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Autore: nals    04/01/2013    2 recensioni
Minù ciondola come un funambolo peloso su un cornicione precario, mentre il cielo viene giù.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Minù non miagola più.
 

 
 
 
 
 

A Sara, ma ce ne sarà di più.
Intanto considerala la rivalsa del povero Tod.
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
E Minù cadeva giù in cortile, come son caduto io, e scoppiava in fuochi rossi di cervella ed interiora. Non miagolava più.
 
 
 
Minù ciondola come un funambolo peloso su un cornicione precario, mentre il cielo viene giù.
E divento cuore urlante. Batto il mio silenzio ritmando in un antro asmatico, chiuso in gabbia a sfracellarmi contro il bianco delle coste per non tremare più.
Lo sento nelle orecchie, il battito. Ho le orecchie nel cuore.
Non c’è più spazio per l’aria, dentro.
Dentro, entro, prendo. Prendo?
L’aria mi annoda le ciglia, non gonfia più i respiri.
Ritorno corpo e mi sporgo  ancora, e ancora, e ancora.
Vengo giù.
E Minù?
 
 
 
 
Ho rivisto Francesca ed è stato come viverci assieme una vita intera. Abbiamo parlato così tanto, così a luongo, e lei sorrideva ed è sempre bella quando sorride.
‘Perché ridi?’ 
Non riuscivo nemmeno a sussurrarglielo, ma lei arrossiva sulle guance, nascondeva l’azzurro dietro le ciglia e si toccava il neo sul mento con le dita.
Rimani qua,’ mimava con le labbra ferme. ‘Rimani qua,’ diceva. ‘Rimani qua’.
Poi la vita intera me l’ha bruciata in fretta; come la fiamma divora l’ossatura di una fotografia che non si vuol vedere più.
Aveva un vestito rosso a fiori, mi ha baciato sulla guancia e si è colorato tutto del bianco dell’arcata dei suoi denti perfetti.
Bianco come il bianco della parete la mattina, quel bianco così bianco da costringerti a serrare le palpebre più in fretta di quanto tu le abbia aperte. Perché si sa. Le pareti degli ospedali accecano come acceca il buio, eppure son bianche, e c’era mia mamma che in così tanti anni che son vivo – 21, ventun’anni di vita di merda ho vissuto? – non mi ha mai guardato così.
“Che sei diventato, figlio mio? Che sei diventato?”
E sembrava che stesse per vomitare una marea di lacrime tirate fuori da chissà dove, intrappolate dentro – che poi cos’è il dentro? Che posto è il dentro? Ci si sta comodi? –  da chissà quanto.
“Bianco?” avrei voluto chiedergli io.
“Come lui, sei diventato. Come lui.”
Lui chi, mamma? Lui chi?
E ho sognato che Minù cadeva giù in cortile come son caduto io e scoppiava in fuochi rossi di cervella ed interiora. Non miagolava più.
 
Lui è papà. Papà, che si è lasciato schiacchiare da un tram il giorno del mio decimo compleanno. Non lavorava più, non abbracciava più, non parlava più, ma sorrideva sempre e un po’ piangeva.
Zio mi ha sussurrato che lui mi amava tanto, ma non riusciva a ricordarlo perchè una donna, la Pazzia, gli si era messa a ballare in testa. La bara è stata calata giù e da allora non l’ho più visto, non l’ho più visto non parlare, non abbracciare, non vivere o sorridere e piangere un po’.
Non ho più visto nemmeno la sua fotografia, quella sulla mensola in cucina – i fiammiferi mamma non li compra più, forse perché teme di poter appiccare fuoco alla casa in sogno.
 
 
Ma no, Mamma. Io non sono diventato come lui.
Non sono pazzo.
C’era Minù, quello stupido gattaccio idiota, sul cornicione del palazzo di fronte e miagolava, miagolava, miagolava; continuava ad allisciarsi i baffi, a guardarmi.
Ed io avevo paura che si schiantasse al suolo. È per questo che mi sono sporto un po’ più avanti, e forse non so chiamarli i gatti, perché Minù ha continuato a sgambettare, ignorandomi, ed io mi sono sporto ancora, e ancora, e ancora e... .
Tutto nero.
 
 
 
 
 
“C’è qualcosa nella mia tazza. C’è... qualcosa, okay? E non guardarmi con quella faccia! So quello che dico, non sono pazzo.”
C’è un dannato pesciolino rosso e sottile che mi nuota nel caffè. A guardarlo mi vien mal di testa. C’è un dannato pesciolino rosso e sottile che mi nuota nel caffè. A Minù piaceva osservarli per ore, quelli colorati nella boccia di vetro. Non si avvicinava mai troppo, però. Mamma l’avrebbe scuoiata viva, seduta stante.
 
 
Le ho raccontato di Francesca, stamane. Non credo le abbia fatto piacere.
Continua ad ingoiare muco e lacrime e a borbottare parolacce contro qualcuno. Il cucchiaio trema del suo dolore, ma la minestra riesce a finirmi sempre in gola e non fa poi così schifo.
 
 
 
Francesca è tornata mentre mamma mi russava accanto, stringendo i braccioli della sedia tanto forte da sentirli quasi scricchiolare.
Il venticello ha scostato le tende della finestra di destra con le sue dita fredde, finendomi dritto in faccia.
“È ora” ha detto Francesca. Mi ha allungato la solita tazza di caffè e mi ha preso per mano. Il mio stomaco si è rattrappito tanto in fretta da farmi serrare gli occhi, confuso. Che abbiamo saltato me ne sono accorto poi.
“Non è bella, figlio mio? Non è bella, Francesca? Hai visto come balla bene?”
Io ho annuito commosso in direzione di quella sagoma sorridente che non sono mai riuscito a ricordare così bene ed ho sentito miagolare Minù.
Minù che mi struscia tra le gambe tutta felice, e che non scoppia più.
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
Probabilmente ho una Francesca che mi balla in testa. Ecco il motivo di questa storia. Oltre al pesce a sguazzare nella tazza e  l’Innominato a blaterare cose insensate – o forse no – è venuto tutto da sé, come al solito, del resto.
Non riesco a controllare più nulla ormai.
Mi scuso in anticipo con chi reputi questa storia di cattivo gusto per la leggerezza con cui ho deciso – mi è capitato – di trattare un tema di non indifferente spessore, quale la pazzia. Se di pazzia si tratti, effettivamente.
Non era mia intenzione turbare alcuno di voi.
Grazie,
 
 
Nals o Nalì o come vi pare :3

 
 
 
 
 
   
 
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