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Autore: wrjms    04/01/2013    1 recensioni
I suoi capelli… i suoi capelli com’erano? Ricci, sì, neri, sì, ma avevano dei riflessi? Erano morbidi, ribelli o crespi, malleabili o docili? Com’erano le sue orecchie? E le sue mani, le sue mani che forma avevano? Erano grandi, pallide… E poi?Le unghie erano curate? Corte? Aveva orologi? Bracciali? E gli occhi, quegli occhi chiari sui quali hai fantasticato così tante volte, che forma avevano?
Non capisci più niente, e ciò ti sconforta. Forse sarebbe meglio, meglio per te, meglio per tutti: dimenticare e basta. Ma tu non vuoi dimenticare.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'I don't have friends. I've just got one.'
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Guardati, John. Sei spaventato, indifeso, solo.
Sei ancora lì, seduto sulla tua poltrona, aspettando invano di vedere Sherlock accomodarsi su quella davanti a te. Lui, col suo sorriso e con i suoi modi di atteggiarsi da essere superiore. «Che hai da guardare, John?», direbbe, fissandoti con quegli occhi capaci di perforarti l’anima, prima di rimettersi a strimpellare il violino.
La osservi. Osservi la poltrona, giorno dopo giorno, mentre molteplici strati di polvere accorrono l’uno dopo l’altro a coprire il cuscino con la Union Flag.
Il tempo passa e tu dove sei? Sempre lì, a fissare la poltrona, ad aspettare che dalla tua mente emerga la sua corporatura esile e snella per tendersi a darti una pacca sulla spalla, o per dirigersi verso la cucina per i suoi esperimenti.
Ma i giorni passano, diventano settimane e poi mesi. Svanisce il suo odore, svanisce il suono del violino nella tua mente, svanisce la bellezza dentro le sue cose. Senza te sono prive di colore, prive di un’essenza.
Sono il nulla.
E piano piano inizia a svanire anche lui.
Non ti aggrappi più alla sua immagine creata dalla tua mente, non sorridi quando ti sembra quasi di vederlo posare l’ennesimo arto umano nel frigorifero. Non lo fai semplicemente perché non puoi. Se ci provassi vedresti solo un alone di quello che mesi prima sembrava essere una figura ben distinta dentro la tua mente: nei ricordi c’è il suo completo di tweed, immacolato e perfetto, ma il resto è un ingarbuglio impreciso e scorretto. I suoi capelli… i suoi capelli com’erano? Ricci, sì, neri, sì, ma avevano dei riflessi? Erano morbidi, ribelli o crespi, malleabili o docili? Com’erano le sue orecchie? E le sue mani, le sue mani che forma avevano? Erano grandi, pallide… E poi?Le unghie erano curate? Corte? Aveva orologi? Bracciali? E gli occhi, quegli occhi chiari sui quali hai fantasticato così tante volte, che forma avevano?
Non capisci più niente, e ciò ti sconforta. Forse sarebbe meglio, meglio per te, meglio per tutti: dimenticare e basta. Ma tu non vuoi dimenticare. E ti ostini così tanto che, per ricordare ogni singolo particolare del suo viso, devi riportare alla memoria anche ciò che vorresti cancellare.
Cade. Il cappotto si apre come due ali angeliche che gli avvolgono il petto.
Cade. Scuote le braccia e le gambe, come sperando di poter volare.
Cade. Eppure le sue ali non si muovono. Sono nere, nere come la morte.
Cade. Si sente il suono delle ossa che scricchiolano e lui è lì, immobile, con gli occhi azzurri spalancati. E adesso li ricordi, sono grandi, belli. Ma nei tuoi ricordi il sangue vi gocciola sopra.
Scacci i pensieri e ti metti a sedere sul letto. Sei sudato dopo l’incubo, piangi. E non è vero che i soldati non piangono mai. Tu lo fai e non te ne penti.
Torni a sedere sulla tua poltrona in salotto, a fissare la sua. E mentre osservi la polvere cadervi sopra, anche la speranza dentro il tuo cuore inizia ad appassire.


   
 
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