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Autore: Glirnardir    03/01/2013    1 recensioni
Riassunto: Sulla via per la Montagna Solitaria, Bilbo, Gandalf e i Nani trascorrono una notte a Brea...
Storia completa.
Questa storia (come tutte quelle che pubblicherò in futuro, credo) non è mia. Io l'ho semplicemente tradotta per farvi conoscere la meravigliosa autrice Dreamflower, che ho scoperto leggendo il prestigioso sito di fanfiction tolkieniana "Stories of Arda". Per chi fosse interessato alla versione originale, la trovate qui (http://www.storiesofarda.com/chapterview.asp?sid=2846&cid=11013).
Naturalmente spero di trovarmi bene su questo sito e di farvi conoscere tante ottime autrici straniere di fanfiction! :)
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bilbo, Gandalf, Thorin Scudodiquercia
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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N.d.T.: Questa storia (come tutte quelle che pubblicherò in futuro, credo) non è mia. Io l'ho semplicemente tradotta per farvi conoscere la meravigliosa autrice Dreamflower, che ho scoperto leggendo il prestigioso sito di fanfiction tolkieniana "Stories of Arda". Per chi fosse interessato alla versione originale, la trovate qui: http://www.storiesofarda.com/chapterview.asp?sid=2846&cid=11013. Naturalmente spero di trovarmi bene su questo sito e di farvi conoscere tante ottime autrici straniere di fanfiction!
 
Un’allegra locanda
 
     Tre giorni dopo aver passato i confini della Contea, tredici Nani, uno Stregone e uno Hobbit stanco morto arrivarono in vista della cittadina di Brea. Brea era il villaggio principale della Terra di Brea, una piccola regione abitata, simile a un’isola in mezzo a un mare di terre deserte. Oltre a Brea c’era, dall’altro lato della collina, Staddle e, in una profonda valle leggermente più a est, Conca; infine, ai margini del Bosco Cet, Arceto. Tutt’intorno al Colle Brea e ai borghi si estendeva un paesaggio rurale di campi coltivati e piccoli boschi, largo solo poche miglia. Se si escludeva la presenza della Gente Alta, era una regione piccola e pacifica, non troppo diversa dalla terra del nostro signor Baggins.
     Bilbo si guardava intorno curiosissimo. Da quelle parti circolava un gran numero di Gente Alta, ed egli si sentiva alquanto intimidito ed esposto, ma fu estremamente rincuorato dalla vista di parecchi allegri faccioni di hobbit che si occupavano tranquillamente delle proprie faccende anche se circondati da gente più grossa. Gli hobbit di Brea non sembravano affatto timorosi in mezzo a tutta quella massa di Gente Alta, anzi rivolgevano la parola agli Uomini, e li trattavano quasi come se fossero compagni hobbit.
     “Passeremo la notte,” disse Gandalf, “all’insegna del Puledro Impennato.”
     Thorin annuì. “È ancora presto per interrompere il viaggio, ma possiamo impiegare il pomeriggio per procurarci altre provviste. Inoltre,” aggiunse, con un sorriso che rischiarava di rado la sua espressione arcigna, “la birra del Puledro è ottima.”
     Questa notizia rallegrò Bilbo più di tutte quelle che l’avevano preceduta. Un’ottima birra e una notte alla locanda sembravano cose piacevoli. Non per la prima volta, si chiese come mai le avventure avessero ottenuto una nomea così disgraziata presso gli hobbit di sua conoscenza. Finora si era trattato di una cavalcata a dorso di pony attraverso un territorio sconosciuto ma non del tutto sgradevole, durante la quale aveva visto molte cose strane e interessanti. Osservò incuriosito la bottega di un calzolaio, e la grossa insegna a forma di scarpa che vi era appesa sopra. Il tutto era così affascinante!
     Guardando le case che torreggiavano sulle stradine, si chiese come mai fossero così alte. Forse perché anche la Gente Alta era molto alta. Si accorse che molte case erano a due piani, a volte persino tre, e questo lo mise un po’ a disagio. E se gli avessero assegnato una stanza così alta? Sarebbe riuscito a dormire, appollaiato a così tanti metri da terra?
     In poco tempo si avvicinarono alla locanda. Dall’esterno pareva un posto piacevole. Si affacciava sulla Via, e due ali si estendevano sul retro, parzialmente scavate nelle pendici del colle, di modo che le finestre del secondo piano erano a livello col terreno. Un grande arco conduceva al cortile sito tra le due ali e, sotto l’arco, sulla sinistra, si apriva un’ampia porta in cima a qualche scalino. Dalla porta spalancata usciva un flusso di luce. All’arco era appesa una lanterna, sotto la quale oscillava un grande cartello: vi era raffigurato un grasso pony bianco che si ergeva sulle zampe posteriori. Sull’architrave della porta si leggeva, dipinta in caratteri cubitali bianchi, la scritta seguente: IL PULEDRO IMPENNATO di ORTROLDO CACTACEO.
     Gandalf e Thorin entrarono nella locanda, seguiti da Bilbo e dagli altri Nani. C’era un grande andirivieni, per trattarsi del pomeriggio di un giorno feriale. C’era un Uomo più basso della maggior parte dei presenti, ma pur sempre piuttosto alto agli occhi di Bilbo, con una rada frangetta di capelli, uno splendido paio di baffi e un ventre rotondetto che, nonostante la sua statura, gli conferiva un aspetto particolarmente hobbit, e quest’Uomo era impegnato a dare ordini a tutta la gente che formicolava nei dintorni.
     Gandalf si schiarì la gola. “Signor Cactaceo!”
     L’Uomo si voltò trasalendo dalla sorpresa. Il suo faccione fu illuminato da un simpatico sorriso. “Ah, signor Gandalf, siete voi? In cosa posso servirvi quest’oggi?”
     “Siamo diretti a est, e vorremmo affittare delle stanze. Siamo in quindici: io stesso, tredici Nani e uno hobbit. Abbiamo anche dei pony da mettere nella stalla.”
     Il vecchio Cactaceo alzò le sopracciglia in un’espressione stupita. “Ebbene, signor Gandalf, sapete che teniamo sempre un letto per voi, costi quel che costi! Ed è una fortuna che i vostri compagni siano tutti Nani e uno hobbit. Vedete, siamo occupatissimi a causa dei miei parenti! Oggi mia figlia Maddie si sposa con Hal Melodoro! Se i vostri amici fossero Gente Alta, non saprei dove sistemarli. Ma altroché se ho stanze per la Gente Piccola! Datemi solo un momento, provvedo subito ai vostri pony!” Il locandiere alzò la voce e lanciò un grido. “Nib! Ehi tu, Nib Issasabbia, zucca lanosa! Suvvia, occupati dei pony di questa brava gente.”
     Arrivò un giovane hobbit tuttofare dall’aria gioviale, capelli color sabbia e il viso paonazzo. “Sissignore, signor Cactaceo, signore!”
     Thorin fece cenno a Fíli e a Kíli di accompagnare il giovane hobbit e dargli una mano con i pony. I due fratelli annuirono e seguirono Nib fuori della locanda.
     Il locandiere si rivolse a Thorin. “Se mi seguite, vi mostro le camere. Signor Gandalf, la vostra è in cima a quelle scale, come ben sapete.” Diede in mano allo Stregone una grossa chiave argentata, e Gandalf se ne andò senza una parola. Dopodiché il signor Cactaceo si rivolse ai Nani e a Bilbo. “Siete così tanti, però, che forse dovrete dormire in due per ogni letto.” Li condusse attraverso un ampio corridoio, superando le cucine da un lato e la sala comune dall’altro. Girarono a destra ed entrarono in una delle ali scavate nella collina. Durante tutto il tragitto, l’oste non smise un attimo di parlare. “Abbiamo avuto così tanto da fare, con il matrimonio e tutto il resto, che non so più che pesci pigliare. Abbiamo tutta la famiglia di Hal, i Melodoro di Arceto, e anche parecchia della gente di mia moglie, da  Staddle. Ma sono sicuro che si divertiranno tutti, e siete invitati anche voi a prendere parte ai festeggiamenti nella sala comune. Tutto il cibo e la birra sono offerti dalla casa, questa sera!” Estrasse una chiave e aprì una porta, più bassa delle altre accanto alle quali erano passati.
     “Eccoci qua, signori, due camerette con quattro letti ciascuna, e un bel salottino. Non so come vogliate organizzarvi per dormire, ma se vi servissero altri cuscini o altre coperte, non esitate a farmelo sapere. Ora devo tornare indietro, non si sa mai cosa possono combinare quegli altri senza che io gli dica cosa fare! Ma voi mettetevi a vostro agio. Se vi serve qualcosa, suonate il campanello…”
     Li condusse nelle stanze, quindi girò sui tacchi e se ne andò, continuando a chiacchierare tutto allegro, evidentemente senza accorgersi che non aveva più degli ascoltatori.
     Bilbo osservò l’accogliente stanzetta. C’erano un focolare, davanti al quale erano disposte sedie basse e confortevoli, e un tavolino rotondo. Sul tavolo era appoggiato un grosso campanello, che Thorin prese in mano e suonò.
     Pochi istanti dopo comparve un allegro giovanotto, di aspetto molto simile all’oste. “Buon pomeriggio, piccoli Messeri! Sono Ortson Cactaceo, il figlio del locandiere.” Aveva portato candele, asciugamani e acqua, con la quale riempì le caraffe nelle due camere da letto. “C’è qualcos’altro che posso fare per voi?”
     “No, ragazzo,” disse Thorin, “credo che possa bastare per il momento.”
     Quindi si dedicarono alla questione dei letti, giudicando che fosse meglio sistemarla fin da subito anziché aspettare la conclusione della serata, quando sarebbero stati tutti stanchi e assonnati, e di conseguenza più irascibili. Thorin, beninteso, data la sua importanza, ebbe un letto tutto per sé. E Bombur era talmente grasso che nessuno avrebbe potuto dividere il letto con lui. Tutti gli altri tirarono a sorte per il privilegio, e Bilbo si ritrovò a dividere con Balin un letto appena a fianco di una delle finestrelle rotonde. Fíli e Kíli non erano presenti, ma essendo fratelli erano abituati a dividere tutto, e quindi la loro assenza non aveva poi molta importanza. Poco dopo vennero ad avvertire Thorin che i pony erano sistemati, e che ogni cosa era a posto nella stalla.
     Allora Thorin pensò bene di mandare Dori e Nori al mercato, a comperare un po’ di provviste in più. Affidò loro un piccolo borsello pieno di monete. “Ora ascoltatemi,” disse, “siate accorti nel mercanteggiare. Stasera risparmieremo in quanto al cibo e alle bevande, ma ciò non significa che abbiamo denaro da gettare ai quattro venti.”
     Bilbo era piuttosto ansioso di conoscere meglio la città, e così si offrì volontario di accompagnare Dori e Nori, e di aiutarli a portare i pacchi, e così fece, ma non era quello il motivo principale. Il vero motivo era che così poteva avere modo di darsi un’occhiata intorno e vedere quel che c’era da vedere, perché il nostro signor Baggins era dotato di una curiosità innata.
     Thorin ebbe numerose istruzioni da impartire a Dori e Nori prima di lasciarli partire: quali oggetti erano necessari, come avrebbero dovuto negoziare. (“Mi raccomando, non pagate il primo prezzo che vi chiederanno, per l’amor del cielo! E accertatevi di ottenere merce di buona qualità in cambio del nostro denaro!”) E così Bilbo uscì e si fermò sui gradini anteriori della locanda a respirare un po’ d’aria fresca, aspettando che i due Nani fossero pronti a raggiungerlo.
     Mentre Bilbo aspettava sui gradini che Dori e Nori uscissero dalla locanda, tutt’a un tratto sentì qualcosa urtarlo leggermente dietro le gambe. Lanciò uno squittio spaventato e si voltò per guardare.
     “Per i miei bottoni!” rise, vedendo che si trattava di un gattone rossiccio che aveva deciso di sfregarsi sulle sue gambe. Ora, Bilbo amava molto gli animali, e quindi si fermò un istante per accarezzare la morbida schiena del gatto. Quest’ultimo strofinava il capo sotto la mano di Bilbo, e dopo qualche tempo cominciò ad emettere un ronzio alquanto piacevole da ascoltare.
     Ma proprio in quel momento, Bilbo udì un latrato. Il gatto lanciò un sibilo improvviso, e con la pelliccia che gli si rizzava da ogni parte corse giù per i gradini e attraversò il cortile in una volata.
     Un terrier bianco, con un orecchio nero e una macchia nera in corrispondenza di un occhio, si avvicinò trotterellando, e anziché inseguire il gatto, si mise seduto e lo guardò fuggire con un sorriso astuto sulla sua faccia canina, e aveva un aspetto talmente comico che Bilbo non poté fare a meno di sentirsi arrabbiato nei suoi confronti per aver messo in fuga il gatto.
     Dori e Nori scelsero proprio quell’istante per uscire dalla locanda, borbottando tra loro riguardo a tutte le istruzioni di Thorin. (“Crede che siamo bambini? Come se non avessimo mai comprato delle provviste in vita nostra!”)
     “Su, sbrigatevi, signor Baggins, volete venire sì o no?” disse Nori in tono brusco. Fino a pochi giorni prima Bilbo si sarebbe risentito di una tale scortesia, ma poco a poco aveva imparato che i Nani erano abituati a usare questi modi burberi anche tra loro, e così ignorò il tono di voce e li seguì docilmente.
     Bilbo camminava dietro ai due Nani, osservando gli alti edifici e le botteghe che li circondavano. Alcuni dei bottegai erano Uomini che avevano hobbit al loro servizio; ma c’erano anche alcune botteghe appartenenti a hobbit che avevano Uomini al loro servizio. Era una sistemazione piuttosto curiosa.
     Seguì i Nani in una panetteria dove acquistarono un certo numero di tortine da viaggio. Il buon profumo e la vista di dolci, biscotti e panini dall’aria appetitosa fecero venire l’acquolina in bocca al povero hobbit. Purtroppo era partito da Casa Baggins senza nemmeno un soldo in tasca. E Gandalf gli aveva portato un bel po’ di fazzoletti da taschino e dell’erba-pipa, ma niente denaro. I Nani provvedevano alle sue spese di viaggio, ma Bilbo era sicuro che queste non comprendessero simili ghiottonerie. Sospirò, riconoscendo che si sarebbe dovuto preparare meglio a una simile evenienza.
     Dori e Nori comprarono poi fagioli secchi, frutta secca e carne secca, e Bilbo riuscì a convincerli ad acquistare anche dei funghi secchi, che sarebbero stati un’ottima aggiunta  per una zuppa o uno stufato. Inoltre comprarono biada per i pony e una quantità di altre utili provviste. I tre erano carichi di roba quando voltarono finalmente i propri passi verso il Puledro Impennato. Portarono le provviste nella stalla, sistemandole tra i bagagli che avevano lasciato con i pony. Il povero Bilbo fu felicissimo di poter mettere giù le pesanti borse che era stato costretto a portare.
     Arretrò barcollando di qualche passo e inciampò, e per poco non cadde in uno scomparto che ospitava la mucca da latte della locanda, una creatura tutta coperta di macchie e con un corno spezzato. La mucca lo guardò con i suoi placidi occhi marroni, lo fiutò dolcemente ed emise un lamentoso “Muu!”
     “Oh, alla malora!” esclamò Bilbo, alzandosi e pulendosi dalla paglia e dal fieno. Scoccò un’occhiataccia all’indirizzo dei due Nani, che stavano palesemente trattenendosi dal ridere.
     Tornarono finalmente nelle camere dei Nani, dove trovarono il giovane Mastro Ortson intento a servire un delizioso tè pomeridiano. Bilbo, che era rimasto con un bell’appetito dopo la spedizione al mercato, fu rinfrancato dalla vista di torte, focaccine, biscotti e paninetti, in aggiunta a una grossa teiera e a una caraffa di birra dalle dimensioni ragguardevoli. Gandalf era venuto a tener loro compagnia, e stava seduto sul pavimento, poiché l’arredamento della stanza era fatto su misura per Gente Piccola, e non Alta.
     Dopo aver consumato un ottimo pasto, si godettero tutti assieme le loro pipe. Più tardi discussero i loro progetti per la serata.
     Gandalf e Thorin decisero di restare nella stanza a discutere del viaggio, ma Bilbo e gli altri Nani decisero di unirsi agli allegri festeggiamenti nella sala comune della locanda. Potevano già sentire la musica in lontananza, perché il matrimonio era concluso e la festa era cominciata.
     Quando arrivarono, videro che i tavoli e le sedie erano stati spostati a ridosso del muro, in modo da lasciare libero uno spazio per le danze. Bilbo si guardò intorno con vivo interesse. Il mobilio nella stanza era di diverse taglie, così da accomodare tanto la Gente Piccola quanto la Gente Alta; sopra il bancone c’erano delle mensole con file di rilucenti piatti e sottopiatti in peltro, coppe e boccali di due taglie, e uno scaffale di cucchiai argentati per mangiare lo stufato.
     Il signor Baggins si ritrovò seduto tra Balin e Dwalin su una bassa panca, e poco dopo arrivò Glóin portando alcuni boccali colmi di birra scura. Bilbo spalancò gli occhi davanti a quella vista, poiché il Nano aveva preso non i piccoli boccali destinati alle mani della Gente Piccola, ma quelli più larghi adoperati dalla Gente Alta.
     “Devo dire,” disse Glóin con un sorriso, distribuendo in giro i boccali, “che di birra così scura non ne vedevo da un bel pezzo!”
     Gli altri Nani sorrisero, e lo hobbit, per prudenza, assaggiò un sorso. Oh cielo! pensò, è davvero un’ottima birra.
     Si sedettero ad ascoltare la musica, eseguita da un violinista alto e allampanato che saltava e ondeggiava facendo correre l’archetto. La musica era vivace, ed era alquanto piacevole osservare le danze della Gente Alta. La sposa, una donzella vispa e paffuta con un abito giallo come il burro e fiori intrecciati nei capelli, era tutta rossa dall’eccitazione, e continuava a danzare tra le braccia dello sposo, che la faceva volteggiare in modo allarmante.
     Bilbo si era appena accorto che la birra nel suo boccale stava per finire, quand’ecco che il signor Cactaceo passò con un enorme orcio. “Vi state divertendo, Piccoli Messeri?” chiese, versando altra birra per loro. “Non capita tutti i giorni a un Uomo di veder maritata la sua unica figlia!”
     “È una splendida festa, signor Cactaceo,” disse Balin, “e vostra figlia è una sposa incantevole.” Gli altri Nani e Bilbo annuirono, tutti d’accordo.
     “Be’, siete molto gentile a dirlo!” L’oste continuò il suo giro, distribuendo la birra agli altri ospiti. Non fu l’ultima volta che i boccali vennero riempiti quella sera.
     Ora, suppongo che il signor Baggins amasse la birra, chiara o scura che fosse, come ogni altro hobbit, ma non era abituato a berne in quantità così smodate. Ad un certo punto lo si vide cantare e ballare su uno dei tavoli, con gran divertimento da parte di tutti gli ospiti:
 
                     Fischia e gozzoviglia per la città,
                     Se hai delle mele, gettale là!
                     Le coppe son bianche, la birra scura,
                     E i barili son fatti di legna dura,
                     Venite, ragazzi, tutti a bere con me.
                     Su per la scala e giù dal muretto,
                     Per servirci tutti ci vorrà un pochetto;
                     Se voi comprate uova e noi farina,
                     Vi prometto che faremo un budino,
                     E sarà il budino più grande del mondo!
 
     Gli invitati al matrimonio lo acclamarono con uno scroscio di applausi, e Bilbo stava per ricominciare la canzone, ma improvvisamente la stanza cominciò a girargli intorno in modo preoccupante. Egli barcollò e cadde quasi dal tavolo, e quando ricominciò a cantare la canzone, si accorse di aver dimenticato quasi tutte le parole.
     “Credo,” disse Dwalin, “che il nostro scassinatore abbia tracannato più birra del dovuto.”
     “E io credo che tu abbia ragione,” disse Glóin. “Che ne facciamo di lui?”
     Balin scosse la testa. “Non so voi, ma io penso che sia il caso d’infilarlo a letto, prima che finisca per mettersi nei guai. Domattina si sveglierà con un brutto mal di testa.”
     E così Balin, aiutato da Dwalin, fece scendere lo hobbit dal tavolo, e sorreggendolo per i gomiti, uno da un lato e uno dall’altro, lo accompagnarono per il corridoio che conduceva alle loro camere.
     Il salotto era avvolto da una nube di fumo, e Gandalf e Thorin erano ancora seduti a parlare. Gandalf levò lo sguardo al loro ingresso nella stanza, e sollevando le grandi sopracciglia cespugliose, chiese: “Cos’avete fatto al mio scassinatore?”
     “Nulla, Gandalf. Si è soltanto lasciato prendere un po’ troppo dall’allegria!”
     In effetti Bilbo sembrava piuttosto allegro, e stava ancora cercando di cantare, ma faceva una gran confusione con le parole e doveva ricominciare ogni volta daccapo.
     I Nani lo portarono nella piccola camera e lo misero a letto, senza neanche tentare di spogliarlo o di fargli indossare la camicia da notte o qualsiasi altra cosa.
     “Buona notte, Mastro Hobbit!” disse Balin. “Spero che domattina non vi sentiate troppo male.”
     “Notte, Blin-Balin, perché dovrei mentirmi sale? Cioè, sentarmi mile? Cioè…”
     Balin ridacchiò. “Sst, signor Baggins, cercate di dormire.” E così dicendo uscì e lo lasciò da solo.
     Bilbo rimase lì supino, guardando fuori della piccola finestra che si trovava accanto al letto. Dalla sua posizione poteva vedere la Luna, tonda e piena, e la faccia dell’Uomo della Luna che gli ammiccava riempì la sua vista mentre egli si assopiva.
     Quando si addormentò, fece un sogno alquanto strano e meraviglioso. Era di nuovo nella sala comune del Puledro Impennato ad ascoltare il violino, che questa volta però era suonato non da un Uomo, bensì da un gattone rossiccio. Il piccolo terrier bianco correva in giro per la stanza, non abbaiando, ma ridendo. Attraverso la gran finestra della stanza, non una finestra appropriatamente rotonda, ma una grossa finestra rettangolare come quelle usate dalla Gente Alta, Bilbo vedeva la mucca maculata che danzava. Mentre osservava le buffonate della mucca, scese dal cielo un carro trainato da quattro bianchi destrieri, che atterrarono proprio a fianco della mucca. Ne scese un Uomo, alto e allampanato come il violinista - ma anziché la faccia del violinista, aveva come testa la Luna.
     Bilbo, alla maniera dei sogni, capì che quello era l’Uomo della Luna. L’Uomo della Luna entrò, e gli venne servito un gigantesco boccale di birra scura, ed egli cominciò a battere il piede a ritmo con la musica. Bilbo osservò che i piatti e i cucchiai sulla mensola si erano messi a danzare.
     C’era aria di gran festa, col gatto che suonava il suo violino e il cane che rideva a più non posso; ma in poco tempo l’Uomo della Luna si fece brillo, e tutti gli invitati al matrimonio dovettero accompagnarlo fuori affinché potesse tornare nel cielo.
     La musica era talmente vivace che la mucca balzò sul carro, e i cavalli spiccarono il volo, con il loro Padrone che sonnecchiava beatamente, nel preciso istante in cui sorgeva il Sole.
     Fu proprio il Sole lucente, con i suoi raggi che penetravano dalla finestra, a svegliare Bilbo, il quale trovò che la luce fosse fin troppo vivida. Oh, la mia povera testa! pensò. Aveva l’impressione che vi fossero un centinaio di Nani tutti intenti a martellare la sua povera testa. Sentiva un saporaccio in bocca, e fu sgradevolmente stupito dalla scoperta di aver dormito con i vestiti addosso.
     Vadano in malora tutti quanti, questi Nani e le loro avventure! Non per l’ultima volta, desiderò di trovarsi a casa nella sua comoda caverna, con una tazza di tè alla corteccia di salice e un po’ di buon pane tostato. Quel mattino i Nani ebbero il loro bel daffare a farlo alzare dal letto, ed egli fu di pessimo umore per tutta la giornata.
     Non ricordava granché della festa che aveva avuto luogo la sera prima, e fu alquanto imbarazzato quando scoprì di aver ballato su un tavolo - uno hobbit rispettabile non farebbe mai una cosa del genere! Ma non dimenticò mai quel suo particolarissimo sogno, e molti anni dopo, quando fu tornato dalla sua Avventura, lo mise in rima, facendone una canzone che fu estremamente apprezzata da certi giovani cugini di sua conoscenza.
  
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