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Autore: boll11    03/01/2013    4 recensioni
Kurt sarebbe uscito con un'altro. Uno che non ero io. Uno col nome che suonava come il rumore di una macchina lanciata a folle velocità.
Una macchina che riusciva sempre a centrarmi con diabolica precisione.
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Burt Hummel, Joseph Hart, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo: Josh Like Whoosh (of a car going by)
Genere: Angst, commedia, introspettivo
Rating: Giallo (anche se ho dei dubbi che sia verde. Non ci ho mai capito molto su questi rating devo dire. Meglio esagerare.)
Avvertimenti: Spoiler sulla 4x11. Se non amate gli spoiler statene alla larga. Ho aggiustato le voci secondo le mie esigenze. E mi sono presa delle libertà che in realtà sono solo speranze.
Note: Poche ma necessarie: Innanzitutto questa storia è stata scritta per l’iniziativa del Gleeky Cauldron Il Babbo Natale Segreto delle Fanfiction e che non sarebbe mai stata scritta altrimenti. E questo se è un merito o una colpa lo deciderete voi.
Che questa storia è un dono per LittlepieceofAlibi e che spero sia almeno un po’ soddisfacente per i suoi gusti. Ci ho provato. E ci sono volute quasi seimila parole per farlo! Chi mi conosce sa che è una cosa quantomeno strana. Sono la regina del sintetico, io. Buon Natale, Capodanno ed Epifania!
Questa storia non è betata. L’ho letta, riletta e ho corretto tutto quello che mi pareva errato, come tempi verbali e punteggiatura o semplici sviste. Se notate qualche orrore, fatemelo sapere. Non mi offendo.
Ulteriori precisazioni a fine storia. Ci saranno un paio di cose che devo per forza specificare.
Disclaimer: Ovviamente non mi appartiene nessuno di questi personaggi e bla bla bla. Ma la fantasia nel descrivere certe situazioni è tutta mia. E anche il modo di scrivere.



 

Josh like whoosh
(of a car going by)



Avrei dovuto intuire che non poteva funzionare.
L’avrei dovuto capire nell’esatto istante in cui ce l’eravamo detto senza possibilità di fraintendimenti, ma non vedevo Kurt da un sacco di tempo e anche solo l’occasione di poter finalmente parlare di nuovo con lui mi era sembrata quasi un miracolo.
Avevo sorriso, quindi. Un sorriso colmo di sollievo e di una sottile speranza. Avevo annuito poi, incapace di formare parole di senso compiuto perché ero sicuro che se solo avessi provato a parlare avrei avuto la voce spezzata e non volevo assolutamente dare l’impressione di non essere sicuro al cento per cento della nostra decisione. Volevo Kurt. Anche solo come amico.
Kurt mi aveva sorriso di rimando, un po’ incerto.
«Stai bene?» mi aveva chiesto.
E io avevo annuito entusiasta allargando il mio sorriso in quello che pensavo dovesse sembrare un ghigno convinto.
Eppure avrei dovuto sapere che non sarebbe andato bene proprio per nulla, perché quell’abbraccio non mi era bastato. Andiamo, che diamine! Non avevo abbracciato Kurt da quella dannata sera a New York e non me l’ero neanche goduto, troppo preso a recriminare abbracci diversi. Sudati e sporchi.
Avrei voluto baciarlo fino a soffocare, invece. E poi andare oltre, anche se l’idea dell’oltre mi atterriva.
Se non fosse più stato lo stesso?
Se avessi continuato a sentire altri abbracci, altri baci? Sarei mai riuscito a dimenticare?
Non ho avuto modo di verificarlo. Eravamo solo amici e doveva bastarmi.

E poi ero tormentato da un dannato calzino bucato. Sapete cosa vuol dire camminare con quel buco che ti stringe l’alluce in una morsa dolorosa? Cercare di sembrare perfettamente rilassato con quel dolore, il desiderio di Kurt che mi bruciava lo stomaco, e il suo sguardo stranito erano già ottimi motivi per evitare quel tarlo che si annidava nel mio cervello e che sussurrava: «andrà male, invece e lo sai.»

E cosa più importante c’era la questione di Burt. Avevo giurato a Kurt e a Burt - soprattutto a Burt in un colloquio veloce e aspro mentre era venuto di corsa a prendermi per portarmi a New York senza neanche darmi modo di cambiarmi quei dannati calzini e poi in fondo cosa mi importava dei calzini quando il padre della persona che amo mi da certe notizie? Al diavolo quei calzini! – avevo giurato che non lo avrei mai abbandonato, che sarei stato lì per lui in ogni momento  e certo non potevo mettermi a discutere su quanto fosse salutare rimanere in contatto con Kurt lasciando da parte lo stupido desiderio di abbarbicarmi a lui stile scimmia e pregarlo di riprendermi.   
Avevo continuato a sorridere fino a sentirmi le mascelle anchilosate, fino ad aver paura di non riuscire più a muovere le labbra in un sorriso rilassato.
«Sto bene» avevo ripetuto sfidando lo sguardo preoccupato di Kurt che sapeva!, doveva sapere, che non avrei mai smesso di amarlo.
Non sapevo se l’avevo davvero convinto, ma credevo di esserci perlomeno andato vicino perché il sorriso di Kurt era meno teso e l’avevo anche sentito rilasciare il fiato in piccoli sbuffi di sollievo che m’avevano ferito più di quanto volessi ammettere.
La mia parentesi natalizia a New York era durata un battito di ciglia. Era stata il  perfetto tipico scorcio di vita che desideravo per il mio futuro. Una famiglia, una casa. Il senso di una forte appartenenza a qualcosa.
Kurt.

Proprio non potevo aspettarmi quello che sarebbe successo e se anche l’avessi saputo, cosa avrei potuto fare?
Io amo Kurt in tutti i modi possibili.



 

Josh Whoosh



 

La prima volta che ho sentito quel nome è stato qualche settimana dopo la mia visita a New York.
Subito dopo il club dei supereroi e gli allenamenti dei Cheerios, avevo la lezione del Glee e ancora trafficavo nell’ armadietto col cambio dei vestiti quando Kurt m’ha chiamato. Ad essere sincero non ho prestato la dovuta attenzione a quello che mi diceva. Non in un primo momento.
Ero lì che armeggiavo togliendomi la maglia da Cheerios, col cellulare incastrato tra orecchio e spalla e cercavo di ripiegare il costume di Nightbird e fare tutte queste cose insieme richiede perizia e un minimo di concentrazione.
La voce di Kurt mi sembrava enormemente eccitata ed è sempre difficile seguire i discorsi di Kurt quando è in quello stato. Parla a macchinetta e non riesco quasi mai ad inserire una parola in quel parlare fitto. Quindi speravo che non si accorgesse che ero poco attento. Non volevo certo dover avere a che fare con un Kurt offeso. Nessuno vorrebbe aver a che fare con un Kurt offeso.
«…quindi dici che dovrei dire di sì?» aveva detto Kurt e la sua voce sembrava all’improvviso incerta. Un cambio di tono che ebbe il potere di farmi tornare attento e scoprire che non sapevo assolutamente di cosa stesse parlando.
Annaspai, con la maglietta infilata per metà, collo e braccio sinistro, cercando la risposta giusta a quella domanda.
«Blaine? Mi senti?»
«Scusami Kurt…» colsi l’occasione al volo. «La linea era un po’ disturbata. Puoi ripetere?»
«Dovrei accettare l’appuntamento con Josh?» mi chiese ancora paziente.
«Chi è Josh?» mi sfuggì. E al sospiro di Kurt e al suo successivo «Lo sapevo!» presi a tormentarmi il labbro inferiore cercando di trattenere la vergogna.
«Lascia perdere…» lo sentii dire con un pizzico di frustrazione. Probabilmente era dall’inizio della telefonata che mi parlava di questo Josh e l’idea che fosse eccitato per questo tizio sconosciuto cominciava a penetrare la mia coscienza e non era una bella sensazione, credetemi.
«No, andiamo Kurt, dimmi. Ti ascolto.» rimasi in attesa con la maglietta infilata per metà e il cellulare premuto con forza sull’orecchio. La mano mi tremava.
La spiegazione su chi era questo tizio fu abbastanza frettolosa, senza l’eccitazione che vi avevo colto prima. Era un racconto già fatto ed i racconti già fatti perdono la metà del loro valore.
Due cose mi colpirono di quello che mi disse. Due cose a cui lì per lì non diedi peso troppo mischiate al resto in un grumo doloroso. Sentii la gola secca. Mi costrinsi a mantenere la voce ferma quando gli dissi che certo, doveva accettare se Josh lo faceva star bene. Quando dissi che si meritava un po’ di serenità. «E poi è un primo appuntamento Kurt, niente di definitivo.» Hai la mia benedizione, Kurt. Vai con Dio.
Insomma, le solite frasi politicamente corrette a cui non so rinunciare, quando una parte di me, quella parte oscura che ogni tanto malgrado tutto esce e mi incasina la vita, avrebbe voluto gridare: «Non ti permettere! Sei mio, mio, dannazione!»
«Ok, bene.» mi rispose. Percepii la sua esitazione un secondo prima che aggiungesse con un filo di voce:
«Non volevo lo scoprissi da altri che frequento qualcuno, Blaine.»
«Già…» riuscii solo a dire.
Ci fu un'altra pausa e avrei voluto attaccare e potermi disperare in santa pace ma attendevo ancora l’ultima domanda di rito.
«Papà?»
«Niente che già non sai.»
«Lo accompagnerai per quelle analisi?»
«Certo.»
«Ciao Blaine.»
«Ciao Kurt.»
Ed era andato.
Ero ancora fermo nella medesima posizione con la maglietta infilata per metà e le mani serrate sul costume di Nightbird chiedendomi freneticamente cosa avrebbe fatto il mio alter ego più nobile in una situazione come quella e cercando di non piangere come un ragazzino.
Non mi piace piangere. Non sono un tipo con la lacrima facile. Magari lo fossi. Il mio è un tipo di dolore che rimane dentro e che non è facile da estirpare. Mi sentivo come se mi avessero colpito a tradimento con il Mjolnir
Frastornato.
«Blaine?» So che avrei dovuto almeno alzare la testa. E’ un segno di cortesia dei più banali. Bisogna sempre guardare l’interlocutore. Ma come ho detto ero completamente fuori di me.
«Non riesci ad infilarti la maglietta?» e nel tono di Joe c’era una cauta incredulità.
Fu forse in quel momento che Joe vide il cellulare. Continuavo a premerlo contro l’orecchio talmente forte che le nocche s’erano sbiancate.
«Decisamente non era la maglietta il problema», riferì Joe a Sam più tardi. Ora della fine della giornata tutto il Glee club sapeva di quella telefonata e del tizio di Kurt.
Ma in quel momento Joe fece l’unica cosa che avrebbe potuto scuotermi da quello stato. Si sedette accanto a me sulla panca e mi cinse le spalle con un braccio.
Non c’è niente che mi spezzi di più di un contatto fisico.
Qualunque tipo di contatto fisico mi provoca una reazione.
Quello di Joe mi fece piangere come un bambino.
Era così consolante e semplice. Affondai il viso nell’incavo del suo collo e lasciai che il dolore mi investisse in lente ondate.
Joe non fece altro fino a che fui io a scostarmi vergognandomi come un ladro.
Allora chiese:
«Kurt?»
«Esce con un altro» risposi lugubre io. Non lo guardavo, cercavo di ricompormi. Dallo specchietto che avevo appeso all’interno del mio armadietto coglievo lo scorcio di una parte del mio viso. Gli occhi rossi e gonfi mi parvero l’aspetto più detestabile di un insieme patetico. Me li sfregai con decisione e cercai di far riaffiorare un sorriso rassicurante quando Joe mi disse:
«Sapevi che poteva succedere.»
Già, lo sapevo.
«E’ biondo e alto» dissi scioccamente guardandomi le mani. Poi finalmente alzai il viso a guardare Joe e gli sorrisi perché non parve stranito da quello che avevo detto. Anzi, mi prese una mano tra le sue e aggiunse proprio quello che stavo pensando io:
«E non sei tu.»



 

Josh Whoosh





Ci si abitua a tutto, si dice.
Ed è anche vero. Io mi abituai a star male senza sapere di star male.
E pare una cosa assurda, ma vi giuro che è così. Io ovviamente non me ne accorsi, perché durante la maggior parte del tempo vivevo come sempre. Ridevo come sempre, cantavo come prima.
«Il periodo brutto è passato», mi dissi. «Può solo andar meglio. Kurt mi parla di nuovo. Non mi ha ancora perdonato, è vero. Però mi parla».
E se mi prendeva l’ansia quando dovevo rispondere alle chiamate di Kurt mi dissi che era per via del padre. L’ansia è un sentimento normale quando si deve parlare di certe cose, no? Era eccessivo il fatto che mi sudassero le mani e che lasciassi squillare il cellulare ogni giorno un po’ più a lungo?
Probabilmente sì, ma io non vi diedi peso anche se mi accorsi degli sguardi straniti di Joe e dei suoi tentativi di farmi parlare.
«Sto bene» mi trovai a ripetere come una cantilena a chiunque me lo chiedesse, tutti i ragazzi del Glee, tutti quelli dei Cheerios. Scoprii anche che c’erano voci incontrollate su una nuova leadership nel club dei supereroi. «Nightbird sì è indebolito. Ha perso smalto». Dovetti faticare per convincerli che ero ancora degno di essere il loro leader. Riuscii a farlo anche col sorriso. Sorridere è fondamentale nelle relazioni sociali. Predispone l’altro interlocutore ad affrontare qualsiasi argomento in maniera più rilassata, più costruttiva.
Sono le basi del vivere sociale, io penso.
Joe non c’è mai cascato.
«Dovresti parlare di questa tua dipendenza, Blaine» mi disse. «Io sono qui». E poi sorrise.
Joe ha un bel sorriso. Joe è confortante. Sedativo. Ma alla parola dipendenza aggrottai le sopracciglia senza capire.
«Dipendenza?» chiesi.
Lui sorrise ancora: «Da Kurt» rispose con un’alzata di spalle.
«Io non sono dipendente da Kurt» ribattei perentorio.
«Allora la tua scelta di prepararti per la NYADA è una scelta indipendente? Lo fai per te stesso?»
«Certo…» risposi con quello che mi sembrò un tono deciso anche se il dubbio cominciò a insinuarsi nelle mie certezze.
«Non dico che non sia così» mi disse Joe, addolcendo il tono di voce, mentre mi posava una mano sulla spalla. «Dico solo che dovresti rifletterci meglio. Riflettere sul motivo principale per cui vuoi provare con la NYADA. E’il tuo futuro o è l’amore per il tuo futuro con Kurt? Che non è per forza una cosa sbagliata. Solo dovresti ragionarci un po’ su.»
Non risposi e non lo guardai. Mi tormentai le labbra coi denti cercando una qualsiasi scusa per non soffermarmi troppo a pensare a quanto la mia vita sembrasse a chiunque così patetica. Stornai lo sguardo dalla mano di Joe ancora posata sulla mia spalla e l’occhio mi cadde sulle locandine del prossimo ballo.

«Hey Blaine. Tina mi scritto che tu e Sam state organizzando il ballo di Sadie Hawkins…»
Quel ballo per me aveva un significato particolare e mi piacque il tono con cui Kurt mi disse quelle parole. Kurt era consapevole di tutte le implicazioni che c’erano dietro a quella scelta. Eppure non seppi rispondere come volevo. Avevo solo il desiderio insano di accoccolarmi tra le sue braccia e lasciare che il suo calore mi avvolgesse e non pensare. Se solo non fosse stato a miglia e miglia di distanza!
«Già» risposi, mentre avrei voluto dire : «Mi manchi»  e  «Vorrei invitarti se solo tu fossi qui…»
«Chi porterai al ballo? L’hai già deciso?» mi chiese invece lui con un tono che mi parve troppo leggero.
Non risposi. Non direttamente. Farfugliai qualcosa che neanche ricordo.
Quando preparavo il ballo non avevo pensato a prendervi parte attivamente, non con Kurt a New York. E Kurt era l’unico che avrei voluto portare. E lui doveva saperlo, lui non poteva non saperlo…
«Io e Josh…»
Il resto non lo sentii. Non veramente. Le orecchie mi fischiavano ancora quando la conversazione terminò con le solite domande su Burt. Sapevo solo che Kurt e il tizio col nome che mi faceva l’effetto di una mazzata in pieno viso sarebbero usciti proprio il giorno del ballo.
Mentre io sarei stato lì a far da tappezzeria, a guardare le altre coppie divertirsi e magari a cantare due o tre canzoni insieme agli altri del Glee, Kurt sarebbe uscito con uno alto e biondo. Uno che non ero io. Uno col nome che suonava come il rumore di una macchina lanciata a folle velocità.
Una macchina che riusciva sempre a centrarmi con diabolica precisione.

«Blaine?»
Joe doveva aver visto il mio sguardo appannarsi. Quando alzai il viso verso di lui serrai la mascella:
«Vuoi venire al ballo con me?» chiesi a bruciapelo.
La voce mi uscì abbastanza ferma e fui fiero di me come non lo ero da troppo tempo, almeno dal recupero del trofeo delle Nazionali.
Joe non batté ciglio e questo è uno di quei ricordi che custodisco come cari nella mia mente, così come faccio con gli oggetti, le foto, le poche cose che valga la pena conservare.
Mi sorrise. «Sì» rispose. Fece scivolare la mano dalla mia spalla e poi si fece serio prima di aggiungere:
«Dovresti dirglielo però che ci sono cose che ti fanno star male, Blaine. Kurt capirebbe, ne sono certo. E tu non saresti costretto a invitarmi solo per impedirti di stare anche peggio.»
Sbattei le palpebre e annuii incapace di dire altro. Mi sentii così patetico, così derelitto. Provai a sorridere ma mi si piegò solo un angolo della bocca. Un tentativo davvero penoso.
«Sono così scontato?» chiesi con un filo di voce.
«Mi sembri solo innamorato, Blaine.» mi rispose Joe stringendosi nelle spalle. «Ma davvero, dovresti dirglielo.»
«Io non voglio perderlo. Non voglio che smetta di parlarmi. Che abbia paura di parlarmi!»
E dovetti mordermi le labbra per non piangere come un ragazzino. Non mi sarei reso così ridicolo. Non ancora.
Eppure Joe riusciva sempre a spezzarmi, in un modo o nell’altro.
Mi abbracciò senza dire una parola ed io lottai con le lacrime e mi aggrappai a lui per impedirmi di singhiozzare.
Fu in quel momento che comparvero Sam e Britt a rendere grottesca quella situazione particolare.
«Ehi Blaine. Tu potresti davvero passare per Billy, ma Joe è troppo magro per essere Ted!» esclamò Sam passandoci accanto dopo avermi dato una pacca sulla spalla talmente forte da farmi sussultare. «Poi ha i capelli troppo neri e troppo lunghi, non trovi?»
Mi staccai da Joe e vidi in rapida successione l’espressione confusa di Joe – che probabilmente ignorava chi fossero Billy e Teddy e su questo bisognava assolutamente lavorare – lo sguardo preoccupato di Sam nell’attimo esatto in cui si accorse dei miei occhi che dovevano essere rossi, dannazione! e la faccia sconcertata di Brittany che disse:
«Non credevo ti piacessero anche le donne, Blaine!»
Fu allora che scoppiai a ridere travolto dalla situazione, piegato in due, le mani serrate sulle ginocchia. Risi fino a scoppiare, fino a giustificare le lacrime. Chi mi conosce sa che è difficile che io perda il controllo ma in quel momento non mi importava di dare spettacolo. Mi sentivo amato, considerato ed era più di quanto osassi sperare.




 

Josh Whoosh





«Qualcosa non va, Anderson?»
Sussultai, perché in mezzo a tutto quel silenzio non m’aspettavo di esser disturbato dai miei pensieri.
La sala d’attesa era un trionfo di bianco e verde pisello ed il  verde pisello non faceva bene alla mia emicrania.
I postumi della sbronza ancora mi infuocavano testa e stomaco. Chi era quel pazzo che osava fissare appuntamenti il giorno dopo il ballo?

Sapevo che non avrei dovuto bere, non quell’intruglio preparato da Becky, almeno.
La scena tra Becky e Noah era stata troppo surreale – non poteva essere in sé Puckerman se supplicava la ragazza di non esagerare.
«Andiamo, amico…» aveva risposto Puck alla mia domanda (qualcosa del tipo: «Puckerman, sei tu?») «Sono maturato, non vedi?» e aveva allargato il sorriso stringendo a sé una rediviva Lauren Zizes.
Becky mi aveva eletto suo assaggiatore e Dio!, quell’intruglio era una cosa potente e altrettanto disgustosa e lei voleva versarlo nella coppa del punch certa che almeno per questa volta Sue non sarebbe stata presente per controllare visto che la figlia aveva una malattia esantematica. La quarta? La quinta? Mi era difficile pensare con i fumi dell’alcool che già avevano preso possesso della mia controllatissima personalità.
Joe comparve al mio fianco, bianco e splendente. Un vero Gesù in frac, ma molto più simpatico.
Gli sorrisi e lui mi sorrise di rimando.
«Tutto bene?»
Annuii.
«Non bere il punch!» gli bisbigliai mentre Becky versava una dose letale del suo composto nella coppa. Lui seguì il mio sguardo e accennò uno dei suoi brevi sorrisi prima di prendermi per mano e sospingermi verso il palco dove avremmo dovuto esibirci.

Avessi seguito anche io il mio consiglio non sarei stato lì a rimuginare sui danni dell’alcool e su quello che mi aveva spinto a fare.
Alzai lo sguardo e Burt mi sorrise:
«Aspetti una telefonata?» chiese, ed io mi guardai le mani. Stringevano il cellulare con forza. Avevo disattivato la suoneria e ignorato la vibrazione per ben quattro volte. Erano tutte chiamate di Kurt.
Scossi il capo per negare ma non riuscii a liberare la presa dal telefonino.
Mi sentii uno schifo. Probabilmente Kurt voleva avere notizie di suo padre, ma in fondo poteva chiamare direttamente Burt, no?
Il cellulare vibrò ancora ed io mi sentii addosso gli occhi di Burt e nonostante tutto esitai. Esitai talmente a lungo che la vibrazione smise di nuovo.
Non alzai lo sguardo.
«Finn mi ha raccontato di ieri».
Mi si seccò la gola e incassai le spalle pronto ad una sfuriata. D’altronde mi stavo comportando come un’idiota. Era pur sempre il figlio che stavo evitando. Era il figlio che avevo tradito con uno di cui non ricordavo neanche il viso, solo il modo che aveva di gemere mentre veniva e credetemi non è un ricordo che avrei voluto conservare.
«Ti piace sul serio quel ragazzo?» invece chiese.
Allora non potei non alzare il viso a guardarlo. Era così ingiusto fare questi discorsi mentre aspettavamo i risultati delle sue analisi.
«Kurt esce con un altro», mi difesi io.
«Non è quello che ti ho chiesto, Blaine. So con chi esce mio figlio.»
Sospirai.

Avevo bevuto se questa può essere una giustificazione e quando bevo perdo ogni controllo.
Eravamo nel mezzo della sala, io e Joe, e la musica era una di quelle che non ti facevano star fermo. Dovevo muovermi anche perché il pensiero di Kurt e quel tipo m’era tornato in mente all’improvviso e non so neanche io bene perché. Forse perché nei lenti precedenti tutti si baciavano e mi ricordavo bene com’era baciare qualcuno nella penombra di quella stessa sala. Baci veloci, quasi rubati per non mettersi in mostra. Io e Kurt eravamo molto attenti, quasi mai sopra le righe.
E forse mi ero chiesto se a New York le cose erano diverse. Se avevano bisogno di usare le stesse precauzioni per scambiarsi un bacio o se potevano farlo ovunque, in qualsiasi istante. Magari proprio in quel momento.
Quindi ballavo come se insieme all’energia potessi far defluire a terra anche quel pensiero fastidioso. Ballavo come se ne andasse della mia vita. Joe mi seguiva con meno energia e un mezzo sorriso consapevole sul viso.
Fu per quel sorriso, credo. O per l’intruglio micidiale di Becky o per il pensiero delle labbra di Kurt su altre labbra che all’improvviso mi gettai tra le braccia di Joe chiedendogli di baciarmi.
E come nei classici fu quello il momento in cui la musica cessò di essere così assordante e il silenzio amplificò la mia voce.
Un po’ strascicata. Quasi supplichevole.
Il sorriso di Joe si era come congelato. Titubante. Incerto e infelice, mi parve.
Misi le mani avanti e cominciai ad indietreggiare come aspettandomi di essere assalito. Appena incontrai il primo intoppo – doveva trattarsi di Finn, così alto e largo e ingombrante – mi voltai e corsi via.

Ecco quello che doveva avergli raccontato Finn. Fosse stato solo quello sarebbe stato facile rispondere a Burt.
Ma non era finita lì. Ed io ero confuso e quel maledetto mal di testa non mi dava tregua.
Neanche Kurt mi dava tregua.
Il telefono vibrò di nuovo, un po’ più a lungo questa volta, prima di arrendersi.
Burt aspettava e fissava lo schermo del mio cellulare.
Con la coda dell’occhio lo vidi fare una smorfia.
«Kurt sa essere insistente quando vuole qualcosa», disse Burt con un sospiro.
« Forse vuole solo chiedere tue notizie» risposi asciutto.
«No. Avrebbe chiamato me. Kurt non ha bisogno di intermediari.»
«Cosa vuole allora?» mi sfuggì con un pizzico di stizza e poi pensai «Dio, ti prego non potrei ascoltare il resoconto della sua serata. Non oggi. Non così!», stringendo il cellulare tra le mani giunte.
«Se davvero lo vuoi sapere dovresti rispondere, non trovi?»
Sospirai.
«O forse», continuò Burt «dovresti fare un po’ di chiarezza prima.»
«Io amo Kurt. E’ l’unica cosa che so con certezza!» esclamai alzando un po’ il tono di voce. Me ne pentii all’istante. Non era quello il luogo per sfogare la mia frustrazione.
«Scusa» aggiunsi con un filo di voce. Lo guardai e vidi che mi sorrideva.
«Oh, lo so. Non ti sto giudicando, ragazzo. E so che deve essere difficile per te gestire questa situazione.» Mi posò una mano sulla spalla. «Sarebbe più semplice se non ti facessi tutti questi problemi. Tu e Kurt non state più insieme, da quanto ne so.»
Sentirselo dire fece ancora più male.
Chiusi gli occhi e rafforzai la presa sul cellulare.
Annuii perché non potei fare altro. Parlare non potevo.
«Allora ti piace quel Joe?» chiese Burt dopo un po’ raddrizzandosi sulla sedia.
«E’ carino e gentile…» risposi stremato.
«Ma non è Kurt.» aggiunse Burt con un sospiro.
Mi strizzò una spalla con una mano e poi aggiunse: «E quel Josh non sei tu, Blaine…»
Il cellulare vibrò ancora.
«Rispondigli, Anderson. Se non lo fai starai anche peggio.»
Guardai Burt che mi sorrideva ancora, confortante ed allora mi alzai di scatto dalla sedia. Alcuni pazienti si voltarono a fissarmi. Feci un vago cenno di scuse e mi allontanai.

«Dove diavolo eri?» La voce di Kurt era un sibilo irato.
Non seppi cosa rispondere, ma neanche me ne diede il modo perché riattaccò a parlare a raffica ed io seppi che non avrei dovuto interromperlo nell’esatto istante in cui sentii la sua voce rompersi. Non so se per la rabbia o effettivo dolore.
Forse entrambe.
«Avevi detto che ci saresti sempre stato per me, Blaine ed ho dovuto chiamare sette volte prima che ti degnassi di rispondere. Come posso fidarmi di nuovo di te?»
Le sue parole mi ferirono. Chiusi gli occhi e mi morsi le labbra trattenendo il lamento che mi sentivo premere in gola. «Tu ci sei sempre per me Kurt?», avrei voluto chiedergli. «E dov’eri ieri mentre io facevo l’ennesima figura da cretino?»
Il silenzio parve allargarsi mentre cercavo le parole giuste per rispondere. Parole che non fossero amare, vendicative.
«Sono con tuo padre. Ho tolto la suoneria e non ho sentito le chiamate», e nell’esatto istante in cui inventai quella scusa mi sentii un cane.
Non sono capace di mentire. Il più delle volte riesco a simulare un sorriso che non esiste, una gioia che non provo, una sicurezza che non è mai stata mia. Ma è solo simulazione, appunto. Kurt è andato oltre tutte queste finzioni. Kurt mi ha spogliato di tutti questi strati protettivi – più strati di quanti usi lui per vestirsi – e mi ha lasciato nudo e inerme.
Forse ha ragione Joe. Ho una seria dipendenza da Kurt, ma non posso farci nulla.
«Blaine…» mi sembrava di vederlo mentre esalava il mio nome con quel tono snervato.
«Non stancarti di me, Kurt. Ci sto lavorando», pensai col panico che mi saliva da dentro. Per quanto cercassi di essere perfetto riuscivo sempre a mandare tutto in malora. Avevo giurato che in questa storia con Kurt non avrei fatto errori eppure ne ho fatti troppi, fin dall’inizio.
Come può chiunque essere almeno un po’ fiero di me?
Strinsi il cellulare con più forza.
«Ti prego Kurt…» dissi e non so nemmeno io perché e di cosa lo pregai.
«Ieri ho sentito Tina, mi ha chiamato», ed io rimasi frastornato da quel cambio repentino di discorso.
«Cos-» provai a dire ma Kurt non aveva finito.
«So che ti ha invitato al ballo qualche giorno fa. Mi ha telefonato in lacrime chiedendomi scusa per averci provato con te.» Odiai la sua risata. Secca, aspra. Cattiva.
Quello con Tina era stato un momento imbarazzante che credevo di aver risolto nel migliore dei modi.
Non le avevo mentito. Non avevo inventato nessuna scusa. «Sono gay, Tina. E sono ancora innamorato di Kurt».
Due cose che non potrò mai cambiare, mai, per quanto mi sforzi.
Aspettai che Kurt smettesse di ridere e arrivasse al punto stringendo i denti e ripetendomi che qualcosa in Kurt non andava, perché Kurt a volte poteva essere aspro ma mai cattivo. Non senza motivo.
«Mi ha raccontato delle scuse che hai accampato» e alla parola “scuse” non potei trattenere un lamento. «Ti prego, ti prego, ti prego» continuai a pensare senza smettere un secondo. «Ti prego, credimi».
«Eppure io so che tu sei andato al ballo con Joe» continuò lui imperterrito. Lasciò passare qualche secondo di silenzio. Riuscii a sentire il battito del mio cuore pulsarmi in gola per quanto stretta la tenevo. «Ti sei almeno accorto che Tina non è neanche venuta o eri troppo intento a bere tutto quello che potevi?»
«Non ero così ubriaco, Kurt.» Non riuscii a trattenermi. Il tono parve odioso anche a me. «Certo che ho visto che non c’era Tina», continuai. Ed ormai ero lanciato come un kamikaze. Non avrei potuto fermarmi neanche se avessi voluto. «Cosa avrei dovuto fare, Kurt? Avrei dovuto accettare la sua proposta? Sarei dovuto andare al ballo con lei?»
«Ed allora sei andato al ballo con Joe, perché è  molto più coerente con quello che le hai raccontato, non è così Blaine?»
«Tu eri ad un appuntamento con quel Josh» ritorsi puerilmente e mi sentii stupido nell’attimo esatto in cui lo dissi. «Scusa, scusa Kurt, non intendevo…» aggiunsi subito.
Kurt neanche le sentì le mie scuse «Ah, quindi mi stai dicendo che hai invitato Joe solo per ripicca?»
Non risposi. Non era solo quello, ma come spiegarglielo? Come potevo per telefono? Joe c’era. La differenza era solo quella. «Dio, che persona credeva che fossi?» pensai amaramente.
«Ero convinto che tu fossi il mio migliore amico», risposi alla fine con un filo di voce. «Ero convinto che tu potessi capire.» Rimasi in silenzio alcuni attimi per ascoltare il suo respiro affrettato, ancora rabbioso. Cercai di capire in cosa avessi sbagliato stavolta, oltre alla mia innata capacità di usare le parole più inadatte che si possa aver la sfortuna di trovare.
«Non ho fatto che pensare a te, ieri» disse all’improvviso, quasi sfinito.
«Oh» risposi. Solo quello perché non sapevo davvero cosa rispondere, combattuto tra ansia e pura gioia e un sottile terrore di sbagliare ancora tutto.
«Mi hai rovinato la serata», continuò Kurt amaro.
«Ecco…» pensai e mi lasciai sfuggire un sospiro pesante. «Kurt, io…»
«Sta zitto!» mi disse rabbioso. Lo sentii inspirare ed espirare almeno un paio di volte prima di riprendere a parlare.
«Ti amo, Blaine.» e mi parve quasi che quelle parole le strappasse via da sé come fossero un dente da estirpare. «Ma non basta, non basta, non basta» ripeté come una cantilena. Poi lo sentii piangere sommesso e odiai il non essere lì con lui.
«Ti amo anch’io» risposi in un filo di voce.
«Lo so, Blaine» rispose «ma non basta, lo sai».
«Perché?» chiesi implorante. «Perché non può bastare?»
«Perché tu sei sempre lì ed io sempre qui e abbiamo scoperto che a questa distanza non funziona.»
«Questo non cambia il fatto che ti amo» risposi duro. «O che tu ami me, vero?» chiesi poi incerto stemperando il tono.
«No, non lo cambia. Ma cambia altre cose, altrettanto importanti.» Lo sentii sospirare ancora e lasciare che il sospiro si esaurisse prima di aggiungere con un altro tono «Quando sarai qui a New York le cose saranno diverse, Blaine. Lasciamo che il tempo le aggiusti per noi.» Dopo una pausa aggiunse ancora: «E scusami per la sfuriata. Non credevo che la gelosia potesse rendermi così odioso. Come va con Joe, comunque?»
«Cosa vuoi sentirti dire, Kurt?» chiesi sulla difensiva.
«La verità, Blaine» rispose tranquillo. «Non ti salterò ancora alla gola, non preoccuparti. Posso sopportare come hai sopportato tu.» Lasciò passare qualche secondo prima di aggiungere. «So che nonostante tutto non smetterai d’amarmi. Ed è lo stesso per me, Blaine, credimi. Nessuno sarà mai come te.»
Sorrisi e tirai un sospiro di sollievo. Niente era perduto.
«Allora Blaine?»
«Allora?» pensai. «Com’era andata con Joe in realtà?»
Chiusi gli occhi e ripensai alla mia fuga dalla sala.

Non ero andato troppo lontano.
Appena nel corridoio avevo rallentato il passo vergognandomi della mia figuraccia,  di quella fuga e soprattutto della paura irrazionale che ancora mi scuoteva i nervi facendomi tremare come un ragazzino. Nessuno aveva avuto intenzione di picchiarmi, lo sapevo eppure…
«Blaine!» Joe mi raggiunse in un attimo e si affiancò a me nel mio vagare su e giù per il corridoio.
Non lo guardai. Sentivo il cuore andare a mille. Tenni lo sguardo a terra cercando di calmare i tremiti.
«Non sono arrabbiato» mi sussurrò lui senza provare a toccarmi.
Non risposi. Non era di quello che avevo paura. Né della sua rabbia e neanche delle figuracce che spesso costellavano la mia vita. Avevo paura che la gente non riuscisse ad amarmi, perché andiamo!, chi poteva amare un tale disastro? Kurt era la cosa più bella che mi fosse capitata. Lui riusciva a vedermi esattamente com’ero e nonostante tutto mi amava. Quante persone come lui potevano esserci al mondo?
Avevo avuto la mia occasione e l’avevo mandata al diavolo.
«Sai cosa mi piace di te, Blaine?» mi disse Joe all’improvviso fermando il suo vagare.
Mi arrestai solo qualche passo dopo e mi voltai ma non alzai lo sguardo.
«Che nonostante tutto non sei uno che si arrende. Avrai anche mille paure che affronti a modo tuo, ma le affronti». Vidi i suoi piedi avvicinarsi e solo quando furono ad un dito dai miei alzai lo sguardo. Joe sorrideva.
«Mi piace essere tuo amico. E mi piaci tu. Penso che tu sia una persona che vale la pena frequentare. Se tu avessi almeno un pizzico in più di fiducia in te stesso capiresti perché le persone ti seguono come un leader. E allora non avresti alcuna difficoltà a trovare qualcuno che ti apprezzi come meriti.» Joe dovette accorgersi della mia smorfia incredula perché il suo sorriso si fece più largo. «Devi crederci, Blaine. Tu meriti qualcuno che possa amarti davvero. E quel qualcuno non sono io e lo sai. Non credo che tu voglia proprio baciare me.» Si strinse nelle spalle e il suo sorriso si addolcì. «Però di una cosa sono sicuro. Che se ti serve una mano sono qui. Non conoscerò a menadito tutti gli eroi dei vostri fumetti o tutte quelle assurde trasmissioni che vedete in televisione, ma mi piace ascoltare e sono un mago negli abbracci.» E le allargò le sue braccia. E per me fu una questione di secondi lasciarmi andare.
Joe è confortante e sedativo.
E soprattutto era proprio lì dove avevo bisogno che fosse.

Ma non era Kurt.
Nessuno sarà mai come lui.
Raccontai a Kurt la serata in due parole. Lui ce ne mise il triplo per raccontarmi la sua dopo che gli ebbi fatto giurare di tralasciare certi dettagli che preferivo non ascoltare. Lui giurò, anche se mi ribadì che non c’era proprio nulla di scabroso da raccontare. Che la mia proposta a Joe era stata più scabrosa della sua intera serata. Risi e lo sentii ridere. Gli dissi che lo amavo almeno altre dieci volte. Lui rispose «Anch’io» per altrettante.
«Continuerai a vedere quel Josh?» gli chiesi alla fine.
«Penso di sì, Blaine.» rispose Kurt sulla difensiva. «E’ carino e gentile».
Aspettò che avessi qualcosa da ridire ma io rimasi zitto. Potevo accettarlo. Evidentemente avevamo bisogno entrambi di persone carine e gentili.
«E tu?» chiese poi visto che non accennavo a parlare.
«Oh, io cercherò di spiegare a Joe la differenza tra Young Avengers, New Avengers e Secret Avengers.» risposi. Quando lo sentii sospirare mi riuscì facile immaginarlo far roteare gli occhi.
«Ehi, sono cose importanti!» esclamai fingendomi offeso.
«Certo» mi rispose Kurt senza nascondere l’ironia.
«Sono compiti di pura routine per il leader del Club dei supereroi!»
«Non lo metto in dubbio, Blaine. Gli chiederai ancora di baciarti tra una vignetta e l’altra?» mi chiese ridendo.
Pensai alle storie che avevo sfogliato sdraiato nel letto a pancia in giù mentre Kurt ripeteva le sue lezioni e al suo sorriso esasperato quando gli mostravo certe vignette interrompendo la sua routine di studio.
Ripensai a quanto avevamo discusso sulla vignetta di Billy e Teddy che si baciavano e sul loro rapporto e su quanto si amassero comunque, qualsiasi stupidaggine Billy potesse fare e non riuscii più a sorridere.
Non avrei chiesto a Joe di baciarmi mentre sfogliavamo fumetti.
«No» bisbigliai serio. «A parte il fatto che non vorrei ancora una volta metterlo in imbarazzo, per quanto possa piacermi Joe non potrebbe mai ricambiarmi e se anche fosse dovrei trovare l’unico momento in cui non mi venga in mente tu. E non è un momento facile da trovare sai?»
«Ora puoi capire come è andata la mia serata ieri» rispose Kurt. Sospirò. «Mi hanno detto che passa, sai Blaine? Che prima o poi i ricordi sbiadiscono e perdono la loro importanza. E’ questione di tempo.»
«Tu lo credi possibile?» chiesi.
«Solo se si vuole veramente» mi rispose cauto.
«E tu vuoi?»
Lo ascoltai prendere tempo, cercare parole che non fossero troppo dolorose e strinsi i denti. Dipendeva tutto da quello. Dalla sua risposta. Il futuro che avevo davanti ai miei occhi – io e Kurt insieme a New York – mi sembrò improvvisamente incerto. Un sogno.
«Io penso che dovremo entrambi provare, Blaine». Si lasciò sfuggire un lamento mentre lo disse. «Dovremmo darci questa possibilità.»
«Perché?» chiesi.
«Perché ci meritiamo di essere felici?» rispose.
Annuii anche se lui non poteva vedermi. Paura e speranza mi chiudevano la gola impedendomi di parlare.
«Qualunque cosa succeda» continuò lui in un bisbiglio «tu sarai per sempre la mia anima gemella.»
«Come Billy e Teddy?» chiesi con un filo di voce.
Lo immaginai a sorridere.
«Proprio come loro».






Note finali:
- So che il nome della nuova fiamma di Kurt non è Josh. Però mi sono presa la libertà di cambiarlo per utilità della trama. D’altronde quando ho cominciato a scrivere la storia, non si sapeva ancora con certezza.
- Non ci sono spoiler sulla cotta di Blaine. Sono io e solo io che spero sia Joe.
- Come si può evincere dalla storia sono una fan sfegatata della Marvel. Compro tra i sei e i sette albi al mese (senza contare gli speciali e le mini serie) e ho dovuto inserirli. Ci stavano bene. So che il costume di Blaine si ispira alla concorrenza, ma non conoscendo la DC non ho potuto fare citazioni in quel senso. Niente contro la DC (non mi interessa alcuna faida fumettistica), anzi mi piacerebbe avere la possibilità di leggere anche loro, ma mi è umanamente impossibile.
Per chi non conosce Billy Kaplan e Teddy Altman vi rimando alla pagina degli Young Avengers su Wikipedia. http://it.wikipedia.org/wiki/Giovani_Vendicatori
Sarebbe troppo complicato raccontarvi la loro storia e mi ci vorrebbero pagine e pagine solo per le note.
- Ultima nota, forse la più importante è che ho davvero provato a rendere il finale un po’ più speranzoso, ma sono convinta che Blaine e Kurt (ma soprattutto Blaine io credo) abbiano bisogno di disintossicarsi da loro stessi. Stare separati per un po’ non può che fargli bene.
Io so che torneranno insieme, alla fine.
 

  
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