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Autore: Ombromanto    04/01/2013    2 recensioni
La strada scorreva veloce, passo dopo passo, sotto i suoi piedi. La discesa aumentava la velocità, il cuore batteva fortissimo, tum-tum-tum, i polmoni iniziavano a fare male per i lunghi respiri strozzati e ripetuti. Ma le era impossibile fermarsi. Non riusciva a pensare ad altro che a correre, a correre e ad andare avanti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I TUOI OCCHI CHE GUARDANO I MIEI


La strada scorreva veloce, passo dopo passo, sotto i suoi piedi. La discesa aumentava la velocità, il cuore batteva fortissimo, tum-tum-tum, i polmoni iniziavano a fare male per i lunghi respiri strozzati e ripetuti. Ma le era impossibile fermarsi. Non riusciva a pensare ad altro che a correre, a correre e ad andare avanti.

Il vento tiepido e leggero dei primi giorni di primavera soffiava silenzioso tra gli alberi scuotendone lievemente i rami e facendo vibrare come in una danza sinuosa le piccole foglioline verdi che si specchiavano nell’acqua del fiume che scorreva sotto il cavalcavia del treno. Le risate felici dei bambini che giocavano allietavano e smuovevano la tranquillità di una domenica che sembrava essersi risolta in una monotona e noiosa gita. Non c’era stata nessuna novità, niente di inconsueto: le madri si erano occupate del pranzo, i padri avevano portato sulla riva del fiume tavoli e sedie –e una radio per seguire la partita tra Torino e Juve–, e i bambini si stavano preoccupando soltanto di divertirsi il più possibile finchè non fosse arrivata l’ora di tornare a casa. Lei invece, ancora non così grande per stare a suo agio in compagnia degli adulti ma neanche più così piccola da potersi divertire a giocare con le sue sorelline e i loro coetanei vicini di casa, seduta in riva al fiume guardava il suo riflesso vibrare nelle increspature dell’acqua procurate dai sassi gettati distrattamente per far passare il tempo. Perché non c’era anche lui? Continuava a chiederselo da quando erano partiti quella mattina. Dov’era? Cosa aveva da fare? Forse era rimasto a casa, chissà poi per quale strana ragione. Oddio, pensava, forse non era venuto a causa sua! Voleva tornarsene a casa: se non poteva stare con qualcuno lì a godersi il primo sole caldo dell’anno, tanto valeva tornare in compagnia dello studio.
“Mamma, quando torniamo?”
“Amore mio tra poco, si sta così bene!”
“…devo studiare”.
“..dai ancora un po’”.
“Meschina, si annoia. Noi grandi siamo troppo vecchi  e i picciriddi sono troppo picciriddi!” si rivolse ad Anna la signora Strano, commentando la richiesta di Benedetta.
“Ma Bernardo perché non è venuto, dov’è?” chiese in risposta la signora Costa alla vicina.
“Ah, è in montagna! Sì lui prende la corriera e poi sale, sale, sale a piedi! Ci piace assai la montagna!” disse la siciliana tutta sorridente.
Sentendo quelle parole Benedetta si illuminò, e alzatasi, dicendo “faccio un giro”, decise di andarlo a cercare.
Camminando a passo piuttosto sostenuto ad un tratto vide davanti a sé, poco più su, una scatola di legno a lei non così nuova. L’aveva vista in lavanderia, su all’ultimo piano del suo condominio. Bernardo ci teneva un falchetto ferito che aveva trovato con il fratellino durante una passeggiata e che aveva portato a casa per curarlo. Lui doveva essere vicino.
 
Non aveva mai smesso di pensare a lei, dalla prima volta che l’aveva vista, tornando a casa dallo stabilimento. Era sempre insieme a quel ragazzo, ma alla fine doveva ringraziarlo, altrimenti le occasioni per stare con lei e vicino a lei sarebbero state ben poche. Non riusciva a togliersela dalla testa, e il pensiero di lei che gli abitava di fianco, immaginare di poterle sfiorare delicatamente e di sfuggita un’altra volta la mano magari sul balcone così, per caso… lo faceva impazzire. Se n’era innamorato non appena aveva incrociato il suo sguardo e ora il pensiero di quel Maurizio che l’aveva trovata prima di lui non lo lasciava in pace neanche un istante.
Seduto su una roccia a fissare il cielo e a contemplare la bellezza della vallata che si stendeva di fronte a lui, Bernardo cercava di capire che senso aveva avuto andare in montagna quella domenica. Sapeva in cuor suo che il falchetto non l’avrebbe tenuto per sempre, ma non trovava nemmeno il coraggio di aprire quella porticina e farlo volare via, separandosene una volta per tutte. Non ne capiva il motivo. In fin dei conti non poteva tenerselo lì chiuso in quella gabbia di legno per l’eternità, non era giusto. Tuttavia quasi non voleva liberarsene. L’aveva fatto vedere a Benedetta qualche giorno prima e da allora gli era divenuto più caro. Ecco, un’altra esperienza e un altro segreto che condivideva con lei. Ecco perché non si decideva. Le ricordava lei. Era come se avesse un po’ di Benedetta tutto per sé. E non voleva perderlo.
Ah! Ma che stava diventando, pazzo forse? Era un uccello, non un pegno d’amore! E poi, di quale amore si parlava? Di certo non del loro, che non esisteva. Ancora, pensò per un attimo. Ma no, no. Non sarebbe mai successo.
Ad un tratto un rumore di passi catturò la sua attenzione e quasi non si capacitò di quello che vide.
Benedetta! Era davvero lei? Come aveva fatto a trovarlo? Volendo evitarla era stata capace di trovarlo lo stesso, nonostante tutto. La felicità e quel senso di liberazione che provò all’istante furono immensi, ma pensò che un semplice e accennato sorriso e un atteggiamento pacato e serio fossero consoni al loro rapporto. Anche in quel momento.
 “Bello ah?” le domandò guardando la vallata circostante. Iniziò a scendere e ad avvicinarsi a lei.
Al suono di quella voce Benedetta si girò in cerca di lui, e così lo vide.
Avevano entrambi avuto ottimi propositi riguardo al loro comportamento insieme, quello più giusto da mantenere. Ma quei propositi non servirono a niente: la loro felicità era troppa e i loro visi si aprirono in un grande sorriso.
“Ciao”
“Ciao”
L’aveva trovato! Non riusciva a smettere di sorridere. Ma l’aveva pensato troppo e troppo spesso negli ultimi tempi e finalmente aveva modo di stare con lui. Non le importava, era felice ed era con lui. E tanto bastava: “Che ci fai qua?” gli chiese.
Il ragazzo fissò la scatola. “Cerco di trovare il coraggio di liberarlo”. Si riferiva al falchetto. Era guarito alla fine, ci era riuscito. E ora doveva lasciarlo andare.
“..ma ho paura che poi non vola”.
“Hai paura che non voli o ti dispiace perderlo?”
C’aveva azzeccato come sempre, aveva centrato il bersaglio al primo colpo. Era sveglia. Intelligente, brava,…bella. I suoi pensieri andavano avanti da soli.
“…Tutt’e due”.
Sorrise. Voleva aver capito giusto. “Dai!” disse allora spingendolo verso la scatola con il falchetto.
Era dunque giunto il momento. Si arrotolò la giacca intorno al braccio, aprì la scatola e tirò fuori l’uccello. La ragazza iniziò ad accarezzarlo, per calmarlo forse. Per calmare lei,lui, o entrambi. Cominciò a guardarla con dolcezza, ma non riusciva ad incrociare il suo sguardo: sentiva il suo cuore battere sempre più forte e voleva baciarla, sentiva il bisogno di starle il più vicino possibile. Doveva calmarsi.
“Io non guardo!” disse ad un tratto lei coprendosi il volto con le mani. Non poteva guardarlo, sentiva che prima o poi sarebbe scattato qualcosa, o forse si allontanò perché temeva fosse già scattato tutto.
Pochi secondi. Poi lo sbattere delle ali e di nuovo il silenzio, fino a che: “Si!” urlò Bernardo.
Aprì gli occhi all’istante e lo cercò mentre volava di nuovo tra il verde circostante. Ce l’aveva fatta! Iniziarono a ridere felici, ma c’era ancora una forte tensione, quasi palpabile. Si girarono l’uno verso l’altra, senza accorgersene e si ritrovarono a fissarsi negli occhi, cosa che avevano evitato di fare fino a quel momento. Per paura che scattasse qualcosa, un qualcosa più grande di loro e perciò incontrollabile. Per paura che…
Fu un attimo, il coraggio di un momento, e Benedetta prese il volto di lui fra le mani e lo baciò. Lo stesso fece Bernardo, che rispose al bacio, dopo un istante di smarrimento, quasi a capacitarsi di quello che era successo – se era davvero successo. Ma sì, non stava sognando, non era la sua immaginazione a burlarsi di lui, stava accadendo davvero.
Ecco di cosa avevano paura. Di un bacio, dell’amore. Di un sorriso scambiato al buio e di una serenità segreta e immotivata. Avevano avuto paura del niente, perché di fronte al senso di pienezza e di felicità che provavano ora tutto il temere e l’evitare di prima sembrava una cosa inutile e stupida. Non come quel loro amore, impossibile da nascondere, forte come nessun altra cosa al mondo e così grande che faceva un po’ paura.
“Benedetta!” la voce del signor Costa li risvegliò da quel magico momento, riportandoli alla realtà. Si staccarono subito, all’istante, e Benedetta corse subito giù senza guardarlo negli occhi, come scappando da un errore spaventoso che non si vuole più vedere. Ma non sarebbe stato così.
Bernardo la seguì con lo sguardo, capendo finalmente che qualcosa di buono Torino ce l’aveva e poteva andare ancora meglio. Doveva riflettere sull’accaduto, ma era troppo felice per pensare ai problemi del futuro. A volte bastavano venti secondi di fottuto coraggio per salvare un’insulsa domenica di primavera.

  
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