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Autore: Sassi    06/01/2013    2 recensioni
[AoKise]
Ma insomma, se Aomine Daiki decideva che tutto sarebbe tornato come prima – e non come prima della partita, ma proprio com'era alle medie – tutto sarebbe tornato come prima. Punto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daiki Aomine, Ryouta Kise
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Breakeven






Battito del cuore accelerato. Mano ferma a mezz'aria, davanti a quel pulsante che si rifiutava di premere, vicino a cui troneggiavano in bella vista il cognome del compagno.

Kise.

Oh diamine, lui era pur sempre Aomine Daiki, mica poteva farsi tutte queste fisime per una cazzata del genere.

In realtà la situazione non era più così semplice. Lo era stata un tempo, quando gli bastava attaccarsi al campanello fino al momento in cui l'altro sarebbe sceso a rotta di collo per raggiungerlo. Ma adesso no, non più, non da quando si era rinchiuso in se stesso e aveva smesso di passarlo a trovare, e ancora meno da quando aveva infranto i sogni di una squadra che non era una delle tante, ma era quella di Kise.

Aveva infranto i sogni di Kise. Lo aveva battuto di nuovo, con la differenza che questa volta ci era andato a un tanto così dall'essere sconfitto lui stesso. E non c'è niente di peggio che arrivare a un tanto così dall'ottenere una vittoria tanto desiderata per poi vedersela strappare via ingiustamente.

Ma insomma, se Aomine Daiki decideva che tutto sarebbe tornato come prima – e non come prima della partita, ma proprio com'era alle medie – tutto sarebbe tornato come prima. Punto.

Finalmente premette quel dannato citofono.

«Chi è?»

«Sono io»

«Aominecchi?»

Aomine sbuffò. Certo che era lui, e se l'aveva riconosciuto non c'era bisogno di fare una domanda tanto stupida. Di certo non si sarebbe sprecato a dare una risposta.

Attimo di silenzio. Forse Kise si aspettava che l'altro spiegasse il motivo della sua presenza – che in effetti sarebbe la cosa più normale da fare, considerando che l'ultima volta che si erano visti lui stava singhiozzando come un bambino in mezzo al campo, e l'altro lo aveva a malapena degnato di uno sguardo. E in effetti un po' si vergognava di quella scenata. Non era di certo abituato a perdere, ma alle sconfitte contro Aominecchi ci aveva fatto il callo ormai. Certo, ogni volta faceva male, ma mai era arrivato a sentirsi tanto svuotato dopo una partita.

«Vuoi.. salire?»

«No, scendi tu, andiamo a giocare»

A cosa era assolutamente inutile specificarlo.

Kise non saprebbe descrivere i sentimenti che lo sconvolgevano dentro mentre si infilava la prima tuta che trovò in giro per la stanza – decisamente l'ordine non era tra i suoi pregi –, si buttava una felpa sulle spalle e correva giù per le scale: il cuore in gola lo aveva da quando aveva riconosciuto la voce di Aomine al citofono, ma adesso gli era preso uno strano batticuore, un tremolio lungo tutto il corpo che gli faceva sentire freddo pur essendo fin troppo coperto e gli faceva gelare le mani. Non sapeva come mai l'altro lo fosse venuto a trovare; provava speranza, ma anche paura. Paura di cosa? Cercava di capirlo, ma era un insieme di diverse sensazioni che lo confondevano: sicuramente di essersi illuso sul reale motivo di questa strana visita, per non parlare di quello di venire ferito da eventuali parole troppo dure. E poi provava un senso di inadeguatezza che si era trasformato nella più cruda vergogna per non essere ancora così evidentemente all'altezza.

Era sempre il solito mediocre, il solito imbranato, il solito stupido.

Quando si trovarono finalmente l'uno di fronte all'altro non ci furono parole: c'era il tentativo di comportarsi come se non ci fosse un muro a separarli, velato da un imbarazzo neanche troppo leggero per gli ultimi avvenimenti che li avevano allontanati ulteriormente. Un breve cenno del capo e cominciarono a camminare. Arrivarono al campo in assoluto silenzio – quel campo nel quale avevano giocato tante volte, in cui le loro risate, il loro sudore, la loro saliva si erano mescolati così tanto spesso, e che ora sembrava quasi un altro luogo senza il suono allegro delle loro voci.

Tiri a canestro, scatti. Era la prima volta in assoluto in cui Kise riuscì a fare qualche canestro mentre giocavano uno a uno. Fosse stato un altro momento sarebbe sembrato un sogno, ma ora no, perché Kise non voleva più soltanto superare Aomine, voleva batterlo. Voleva sentirsi dire “bravo”, voleva essere guardato con occhi diversi, voleva non sentirsi più inferiore. Sarà per questo che segnare quei canestri non gli bastava, che sentiva nascere nel petto una sempre maggiore pesantezza, tanto che neanche notò che Aomine invece sembrava soddisfatto, che qualche volta era persino sorto un sorriso a increspargli le labbra, cosa che non succedeva da tempo immemore.

Alla fine entrambi si ritrovarono stremati a terra, con le schiene appoggiate alla recinzione che circondava il campo, e neanche si guardavano in faccia. Gli sguardi erano dritti davanti a loro, l'unico suono quello dei loro respiri affannati.

Fu Aomine a rompere quell'equilibrio, voltandosi a guardare il compagno. Cercava di comunicargli con uno sguardo tutto quello che non gli avrebbe mai detto a voce.

Mi dispiace. Non volevo ferirti. Non volevo allontanarmi da te. Sei davvero migliorato. Sono fiero di te. Sono io ad essere inadeguato, non tu. Sono io ad essere scappato. Sono io a voler tornare, adesso.

Però gli sguardi non parlano; tutt'al più possono limitarsi a comunicare emozioni, sensazioni diffuse. Il suo sguardo comunicò a Kise dispiacere, nient'altro. Soltanto Aomine avrebbe potuto dirgli da cosa questo fosse causato, quanto fosse profondo, quanto questo senso di colpa arrivasse a distruggerlo dentro. Sarebbe bastato pronunciare una sola parola.

Scusa.

Ma Aomine non l'avrebbe mai fatto.

E non era stupido, si rese conto lui stesso che in quel modo non avrebbe risolto niente. Si alzò e fece per andarsene, così, senza una parola, senza un tentativo. E se ne sarebbe andato davvero, se non ci fosse stata una mano ad afferrarlo con forza per il braccio, a trattenerlo lì. Kise non avrebbe sopportato di vederlo allontanare da sé di nuovo, schiacciato dal peso di tutte quelle cose non dette, come era accaduto quella volta, in campo.

«Aominecchi, mi dici perché sei venuto?»

«Per giocare.»

Daiki non si mosse nel pronunciare quelle parole. Rimase fermo, in piedi, continuando a dare le spalle al compagno ma senza trovare la forza di allontanarsi da lui. Per questo non poté vederne gli occhi lucidi, l'espressione affranta, la schiacciante certezza di non essere abbastanza dipinta sul volto. Poté soltanto sopportare il silenzio che seguì, interrotto improvvisamente dal suono di Kise che tirava su col naso e da una domanda sussurrata.

«Perché?»

«Perché cosa?»

Kise si alzò improvvisamente in piedi, lasciando la presa dal polso dell'altro. Per paura di stringerlo troppo forte, probabilmente. Preferì chiudere le mani a pugno, conficcarsi le unghie nel palmo, e poco importa il dolore fisico che provò in quell'istante.

«Perché sei venuto a giocare con me pur sapendo che non avrei mai potuto batterti? Perché sei tornato da me anche se sono così fastidiosamente inferiore? Perché non ti è bastato umiliarmi in campo, di fronte a tutti, e vuoi continuare a tormentarmi ancora in questo modo? Perché non mi dici che basta, non sono malaccio a giocare, ma che il mio unico pregio è quello di imparare in fretta, che più degli altri non ho niente?»

Un mare di parole, di frasi un po' urlate e un po' sussurrate, con quel tono di voce incerto caratteristico di chi è sul punto di piangere, colpirono Aomine come una pugnalata. E la verità era che non lo sapeva neanche lui perchè era tornato, pur sapendo di aver ferito l'altro, pretendendo di rivivere un passato che invece, per colpa esclusivamente sua, non poteva più tornare. Un passato che, se fosse stato solo per Kise e il suo genuino desiderio di stare sempre insieme, sarebbe ancora la quotidianità.

E allora perchè? Perché?

Aomine sospirò prima di rispondere. Mise in ordine i pensieri, quell'insieme confuso di emozioni che non avrebbe mai voluto esprimere a nessuno, che aveva intenzione di tenere relegate dentro sé finchè non sarebbero passate. Ma per Kise poteva fare questo sforzo.

«Perchè mi mancava il basket quando si gioca per il puro piacere di farlo, senza preoccuparsi di chi ti sta davanti, se sia più o meno forte di te, se sia un avversario valido o meno».

Adesso che aveva cominciato a parlare gli sembrava che tutte le idee gli si fossero davvero schiarite, che tutti i comportamenti impulsivi che lo avevano portato fin lì – che lo avevano portato da Kise – potessero essere spiegati, che avessero davvero senso, che fossero in un certo senso giusti.

E si stupì nel trovare tante cose da dire, nel non fermarsi a brevi frasi fatte, ma nel trovare realmente semplice mettere a nudo parte della sua anima, come non aveva mai fatto con nessuno.

«Mi mancava quel basket che giocavamo insieme. Mi mancava il me stesso che c'era quando ero con te, perché non ce la facevo più a vedere tutto come se non mi appartenesse, a trovare noioso quel gioco a cui fino ad ora ero stato più legato e..»

Kise lo interruppe, con un sorriso amaro sulle labbra. Un sorriso... doloroso?

«Sei sempre il solito, Aominecchi, tendi sempre a guardare ogni cosa come se dipendesse solo da te, come se tutto avvenisse solo in funzione tua e gli altri non avessero alcun potere decisionale».

«Non ho mai pensato realmente che tu mi avresti perdonato. Ci speravo, credo».

«Perdonare? Per cosa dovrei perdonarti? Perchè sei troppo bravo, perchè sei un mostro? Non è una colpa, quella. Smettila di provare pena per me, per favore».

La voce di Kise non era più ferma come prima, il labbro inferiore gli tremava, gli occhi erano lucidi. Questa volta fu lui a muoversi per andarsene, stanco di sentirsi considerato solo come un giocattolino da usare per divertirsi. Aveva il suo orgoglio. E voleva assolutamente evitare di scoppiare a piangere di nuovo davanti a Daiki.

Non aveva calcolato la reazione di Aomine però. Inaspettatamente l'asso della Kiseki no Sedai alzò la voce, totalmente alterato: «Io proverei pena per te? Proprio tu non puoi parlare di questo! Come se io non abbia visto come mi hai guardato dopo avermi superato la prima volta, in partita! Mi ha... umiliato quel tuo sguardo. Mi sono sentito preso in giro, nemmeno fossi così debole da meritare il dispiacere dei miei avversari. Come se avessi bisogno che tu – tu! – mi considerassi un idiota per essere caduto in un tranello come quello dei 4 falli!».

Kise, che con pochi passi aveva superato Aomine, si era bloccato a metà strada per ascoltare il suo discorso. E a quel punto non riuscì più a controllarsi: tornò subito indietro, piazzandosi davanti al compagno, a poca distanza da lui, guardandolo per la prima volta negli occhi da quando avevano iniziato a parlare.

Occhi blu elettrico specchiati in occhi dorati.

Due sguardi totalmente diversi, ma entrambi sconvolti, per motivi differenti e in modi differenti.

«Sei davvero stupido Aominecchi, davvero, davvero stupido». Kise cominciò a prenderlo a pugni sul petto. «Come se io potessi davvero provare pena per te. Io che ho sempre voluto essere come te!».

Aomine non ci mise molto a fermare i polsi di Kise – era sempre stato più forte di lui.

«Non è una gran cosa essere me».

Kise lo fissò stralunato, non riuscendo ad afferrare a pieno il significato di quella affermazione. Rimasero in silenzio a fissarsi, finché non fu nuovamente Aomine ad interrompere il silenzio.

«Io avrei sempre voluto avere qualcuno da sfidare nello stesso modo con cui tu hai me».

«Come se potesse essere realmente bello avere qualcuno che nonostante i tuoi sforzi ti è sempre davanti. All'inizio lo era, davvero, credo di poter capire come ci si sente a non avere avversari validi, ma con il tempo si arriva a sentirsi.. svuotati». Fece una breve pausa, abbassò lo sguardo. «E poi avrei voluto essere io, per te, un avversario valido».

Aomine aprì la bocca per ribattere, ma venne bloccato dal compagno.

«Basta, ti prego, basta così», sussurrò Kise, con la voce interrotta dai singhiozzi, mentre appoggiava la testa sulla spalla di Aomine.

Non ci fu altro quella sera, solo un mare di lacrime che bagnò la maglia sudata di Aomine, un braccio che, non sopportando più di restare inerte, andò a ricercare la schiena scossa dai singhiozzi del compagno, per stringerlo in una stretta che aveva un non so ché di rassicurante, finché anche il pianto non cessò. A quel punto non ci fu altro che un abbracciò ricambiato, un silenzio finalmente leggero, libero da quelle confessioni rimandate troppo a lungo, due cuori che battevano all'impazzata e la speranza di riuscire a costruire insieme qualcosa di buono.

















Eccomi tornata con l'ennesima AoKise! Ogni tanto mi torna l'ispirazione, non posso farci niente u.u in realtà l'idea di un loro possibile discorso dopo la partita Kaijo vs Touou l'avevo sempre avuta, e infatti avevo iniziato a scrivere questa shot un bel po' di tempo fa, solo che non sapevo come far partire il discorso, per cui l'avevo lasciata a marcire nei meandri del computer, dopo aver scritto l'inizio e la fine XD è proprio per questo che la parte centrale è quella che mi convince meno: è la prima volta che scrivo un discorso così lungo, e proprio per questo ho paura che possa risultare noioso, ridondante e soprattutto che i personaggi non siano IC. Insomma, ho trovato molto più difficile farli parlare rispetto a scriverne i pensieri!
Non c'è molto altro da dire, per cui ringrazio chi ha letto fin qui e chi vorrà lasciare una recensione :) 

   
 
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