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Autore: MrsHousekeeper    03/01/2013    4 recensioni
***SPOILER 3a stagione***
Dopo quanto accaduto nella 03x05, Mrs. Hughes trova molto difficile prendere sonno, sopraffatta dalla gravità degli eventi. Riuscirà a trovare un po' di pace?
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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La notte era ormai più che inoltrata e i corridoi della servitù deserti e silenziosi. Gli ultimi sussurri di consolazione si erano spenti, seguiti, poco a poco, dai singhiozzi soffocati dietro le porte chiuse che alla fine, vinti dalla stanchezza, avevano a loro volta trovato una tregua. Sapevano tutti che sarebbe stata solo un'illusione temporanea: non c'era modo di allontanare quella tragedia, non si sarebbero rialzati mai più da quel colpo. Fino a che avessero avuto vita avrebbero ricordato quella notte.

Per quella che avrebbe potuto essere la milionesima volta Elsie Hughes cambiò posizione e si strinse nelle lenzuola, ma com'era stato per ognuno dei tentativi precedenti neppure quello servì a portarle sollievo. Il freddo non voleva andarsene, il sonno non voleva venire – il respiro della morte aveva contaminato ogni spirito sotto quel tetto ed era così difficile, così straziante pensare a chi avesse preso con sé. L'animo più dolce...

Se Mrs. Hughes non aveva mai mostrato di avere particolari simpatie verso lady Mary – non bastava forse, in aggiunta all'amore sconfinato dei genitori, la leale, assoluta adorazione di Mr. Carson? – aveva sempre avuto una considerazione speciale per le sue sorelle: erano state le piccole attenzioni per la malinconica Edith, perennemente relegata sullo sfondo e sostanzialmente incompresa; e le mille risposte, qualche dolce extra, per Sybil, curiosa e spontanea e fresca come una pioggia di primavera. Che il cielo – no, si rimproverò, non il cielo: l'incompetenza di un uomo che non aveva voluto ammettere il proprio errore – avesse privato tutti loro di quel prezioso raggio di sole era un pensiero insopportabile.

Non aveva idea di come l'avrebbe accolta, e neppure se lo avrebbe fatto, ma decise che l'indomani avrebbe cercato di parlare con Branson. Poco importava che lui, ora, per quel matrimonio non fosse più parte della “loro” famiglia dei piani inferiori – nessuno dei suoi ragazzi aveva smesso di esserlo solo per avere scelto altre strade... Come non aveva smesso di vegliare su Ethel, non avrebbe mai smesso di avere a cuore Tom.

Si rigirò ancora, sempre più infreddolita e incapace di prendere sonno. Non trovava pace. Si sentiva sola, vuota – un guscio rotto, privo di senso senza l'altra metà.

E spalancò gli occhi nel buio e serrò i pugni e si ritrovò seduta, i piedi nudi sul pavimento lucido e freddo. Il pavimento di legno divenne quello di pietra del corridoio e la chiave stretta nella sua mano quella della porta di separazione tra il quartiere degli uomini e quello delle donne. Esitò per un attimo. Quanto avrebbe potuto costarle, oltrepassare quel confine?

Ma quella notti le leggi che regolavano la loro vita si erano capovolte e frantumate e Elsie scoprì che non le sarebbe importato di perdere ogni cosa, se fosse servito a far tacere il vuoto che la faceva impazzire. Girò la chiave e la riappese al gancio come se niente fosse perché nessuno potesse accorgersi di nulla; aprì la porta e la tirò silenziosamente dietro di sé. Prese un profondo respiro e raggiunse la stanza del maggiordomo.

Charles Carson non era molto diverso da come lo aveva trovato qualche ora prima nel suo ufficio, dopo avere lasciato gli altri a loro stessi per assicurarsi che lui stesse bene. Lo sguardo fisso sul nulla e pieno di lacrime era lo stesso, così come erano gli stessi i pugni contratti e il respiro irregolare di chi lotta per non abbandonarsi alla disperazione. Aveva alzato la testa quando la porta della sua camera da letto si era aperta ma senza curiosità, senza sorpresa, come se la presenza della donna lì fosse perfettamente logica.

« Dovreste riposare, Mrs. Hughes... »

« Anche voi. Domani sarà una giornata lunga e terribile. Saranno tutte giornate lunghe e terribili, d'ora in poi. » Lo vide annuire nella penombra – come lei anche lui disponeva della luce elettrica nella propria stanza ma, come lei, nei momenti difficili continuava a preferire le candele. Il calore della fiamma lo aveva accompagnato per il primo mezzo secolo della sua vita e godeva di una sorta di fascino arcaico e fuori dal tempo, un alone rassicurante che mai una lampadina avrebbe potuto possedere.

« Credete che dovrei accendere la luce? »

« Non ne vedo la necessità. Di sicuro non renderebbe più rispettabile la mia presenza qui, non vi pare? »

« Perché siete qui, Mrs. Hughes? » domandò piano, gli occhi semichiusi, continuando a fissare davanti a sé.

Elsie Hughes sospirò, allargando appena le braccia in un gesto che tutti ormai in quella casa avevano familiare. « Tutto questo. Quella povera ragazza. Il povero Tom, la piccola... Non ce la faccio, Mr. Carson. È troppo. »

Charles chinò la testa senza una parola – non servivano parole, perché lei capisse ciò che provava. Non ne erano mai servite – ma aprì una mano e la posò delicatamente sul materasso, una volta sola, quasi temesse che quell'invito potesse in qualche modo scandalizzarla. Lei sospirò, invece, e si sedette con lui sul bordo del letto. « Se solo fosse successo a me, » mormorò, trovando finalmente il coraggio di dar voce al pensiero che più di tutti nelle ultime ore le aveva dato il tormento. Carson si voltò all'improvviso, apparentemente senza aver colto il filo delle sue parole, e lei proseguì. « Per quale ragione risparmiare me, Mr. Carson, per poi portarsi via la nostra piccola? Perché lasciare senza madre una bambina appena nata, quando... Avrebbe dovuto prendere me. »

La mano destra del maggiordomo – aveva mani grandi, forti, espressive: mani da lavoratore, e insieme di una delicatezza inarrivabile – si appoggiò su quella della donna proprio come era accaduto, a parti invertite, qualche ora prima. Richiuse le dita timidamente, poco alla volta, per darle il tempo di sottrarsi a quel contatto se lo avesse voluto – Elsie Hughes invece non si sottrasse, e voltò la mano in modo da incontrare, con il palmo, il palmo di lui.

« Non ditelo. Non ditelo mai, » la rimproverò.

« Sarebbe stato molto più logico, invece. Più logico, meno terribile per tutti... Sarebbe stato più giusto, Mr. Carson. Molte meno persone ne avrebbero sofferto, e comunque per meno tempo. »

« Non è così, Mrs. Hughes, voi... »

« Sì, lo so, sono così apprezzata, » esalò, ripetendo con una strana intonazione derisoria parole che in tante occasioni le erano state rivolte tanto dalla famiglia quanto dal resto della servitù. Parole che le avevano sempre scaldato il cuore e in quel momento suonavano così inutili. La mano che teneva la sua si strinse, fino a che le loro dita non furono intrecciate.

« Siete molto di più, Elsie. »

« Apprezzata e indispensabile, certo. I cimiteri sono pieni di persone indispensabili, Mr. Carson, se non l'aveste notato. »

La mole considerevole del maggiordomo scivolò piano all'indietro, il tanto che bastava per voltarsi a fronteggiarla. Il suo viso segnato dal dolore di quella notte si era scurito, la fronte aggrottata e le labbra piegate in una smorfia che pur appena accennata la diceva lunga su quanto quella conversazione gli costasse. Tese la mano libera, in modo da racchiudere fra le proprie quella della donna che gli era seduta a fianco.

« Elsie. » Lei, che sull'onda di quell'amarezza annidata nelle sue ultime parole era stata pronta a continuare per chissà quanto su quella strada – come se una sterile discussione sull'ingiustizia della vita e lo scarso valore che attribuiva alla considerazione degli altri potesse guarire il vuoto tremendo di quelle ore – si immobilizzò, realizzando per la prima volta che era stato il suo nome, a scivolare fuori dalle labbra di Carson, e non il suo titolo abituale. Si domandò se sarebbe stata in grado di fare altrettanto – pensare a lui come Charles, sognarlo come Charles, non equivaleva ad essere pronta a sentire la propria voce pronunciare quel suono tanto caro. Rimase in silenzio. « Elsie. Voi siete apprezzata, e indispensabile, e molto amata, e noi davvero non sapremmo cosa fare senza di voi... »

« Noi? »

« La nostra insolita famiglia, e anche la famiglia, nonostante voi ed io a questo riguardo la pensiamo piuttosto diversamente. » Elsie Hughes aveva assunto un'espressione insolita, incerta, come se non sapesse bene se sentirsi commossa o delusa – e perché, poi, sentirsi delusa? Cos'altro avrebbe potuto aspettarsi, da quell'uomo monolitico e ligio alle regole più di un militare di carriera? « Noi, » le sorrise, con un'alzata di spalle che sembrò l'incarnazione dell'imbarazzo e lo sguardo cui mancava il coraggio di posarsi su di lei, « e io più di tutti gli altri. »

« Voi, Mr Carson... »

« Io, Charles. Sì. Io. Sarei completamente perso senza una certa governante sempre pronta a riportarmi con i piedi per terra. Non è un segreto per nessuno... »

« Lo era per me, » mormorò, piegando la testa per riuscire a catturare di nuovo i suoi occhi. Charles Carson, il severo, rigido maggiordomo dagli standard altissimi, quella volta si lasciò catturare.

« Ora non più. »

« Ora non più, » convenne lei.

« Quindi, per favore, non dire mai più cose del genere. Non abbandonarmi, Elsie Hughes. »

« Mi pareva che qualcuno mi avesse invitata ad andare a riposare... »

« Mi pareva di aver capito che qualcuno non riuscisse a dormire... »

« Touchée. »

Nella luce fragile della candela, Elsie Hughes credette di stare immaginando il rossore sul collo e sul viso dell'uomo. « E potrebbe...aiutarti...a riposare, se ti chiedessi di restare qui? »

Elsie si ritrovò a fare qualcosa che fino a qualche ora prima aveva creduto impossibile. Sorrise.

« Io credo di sì. »

  
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