto chiaro con quei due laghi ghiacciati nelle iridi. Io mi divincolo dalla sua presa, ma mi limito a sedermi li vicino. Meglio non distaccarmi troppo bruscamente da lei. Questi umani, hanno una sfera emotiva così sensibile! “Sai che ti dico Dante? Se domani passo l’esame, ci concedo un premio di cenetta…sardine per te e una bella ordinazione al giapponese a due isolati da qua a domicilio…” esclama soddisfatta. Mi lecco subito i baffi. Sardine. Niente a che vedere con quelle schifezze da supermercato immerse nella gelatina. Non sarò un felino purosangue, però un pasto da re ogni tanto me lo vorrei fare! E poi sono mezzo siamese no? L’avevo già anticipato. Un po’ snob lo sono anche io. D’improvviso Elisea si stiracchia verso di me. Si allunga sul divano e si appoggia col mento sul cuscino. Abbracciandomi mentre sono ancora seduto. “Speriamo che vada bene…forse dovrei uscire un po’…è ora di cena e io non ho ancora fame…” sospira per l’ennesima volta. Ed eccola saltare di palo in frasca come al solito. È bello per gli umani parlare con gli animali domestici. Sapete perché? Perché posso anche iniziare una frase con “ieri ho visto un semaforo rosso…” e finire due secondi dopo con “è proprio vecchio quell’albero!”. Non ha senso! E ne approfittano, perché noi non possiamo rispondere. Il massimo che possiamo fare è farci scappare un miagolio o un segno, che sarebbe un “guarda che ti capisco e no, non c’è nesso logico in tutto ciò caro mio”. Ma come ripeto sempre, se è per far felice Elisea, ignorerò anche questo. Tanto so che domani tornerà tutta felice a casa. Con uno dei voti più alti (se non il massimo) scritto su quei fogli di carta che loro chiamano “libretto universitario”. Ho passato così tante ore all’epoca delle superiori, sdraiato sulla sua scrivania, per non sapere come finirà anche stavolta. Un po’ ammiro Elisea. Si impegna tanto nelle cose che fa. Finisce tutti i progetti che intraprende. Io, se fossi un umano, probabilmente starei a poltrire tutto il giorno esattamente come faccio ora. Per fortuna però, sono peloso, ho gli artigli e sono un gatto. La ragazza continua a blaterare dello studio e della cena. Ringrazio il cielo che non ci sia anche la sua amica. Quella Giada. È la più chiassosa di tutte e dopo anni che frequenta la mia Elisea, ancora non ha capito che le vocette da umano regredito mi irritano tremendamente. Sono un felino e che Miao! Non un neonato che non sa nemmeno dove sta il proprio naso. Ho un cervello! Eppure no, lei continua con i suoi “pucci pucci”, “bel micino” e così via. Ma il peggio è il soprannome che mi ha dato.  “Dantuccio caro” soffia melensa ogni santa volta. E io le miagolo peste e corna. Menomale che non capisce. Quella scansafatiche! Non riesco a capire come Elisea possa frequentare quella piccola perditempo. Eppure sono amiche dalle superiori. Con la differenza che Giada ha già boicottato tre esami nel giro del secondo anno. Ma quando studiano insieme. Santa erba gatta! Mi devo nascondere  sotto al letto per non sentirle. Però credo che Elisea si diverta. Le fa bene la compagnia degli altri umani. Sarà un duro colpo quando porterà a casa un maschio della sua razza. Sono metà soriano, quindi odio dover dividere il mio territorio. Sono estremamente geloso delle mie cose. Non che la mia coinquilina sia una “cosa”. Però l’idea di uno di quei cosi che cerca di abbracciare Elisea davanti a me, mi da una rabbia! Soffio solo al pensiero. Dopotutto sono in missione anche per conto della mamma. Devo scacciare i cattivi elementi dalla strada della mia padrona. E poi si sta già stretti in due nell’appartamento. Non c’è posto per un bell’imbusto a due zampe! Sento il cuscino muoversi. La mia coinquilina si alza pigramente. Sorseggia l’ultima goccia di the e abbandona la tazza sul tavolino. Poi stiracchiandosi va in cucina. “Dante! È ora di cena!” mi chiama subito. Senza farmelo ripetere scendo dal divano con un balzo. Non le corro appresso per via della mia dignità da felino. Anche se sto morendo di fame. Mentre sonnecchiavo non ci avevo pensato più di tanto, ma dopo aver sopportato delle effusioni da umano, la chiamata del mio stomaco si fa decisamente sentire. Arrivo che Elisea ha già aperto il frigorifero. Sto lontano in modo che non mi arrivi il freddo. “Che cosa potrei mangiare? Dovevo andare a far la spesa mi sa…” inizia a pensare ad alta voce. Io miagolo. Non mi interessa cosa mangerai tu umana! Io voglio la mia cena. E anche bella abbondante, grazie. La coinquilina capisce al volo e travasa un po’ della bustina gelatinosa nel mio piattino. Poi me la sistema davanti al naso. Annuso qualche secondo. Spero vivamente che passi l’esame, voglio le sardine. Con riluttanza mangio ciò che passa per il convento. E quando ho finito lei è ancora li che scruta il cibo con aria interrogativa. Ora che la mia pancia è piena, posso pensare alla sua. Elisea allunga una mano verso un vasetto di yogurt. Miagolo in segno di disapprovazione. Lei mi guarda dubbiosa. Si sposta verso dei wurstel che non hanno nemmeno più un aspetto commestibile. Mi avvicino e le do un colpetto alla caviglia con una zampa. Non vorrai davvero mangiare quella roba?! Voglio una padrona viva io! “Forse hai ragione Dante…questo è un po’ troppo anche per me…” ammette. Prendendo la confezione e buttandola nel cestino. Tiro un sospiro di sollievo. Poi con un balzo salto sul ripiano della credenza. Elisea scuote la testa divertita. “Forse potrei ordinare una pizza…in mezzora te la consegnano…non abbiamo comunque nulla di commestibile nel frigo…” ragiona. Ecco brava, metti in moto i tuoi neuroni. E magari prendine una con prosciutto o acciughe. Così con un movimento di zampina ne ricavo qualcosa pure io. L’umana va al telefono e digita il numero della pizzeria al taglio infondo alla via. È talmente pigra che non si sprecherà nemmeno ad uscire, ma se la farà portare a casa. “Si…esatto sono io…una pizza alle patatine fritte piccola, grazie…” ordina subito. Storco il naso. E io? Miagolo indispettito. “Ma come siamo suscettibili stasera! Tu hai già mangiato, panzone che non sei altro!” mi rimprovera, attaccando la cornetta. La guardo scettico. Io non sono panzone! È tutto pelo per l’inverno. “Chissà se oggi c’è quel ragazzo carino che consegna…speriamo…se c’è lui gli lascio cinque euro di mancia…” gongola quasi. Mi lascio sfuggire un soffio. Elisea si piega verso di me. Siamo naso contro naso. “Non solo suscettibile ma anche geloso eh? Ti ho proprio viziato troppo Dante!” mi prende in giro. Io le do una piccola testata di protesta. Ma lei non ci casca e mi arruffa il pelo fra le orecchie. Poi esce dalla cucina tutta soddisfatta. Certo che basta poco a questi umani per gongolare! Dopo mezzora la pizza arriva, e per la gioia di Elisea arriva pure il bel fattorino. Ma invece di cinque euro gliene lascia tre. Ci mettiamo a mangiare sul divano davanti alla tv. Subito dopo la coinquilina torna a studiare e poi si tuffa nella doccia calda. Durante tutto questo lasso di tempo io mi sono schiacciato un lungo pisolino sul divano. Fra i cuscini morbidi e già caldi dopo il passaggio di Elisea. Sono le undici passate quando le luci iniziano a spegnersi. E come di routine io mi alzo dal divano. Percorro il lungo corridoio. Per arrivare alla stanza della mia padrona. Lei se ne sta già comoda nel suo letto ad una piazza e mezza. Consulta l’agenda con precisione. La penna che traballa fra il naso e il labbro superiore. Ho la tremenda tentazione di spiccare un balzo e rubargliela per giocarci. Dopo qualche minuto finalmente chiude l’agenda e scivola sotto le coperte. Io mi avvicino piano. Senza dire nulla Elisea mi fa spazio vicino a lei e mi accoccolo al suo petto. Dopo cinque minuti dallo spegnimento della luce l’umana ronfa già. Guancia contro la mia testa. Io mi lascio andare alle fusa. Dopotutto, sono comodi questi bipedi.
La mattina è tutto un caos. Mi sveglio di soprassalto. Vedo Elisea che corre da una parte all’altra della stanza. Io sono finito al centro del letto. Pancia in su e zampe all’aria. Posa alquanto imbarazzante. Mi ricompongo subito e mi stiracchio. Da fuori i raggi del sole colpiscono la parete rosa salmone della stanza. Rosa salmone. Salmone. Ho fame! Miagolo e mi avvicino al bordo del letto. “Non ho tempo Dante! Devo correre!” esclama di fretta l’umana. Caccio un miagolio sommesso. “La pappa è già nel tuo piattino…credi forse che mi scordi di darti da mangiare? Gatto degenere!” mi insulta divertita. Poi si ferma un secondo e si avventa su di me. Io sono ancora stordito dal sonno e finisco di nuovo a zampe all’aria. Mentre Elisea inizia a farmi i grattini sulla pancia. Mi scappano un’infinità di fusa. E quasi quasi mi ritorna anche il sonno. Poco dopo smette e io inizio a lavarmi. Grazie a lei ora ho il pelo tutto scompigliato. “Torno oggi pomeriggio, tu fai il bravo né? Al massimo mi fermo a bere una cioccolata con Claudia…ti lascio la porticina aperta così puoi andarti a fare un giro…” mi spiega ancora. Io non dico nulla. Ho qualcosa che mi prude terribilmente dietro l’orecchio destro. Inizio a grattarmi insistentemente. Elisea mi guarda e sorride. Ha già la borsa in spalla e degli appunti fra le mani. E io so che è arrivato il momento del rito pre esame. Si piega verso di me. “Il bacio portafortuna di Dante?” recita. Oramai non protesto nemmeno più. Mi limito ad avvicinarmi e a darle una leccatina al naso. Lei tutta felice mi scompiglia i peli del muso e poi corre fuori. Grazie mille, li avevo appena lisciati! Non c’è nulla da fare con Elisea. Appena sento lo scatto della porta d’ingresso scendo dal letto e balzo sul davanzale della finestra. Dalla sua camera si può vedere il piccolo giardino che da sulla strada. L’umana corre lungo tutto il viale. Saluta dei vicini. E cercando di mettersi i guanti perde quasi tutti i fogli degli appunti. Poi esce richiudendosi il cancello condominiale alle spalle. Scuoto la testa. Speriamo che non abbia dimenticato i neuroni a casa. Aspetto qualche minuto e rimango ad osservare la situazione fuori. È la giornata ideale per andare a farmi un giro. Però devo aspettare che i marmocchi del pianerottolo se ne vadano a scuola. Ho appena sistemato il pelo, non voglio mica un abbraccio a soffocamento! Non di mattina presto! Approfitto e vado in cucina a mangiare. Colazione con gelatina di carne e latte freddo. Poi faccio un salto veloce nella lettiera. Devo far capire ad Elisea che questo cibo mi sta dando problemi di stomaco. Non mi va di passare tutto l’inverno accucciato dopo ogni pasto! Ho anche una certa età io. Subito percorro il corridoio ed arrivo alla porta d’ingresso. Allungo una zampa e sposto la porticina nel lato sinistro. Si confonde benissimo col resto della posta, quindi chi non ne è a conoscenza non la nota. Ad Elisea non piace che io vada in strada. Ora che abitiamo vicino al centro città lei si preoccupa che non sia abbastanza sveglio da starmene lontano dalle macchine. L’idea di attraversare la strada oltre al cortile non mi solletica nemmeno un po’. Ecco perché c’è la porticina. E ancora ecco perché la coinquilina paga un extra per tenermi in appartamento. Fin da quando sono arrivato posso gironzolare tranquillamente lungo il nostro pianerottolo. Anche sulle scale fino in cortile se voglio. Per questo ho detto che il condominio è mio. Qui tutti mi conoscono. Già annoiato sorpasso la porticina ed inizio a camminare. L’ora di punta è passata oramai quindi mi posso godere la mia passeggiata mattutina. Vedo quella spilungona dal viso allungato che mi si accosta. Grazie al cielo il suo marmocchio non c’è. “Oh ciao Dante! Che peccato, Marcello è già andato a scuola…gli sarebbe piaciuto salutarti…” mi sorride. La guardo scettica. Meno vedo tuo figlio e più la mia vita sarà lunga, ci scommetto. Continuo con la mia andatura pacata. La coda che si muove sinuosa. Poco più in la sento dei rumori. È una serratura che scatta. “Sbrigati Marilena! Altrimenti faremo tardi alla visita! Tuo padre è già in macchina…” trilla l’umana. Si lascia la porta socchiusa alle spalle e va diretta alle scale. Mi siedo a qualche metro da dov’è uscita. Subito dopo fanno capolino un paio di occhi vispi. La bambina chiude la porta e gira le chiavi. Sta per fare la stessa strada della madre ma mi vede. E sembra che sia dimenticata perfino come si cammina. “Zorba!” esclama. Per raggiungermi incespicando negli stessi lacci. Me ne sto immobile guardandola di traverso. Quella bambina mi chiama sempre così. Due anni che vivo nell’appartamento e ancora non ha imparato il mio nome. “Che bello è da tanto che non ti vedevo!” sorride tutta contenta. Poi si fruga nella tasca del giubbotto. Non muovo nemmeno un baffo. “Sai, oggi devo fare la visita per gli occhi…così ho saltato scuola…” inizia a raccontare, ancora tutta presa dalla ricerca nella tasca. Che fortuna, immaginavo che non potesse andarmi bene. Bhe, sicuramente meglio lei che il cucciolo cicciottello. “Ecco qua! Li conservavo per quando ti avrei visto!” finisce trionfante. Allunga una mano e poggia sul pavimento davanti a me quelli che sembrano croccantini. Mi chino e li annuso. Non hanno un odore così cattivo. Anzi, per nulla cattivo. “Ci sono delle erbe speciali! Li fa la mia zia, che è un medico degli animali…” cerca di rassicurarmi l’umana. Ne assaggio uno per curiosità. Dovrei essere più cauto, ma la colazione non mi è proprio andata giù. Infondo non fa così schifo. Di certo è meglio dei croccantini finti pollo, manzo e olive che mi ha comprato Elisea mesi fa. Pian piano finisco per mangiarli tutti. E mi lecco anche i baffi. Lei mi guarda tutta felice. Mi avvicino lentamente e mi struscio sulla sua gamba. Marilena mi fa un grattino sotto il mento e io finisco a far le fusa. Di cosa vi stupite? Sono un felino educato io. Dico sempre grazie quando mi offrono qualcosa! D’improvviso la voce della madre si sente rimbombare dalla tromba delle scale. La bambina scatta in piedi. Mi saluta con un gesto della mano. “Buona giornata Zorba…spero di vederti presto!” sorride. Poi scappa via prima di essere rimproverata ancora. La guardò scendere le scale in quel modo goffo che hanno sempre i cuccioli d’umano. Mi scappa uno sbadiglio. Ancora qualche minuto di passeggiata e poi di corsa a dormire. Odio acciambellarmi sulle lenzuola già fredde. Ricomincio a zampettare lungo il corridoio. Sono quasi arrivato al fondo, vicino alla porta dell’ascensore. Mi fermo distante. Non mi piace per niente quello strano marchingegno umano. Sono poche rampe di scale, davvero questi bipedi sono così pigri? A me l’idea di restare chiuso in una scatola gigante di ferro (anche se solo per qualche minuto) non attrae. Magari con altri simili che puzzano o fanno qualcos’altro di poco igienico. La porta vicino alla quale mi sono seduto si apre piano. Guardo di sottecchi la zampina che ne esce. Sta mirando alla mia coda e ciò mi infastidisce. “Smettila Brownie, lo sai che non sopporto quando giochi con le mie cose…” soffio irritato. La zampina color marrone scuro si ferma per poco. “Sei cattivo Dante! Non vieni mai a trovarmi e non mi dici mai quando fai le tue passeggiate!” miagola lei di rimando. Poi da un colpo col naso alla porta, che si spalanca. La gattina esce tutta fiera. La coda si muove sinuosa. “Cos’è quest’aria da nobilgatta?” la prendo in giro. Lei soffia. “Sono grande io sai!” rimbecca subito. Il mio sguardo scettico la blocca. Muove veloce l’orecchio destro. Quello con la macchia color caffèlatte. Questa pivellina è Brownie. Una piattola di prima categoria. Ha la metà dei miei anni ed è una principessina viziata. È arrivata dopo di me nel condominio, ma da quando mi ha visto fa di tutto per starmi incollata ogni volta che mi vede. Per questo cerco sempre di svignarmela arrivata davanti alla sua porta. Per una mattina in cui sono distratto dall’ascensore, questa è la punizione che devo pagare. “Ho visto la tua umana oggi…che cos’aveva? Stava cadendo dalle scale!” esclama d’improvviso la pulce. Sbuffo. “Niente che ti possa interessare…” rispondo. Brownie abbassa le orecchie. No, non la sto trattando male. E si, l’ho visto anche io che è una bella gattina. Però mi basta Elisea a farmi il verso dicendo che sarebbe una buona compare. Io non ho bisogno di nessuna compare! Le sue iridi verdi rimangono fisse sul pavimento. Perfino la coda si è fermata. Scuoto la testa e le do un colpo al fianco con la coda. Lei si avvicina timida e si appoggia a me. “La tua padrona ti ha dato ancora del caffè stamattina?” la punzecchio. Il felino mi fa la linguaccia. “Era caffèlatte ed era buono! Comunque no…solo una dose in più di croccantini…dice che devo crescere…” mi racconta. Poi sbadiglia. “È arrivata l’ora di tornare a dormire…mocciosa…” la punzecchio. Brownie mi guarda storto. “Non ti va di venire a giocare a casa mia? Ho un nuovo topino di gomma…” mi propone poi. Scuoto la testa. “Devo tornare nel mio appartamento…voglio godermi la quiete prima che torni Elisea…” rifiuto. “Sei antipatico!” soffia delusa. La guardo scettico. Lei si allontana e con la coda alta se ne torna nel suo appartamento. Finalmente me ne sono liberato! Posso tornare nel mio letto. Così mi avvio e rientro all’ovile. Vado diretto al divano. Il salottino è uno dei posti più caldi della casa quindi mi ci piazzo volentieri. Quando la mia coinquilina tornerà sarà in stato euforico e chissà se verrà anche qualche altra sua simile a festeggiare. Quindi ne voglio approfittare per farmi un sano pisolino senza interruzioni. Mi butto nell’angolo vicino al poggiolo. Dove c’è quel morbido cuscino blu che mi piace tanto. Mi acciambello senza ripensamenti. Chiudo gli occhi e mi addormento subito. Oramai alla mia età bastano quattro passi per affaticarmi. O è solo la pigrizia che è aumentata? Mi godo svariate ore di sonno. Fino a che sento la porta che scatta. Allungo le orecchie ancora con gli occhi chiusi. “Io te l’avevo detto Eli! Lo sapevo che avresti preso il massimo!” cinguetta una voce a me molto famigliare. Mi viene la tentazione di nascondermi sotto al cuscino ma per il mio contegno di gatto ci rinuncio. “Anche tu l’avresti superato al massimo se non ti fossi ritirata Giada…” la rimprovera la mia Elisea. Faccio finta di dormire. Magari mi lasceranno in pace. “Oh ma guarda chi c’è sul divano! Dantuccio caro!” esclama tutta felice. Poi nemmeno il tempo di aprire gli occhi che mi ritrovo una sua mano spiaccicata sulla testa. Cretina mi scortichi così! Fai piano! Miagolo di protesta. “Giada non mi scuoiare il gatto per favore! Fai piano…” la prega Elisea. Grazie coinquilina, ma preferirei che me la staccassi direttamente di dosso. “Ma a lui piace!” pigola in sua difesa la psicopatica. Certo, nei tuoi sogni umana! Soffio spazientito. Quanto vorrei graffiarle quella bella manina fresca di manicure. “Dante avanti…non essere scortese…” mi rimprovera Elisea. La guardo supplichevole. Non è colpa mia! Sono le tue amiche che mi trattano male! In realtà è solo Giada che mi tratta da deficiente. “Allora, stasera esci con noi? Forse c’è anche quello carino che consegna le pizze…” la invita ancora quest’ultima. Io drizzo le orecchie. La mia padrona lascia andare la borsa sul divano. “Non lo so Giada…sono stanca, è da giorni che non faccio altro che studiare…” sospira. L’amica storce il naso. Poi, prima che io me ne renda conto, mi prende in braccio e mi alza le zampe. “Appunto! E poi te lo dice anche Dantuccio: ‘vaiiii Eliseaaaa, divertiti!’” esclama, convintissima di imitare una mia ipotetica voce. Elisea si volta verso di me. Mi guarda il muso e scoppia a ridere. Si, ti sto guardando male umana. E no, questa non te la perdono. Stanotte mi piazzo sul tuo stomaco così vediamo se riuscirai a dormire con il mio dolce peso sulla digestione! “Bhe che c’è? Sono tanto divertente?” commenta Giada. Ecco che gli ultimi neuroni fanno i bagagli e si licenziano dal cervello di questa ragazza. Elisea, perché non frequenti persone ai tuoi livelli? La mia coinquilina scuote la testa. Si china e mi salva dalle grinfie di questa rincitrullita. Mi appoggia sulle sue gambe e io mi ci accoccolo. “Per stasera no Giada…magari sabato…” rifiuta. Io gongolo. Se ne starà a casa con me e festeggeremo con una buona cenetta a base di sardine! L’amica resta delusa. Poi però tornano a chiacchierare come al solito. Dopo soli cinque minuti sono così annoiato che mi addormento. Elisea poi ha iniziato a farmi i grattini dietro le orecchie, non c’è scampo alle fusa. Quando mi sveglio mi ritrovo sul mio solito angolino del divano. Giada è andata via ed Elisea traffica in cucina. Subito salto giù dal divano e la raggiungo miagolando. “Mi spiace Dante…ho dimenticato le sardine…ma domani vado a comprartele, promesso!” si scusa subito. Le do un colpetto alla gamba con una zampa. Le mie sardine, ora! Ma lei è già corsa a prendere le solite bustine di carne immersa in quello schifo di gelatina. Così mi tocca dargliela vinta anche stavolta. Il sonnellino sullo stomaco di stanotte non te lo toglie nessuno, cara la mia Elisea. Alla fine anche lei si accontenta di una cena tranquilla. Ha ordinato al giapponese per asporto di fiducia. La sera ci troviamo sul divano a guardare la tv. Lei sgranocchia una tavoletta di cioccolata fondente. Dopo solo un’ora si trova a sbadigliare senza contegno. Alla fine la mia coinquilina spegne la tv e decide di andare a dormire, anche se sono appena le dieci. Mi chiama subito e la seguo in camera. Salto sul letto, poi mi stiracchio. Elisea si chiude in bagno. Esce solo dopo dieci minuti. “E io dove dovrei dormire se tu ti piazzi li in mezzo?” commenta divertita. Io non mi muovo e mi metto più comodo che mai. Lei scuote la testa, si infila sotto le coperte spingendomi in la. Miagolo di protesta. “Sempre la solita storia con te Dante…sei troppo viziato…” mi prende in giro. Iniziando a farmi i grattini alla pancia. Io rotolo un po’. Lo so, il mio contegno di nobile felino si rivolterebbe. Però è già bello che addormentato quindi posso concedermi un po’ di tregua. Come al solito finisco in un mare di fusa. Elisea sembra soddisfatta, così si decide a spegnere la luce. Sto per saltarle sulla pancia quando mi tira a se e appoggia il suo mento sulla mia testa. “Così non puoi dormire sul mio stomaco…ti conosco piccolo furbacchione…” mi apostrofa. Soffio piano. La stretta di Elisea non è soffocante come quella della sua amica. Anzi, è confortevole e calda. “Buonanotte Dante…” sussurra. Tempo breve e finisce nel mondo dei sogni. Il suo respiro mi solletica le orecchie, però mi rilassa. Così pian piano anche io chiudo gli occhi. Si, posso confermare l’opinione elaborata ieri sera: questi bipedi sono proprio comodi!

  
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