Every
Breath You Take
"Un battito,
vent'anni son passati via in un
attimo: pensieri ed emozioni che riaffiorano, però sempre
memorie poi
rimangono... dormono, dormono."
Volati i vent'anni
dal mio primo incontro
con Allison, dal nostro primo appuntamento, dal nostro primo bacio,
come
un'aquila che spicca il volo e viaggia verso il meraviglioso infinito,
attraversando il centro del mondo e le sue oscure foschie, giorno e
notte, buio
e luce, ragione e sentimento,
tristezza ed euforia,
gioie e dolori, alti
e bassi, viaggiando sempre nella stessa direzione, seguendo i venti
cangianti,
senza mai arrendersi.
Il rumore assordante
riempiva le mie
orecchie, pensavo dovessero scoppiare. La classe assorta nelle parole
del
professor Harris che, come al solito, minacciava gli studenti; io e
Stiles, in
particolar modo, sembravamo catturare
tutta la sua
attenzione. Non potevano non
sentirlo, quel cellulare sembrava una bomba pronta a
scoppiare, mi guardai
intorno fin quando, fuori dalla finestra, nel cortile, una ragazza
alta,
bellissima, frugava nella sua borsa.
I capelli ondulati e
castani le cascavano
lungo il viso, afferrò il cellulare e rispose. Sua madre le
chiedeva come
stesse andando il suo primo giorno di scuola, l'irritazione rasentava
la rabbia
e l'imbarazzo, mentre cercava una penna nella confusione della sua
borsa,
tipico delle ragazze.
Non riuscivo a capire
come facessi a
sentire tutto ciò, io dentro e lei fuori, eppure, in qualche
modo, eravamo più
vicini di quanto non sembrasse.
Un giovane
licantropo, con i sensi un po'
troppo sviluppati, il cuore gonfio di felicità quasi
distruggeva il mio petto,
avevo la sensazione che dovesse uscire fuori da me.
Eccola qua, in
classe, accompagnata dal
preside, elegante, astuta, meravigliosa, ed io così fuori
controllo, non
riuscivo a trattenere l'emozione.
Dietro di me un banco
vuoto. Mentre sedeva
le porgevo la penna che a lungo aveva cercato senza successo. Che
imbarazzo,
ecco la forma presa dalle emozioni, pura goffaggine.
Dalla sua bocca
sbocciava un sorriso, mi
ringraziava, o almeno credo che mi ringraziasse. La mia mente era fuori
controllo, appannata dalla compostezza di quel sorriso, dalla
linea
sottile delle sue labbra che avrei voluto baciare al più
presto.
L'armadietto mi
sorreggeva, Stiles
brontolava delle cose, la guardavo rifiutare l'invito di Lydia per la
festa a
casa sua, venerdì sera, dopo la partita di lacrosse.
"Dannazione, potevano
anche farla
un'altra sera la cena i suoi". Questo pensai, mentre la voglia di stare
con lei lasciava posto ad una leggera inquietudine.
Il LACROSSE! Aveva
accettato l'invito a
vedere gli allenamenti; il panico s'impossessava di me, cosa avrebbe
pensato
vedendomi in panchina?
Gli eventi avevano
preso una piega
diversa, tra i sensi sviluppati anche super velocità e vista
a raggi X, che mi
avevano permesso di entrare in prima squadra, e mentre la
panchina vuota
diventava sempre più gelida, diventavo co-capitano di
lacrosse.
Pioveva quella notte,
pioveva a dirotto,
una pioggia simile raramente si vedeva a Beacon Hills. Monotona la
clinica,
eppure quel lavoro mi piaceva, soprattutto in quel periodo. Occuparmi
degli
animali mi distraeva, ma al contempo imparavo ad occuparmi di me stesso
per
ogni evenienza. Temevo la mia natura, malvagia per antonomasia, temevo
di poter
far del male alle persone a cui tenevo: mia madre, Stiles, lei...
temevo di
poterla uccidere.
Tra i fruscii e gli
scossoni del vento,
bussarono alla porta. Nella clinica chiusa il sospetto e la paura
pervadevano
il mio cuore. Col fiato corto mi avvicinai alla porta.
Bagnata da capo a
piedi, lei bussava
spaventata. Aprivo la porta euforico. Mi aveva trovato! Non riesco a
scrivere,
ora qui, le parole dette da lei in quel secondo, parole sconnesse,
cariche di
paura e ansia.
Aveva investito un
cane e temeva che
incontrasse la morte. Il suo cuore batteva fortissimo, con una
velocità impressionante,
mentre spasmi di freddo
l'attraversavano.
Preso il cane dal suo
bagagliaio, dentro nella clinica, le porgevo una maglietta asciutta,
lei si
cambiava in un altra stanza, e mentre medicavo il cane, vivo, riuscivo
a vedere
i lineamenti sottili della sua schiena, sentivo la maglietta
accarezzarle la
pelle, il mio cuore scalpitava, gli ormoni fuori controllo. "Saltale
addosso" mi diceva il lupo, ma la sua delicatezza, la scioltezza e la
precisione dei suoi gesti mi frenavano, nessuno avrebbe dovuto
farle del
male, mai, nemmeno io.
Terminato l'idilliaco
momento, allungava i
passi verso di me, accarezzava il cucciolo e mi chiedeva se stesse
bene. Non
riuscivo a toglierle gli occhi di dosso, volevo memorizzare con
precisione i
suoi lineamenti, stamparli bene in mente, non dimenticarli
più... Sapevo che
l'avrei rivista il giorno dopo, ma non si poteva mai sapere.
Desideravo solo
vivere di lei e per lei!
La guardavo
intensamente, non riuscivo a
toglierle lo sguardo di dosso.
«Che
c'è?»
«Ah,
scusami...hai una ciglia sulla
guancia».
«Ah,
perché ho pianto».
Che cavolata, la mia
parte razionale
continua a chiedersi cosa mi sia venuto in mente quella sera.
Senza successo il suo
tentativo di
togliersi la ciglia, così io allungavo il braccio
tremante verso il suo
viso, nella mente solo nebbia, nebbia fitta, gli occhi traboccanti di
gioia
infinita, ogni parte del mio corpo sperava che quel momento durasse da
lì
all'eternità, ma si sa che le cose più belle sono
anche quelle più fugaci.
Accarezzata dai capelli bagnati, sfioravo la sua guancia e con il
pollice,
troppo grande per quel viso perfetto, le toglievo la ciglia.
La sua pelle, morbida
al tatto, così
soffice, mi faceva impazzire. Il lupo scalpitava, voleva saltarle a
dosso,
impossessarsi di lei, lì, in quel preciso momento, desideri
moderatamente
impuri, scacciati via dall'autocontrollo,
quasi fosse una
battaglia alla conquista
di lei, Allison.
Brividi scuotevano il
mio corpo al solo
sentire pronunciare quel nome, brividi scuotevano il mio corpo ogni
volta che
io lo pronunciavo. Non esisteva parola che rendesse l'estasi di quel
nome, non
esisteva parola bella come il suo
nome.
«Devo
andare».
L'equilibrio perfetto
rotto da quelle due
parole, così semplici, chiare, eppure prive di senso.
A fatica
l'accompagnai all'uscita.
«Ci vediamo
domani».
«Sì,
certo», ma avrei voluto dirle che non
vedevo l'ora che quelle ore che ci separavano dal domani passassero
velocemente, che non ne avevo mai abbastanza di lei. «Allora,
mi stavo
chiedendo... insomma... devi stare con la tua famiglia
venerdì, oppure potrai
venire a quella festa con me?»
Ripristinate calma e
razionalità, cercavo
un approccio per invitarla ad uscire.
Maldestro, troppo
frettoloso e privo di
speranze.
«Ho detto
una bugia, in realtà». Allison
con aria dispiaciuta tentava di chiarirsi.
Il cuore mi scoppiava
nel petto caldo,
sudato, speranzoso, la sensazione di vivere in un mondo capovolto non
mi
abbandonava neanche per un secondo.
«Quindi
significa che verrai?» Non potevo
evitare di sorridere, non ce la facevo, vacillavo beatamente
nell'interminabile
attesa di una risposta.
«Mmm...»
Con la mano sullo sportello
dell'auto, voltava dall'altra parte il volto, e i miei occhi
insaziabili
seguivano il moto oscillante dei suoi capelli.
«Decisamente
si!»
Quella risposta
secca, decisa, il
sorriso perfetto, quasi fosse stato disegnato da un professionista...
Avevo il
cuore in gola, non riuscivo a pronunciare una parola, e con un sorriso,
spero
non un ghigno, la salutavo.
«Passo a
prenderti alle 8.00».
«Ok».
Sotto il portico
della clinica la vedevo
allontanarsi, mentre le mie orecchie ascoltavano battiti frenetici,
piano,
veloci, come una melodia, che lentamente arriva al suo apice per
terminare poi
con un gran finale d'effetto.
Lì sotto
casa sua, attendevo in macchina,
perfetta la serata, tuttavia la luna stava per giungere il suo apogeo.
«Andrà
tutto bene!» mi ripetevo, sembrava
una cantilena.
Lottavo contro la
falsità di quelle parole;
tutto andava per il verso giusto e stavo per perderlo così,
da un momento
all'altro, per qualcosa che trascendeva da me, per qualcosa
che non
volevo... ma con la quale ho imparato a convivere.
"Hey baby, what's
that sound
I make a few steps
and I fall on the ground
It's a long shot but
darling I couldn't love you more.
Come on, come on
Hey baby, give it a
try
I can find an answer
if you wanna know why
I know I'm a nerd but
give another play to this song
Come on, come on
How does it sound if
we spend the night out ?
How does it sound if
we spend the night out ? "
Cercavo di allentare
la tensione
ascoltando un po' di buona musica, gli occhi chiusi per rilassare al
meglio i
nervi.
"Why do I have to fly
over every town up and down
the line?
I'll die in the
clouds above and you that I defend, I
do not love
I wake up, it's a bad
dream, no one on my side
I was fighting but I
just feel too tired to be
fighting
Guess I'm not the
fighting kind
Where will I meet my
fate?
Baby I'm a man and I
was born to hate
And when will I meet
my end?
In a better time you
could be my friend".
No, questa canzone
no. I Keane
probabilmente pensavano di addolcire la serata così facendo,
ma non avevano
idea di quanto quel pezzo descrivesse quel momento, quella
notte. Cambiavo
le stazioni radio alla ricerca di una canzone allegra, carica di
euforia, come
me al solo pensiero che Allison di lì a poco sarebbe uscita,
con me... con me.
In ritardo, come
tutte le ragazze di
questo mondo, chiudeva la porta di casa, scivolava lentamente verso la
mia
macchina, sinuosa, bellissima e con le sue mani da pianista apriva lo
sportello
per entrare.
Estasi, questo
provavo. Probabilmente
sembravo un ebete, non potevo fare a meno di ridere e guardarla.
Piena di gente la
festa, ma per me
esisteva solo lei. La osservavo avanzare sicura di
sé, e proprio quando
pensavo che meglio di così non potesse andare,
il palmo della sua mano
aperto si avvicinò alla mia mano. Io, timido, insicuro,
continuavo a fissarla
interrogativo, e col
suo sguardo pieno di coraggio ed ottimismo mi faceva cenno di
prendergliela. In
quell'istante, nel momento in cui le nostre mani si strinsero l'una
all'altra,
mi sono accorto che saremmo stati insieme, sempre e per
l'eternità. Ballavamo
un po' di quella musica che troppo spesso anima le feste della
città, nelle
quali tutto può succedere. La presenza di Derek aumentava
l'inquietudine, la
luna cresceva come il timore
che qualche disgrazia
potesse accadere.
Improvvisa, una fitta
allo stomaco, una
rabbia nuova montava senza una causa precisa, la testa fuori controllo,
troppi
rumori affollavano la mia mente, troppo forti, difficili da contenere.
Neanche la presenza di Allison riusciva
a placarmi, cercavo
il suo sguardo, ma
immobile, impietrita, mi guardava correre via, così, senza
una spiegazione. Una
moltitudine di persone mi chiedeva cosa avessi, non lo sapevo neanche
io, non
capivo, il corpo mi faceva un male cane, ed in giardino prendevo la
macchina e
correvo via, via... lontano da possibili bersagli. Via, via... lontano
da lei.
Via via, sempre più lontano... a far emergere la creatura
mostruosa insita in
me.
La notte peggiore
della mia vita, la mia
prima notte da lupo, alla disperata ricerca della parte umana di me
stesso,
vagavo nel bosco, senza successo.
Correvo, correvo
sempre più lontano,
sempre più, il dolore incessante vivo dentro me, scorgevo
cose mai viste fino
ad allora, a Beacon Hills, il posto dove sono nato e cresciuto, in quei
boschi
che conoscevo a memoria, a causa del continuo vagare di me e
Stiles.
Correvo senza fermarmi mai, con in mente solo lei e la sua sicurezza e
la
consapevolezza che non mi avrebbe mai perdonato per averla
abbandonata così.
Nuovamente umano,
terminate le ore
cruciali, mi ritrovavo a casa, disteso esausto sul morbido letto,
riscaldato
dalle coperte di flanella.
«Devo
trovarla!»
«Sta bene,
Derek l'ha riportata a casa».
«Che
cosa?» Il terrore s'era impadronito
di me.
«Ho
controllato, sta bene, è sana e
salva». La stanchezza della ripetitività si
leggeva sul volto di Stiles. «Hai
già un piano per farti perdonare?»
«Ehm... no,
a dir la verità». Ed era vero,
sapevo che dovevo farmi perdonare ma non sapevo come, non ci avevo
pensato
neanche per un secondo, come al solito.
La scuola affollata
era pervasa dalla
normalità assoluta, tutti non facevano altro che
parlare della partita di
lacrosse di quella sera.
E irrequieto
m'impegnavo nella ricerca
disperata di Allison. Sia Stiles, sia Derek mi chiedevano di non
giocare, che
sarebbe stato pericoloso, che avrei potuto nuocere a qualcuno, che non
sarei
riuscito a controllarmi, che la
rabbia avrebbe preso
il sopravvento su
tutto e che nulla mi avrebbe fermato.
Mille tentativi,
mille scuse, tutto pur di
non giocare quella sera, ma nulla sembrava funzionare, quella sera
dovevo
giocare o non avrei giocato mai più.
Allison camminava
sinuosa per il
parcheggio, più bella che mai, perdevo il controllo di
fronte a tanta
meraviglia. Goffamente mi avvicinavo per avere il suo perdono. Breve ma
concreta e carica di intesa la nostra conversazione, colpito
dallo
stupore, mi allontanavo da lei. Mi aveva dato una seconda
possibilità, cavandomela
con un semplice «fidati di me», non dovevo
sprecarla.
Starle dietro, col
fardello che portavo
sulle spalle, certamente non si rivelava la cosa più
semplice del mondo.
Inoltre la sua famiglia cacciava proprio quelli come me, le bestie che
feriscono
e, soprattutto, uccidono.
Sapevo di doverle
dire la verità quanto
prima, ma come primo istinto volevo tenerla fuori dai guai, lei
così innocente,
così indifesa. Mi godevo il momento, pieno di me, sempre
più sicuro e spavaldo,
cercando di non perdere la mia essenza.
Il freddo quella sera
entrava nelle vene,
rendeva gelide persone e cose, molto euforici e rabbiosi gli animali.
Assistevano proprio tutti, mia madre, Allison
e suo padre.
Qualunque cosa sarebbe
successa quella sera, sarebbe accaduta al chiaro di luna, letteralmente.
Iniziata la partita
potevo sentire la sua
voce e il suo profumo. Lydia le stava accanto e mentre il gioco si
faceva via
via più duro, insieme innalzavano un cartello con
su scritto
"Jackson ti amiamo". Non lo sopportavo, mi chiedevo
perché
ascoltasse sempre Lydia. Non riuscivo a prendere una palla, la
furia nei
confronti di Jackson cresceva, fin quando... eccolo lì,
spuntare nel bel mezzo del
gioco, proprio quando avrei dovuto mantenere la calma. Sentii dire dai
ragazzi
che stavano facendo di tutto pur di non passarmi la palla e che
Jackson, l'artefice
del piano, avrebbe
voluto prendersi tutta la gloria. La furia cresceva, così
impossessatomi della
palla continuavo a giocare, a lottare, a segnare, mentre il
furore sul
volto di Jackson lasciava spazio all'incredulità, che
raggiunse il suo culmine
proprio quando segnai l'ultimo punto negli ultimi secondi.
In quel momento fuoco
e rabbia esplodevano
dentro me, e a gran passi veloci mi ritrovai nello spogliatoio, mentre
cercavo
di mantenere il controllo, per Allison, o per la presenza di
suo padre,
almeno! Non potevo essere così stupido da
bruciare tutto in
quella maniera.
«Scott...
Scott, sei qui? Scott?»
"Cavolo no, vattene,
vattene finché
sei in tempo, ti prego, vattene, non voglio farti del male, ma devi
andare via
Allison, devi sparire, devi uscire di qui ed io dovrei darmi
una calmata,
era solo una partita e non era andata male, dovevo mantenere
il
controllo". Pensieri confusi affollavano la mia mente, mentre cercavo
di
riprendere il controllo di me stesso.
«Scott, sei
qui!» Con i gomiti contro il
muro, la parte umana di me riaffiorava.
«Hey».
«Sei
sparito, pensavo volessi nuovamente
abbandonarmi».
«Cosa?
Io... no, mai, mi dispiace per ieri
sera, davvero».
«Tranquillo».
Lei era divertita.
«Tu mi hai
dato questa seconda possibilità
e non vorrei sprecarla, vorrei sfruttarla al meglio».
«Proprio
quello che sto aspettando, che tu
la sfrutti al meglio».
I nostri corpi
trasudavano emozione,
felicità e brividi da tutti i pori. I suoi occhi
nei miei mi disarmavano.
Debole, trasportato dall'emozione e dal furore mi avvicinavo per
baciarla,
piano, veloce, delicatamente le accarezzavo il
viso, le sue labbra
bruciavano per il
freddo, caldo e freddo, questo contrasto di corpi, le dita della mano
destra
intrappolate nei suoi morbidi capelli ricci, con la sinistra le toccavo
il
collo, lungo, caldo, la carotide vorticosamente
batteva, scendevo
giù, verso il fondo
schiena, seguendo le linee del suo corpo.
La sua bocca
desiderosa quanto la mia
continuava a baciarmi, per un lungo istante. Ma come a volte accade,
l'istante
si fermò. Indugiò e rimase, per molto
più di un istante, e il suono terminò,
e il movimento si fermò, per molto, molto più di
un istante. E poi l'istante
finì.
Gli occhi di Stiles
su di noi.
«Vado da
mio padre, ci vediamo dopo».
«Certo».
«Ciao
Stiles».
Stiles la salutava
imbarazzato, ma non
poteva fare a meno di star lì a guardare ed io gli facevo
pesare nulla, o
perlomeno ci provavo, senza grandi risultati.
La nostra relazione
durava da un po', quel
pomeriggio dovevamo studiare insieme. Sia Stiles, sia Lydia
immaginavano che
saremo passati al "livello successivo", ma dopo un solo appuntamento
mi sembrava un tantino avventato.
Una giornata molto
frenetica seguiva una
nottata inquieta.
Derek, ferito durante
la notte,
necessitava di una cura che solo gli Argent possedevano ed io la dovevo
"prendere in prestito". Non volevo sfruttare Allison per questo
scopo, la cosa mi rincresceva. Ma, con poche alternative,
anzi nessuna
alternativa a disposizione,
dovevo servirmi di lei, solo per quel pomeriggio.
La passione potente
ci trasportava,
cercavo di scacciare l'istinto di prenderla di peso e scaraventarla su
quel
letto, cercavo di concentrarmi sullo studio.
Stavo per dirglielo,
ma un suo
sottilissimo dito sulla mia bocca scivolava zittendomi.
Le sue labbra
iniziavano a baciare
insistentemente le mie. Con un vigore mai provato fino ad allora, io
ricambiavo. Distesi sul letto, ci lasciavamo trasportare dalle
emozioni.
Sguardi muti che spesso parlano più di parole urlate al vento
nell'entusiasmo del
momento. Il suo
respiro accarezzava dolcemente il mio collo, seguito da morbidi ed
intensi baci,
sotto la maglietta il sudore trapelava, l'eccitazione sempre
più forte,
impazzivo, impazzivo di gioia, e un fremito, una forza potente
attraversava il
piccolo Scotty. Divertita dal
momento imbarazzante,
ma alquanto
naturale, lei rideva, il sorriso contagioso mi faceva volare, col
corpo, con la
mente, con le fantasie, con tutto.
Liberavo tutto me
stesso, i problemi, le
gioie... si risolveva tutto in quell'istante, come se non potessi
essere mai
più lupo, ma solo Scott.
Percepivo la
maglietta di Allison in modo
differente, con un occhio aperto vidi le unghie da lupo, immediatamente
nascoste sotto un cuscino. Un momento di straordinaria magia
terminava con
quest'imprevisto e con Stiles che non faceva altro che chiamarmi.
Non osavo immaginare
cosa stesse passando,
ma neanche io mi stavo divertendo, lui aveva solo Derek a cui pensare,
io la
schiera degli Argent.
Allison
allungò il braccio per prendere il
telefono, in una frazione di secondo glielo bloccai, e quasi per
miracolo la
mia mano era tornata normale, era la mano di Scott e non la
mano del lupo.
Nel garage un altro
assaggino dei momenti
intensi provati nella sua camera, certo, la concentrazione veniva a
mancare
considerando tutte le armi, letali per me, che ci circondavano, e
rimanevo
incredulo di fronte all'ignoranza di
Allison. Ovviamente,
come capita un po' ad
ogni teenager, il padre ci aveva colti in flagrante. Intanto cercavo un
ultimo
modo per potermi impossessare del proiettile, ma senza
successo, e quando
pensavo che ogni speranza fosse stata
persa, ecco che Kate
m'invitava a restare
per cena. Felicità e imbarazzo
mi sconvolgevano, dovevo concentrarmi
sull'obiettivo principale della giornata!
La cena molto
imbarazzante non finiva mai,
la lunghezza di quelle ore era quasi estenuante; il signor
Argent cercava
di far emergere il peggio di me, ma parte dei suoi discorsi risultava
interessante, non immaginava neanche quanto
potessero aiutarmi a
farmi un'idea sulla
bestia in me. Meno male che Kate, per molti aspetti stranamente
gentile,
interrompeva certi discorsi lugubri con frasi o storielle
gradevoli.
Inquietante l'aspetto di Kate, aveva sparato a Derek e non
sapevo di
preciso cosa aspettarmi da lei, gentile in quel momento, feroce la
notte
precedente.
Alle parole del
padre, il cuore di Allison
sussultava rapidissimo, non sapevo come aiutarla a calmarsi.
Così, lentamente,
la mia mano scivolava stringendo forte la sua. I sussulti
diventavano,
ora, rari, il cuore batteva con ritmo regolare.
Il cellulare vibrava,
come un orologio
antico che fa "tic tac, tic tac", le ore precedenti ad una morte
molto sofferta passavano terribilmente. Con una scusa ero andato a
rispondere.
Stiles nel panico mi
pregava di far
qualcosa, nella clinica veterinaria entrambi contavano sul mio aiuto,
sull'aiuto di un lupo imbranato privo di idee.
Nel panico, mi
avvicinavo alla prima
stanza con un allarme. Dannazione, l'allarme!
«Ti sei
perso cucciolotto?»
"Solo Kate mi
mancava, adesso sì che
i guai diventano belli grossi". Non sapevo che fare, dissi la prima
cosa
che mi passava per la mente in quel momento, l'unica cosa sensata,
anche stando
alle circostanze.
«Cercavo il
bagno».
«Quello ti
sembra un bagno?»
«Ehm...
no».
«Nella
camera degli ospiti, in fondo».
«Grazie».
Lentamente giungevo
nella camera degli
ospiti, impacciato, con gli occhi puntati alle mie spalle per seguire
ogni
movimento.
Vi avvicinavo al
bagno, e sarebbe anche
stato utile andarci, ma non in quel momento, non con una vita in
pericolo, la
cui salvezza dipendeva dagli Argent e dalla mia bravura ad inventare
frottole.
Spiavo cauto da
dietro porta, via libera!
Con circospezione
osservavo la stanza,
attento ad ogni minimo particolare.
Eccolo là,
un lembo di borsone spuntare da
sotto il letto.
Brividi di paura mi
attraversavano. Tra
fremiti e sussulti, cercavo di essere più veloce possibile,
ma attento
nonostante tutto.
All'interno una serie
di proiettili e,
aprendo una valigetta, spiccava una scatolina con una scritta
in latino.
Grazie al traduttore del cellulare ho capito che finalmente avevo
raggiunto
l'obiettivo di quella giornata interminabile e
piena di emozioni.
Dovevo uscire fuori da
quella casa per poter cantare, con certezza, vittoria.
Nella sala da pranzo,
tutti seduti intorno
alla tavola, parlavano ancora, di me. Con una scusa cercavo di andare
via, ma gli
Argent non demordevano. "Che razza di famiglia" pensavo, "ed
Allison è completamente ignara" . Di nuovo
il panico mi
pervadeva.
Rimasto lì
a tentare di scherzare col
signor Argent, cercavo di terminare in modo spicciolo ogni
conversazione, in
modo da poter sgusciare via.
Dopo un po', mi hanno
lasciato andare,
Allison mi chiedeva di baciarla sull'uscio di casa, nonostante il padre
ci
stesse guardando. Dalla sua espressione, notavo che voleva farlo
arrabbiare e
dopo la serata imbarazzante la capivo.
«Un
momento!»
Kate ci bloccava
sulla porta. Mi accusava
di averle rubato qualcosa dal borsone, fatto che incuriosì
il signor Argent, ma
che non toccava Allison.
Il timore di aver
mandato tutto all'aria
mi soffocava, ma al contempo la reazione di Allison m'incuriosiva.
Kate mi chiedeva di
svuotare le tasche, ed
in quel momento capii perché Allison sembrava turbata.
«Non
è stato Scott», esclamava, con
rancore e grinta, «sono stata io».
Dalla tasca tirava
fuori un preservativo.
Il signor Argent strabuzzava gli occhi, Kate sorpresa e senza parole.
Uscivo di casa,
ancora leggermente scosso,
ma molto, molto divertito. "La mia ragazza è un genio!"
Quella mattina il
calore delle soffici
coperte mi avvolgeva teneramente, dovevo alzarmi, ma la cosa risultava
molto,
molto difficile.
"Allison!"
Il mio primo pensiero
ogni mattina, il mio
solo ed unico pensiero durante tutta la giornata.
Renderla felice era
il mio unico scopo,
vedere quel sorriso e quel visino perfetto, sentire le sue labbra
accarezzarmi
dolcemente la pelle. Avrei potuto vivere solo di questo.
Con coraggio e con
tanta voglia di vederla
mi sono alzato e andato a scuola.
La testa vuota e
leggera, posizionata a
casaccio sul collo, lei, divina, apriva il suo armadietto, dal quale
volavano
dei palloncini.
Con sguardo
interrogativo mi avvicinavo.
«Il tuo
compleanno?» Non poteva esserci
altra spiegazione.
«No, no,
no. Voglio dire... si».
Ridevo, mi sentivo
alquanto spregevole ad
aver indovinato, visto che il panico la pervadeva.
«Non dirlo
a nessuno! Solo Lydia l'ha
scoperto».
«Perché
non me lo hai detto?»
«Non voglio
che lo sappiano tutti,
perché...ho 17 anni»
«17
anni?»
«...è
la reazione che vorrei evitare».
«Perché?
Io capisco benissimo. Hai
ripetuto l'anno per via degli spostamenti, no?»
Meravigliata dalla
mia risposta, con
vigore mi regalava un bacio.
«Per che
cos'era?»
«Per essere
il primo a dire la cosa
giusta. Tutti mi dicono: "Perché? Sei stata bocciata?", "Hai
problemi di apprendimento?", "Hai avuto un bambino?"»
«Dicono
tutte queste cose?»
«Si,
continuamente».
Eppure, quella
conclusione mi sembrava
talmente ovvia...!
«Allora...
E se ce ne andassimo?»
«Saltiamo
la lezione?»
«Tutta la
giornata»!
«Lo stai
chiedendo ad una che non ha mai
saltato una lezione, figuriamoci una giornata. No». Sembrava
incuriosita.
«Allora
è perfetto! Se ti beccano saranno
gentili».
«E se,
invece, beccano te?»
«Sarà
meglio non pensarci».
Il nostri passi
svelti ci portavano fuori,
nel parcheggio, fino alla macchina.
Abbagliati dalla
candida luce del mattino,
accarezzati dall'aria fresca annunciatrice dell'inverno incombente,
torturati
dai messaggi e dalle chiamate di Stiles che ormai mi credeva un dio in
terra in
grado di risolvere ogni
disastro, ma
soprattutto cauti ci
insinuavamo nel cuore di Beacon Hills: il bosco.
All'orizzonte solo
noi, la nostra
felicità.
Correvamo nel bosco,
attraversavamo
piccoli ruscelli, schiavi di una vita a tempo correvamo più
del vento,
consumando le miglia, volando da una parte all'altra, senza
più distanze. Mi
sentivo vivo, per la prima volta dopo tanto tempo, e quasi avevo paura
di ciò,
avevo paura di sentirmi così vivo.
Un suo tocco, un suo
soffio sul collo, i
miei occhi chiusi, mentre godevo di quel momento, di quell'istante,
così raro,
così intenso. Un solo istante, come
un'eternità,
mi lasciavo incantare dalla
sua dolcezza ed esistevamo solo noi, lì, nient'altro.
Il crepuscolo
incalzava all'orizzonte. In
un nanosecondo la realtà della città, la routine
quotidiana, ci rapiva contro
il nostro volere, con una forza quasi palpabile.
Quel giorno ci
eravamo messi in un bel po'
di guai, ma che importava..?
Avevamo dato sfogo al
nostro amore.
Egoisti, stupidi, ma contenti, terminavano quella magnifica giornata,
il
miglior compleanno di Allison.
L'Alpha onnipresente
pretendeva che io
entrassi a far parte del suo branco, non accettava la mia riluttanza,
per
questo motivo escogitava modi diversi pur di farmi cambiare idea, ma io
non
demordevo.
La sera che ha
intrappolato me, Stiles,
Allison, Lydia e Jackson nella scuola, è stata la prima
volta in cui ho avuto
l'assoluta certezza di non essere come lui e di non volerlo mai
diventare.
Quella sera ho anche perso Allison per la
prima volta.
Mi sentivo vuoto,
come una larva inerte,
sbattuta da una parte all'altra, priva di vita, pronta per essere data
in pasto
ad una bestia estremamente feroce.
Ogni volta che la
vedevo, avevo la
sensazione che qualcuno avesse scavato una buca nello stomaco,
trapassato dal
suo sguardo gelido, impotente di fronte ad ogni suo movimento,
straziato
dall'assenza dei suoi baci, mentre brividi di freddo scuotevano il mio
corpo,
consapevole di non poter più riscaldarsi con la sua
candida pelle che
regalava tepore.
Le giornate tutte
uguali si susseguivano
con ritmo incessante, scuola - Stiles, lavoro - Stiles, casa - vuoto.
Ovunque notavo la sua
assenza, la
sensazione di solitudine non mi abbandonava mai, ma una volta a casa,
disteso
sul letto a fissare il buio, in quel momento ogni centimetro di me
sentiva la
sua mancanza.
Pensavo a lei, a noi,
a come ci eravamo
conosciuti... da solo, arenato nei meandri più ignoti della
solitudine.
Dovevo
riconquistarla, ma non sapevo come
fare. Mi aveva lasciato perché le mentivo, e nonostante il
distacco, non
riuscivo a darle torto. Allontanarsi dal lupo era la cosa
migliore che
avesse deciso di fare, tuttavia non si rendeva conto di quanto
il lupo
potesse amarla, di quanto lei lo placasse, di quanto lo rendesse
razionale e
capace di provare delle emozioni, di quanto la sua presenza lo rendesse
molto
meno bestia, cosa che lo rendeva diverso dall'Alpha.
Così
tentavo di farle ricordare chi
eravamo attraverso delle foto di noi...
Anche lei soffriva,
lo percepivo dal suo
battito cardiaco, ma resisteva, seppur profonda la ferita da
me inferta.
Le cose sarebbero
state molto più semplici
se Jackson, in procinto di scoprire il mio segreto, non ne avesse
approfittato
per provarci con lei, per farle capire che razza di essere spregevole
esisteva
in me, per abbindolarla facendole credere nella sua bontà.
Sentivo ogni loro
conversazione. Jackson,
che ormai sapeva, non
mi dava tregua,
spietato, continuava nel suo gioco d'inganni. E baciare Lydia, a quel
punto,
risultava solo un errore dettato dalla fatalità,
dall'assenza di intimità,
dalla bestia che si agitava in me e che avrebbe voluto uccidere
Jackson,
ferendolo, sempre più in fondo, fino alla fine.
L'amore tra me ed
Allison superava ogni
cosa, a causa della sua forza, della sua intensità. Delle
volte, costretti a
star vicini, mi rendevo conto che nulla era perduto.
Così, nonostante il
divieto del coach, quella sera mi recai al
ballo d'inverno e,
dopo aver studiato e
adempito ad arte ogni sorta di sotterfugio, entravo nella
scuola e finalmente
ballavo con lei. Sembrava felice almeno quanto me.
Dondolavamo
dolcemente e per la prima
volta le dissi tutto ciò che sentivo, senza
censure, lottando contro la
mia mascolinità, ma, alla fine, mi sentivo libero, avevo la
sensazione di
levitare per il sollievo.
Sfiorandole la
guancia, la baciavo.
«Perché
l'hai fatto?»
«Perché
ti amo...»
Con un vigore tutto
nuovo ricambiava il
bacio, ed ecco attimi di felicità, presi con la
forza. Non poteva durare
per sempre, lo sapevo, ma nonostante tutto chiudevo la mente a pensieri
tutt'altro che positivi e mi godevo la magia del momento, trasportato
dai
sentimenti e da lei, la mia Allison.
Volevo dirle la
verità quella sera, la
verità sul mio alter ego, ma lei non voleva ascoltare. Poi
successe, scoprì
tutto da sola grazie alla "mediazione" di suo padre che, davanti a
quel maledetto scuolabus, mi aveva fatto uscire allo scoperto.
Il bagliore di luce
che attraversava quel
periodo cupo, d'un tratto svanito, lasciava posto ad un fuoco
infernale, dal
quale uscire risultava estremamente difficile.
In quel momento,
tutta la mia vita mi
passava davanti, flash nitidi si susseguivano nella mia mente a scatti,
veloci,
le cose belle, quelle brutte, le bugie, i sotterfugi attuati
per
proteggere tutti o quasi.
E quando ormai avevo
scelto da che parte
stare, convinto dall'impossibilità di realizzare un futuro
insieme, lei, dopo
una lotta sanguinolenta, si avvicinava, sfiorava il volto del
lupo con le
sue piccole dita sfilate, allungava il collo nella mia direzione e
lentamente mi
baciava, un bacio pieno di intimità. In quell'istante
tornavo nella forma
umana, in quell'istante il nostro futuro prendeva forma.
Volati i vent'anni
dal mio primo incontro
con Allison, nella nostra casa tutto tace. I bambini accoccolati nelle
morbide
coperte dormono, visitano il loro mondo fantastico, fatto di mostri e
fantasmi,
non si rendono conto di quanto i racconti di Stiles siano reali, ma
immaginare
un po' non ha mai fatto male a nessuno, perché precludere
loro questa
possibilità? Sapranno! Vivono in questo mondo e noi
l'abbiamo reso così,
dovranno imparare a superare ogni difficoltà, ma
chissà, un giorno questo
diario capiterà nelle loro mani e, magari, troveranno
soluzioni e segreti per
loro impensabili.
Allison, seduta sul
divano, poco distante
da me, guarda le foto del nostro matrimonio, un giorno memorabile.
Eh già,
signore e signori, nonostante le
urla del mondo, non abbiamo perso la nostra poesia, la nostra immensa
ed
assoluta magia e la silenziosa complicità.
Mentre il mondo va
contromano, viviamo la
nostra vita a Beacon Hills, con la nostra famiglia.
Allison a scuola
insegna ai suoi alunni a
non temere nulla, ad affrontare le vicissitudini della vita con forza e
coraggio, allo stesso modo lo fa con i nostri figli e, in modo analogo,
lo
faccio io nella clinica veterinaria.
Anche se... talvolta
la paura è necessaria
per avere un'idea razionale delle cose, ed io la sento in lei,
in ogni suo
respiro.
Esiste
una playlist di canzoni che mi hanno aiutata nella stesura di questa ff:
Max
Pezzali feat. J Ax - Sempre noi
Negrita
- Gioia infinita
Parachute
- Kiss me slowly
Max
Pezzali - Sei fantastica
Max
Pezzali - Terraferma
Luciano
Ligabue - Certe notti
Keane
- Bad Dream
Florence
and the machine- Never let me go
Luciano
Ligabue - Ho perso le parole
Martin
Solveig feat. Mikki Ecco - The night out
Negrita
- Che rumore fa la felicità
Nek
- Contromano
Nek
- Semplici Emozioni
Max
Pezzali - Gli anni
The
Honorary Title - Stay away
Ross
Copperman - Holding or letting go
The
Police - Every breath you take.