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Autore: Engy_1    05/01/2013    2 recensioni
quali pazzie si fanno per amore? quali atroci dolori si superano per chi si ama? può la morte portare pace eterna a due soldati caduti in guerra?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Storico
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mettetevi un paio di cuffie, chiudete la porta, schiacciate play su una dolce melodia e leggete la storia di un uomo che muore per amore...


Il fiato spezzato dall’inquietudine, il cuore che mi batteva come un martello nel petto. Neanche il gelo di quella orribile sera autunnale portava sollievo al mio corpo che sentivo andare in fiamme. Stringevo con tutto me stesso l’arco tra le mie mani per scaricare l’agitazione. Davanti a me, nel cammino di ronda (camminamento nascosto dietro le merlature) più in basso, intravedevo grossi uomini dall’elmo rugoso e sporco, che sbattevano a terra altrettante grosse lance appuntite. Proprio tra loro, nella seconda fila, centoquattordicesimo da sinistra, l’unico uomo che amavo con tutto me stesso urlava tra i soldati. Davanti a noi, nel vasto deserto rinchiuso tra le montagne, uomini dalla nostra stessa carnagione si muovevano. Intravedere quella massa abnorme di nemici mi fece rabbrividire fin nelle viscere, fino a sentire le ginocchia tremare. Grazie a iddio l’elmo sulla mia testa rinchiudeva anche il volto, così che nessuno vedesse le lacrime che mi rigavano gli occhi arrossati. Avevo pianto tutto il giorno tra le braccia dell’uomo che amavo, confortato dalle sue accarezze, dalle attenzioni che mi donava, accompagnate ogni volta da un caldo bacio. Non so come abbia fatto tutto il tempo a stare zitto al mio fianco, senza proferir parola mentre mi disperavo. La nostra casa, la nostra vita, tutto poteva scomparire con lo scoccare di una freccia o con il doloroso sguainare di una pesante spada.
I soldati del re passavano di casa in casa bussando con l’impugnatura della spada, prelevando uomini non più grandi dei cinquanta e bambini non più piccoli dei dieci anni. Erano arrivati anche da noi, ma io non aprii l’uscio di quella che rimaneva ancora per poco il mio abitacolo, anzi il nostro rifugio. Mi strinsi a Leonardo, sprofondando il volto nel suo petto, ma la sua mano calda richiamò il mio voltò e senza preavviso, con ancora il rintoccare brusco delle spade, s’impossessò delle mie labbra, facendone sua proprietà.
Tornai alla realtà solo quando avvertii intorno a me il glaciale suono del corno. Messi in fila uno affianco all’altro, sentii le spalle dei miei compagni irrigidirsi.
Stava iniziando la battaglia!
Le numerose urla dei soldati mi davano l’emicrania, ma io insistevo. Gridavano a me stesso di controllarmi.
In tutta la cittadella ero considerato uno dei migliori arcieri. Mi avevano posizionato quasi al centro, in modo che avessi un’ampia manualità e veduta. Alla mia sinistra Gilbert, il mio migliore amico dai tempi dell’infanzia. Sapeva della mia tendenza sessuale, eppure non mi aveva abbandonato, proprio per questo, grazie a lui avevo affinare l’arte dell’arco. Mi aveva incitato a lottare, a dare il meglio di me stesso. Io feci lo stesso.
- Tendere! – aveva urlato il comandante. Presi un profondo respiro e, ritrovando la mia pace, tesi l’arco. Quasi duemila guerrieri ricopiarono i miei stessi movimenti.
- Uomini! – questa voce apparteneva al nostro re – Uomini di Castel Fondente! La battaglia sta per aver inizio! Non temete la fine, uniti ce la faremo! Noi vinceremo! – e tutti insiemi ripetemmo le ultime due parole, speranzosi di tornare presto alla luce.

Il sangue gocciolava dai corpi che mi avevano sommerso in quella soffocante montagna di cadaveri. Inspiravo con disgusto l’acre odore di putridume e morto, mentre con l’arco spezzato cercavo di creare un buco da dove uscire.
Riapparvero, con dolorosa paura, le immagini dei nemici che ci sovrastavano di numero e d’agilità. Quando ci avevano raggiunto sulle muraglie, ricordo ancora il caos e le urla di uomini che il giorno prima si vantavano di essere i più forti, ma che sotto i miei occhi apparivano come deboli libellule trascinate via da un maestrale.
Nella confusione ricordo solo la stretta di una mano, quella di Gilbert che mi trascinava lontano dalla disperazione, dall’orrore, ma i tentativi furono inutili. Qualche minuto dopo eravamo già circondati. Quale scempio, quale terrore vederlo morire davanti a me!
Corsi lontano, ma la mia mente stava all’unico uomo che desideravo vedere. Bramavo i suoi meravigliosi occhi verdi su di me, le sue mani accarezzarmi i capelli ribelli, le sue labbra baciare ogni angolo del mio corpo.

Eravamo rimasti pochissimo. Un immenso tappeto di corpi lividi copriva il campo di battaglia, alcuni accumulati ai piedi delle mura. Non avevo più forze, le mani e le vesti fradice di sangue, e lentamente la mia voce si era abbassata fino a diventare un alito dalle mie labbra.
Lo cercai tutta la notte, tra le lacrime e il sudore. La disperazione mi faceva compagnia, mentre il cuore martellava nel petto per liberarsi dal mio corpo peccaminoso.
Alle due di notte ero ancora alla disperata ricerca di Leonardo. Anche solo il suo corpo, almeno l’avrei pulito dalle ferite e avrei cercato di dargli una nobile sepoltura.
- Tullio… - percepii una voce chiamarmi. Era lui! Segui quel bisbiglio che mi faceva morire. Poi vidi una mano sporgere tra i resti di carne. La presi, la strinsi sentendolo ricambiare. Scavai con le unghie, fino a quando non fui in grado di portare Leonardo alla fievole luce della lanterna.
- Amore mio sono qui! – lo presi tra le mie braccia. Era freddo.
- Tullio… questa volta non sei un’apparizione.. vero? – parlava piano, facendomi accapponare la pelle.
- No, sono reale! Leonardo! – le lacrime mi pungevano negli occhi, ma le cacciavo sempre indietro. Gli sorrisi, il più falso che avevo e allo stesso tempo l’unico che le mie labbra potevano permettersi.
- Per fortuna…- mi accarezzo una guancia. Lo stringevo, ma in continuazione mi scivolava via per tutto il sangue che lo circondava, non solo dei nemici, ma anche il suo.
- Ti prego! Non morire!! – chiamai qualcuno perché venisse in soccorso, ma nessuno era nei dintorni.
- Tullio… - i suoi occhi mi fissavano con la stessa intensità di quando mi aveva detto che mi amava – Non sarò mai in grado di ringraziare il cielo per avermi concesso il dono più bello… - non potei più trattenere le lacrime che scivolarono fuori, bagnandomi il volto.
- Non parlare – provai a riscaldarlo.
- Il dono più bello… averti potuto incontrare… averti potuto… amare…
La sua mano cadde. I suoi occhi mi guardavano ancora, ma stavolta spenti.
- NOOOOO!!!!! Leonardo ti prego! Ti prego! Svegliati! – ma tra le mie mani avevo solo il suo corpo, freddo, sporco, vuoto.
Lo baciai prima con foga, ma non ottenni nessuna risposta, e lentamente ogni mio accarezza diveniva sempre più dolce, più tenue, più debole…
- Ti amo…-
Nel suo fianco aveva ancora conficcata la spada. La presi, non curante di tutto il sangue che uscì.
- Aspettami amore mio – poggia la punta sul cuore, poi con forza la conficcai nel mio petto.
Il mondo divenne sfumato, poi nero e, posatomi sul mio amore, lasciai che l’anima abbandonasse le mie carni per arrivare nello stesso luogo dove Leonardo mi attendeva.
  
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