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Autore: Cassandra caligaria    04/01/2013    6 recensioni
Storia seconda classificata la contest 'Luci e ombre di Natale' indetto da perrypotter e Capriccio biondo sul forum di Efp
È Natale e in casa Cullen, complice la presenza della piccola Renesmee, si respira aria di gran festa e di gioia. Di fronte al presepe allestito da Edward e sua figlia, Rosalie riflette su sé stessa, sul Natale, sulla vita che non ha avuto. Il rancore sempre nascosto dentro di sé per la maternità negata non le dà tregua; il senso di insoddisfazione e di tristezza crescono di fronte alle scene di vita quotidiana che vedono protagonisti Edward e la sua famiglia. Persa nei suoi ricordi umani e inghiottita dai suoi rimpianti, viene riportata alla realtà da Emmett. Grazie a lui e alle sue parole cariche d’amore, riuscirà ad accettare la sua vita e metterà a tacere i rimpianti.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emmett Cullen, Renesmee Cullen, Rosalie Hale | Coppie: Emmett/Rosalie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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STORIA SECONDA CLASSIFICATA AL CONTEST ‘LUCI E OMBRE DI NATALE’ INDETTO DA PERRYPOTTER E CAPRICCIO BIONDO SUL FORUM DI EFP

 

 



 

 

 









 

 

Grazie alle due giudici per aver indetto il contest e per aver dedicato del tempo prezioso, in un periodo di festa, alle nostre storie.
Mille grazie e complimenti a  Sam Graphics per lo splendido banner.



Felice anno nuovo a tutti!













La piccola accanto a me sorride, posa la sua mano sulla mia spalla per far leva e si mette in piedi. Poi, gira intorno all’albero e si china per infilare la presa nell’interruttore della corrente: la stanza si illumina di luci colorate, che riflettono sulla parete bianca l’ombra dell’alto abete.
            Renesmee è felice e soddisfatta: abbiamo fatto l’albero nel grande salone della nostra villa tutti insieme, ma siamo rimaste solo io e lei per accendere le luci.
            «Non è bello, zia?» mi domanda, ma non so se sia rivolta a me o all’albero che ha di fronte. Lo guarda incantata. Da quando c’è lei, fare l’albero in casa ha di nuovo senso. Il Natale è la festa dei bambini e dopo aver trascorso settantaquattro Natali a odiare questo albero e i suoi addobbi, oggi, mi sembra quasi di riuscire a tollerare la sua presenza.
            «È bellissimo, tesoro.» le rispondo, accarezzandole i lunghi boccoli che arrivano ormai quasi alla vita.
           «Guardate cosa ho trovato in garage! Te lo ricordi, Rose?» Edward si avvicina a noi portando un grosso baule di legno intarsiato ricco di rifiniture, seguito da Emmett e Bella. Lo deposita sul pavimento e ne tira fuori alcune statuette in legno dipinte a mano, alte circa dieci centimetri, e rivestite di preziose stoffe.
            «Credevo non l’avessimo più…» rispondo vaga, perdendomi nella contemplazione della meravigliosa statua che raffigura Maria.
            «Cosa sono, papà?» domanda Renesmee, prendendo tra le mani un pastorello.
            «Sono statue del presepe, tesoro. Rappresentano la natività. Le ha fatte tutte nonna Esme, quasi cinquant’anni fa.»
            «Cos’è il presepe?» continua la piccola, sempre più curiosa.
            «Il presepe è una rappresentazione della nascita di Gesù. Riproduce tutti i luoghi e i personaggi che hanno assistito a quel momento: la grotta con San Giuseppe, Maria e il bambinello; il bue e l’asinello, i re Magi con i loro doni, i pastorelli e le lavandaie. È una tradizione italiana, quella di fare il presepe a Natale. La nonna ha deciso di realizzare queste statue dopo aver trascorso un Natale in Italia, dai Volturi, tanto tempo fa. Avevano allestito un presepe bellissimo nella piazza di Volterra e la nonna ne era rimasta affascinata. Di solito, nelle case, viene allestito sotto l’albero di Natale.»
            «Lo facciamo anche noi, papà?» domanda speranzosa la bambina.
            «Se ti va, sì. Scegli tu dove posizionarlo.»
            «Lo faremo qui!» Renesmee saltella verso l’albero indicando la parete bianca alla sua destra e la seguiamo tutti, sorridendo di tanto entusiasmo. Edward si china alla sua altezza e inizia a passarle le statue; di tanto in tanto le accarezza dolcemente il viso o i capelli, mentre Bella li osserva sorridendo innamorata.
            Io chino il capo, come sempre, di fronte a scene del genere. Per quanto adori mia nipote e voglia bene a Edward e Bella, non posso fare a meno di invidiargli momenti come questi.
            Non è l’amore che mi manca: ho Emmett e una meravigliosa famiglia. Ma l’amore dei figli e la complicità di una famiglia tua, tenuta insieme da un lucchetto di sangue e patrimonio genetico, è tutta un’altra cosa.
            È quello che hanno Edward e Bella.
            È quello che ha la maggior parte degli esseri umani, da sempre.
            È quello che ho sempre desiderato e che mai avrò.
            Ed è quello per cui ancora oggi, alla veneranda età di novantaquattro anni, di cui settantasei trascorsi da diciottenne eterna, non riesco a trovar pace, soprattutto nei periodi di festa.
            Odio il Natale, odio tutte le feste; mi mettono addosso una tristezza infinita. Mi ricordano quanto sia insoddisfatta della mia esistenza. Non posso fare a meno di lasciarmi travolgere da un senso di angoscia esistenziale e di profonda sconfitta in questi giorni pieni di colore e di allegria.
            Entro nei negozi e inevitabilmente vengo investita da immagini di gioia, che mi fanno male agli occhi:  mamme che comprano i regali per i propri figli, fanno rifornimenti di leccornie, si dedicano alla preparazione di pranzi ricchi e succulenti da condividere con i propri cari.
            Vedo quello che avrei voluto avere io: una vita normale, ordinaria. Una vita piena di gioie e dolori, di sudore e di affanno, di conti e sacrifici per riuscire a sbarcare il lunario. Un matrimonio, dei figli, una casa, un mutuo da pagare, un’automobile di seconda mano. Magari un cane.
            Io ho apparentemente tutto quello che ogni essere umano almeno una volta nella vita ha desiderato: l’eternità, il potere, la bellezza, il denaro.
            Ma a cosa serve essere ricchi, perfetti e vivere per sempre, se non si è felici e soddisfatti?
            Quanto mi sembra bella e perfetta l’umana imperfezione.
            In periodi come questo vorrei essere di nuovo umana, per assaporare tutta questa gioia che investe le persone e di cui io non so più nulla. Vorrei avere una vita normale, senza grosse pretese e grandi ambizioni di ricchezza, come invece desideravo da ragazza. Una vita come quella di mia madre, una donna qualunque, una casalinga felice, che nel periodo natalizio si affannava in cucina per preparare dolci da regalare ai vicini e ai parenti.       
            Mi sembra ancora di ricordare, quando mi concentro e mi perdo nei miei ricordi umani, l’odore della cannella che invadeva la cucina. Chissà se il sapore di quei biscotti alla cannella era buono quanto l’odore che ricordo. È strano non riuscire a ricordare il sapore del cibo che mi ha nutrita per i primi diciotto anni della mia vita, il sapore degli odori che hanno accompagnato quegli anni felici e ricchi di speranza per un futuro, che mi è stato rubato in maniera brutale.
            Ricordo l’odore del bucato fatto con la cenere e lasciato asciugare in casa d’inverno; l’odore del camino, che ci impregnava gli abiti e i capelli, misto a quello del tabacco che fumava mio padre.
            Odori particolari e magari non particolarmente buoni; sicuramente cattivi odori se paragonati alle fragranze floreali e fruttate che emanano i nostri perfetti corpi scultorei.
            Eppure…
            Eppure se avessi potuto scegliere, avrei scelto mille volte quegli odori e quella vita imperfetta.
            Avrei scelto di vivere una vita umana alla luce del sole e non all’ombra, seppur nella perfezione.
             
            Mi ridesto dai miei pensieri e la mia attenzione è catturata dal silenzio assordante che regna nel salone: sono rimasta sola.
            Guardo le luci che Renesmee ha voluto mettere anche nel presepe. Illuminano le statue e proiettano le loro ombre giganti sulla parete. Hanno un che di sinistro. Mi soffermo su tutti i personaggi vicini alla grotta: la sacra famiglia, il bue e l’asinello, i re Magi, i pastorelli e le lavandaie. Esme ha fatto un lavoro magistrale, sono perfetti.
            La mia attenzione viene catturata da un personaggio particolarmente triste, fuori luogo. Tutte le donne presenti nel presepe hanno il ventre tondo o un bambino tra le braccia, persino una zingara. Sono tutti simboli che richiamano e rendono omaggio alla maternità di Maria.
            Tutte, tranne una.
            Una statua bellissima, una zingara senza bambino. È l’unica statua che non guarda verso la grotta, ha il capo chino, forme piene scoperte dal vestito lacero, braccia aperte che tentano di afferrare qualcosa, ma abbracciano il vuoto. Penso che è come me. Guarda la vita, il miracolo, da lontano, a capo chino, come se non fosse degna di quella meravigliosa vista, come se le facesse male agli occhi. È molto più bella di tutte le altre statue, eppure è triste. Come me. Stona in quel contesto di gioia e di speranza. Ho come l’impressione che Esme si sia ispirata a me, nella creazione del personaggio.
            Osservo l’ombra di questa statua triste sulla parete bianca e accanto ad essa, vedo la mia. È più grande, gigantesca in confronto alla sua, eppure sono così simili, nella postura.
 
            Prendo un profondo respiro, come se ne avessi realmente bisogno, dopo tutti questi pensieri in cui la mia anima annega, e sento una fragranza familiare e rassicurante invadermi le narici e due braccia forti e muscolose cingermi la vita.
            Mi volto un po’, quel tanto che basta per incontrare le sue labbra.
            «Cosa ci fai qui, tutta sola, piccina?»
            Sorrido e gli accarezzo gli avambracci che si incrociano sulla mia pancia.
            «Guardo il presepe…» rispondo vaga.         
            «Bello, vero? Nessie è una vera dittatrice quando si tratta di organizzare un lavoro! Ma poi i risultati sono brillanti.» noto nella sua voce una punta di orgoglio nel pronunciare il nome di nostra nipote.
            «Sì, è molto bello. Sono contenta che Esme non lo abbia donato ai Volturi e lo abbia tenuto per noi.»
            «Beh, sarebbe stato sprecato. Con il presepe sotto l’albero la casa è molto più bella, c’è più… Natale. E poi, la piccolina di casa rende tutto più entusiasmante, perfino mettere in terra delle statue di legno» mi dice, stringendomi più forte a sé.
            Come posso non amarlo, quando esprime pensieri del genere? Come posso tenere a freno il rimpianto della vita umana che ci è stata negata? Come posso non desiderare figli da quest’uomo che mi ama più della sua stessa vita?
            Saremmo stati due genitori meravigliosi. Avremmo potuto avere una bella famiglia.
            Saremmo stati felici, nella nostra imperfezione.
            Immagino per un attimo un figlio nostro, con i suoi riccioli neri e il suo sorriso, correre per casa e riempire il silenzio delle pareti bianche con la sua risata cristallina.
            E poi lo sguardo cade di nuovo su quella statua senza vita, su quella donna a capo chino privata di ogni connotato di maternità, che tenta di afferrare il vuoto. Forse anche lei, cercava di prendere tra le braccia un bambino che correva, un bambino che non è mai arrivato. E chino il capo anch’io, di nuovo, sconfitta.
            «Amore, non ti crucciare… Lo so quanto  è doloroso per te, questo periodo. Però, ti prego, non pensarci più, è passato tanto tempo. Pensa che abbiamo Nessie, ora. Abbiamo una splendida nipote, che è un po’ anche figlia nostra. Ti prego, Rosie»
            Mi stringo più forte a lui, mi aggrappo alle sue braccia, al suo odore, al suo amore. Perché senza di lui, niente avrebbe senso. Sarei persa.
            «Scusa, tesoro. È che non posso fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato meraviglioso se anche noi avessimo avuto la possibilità di avere una vita normale, di avere dei bambini.»
            «Non sarebbe stato possibile, amore, per tante ragioni: la distanza geografica e la differenza di età, per citarne un paio. Era destino che ci incontrassimo in quel bosco e che condividessimo l’eternità. Non eravamo destinati a vivere altre vite, insieme. Se le cose fossero andate diversamente, non ci saremmo mai incontrati e io non riesco a immaginare una vita senza di te.» mi risponde accarezzandomi il viso con dolcezza e io mi sciolgo sotto il suo tocco, colpita dall’amore delle sue parole.
            «Oh, Em!» singhiozzo sul suo petto.
            «Sei così bella, non devi essere triste.» mi sussurra con dolcezza, guardandomi con devozione.
            Guardo ancora una volta la parete bianca di fronte a noi, dove compare, adesso, accanto alle piccole ombre delle statue, un’unica ombra gigante fatta di due.
            La nostra ombra, la mia salvezza.
            «Ti amo tanto» gli dico, sfiorandogli le labbra con le mie.
            E mi rendo conto, finalmente, dando voce ai miei sentimenti, che questo mi basta per accettare quello che non ho potuto avere, che mi rende felice amarlo ed essere amata da lui. È lui che mi rende diversa da quella statua sola e triste, con le braccia aperte rivolte al nulla. Le mie braccia hanno qualcuno da abbracciare.
            «Lo so, ti amo anch’io» mi risponde come se fosse la cosa più naturale del mondo.
            Restiamo stretti l’uno all’altra, fino a quando lui non spezza il silenzio.
            «Che ne dici di andare a scartare i primi regali, Rosie?» mi sussurra malizioso, baciandomi la pelle del collo, dietro l’orecchio.
            Scuoto il capo, pensando a quanto sia diverso da me: riesce a passare dal serio, al giocoso, al malizioso nel giro di un secondo. Ed è per questo che lo amo: prende la vita così come viene, godendo di ogni attimo, senza pensare troppo a quello che avrebbe potuto essere e non è stato, senza rimuginare sul passato.
            «Non credi che dovremmo aspettare la sera della vigilia?» rispondo, cercando di rimanere indifferente alle sue carezze, via via sempre più sfacciate.
            «Mm… no, direi proprio che c’è un pacco piuttosto impaziente di essere scartato da te. Non ce la fa ad aspettare.» mi stringe ancora più forte a sé, facendo scontrare i nostri bacini. E lo sento, il pacco.
            «Allora, non possiamo farlo aspettare… rischia di esplodere» sussurro, provocandolo.
            Nell’arco di un attimo, non vedo più la parete bianca, le luci dell’albero e le ombre del presepe sulla parete bianca. Ci siamo solo io e lui, stretti in un unico corpo fatto di due, illuminati dalla luce del giorno che penetra dalla finestra della nostra camera da letto.
            La nostra pelle adamantina brilla e non penso più a me come a un’ ombra. Ora sono un’ombra illuminata, in pace con me stessa e finalmente accetto, mettendo a tacere il mio tumulto interiore, il destino che la vita mi ha riservato.
            Emmett ha ragione: se avessi avuto quella normale vita umana tanto desiderata, non avrei mai avuto lui e questo amore così grande. E forse, è giusto così, va bene così. È inutile pensare al passato, fa soltanto del male. Verranno altri Natali, altri giorni e altri anni. Dieci, cento, mille e mille ancora, e sono disposta a viverli, solo perché ci sarà sempre lui al mio fianco.

           
 










GIUDIZIO FINALE DEL CONTEST



Seconda classificata 
LUME D’OMBRA (Elettra989) 56, 85 punti 
• Lessico e grammatica 9,75 
• Stile 9,25 
• Originalità 8,85 
• Caratterizzazione dei personaggi 9,50 
• Sviluppo della trama 9,75 
• Gradimento personale 9,75 

Questa storia ha descritto appieno il Natale facendo riferimento alle tradizioni, a quella internazionale dell’albero e a quella tutta italiana del presepe. Soprattutto ha centrato il mistero della maternità, di quella sacra del presepe, come del miracolo che accade ad ogni donna che riceve un dono così. A Rose questo è stato negato. Sono state ben descritte la sofferenza, l’incompletezza, l’insoddisfazione che questo fatto ha comportato pur di fronte ad un’eternità di giovinezza e bellezza a far da contro parte. Lo stile è scorrevole e pulito. Mi è piaciuta molto questa storia. 
  
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