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Autore: Palmeras Celestiales    03/01/2013    3 recensioni
I nostri corpi trasudavano emozione, felicità e brividi da tutti i pori. I
suoi occhi nei miei mi disarmavano. Debole, trasportato dall'emozione e dal furore
mi avvicinavo per baciarla, piano, veloce, delicatamente le accarezzavo il
viso, le sue labbra bruciavano per il freddo, caldo e freddo, questo contrasto di
corpi, le dita della mano destra intrappolate nei suoi morbidi capelli ricci,
con la sinistra le toccavo il collo, lungo, caldo, la carotide vorticosamente
batteva, scendevo giù, verso il fondo schiena, seguendo le linee del suo
corpo.
La sua bocca desiderosa quanto la mia continuava a baciarmi, per un lungo
istante. Ma come a volte accade, l'istante si fermò. Indugiò e rimase, per
molto più di un istante, e il suono terminò, e il movimento si fermò, per molto,
molto più di un istante. E poi l'istante finì.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allison Argent, Scott McCall, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Every Breath You Take

 

 

 

"Un battito, vent'anni son passati via in un attimo: pensieri ed emozioni che riaffiorano, però sempre memorie poi rimangono... dormono, dormono."

 

Volati i vent'anni dal mio primo incontro con Allison, dal nostro primo appuntamento, dal nostro primo bacio, come un'aquila che spicca il volo e viaggia verso il meraviglioso infinito, attraversando il centro del mondo e le sue oscure foschie, giorno e notte, buio e luce, ragione e sentimento,

tristezza ed euforia, gioie e dolori, alti e bassi, viaggiando sempre nella stessa direzione, seguendo i venti cangianti, senza mai arrendersi.

 

 

 

Il rumore assordante riempiva le mie orecchie, pensavo dovessero scoppiare. La classe assorta nelle parole del professor Harris che, come al solito, minacciava gli studenti; io e Stiles, in particolar modo, sembravamo catturare

tutta la sua attenzione. Non potevano non sentirlo, quel cellulare sembrava una bomba pronta a scoppiare, mi guardai intorno fin quando, fuori dalla finestra, nel cortile, una ragazza alta, bellissima, frugava nella sua borsa. 

I capelli ondulati e castani le cascavano lungo il viso, afferrò il cellulare e rispose. Sua madre le chiedeva come stesse andando il suo primo giorno di scuola, l'irritazione rasentava la rabbia e l'imbarazzo, mentre cercava una penna nella confusione della sua borsa, tipico delle ragazze.

Non riuscivo a capire come facessi a sentire tutto ciò, io dentro e lei fuori, eppure, in qualche modo, eravamo più vicini di quanto non sembrasse.

Un giovane licantropo, con i sensi un po' troppo sviluppati, il cuore gonfio di felicità quasi distruggeva il mio petto, avevo la sensazione che dovesse uscire fuori da me.

Eccola qua, in classe, accompagnata dal preside, elegante, astuta, meravigliosa, ed io così fuori controllo, non riuscivo a trattenere l'emozione.

Dietro di me un banco vuoto. Mentre sedeva le porgevo la penna che a lungo aveva cercato senza successo. Che imbarazzo, ecco la forma presa dalle emozioni, pura goffaggine.

Dalla sua bocca sbocciava un sorriso, mi ringraziava, o almeno credo che mi ringraziasse. La mia mente era fuori controllo, appannata dalla compostezza di quel sorriso, dalla linea sottile delle sue labbra che avrei voluto baciare al più

presto.

 

 

L'armadietto mi sorreggeva, Stiles brontolava delle cose, la guardavo rifiutare l'invito di Lydia per la festa a casa sua, venerdì sera, dopo la partita di lacrosse.

"Dannazione, potevano anche farla un'altra sera la cena i suoi". Questo pensai, mentre la voglia di stare con lei lasciava posto ad una leggera inquietudine.

Il LACROSSE! Aveva accettato l'invito a vedere gli allenamenti; il panico s'impossessava di me, cosa avrebbe pensato vedendomi in panchina?

Gli eventi avevano preso una piega diversa, tra i sensi sviluppati anche super velocità e vista a raggi X, che mi avevano permesso di entrare in prima squadra, e mentre la panchina vuota diventava sempre più gelida, diventavo co-capitano di lacrosse.

 

 

Pioveva quella notte, pioveva a dirotto, una pioggia simile raramente si vedeva a Beacon Hills. Monotona la clinica, eppure quel lavoro mi piaceva, soprattutto in quel periodo. Occuparmi degli animali mi distraeva, ma al contempo imparavo ad occuparmi di me stesso per ogni evenienza. Temevo la mia natura, malvagia per antonomasia, temevo di poter far del male alle persone a cui tenevo: mia madre, Stiles, lei... temevo di poterla uccidere.

Tra i fruscii e gli scossoni del vento, bussarono alla porta. Nella clinica chiusa il sospetto e la paura pervadevano il mio cuore. Col fiato corto mi avvicinai alla porta.

Bagnata da capo a piedi, lei bussava spaventata. Aprivo la porta euforico. Mi aveva trovato! Non riesco a scrivere, ora qui, le parole dette da lei in quel secondo, parole sconnesse, cariche di paura e ansia.

Aveva investito un cane e temeva che incontrasse la morte. Il suo cuore batteva fortissimo, con una velocità impressionante, mentre spasmi di freddo

l'attraversavano. Preso il cane dal suo bagagliaio, dentro nella clinica, le porgevo una maglietta asciutta, lei si cambiava in un altra stanza, e mentre medicavo il cane, vivo, riuscivo a vedere i lineamenti sottili della sua schiena, sentivo la maglietta accarezzarle la pelle, il mio cuore scalpitava, gli ormoni fuori controllo. "Saltale addosso" mi diceva il lupo, ma la sua delicatezza, la scioltezza e la precisione dei suoi gesti mi frenavano, nessuno avrebbe dovuto farle del male, mai, nemmeno io.

Terminato l'idilliaco momento, allungava i passi verso di me, accarezzava il cucciolo e mi chiedeva se stesse bene. Non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso, volevo memorizzare con precisione i suoi lineamenti, stamparli bene in mente, non dimenticarli più... Sapevo che l'avrei rivista il giorno dopo, ma non si poteva mai sapere.

Desideravo solo vivere di lei e per lei!

La guardavo intensamente, non riuscivo a toglierle lo sguardo di dosso.

«Che c'è?»

«Ah, scusami...hai una ciglia sulla guancia».

«Ah, perché ho pianto».

Che cavolata, la mia parte razionale continua a chiedersi cosa mi sia venuto in mente quella sera.

Senza successo il suo tentativo di togliersi la ciglia, così io allungavo il braccio tremante verso il suo viso, nella mente solo nebbia, nebbia fitta, gli occhi traboccanti di gioia infinita, ogni parte del mio corpo sperava che quel momento durasse da lì all'eternità, ma si sa che le cose più belle sono anche quelle più fugaci. Accarezzata dai capelli bagnati, sfioravo la sua guancia e con il pollice, troppo grande per quel viso perfetto, le toglievo la ciglia. 

La sua pelle, morbida al tatto, così soffice, mi faceva impazzire. Il lupo scalpitava, voleva saltarle a dosso, impossessarsi di lei, lì, in quel preciso momento, desideri moderatamente impuri, scacciati via dall'autocontrollo, 

quasi fosse una battaglia alla conquista di lei, Allison.

Brividi scuotevano il mio corpo al solo sentire pronunciare quel nome, brividi scuotevano il mio corpo ogni volta che io lo pronunciavo. Non esisteva parola che rendesse l'estasi di quel nome, non esisteva parola bella come il suo

nome.

«Devo andare».

L'equilibrio perfetto rotto da quelle due parole, così semplici, chiare, eppure prive di senso.

A fatica l'accompagnai all'uscita.

«Ci vediamo domani».

«Sì, certo», ma avrei voluto dirle che non vedevo l'ora che quelle ore che ci separavano dal domani passassero velocemente, che non ne avevo mai abbastanza di lei. «Allora, mi stavo chiedendo... insomma... devi stare con la tua famiglia venerdì, oppure potrai venire a quella festa con me?»

Ripristinate calma e razionalità, cercavo un approccio per invitarla ad uscire.

Maldestro, troppo frettoloso e privo di speranze.

«Ho detto una bugia, in realtà». Allison con aria dispiaciuta tentava di chiarirsi.

Il cuore mi scoppiava nel petto caldo, sudato, speranzoso, la sensazione di vivere in un mondo capovolto non mi abbandonava neanche per un secondo.

«Quindi significa che verrai?» Non potevo evitare di sorridere, non ce la facevo, vacillavo beatamente nell'interminabile attesa di una risposta.

«Mmm...» Con la mano sullo sportello dell'auto, voltava dall'altra parte il volto, e i miei occhi insaziabili seguivano il moto oscillante dei suoi capelli.

«Decisamente si!»

Quella risposta secca, decisa,  il sorriso perfetto, quasi fosse stato disegnato da un professionista... Avevo il cuore in gola, non riuscivo a pronunciare una parola, e con un sorriso, spero non un ghigno, la salutavo.

«Passo a prenderti alle 8.00».

«Ok».

Sotto il portico della clinica la vedevo allontanarsi, mentre le mie orecchie ascoltavano battiti frenetici, piano, veloci, come una melodia, che lentamente arriva al suo apice per terminare poi con un gran finale d'effetto.

 

 

Lì sotto casa sua, attendevo in macchina, perfetta la serata, tuttavia la luna stava per giungere il suo apogeo.

«Andrà tutto bene!» mi ripetevo, sembrava una cantilena.

Lottavo contro la falsità di quelle parole; tutto andava per il verso giusto e stavo per perderlo così, da un momento all'altro, per qualcosa che trascendeva da me, per qualcosa che non volevo... ma con la quale ho imparato a convivere.

 

"Hey baby, what's that sound

I make a few steps and I fall on the ground

It's a long shot but darling I couldn't love you more.

Come on, come on

 

Hey baby, give it a try

I can find an answer if you wanna know why

I know I'm a nerd but give another play to this song

Come on, come on

 

How does it sound if we spend the night out ?

How does it sound if we spend the night out ? "

 

Cercavo di allentare la tensione ascoltando un po' di buona musica, gli occhi chiusi per rilassare al meglio i nervi.

 

"Why do I have to fly over every town up and down the line?

I'll die in the clouds above and you that I defend, I do not love

 

I wake up, it's a bad dream, no one on my side

I was fighting but I just feel too tired to be fighting

Guess I'm not the fighting kind

 

Where will I meet my fate?

Baby I'm a man and I was born to hate

And when will I meet my end?

In a better time you could be my friend".

 

No, questa canzone no. I Keane probabilmente pensavano di addolcire la serata così facendo, ma non avevano idea di quanto quel pezzo descrivesse quel momento, quella notte. Cambiavo le stazioni radio alla ricerca di una canzone allegra, carica di euforia, come me al solo pensiero che Allison di lì a poco sarebbe uscita, con me... con me.

In ritardo, come tutte le ragazze di questo mondo, chiudeva la porta di casa, scivolava lentamente verso la mia macchina, sinuosa, bellissima e con le sue mani da pianista apriva lo sportello per entrare.

Estasi, questo provavo. Probabilmente sembravo un ebete, non potevo fare a meno di ridere e guardarla.

Piena di gente la festa, ma per me esisteva solo lei. La osservavo avanzare sicura di sé, e proprio quando pensavo che meglio di così non potesse andare, il palmo della sua mano aperto si avvicinò alla mia mano. Io, timido, insicuro,

continuavo a fissarla interrogativo, e col suo sguardo pieno di coraggio ed ottimismo mi faceva cenno di prendergliela. In quell'istante, nel momento in cui le nostre mani si strinsero l'una all'altra, mi sono accorto che saremmo stati insieme, sempre e per l'eternità. Ballavamo un po' di quella musica che troppo spesso anima le feste della città, nelle quali tutto può succedere. La presenza di Derek aumentava l'inquietudine, la luna cresceva come il timore 

che qualche disgrazia potesse accadere.

Improvvisa, una fitta allo stomaco, una rabbia nuova montava senza una causa precisa, la testa fuori controllo, troppi rumori affollavano la mia mente, troppo forti, difficili da contenere.  Neanche la presenza di Allison riusciva

a placarmi, cercavo il suo sguardo, ma immobile, impietrita, mi guardava correre via, così, senza una spiegazione. Una moltitudine di persone mi chiedeva cosa avessi, non lo sapevo neanche io, non capivo, il corpo mi faceva un male cane, ed in giardino prendevo la macchina e correvo via, via... lontano da possibili bersagli. Via, via... lontano da lei. Via via, sempre più lontano... a far emergere la creatura mostruosa insita in me.

 

 

La notte peggiore della mia vita, la mia prima notte da lupo, alla disperata ricerca della parte umana di me stesso, vagavo nel bosco, senza successo.

Correvo, correvo sempre più lontano, sempre più, il dolore incessante vivo dentro me, scorgevo cose mai viste fino ad allora, a Beacon Hills, il posto dove sono nato e cresciuto, in quei boschi che conoscevo a memoria, a causa del continuo vagare di me e Stiles. Correvo senza fermarmi mai, con in mente solo lei e la sua sicurezza e la consapevolezza che non mi avrebbe mai perdonato per averla  abbandonata così.

Nuovamente umano, terminate le ore cruciali, mi ritrovavo a casa, disteso esausto sul morbido letto, riscaldato dalle coperte di flanella.

 

 

«Devo trovarla!»

«Sta bene, Derek l'ha riportata a casa».

«Che cosa?» Il terrore s'era impadronito di me.

«Ho controllato, sta bene, è sana e salva». La stanchezza della ripetitività si leggeva sul volto di Stiles. «Hai già un piano per farti perdonare?»

«Ehm... no, a dir la verità». Ed era vero, sapevo che dovevo farmi perdonare ma non sapevo come, non ci avevo pensato neanche per un secondo, come al solito.

La scuola affollata era pervasa dalla normalità assoluta, tutti non facevano altro che parlare della partita di lacrosse di quella sera.

E irrequieto m'impegnavo nella ricerca disperata di Allison. Sia Stiles, sia Derek mi chiedevano di non giocare, che sarebbe stato pericoloso, che avrei potuto nuocere a qualcuno, che non sarei riuscito a controllarmi, che la 

rabbia avrebbe preso il sopravvento su tutto e che nulla mi avrebbe fermato.

Mille tentativi, mille scuse, tutto pur di non giocare quella sera, ma nulla sembrava funzionare, quella sera dovevo giocare o non avrei giocato mai più.

Allison camminava sinuosa per il parcheggio, più bella che mai, perdevo il controllo di fronte a tanta meraviglia. Goffamente mi avvicinavo per avere il suo perdono. Breve ma concreta e carica di intesa la nostra conversazione, colpito dallo stupore, mi allontanavo da lei. Mi aveva dato una seconda possibilità, cavandomela con un semplice «fidati di me», non dovevo sprecarla.

Starle dietro, col fardello che portavo sulle spalle, certamente non si rivelava la cosa più semplice del mondo. Inoltre la sua famiglia cacciava proprio quelli come me, le bestie che feriscono e, soprattutto, uccidono.

Sapevo di doverle dire la verità quanto prima, ma come primo istinto volevo tenerla fuori dai guai, lei così innocente, così indifesa. Mi godevo il momento, pieno di me, sempre più sicuro e spavaldo, cercando di non perdere la mia essenza.

 

 

Il freddo quella sera entrava nelle vene, rendeva gelide persone e cose, molto euforici e rabbiosi gli animali. Assistevano proprio tutti, mia madre, Allison

e suo padre. Qualunque cosa sarebbe successa quella sera, sarebbe accaduta al chiaro di luna, letteralmente.

Iniziata la partita potevo sentire la sua voce e il suo profumo. Lydia le stava accanto e mentre il gioco si faceva via via più duro, insieme innalzavano un cartello con su scritto  "Jackson ti amiamo". Non lo sopportavo, mi chiedevo perché ascoltasse sempre Lydia. Non riuscivo a prendere una palla, la furia nei confronti di Jackson cresceva, fin quando... eccolo lì, spuntare nel bel mezzo del gioco, proprio quando avrei dovuto mantenere la calma. Sentii dire dai ragazzi che stavano facendo di tutto pur di non passarmi la palla e che

Jackson, l'artefice del piano, avrebbe voluto prendersi tutta la gloria. La furia cresceva, così impossessatomi della palla continuavo a giocare, a lottare, a segnare, mentre il furore sul volto di Jackson lasciava spazio all'incredulità, che raggiunse il suo culmine proprio quando segnai l'ultimo punto negli ultimi secondi.

In quel momento fuoco e rabbia esplodevano dentro me, e a gran passi veloci mi ritrovai nello spogliatoio, mentre cercavo di mantenere il controllo, per Allison, o per la presenza di suo padre, almeno! Non potevo essere così stupido da 

bruciare tutto in quella maniera.

«Scott... Scott, sei qui? Scott?»

"Cavolo no, vattene, vattene finché sei in tempo, ti prego, vattene, non voglio farti del male, ma devi andare via Allison, devi sparire, devi uscire di qui ed io dovrei darmi una calmata, era solo una partita e non era andata male, dovevo mantenere il controllo". Pensieri confusi affollavano la mia mente, mentre cercavo di riprendere il controllo di me stesso.

«Scott, sei qui!» Con i gomiti contro il muro, la parte umana di me riaffiorava.

«Hey».

«Sei sparito, pensavo volessi nuovamente abbandonarmi».

«Cosa? Io... no, mai, mi dispiace per ieri sera, davvero».

«Tranquillo». Lei era divertita.

«Tu mi hai dato questa seconda possibilità e non vorrei sprecarla, vorrei sfruttarla al meglio».

«Proprio quello che sto aspettando, che tu la sfrutti al meglio».

I nostri corpi trasudavano emozione, felicità e brividi da tutti i pori. I suoi occhi nei miei mi disarmavano. Debole, trasportato dall'emozione e dal furore mi avvicinavo per baciarla, piano, veloce, delicatamente le accarezzavo il 

viso, le sue labbra bruciavano per il freddo, caldo e freddo, questo contrasto di corpi, le dita della mano destra intrappolate nei suoi morbidi capelli ricci, con la sinistra le toccavo il collo, lungo, caldo, la carotide vorticosamente

batteva, scendevo giù, verso il fondo schiena, seguendo le linee del suo corpo.

La sua bocca desiderosa quanto la mia continuava a baciarmi, per un lungo istante. Ma come a volte accade, l'istante si fermò. Indugiò e rimase, per molto più di un istante, e il suono terminò, e il movimento si fermò, per molto, molto più di un istante. E poi l'istante finì.

Gli occhi di Stiles su di noi.

«Vado da mio padre, ci vediamo dopo».

«Certo».

«Ciao Stiles».

Stiles la salutava imbarazzato, ma non poteva fare a meno di star lì a guardare ed io gli facevo pesare nulla, o perlomeno ci provavo, senza grandi risultati.

 

 

La nostra relazione durava da un po', quel pomeriggio dovevamo studiare insieme. Sia Stiles, sia Lydia immaginavano che saremo passati al "livello successivo", ma dopo un solo appuntamento mi sembrava un tantino avventato.

Una giornata molto frenetica seguiva una nottata inquieta.

Derek, ferito durante la notte, necessitava di una cura che solo gli Argent possedevano ed io la dovevo "prendere in prestito". Non volevo sfruttare Allison per questo scopo, la cosa mi rincresceva. Ma, con poche alternative,

anzi nessuna alternativa a disposizione, dovevo servirmi di lei, solo per quel pomeriggio.

La passione potente ci trasportava, cercavo di scacciare l'istinto di prenderla di peso e scaraventarla su quel letto, cercavo di concentrarmi sullo studio.

Stavo per dirglielo, ma un suo sottilissimo dito sulla mia bocca scivolava zittendomi.

Le sue labbra iniziavano a baciare insistentemente le mie. Con un vigore mai provato fino ad allora, io ricambiavo. Distesi sul letto, ci lasciavamo trasportare dalle emozioni. Sguardi muti che spesso parlano più di parole urlate al vento

nell'entusiasmo del momento. Il suo respiro accarezzava dolcemente il mio collo, seguito da morbidi ed intensi baci, sotto la maglietta il sudore trapelava, l'eccitazione sempre più forte, impazzivo, impazzivo di gioia, e un fremito, una forza potente attraversava il piccolo Scotty. Divertita dal

momento imbarazzante, ma alquanto naturale, lei rideva, il sorriso contagioso mi faceva volare, col corpo, con la mente, con le fantasie, con tutto. 

Liberavo tutto me stesso, i problemi, le gioie... si risolveva tutto in quell'istante, come se non potessi essere mai più lupo, ma solo Scott.

Percepivo la maglietta di Allison in modo differente, con un occhio aperto vidi le unghie da lupo, immediatamente nascoste sotto un cuscino. Un momento di straordinaria magia terminava con quest'imprevisto e con Stiles che non faceva altro che chiamarmi.

Non osavo immaginare cosa stesse passando, ma neanche io mi stavo divertendo, lui aveva solo Derek a cui pensare, io la schiera degli Argent.

Allison allungò il braccio per prendere il telefono, in una frazione di secondo glielo bloccai, e quasi per miracolo la mia mano era tornata normale, era la mano di Scott e non la mano del lupo.

Nel garage un altro assaggino dei momenti intensi provati nella sua camera, certo, la concentrazione veniva a mancare considerando tutte le armi, letali per me, che ci circondavano, e rimanevo incredulo di fronte all'ignoranza di

Allison. Ovviamente, come capita un po' ad ogni teenager, il padre ci aveva colti in flagrante. Intanto cercavo un ultimo modo per potermi impossessare del proiettile, ma senza successo, e quando pensavo che ogni speranza fosse stata 

persa, ecco che Kate m'invitava a restare per cena. Felicità e imbarazzo  mi sconvolgevano, dovevo concentrarmi sull'obiettivo principale della giornata!

La cena molto imbarazzante non finiva mai, la lunghezza di quelle ore era quasi estenuante; il signor Argent cercava di far emergere il peggio di me, ma parte dei suoi discorsi risultava interessante, non immaginava neanche quanto

potessero aiutarmi a farmi un'idea sulla bestia in me. Meno male che Kate, per molti aspetti stranamente gentile, interrompeva certi discorsi lugubri con frasi o storielle gradevoli. Inquietante l'aspetto di Kate, aveva sparato a Derek e non sapevo di preciso cosa aspettarmi da lei, gentile in quel momento, feroce la notte precedente.

Alle parole del padre, il cuore di Allison sussultava rapidissimo, non sapevo come aiutarla a calmarsi. Così, lentamente, la mia mano scivolava stringendo forte la sua. I sussulti diventavano, ora, rari, il cuore batteva con ritmo regolare.

Il cellulare vibrava, come un orologio antico che fa "tic tac, tic tac", le ore precedenti ad una morte molto sofferta passavano terribilmente. Con una scusa ero andato a rispondere.

Stiles nel panico mi pregava di far qualcosa, nella clinica veterinaria entrambi contavano sul mio aiuto, sull'aiuto di un lupo imbranato privo di idee.

Nel panico, mi avvicinavo alla prima stanza con un allarme. Dannazione, l'allarme!

«Ti sei perso cucciolotto?»

"Solo Kate mi mancava, adesso sì che i guai diventano belli grossi". Non sapevo che fare, dissi la prima cosa che mi passava per la mente in quel momento, l'unica cosa sensata, anche stando alle circostanze.

«Cercavo il bagno».

«Quello ti sembra un bagno?»

«Ehm... no».

«Nella camera degli ospiti, in fondo».

«Grazie».

Lentamente giungevo nella camera degli ospiti, impacciato, con gli occhi puntati alle mie spalle per seguire ogni movimento.

Vi avvicinavo al bagno, e sarebbe anche stato utile andarci, ma non in quel momento, non con una vita in pericolo, la cui salvezza dipendeva dagli Argent e dalla mia bravura ad inventare frottole.

Spiavo cauto da dietro porta, via libera!

Con circospezione osservavo la stanza, attento ad ogni minimo particolare.

Eccolo là, un lembo di borsone spuntare da sotto il letto.

Brividi di paura mi attraversavano. Tra fremiti e sussulti, cercavo di essere più veloce possibile, ma attento nonostante tutto.

All'interno una serie di proiettili e, aprendo una valigetta, spiccava una scatolina con una scritta in latino. Grazie al traduttore del cellulare ho capito che finalmente avevo raggiunto l'obiettivo di quella giornata interminabile e 

piena di emozioni. Dovevo uscire fuori da quella casa per poter cantare,  con certezza, vittoria.

Nella sala da pranzo, tutti seduti intorno alla tavola, parlavano ancora, di me. Con una scusa cercavo di andare via, ma gli Argent non demordevano. "Che razza di famiglia" pensavo, "ed Allison è completamente ignara" . Di nuovo

il panico mi pervadeva.

Rimasto lì a tentare di scherzare col signor Argent, cercavo di terminare in modo spicciolo ogni conversazione, in modo da poter sgusciare via.

Dopo un po', mi hanno lasciato andare, Allison mi chiedeva di baciarla sull'uscio di casa, nonostante il padre ci stesse guardando. Dalla sua espressione, notavo che voleva farlo arrabbiare e dopo la serata imbarazzante la capivo.

«Un momento!»

Kate ci bloccava sulla porta. Mi accusava di averle rubato qualcosa dal borsone, fatto che incuriosì il signor Argent, ma che non toccava Allison.

Il timore di aver mandato tutto all'aria mi soffocava, ma al contempo la reazione di Allison m'incuriosiva.

Kate mi chiedeva di svuotare le tasche, ed in quel momento capii perché Allison sembrava turbata.

«Non è stato Scott», esclamava, con rancore e grinta, «sono stata io».

Dalla tasca tirava fuori un preservativo. Il signor Argent strabuzzava gli occhi, Kate sorpresa e senza parole.

Uscivo di casa, ancora leggermente scosso, ma molto, molto divertito. "La mia ragazza è un genio!"

 

 

Quella mattina il calore delle soffici coperte mi avvolgeva teneramente, dovevo alzarmi, ma la cosa risultava molto, molto difficile.

"Allison!"

Il mio primo pensiero ogni mattina, il mio solo ed unico pensiero durante tutta la giornata.

Renderla felice era il mio unico scopo, vedere quel sorriso e quel visino perfetto, sentire le sue labbra accarezzarmi dolcemente la pelle. Avrei potuto vivere solo di questo.

Con coraggio e con tanta voglia di vederla mi sono alzato e andato a scuola.

La testa vuota e leggera, posizionata a casaccio sul collo, lei, divina, apriva il suo armadietto, dal quale volavano dei palloncini.

Con sguardo interrogativo mi avvicinavo.

«Il tuo compleanno?» Non poteva esserci altra spiegazione.

«No, no, no. Voglio dire... si».

Ridevo, mi sentivo alquanto spregevole ad aver indovinato, visto che il panico la pervadeva.

«Non dirlo a nessuno! Solo Lydia l'ha scoperto».

«Perché non me lo hai detto?»

«Non voglio che lo sappiano tutti, perché...ho 17 anni»

«17 anni?»

«...è la reazione che vorrei evitare».

«Perché? Io capisco benissimo. Hai ripetuto l'anno per via degli spostamenti, no?»

Meravigliata dalla mia risposta, con vigore mi regalava un bacio.

«Per che cos'era?»

«Per essere il primo a dire la cosa giusta. Tutti mi dicono: "Perché? Sei stata bocciata?", "Hai problemi di apprendimento?", "Hai avuto un bambino?"»

«Dicono tutte queste cose?»

«Si, continuamente».

Eppure, quella conclusione mi sembrava talmente ovvia...!

«Allora... E se ce ne andassimo?»

«Saltiamo la lezione?»

«Tutta la giornata»!

«Lo stai chiedendo ad una che non ha mai saltato una lezione, figuriamoci una giornata. No». Sembrava incuriosita.

«Allora è perfetto! Se ti beccano saranno gentili».

«E se, invece, beccano te?»

«Sarà meglio non pensarci».

Il nostri passi svelti ci portavano fuori, nel parcheggio, fino alla macchina.

Abbagliati dalla candida luce del mattino, accarezzati dall'aria fresca annunciatrice dell'inverno incombente, torturati dai messaggi e dalle chiamate di Stiles che ormai mi credeva un dio in terra in grado di risolvere ogni

disastro, ma soprattutto cauti ci insinuavamo nel cuore di Beacon Hills: il bosco.

All'orizzonte solo noi, la nostra felicità.

Correvamo nel bosco, attraversavamo piccoli ruscelli, schiavi di una vita a tempo correvamo più del vento, consumando le miglia, volando da una parte all'altra, senza più distanze. Mi sentivo vivo, per la prima volta dopo tanto tempo, e quasi avevo paura di ciò, avevo paura di sentirmi così vivo.

Un suo tocco, un suo soffio sul collo, i miei occhi chiusi, mentre godevo di quel momento, di quell'istante, così raro, così intenso. Un solo istante, come

un'eternità, mi lasciavo incantare dalla sua dolcezza ed esistevamo solo noi, lì, nient'altro.

Il crepuscolo incalzava all'orizzonte. In un nanosecondo la realtà della città, la routine quotidiana, ci rapiva contro il nostro volere, con una forza quasi palpabile.

Quel giorno ci eravamo messi in un bel po' di guai, ma che importava..? 

Avevamo dato sfogo al nostro amore. Egoisti, stupidi, ma contenti, terminavano quella magnifica giornata, il miglior compleanno di Allison.

 

 

L'Alpha onnipresente pretendeva che io entrassi a far parte del suo branco, non accettava la mia riluttanza, per questo motivo escogitava modi diversi pur di farmi cambiare idea, ma io non demordevo.

La sera che ha intrappolato me, Stiles, Allison, Lydia e Jackson nella scuola, è stata la prima volta in cui ho avuto l'assoluta certezza di non essere come lui e di non volerlo mai diventare. Quella sera ho anche perso Allison per la

prima volta.

Mi sentivo vuoto, come una larva inerte, sbattuta da una parte all'altra, priva di vita, pronta per essere data in pasto ad una bestia estremamente feroce.

Ogni volta che la vedevo, avevo la sensazione che qualcuno avesse scavato una buca nello stomaco, trapassato dal suo sguardo gelido, impotente di fronte ad ogni suo movimento, straziato dall'assenza dei suoi baci, mentre brividi di freddo scuotevano il mio corpo, consapevole di non poter più riscaldarsi con la sua candida pelle che regalava tepore.

Le giornate tutte uguali si susseguivano con ritmo incessante, scuola - Stiles, lavoro - Stiles, casa - vuoto.

Ovunque notavo la sua assenza, la sensazione di solitudine non mi abbandonava mai, ma una volta a casa, disteso sul letto a fissare il buio, in quel momento ogni centimetro di me sentiva la sua mancanza.

Pensavo a lei, a noi, a come ci eravamo conosciuti... da solo, arenato nei meandri più ignoti della solitudine.

Dovevo riconquistarla, ma non sapevo come fare. Mi aveva lasciato perché le mentivo, e nonostante il distacco, non riuscivo a darle torto. Allontanarsi dal lupo era la cosa migliore che avesse deciso di fare, tuttavia non si rendeva conto di quanto il lupo potesse amarla, di quanto lei lo placasse, di quanto lo rendesse razionale e capace di provare delle emozioni, di quanto la sua presenza lo rendesse molto meno bestia, cosa che lo rendeva diverso dall'Alpha.

Così tentavo di farle ricordare chi eravamo attraverso delle foto di noi...

Anche lei soffriva, lo percepivo dal suo battito cardiaco, ma resisteva, seppur profonda la ferita da me inferta.

Le cose sarebbero state molto più semplici se Jackson, in procinto di scoprire il mio segreto, non ne avesse approfittato per provarci con lei, per farle capire che razza di essere spregevole esisteva in me, per abbindolarla facendole credere nella sua bontà. Sentivo ogni loro conversazione. Jackson,

che ormai sapeva, non mi dava tregua, spietato, continuava nel suo gioco d'inganni. E baciare Lydia, a quel punto, risultava solo un errore dettato dalla fatalità, dall'assenza di intimità, dalla bestia che si agitava in me e che avrebbe voluto uccidere Jackson, ferendolo, sempre più in fondo, fino alla fine.

L'amore tra me ed Allison superava ogni cosa, a causa della sua forza, della sua intensità. Delle volte, costretti a star vicini, mi rendevo conto che nulla era perduto. Così, nonostante il divieto del coach, quella sera mi recai al

ballo d'inverno e, dopo aver studiato e adempito ad arte ogni sorta di sotterfugio, entravo nella scuola e finalmente ballavo con lei. Sembrava felice almeno quanto me.

Dondolavamo dolcemente e per la prima volta le dissi tutto ciò che sentivo, senza censure, lottando contro la mia mascolinità, ma, alla fine, mi sentivo libero, avevo la sensazione di levitare per il sollievo.

Sfiorandole la guancia, la baciavo.

«Perché l'hai fatto?»

«Perché ti amo...»

Con un vigore tutto nuovo ricambiava il bacio, ed ecco attimi di felicità, presi con la forza. Non poteva durare per sempre, lo sapevo, ma nonostante tutto chiudevo la mente a pensieri tutt'altro che positivi e mi godevo la magia del momento, trasportato dai sentimenti e da lei, la mia Allison.

Volevo dirle la verità quella sera, la verità sul mio alter ego, ma lei non voleva ascoltare. Poi successe, scoprì tutto da sola grazie alla "mediazione" di suo padre che, davanti a quel maledetto scuolabus, mi aveva fatto uscire allo scoperto.

Il bagliore di luce che attraversava quel periodo cupo, d'un tratto svanito, lasciava posto ad un fuoco infernale, dal quale uscire risultava estremamente difficile.

In quel momento, tutta la mia vita mi passava davanti, flash nitidi si susseguivano nella mia mente a scatti, veloci, le cose belle, quelle brutte, le bugie, i sotterfugi attuati per proteggere tutti o quasi.

E quando ormai avevo scelto da che parte stare, convinto dall'impossibilità di realizzare un futuro insieme, lei, dopo una lotta sanguinolenta, si avvicinava, sfiorava il volto del lupo con le sue piccole dita sfilate, allungava il collo nella mia direzione e lentamente mi baciava, un bacio pieno di intimità. In quell'istante tornavo nella forma umana, in quell'istante il nostro futuro prendeva forma.

 

 

 

Volati i vent'anni dal mio primo incontro con Allison, nella nostra casa tutto tace. I bambini accoccolati nelle morbide coperte dormono, visitano il loro mondo fantastico, fatto di mostri e fantasmi, non si rendono conto di quanto i racconti di Stiles siano reali, ma immaginare un po' non ha mai fatto male a nessuno, perché precludere loro questa possibilità? Sapranno! Vivono in questo mondo e noi l'abbiamo reso così, dovranno imparare a superare ogni difficoltà, ma chissà, un giorno questo diario capiterà nelle loro mani e, magari, troveranno soluzioni e segreti per loro impensabili.

Allison, seduta sul divano, poco distante da me, guarda le foto del nostro matrimonio, un giorno memorabile.

Eh già, signore e signori, nonostante le urla del mondo, non abbiamo perso la nostra poesia, la nostra immensa ed assoluta magia e la silenziosa complicità.

Mentre il mondo va contromano, viviamo la nostra vita a Beacon Hills, con la nostra famiglia.

Allison a scuola insegna ai suoi alunni a non temere nulla, ad affrontare le vicissitudini della vita con forza e coraggio, allo stesso modo lo fa con i nostri figli e, in modo analogo, lo faccio io nella clinica veterinaria.

Anche se... talvolta la paura è necessaria per avere un'idea razionale delle cose, ed io la sento in lei, in ogni suo respiro.

 

 

 

 

 

 

Esiste una playlist di canzoni che mi hanno aiutata nella stesura di questa ff:

Max Pezzali feat. J Ax - Sempre noi

Negrita - Gioia infinita

Parachute - Kiss me slowly

Max Pezzali - Sei fantastica

Max Pezzali - Terraferma

Luciano Ligabue - Certe notti

Keane -  Bad Dream

Florence and the machine-  Never let me go

Luciano Ligabue - Ho perso le parole

Martin Solveig feat. Mikki Ecco - The night out

Negrita - Che rumore fa la felicità

Nek -  Contromano

Nek - Semplici Emozioni

Max Pezzali - Gli anni

The Honorary Title - Stay away

Ross Copperman -  Holding or letting go

The Police - Every breath you take.

 

 

 

 

Vorrei inoltre ringraziare https://www.facebook.com/GianYep96 per avermi dato un grosso aiuto, ed invito tutti voi a fare un salto nella pagina facebook indicata.



  
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