Non
ho Saputo resistere più di ventiquattro ore per postare il sequel di A Beautiful
Mortal XD.
La trama che ho utilizzato per questa storia la volevo utilizzare
per una storia a parte, ma avendo fatto quel finale a ABM ho deciso che si
poteva collegare benissimo a questo. Non va avanti col potere di Bella nel poter
tornare indietro nel tempo, perché, come sapete se avete letto l’ultimo cap di
ABM, Bella torna umana e se ne va via. Qui riprende quattro anni dopo. Spero che
come storia vi piaccia anche questa, anche se sarà priva di azione. Si basa solo
sulla storia di Bells e Eddie.
Va bè, vi lascio alla lettura!
Ciao a
tutti! E scusate per il capitolo corto, ma è come un prologo!
Bye
bye
Minako-Lore
a
wonderful star ~
-
a beautiful
mortal sequel -
CAPITOLO
1 : ritorno
a Villa Cullen.
××
La
pioggia batteva violentemente contro il vetro della finestra della mia vecchia
stanza. E dietro di me quasi vidi mio padre che mi guardava raggiante come non
mai nel vedermi nuovamente a casa.
Sorrisi piano, e mi risvegliai dalla
trance in cui ero caduta. Mio padre era morto due anni prima. Credendomi morta
in un incidente a diciotto anni…
Sospirai, e cacciai via quei brutti
pensieri: in fondo ero stanchissima. Il viaggio da Phoenix a Forks mi aveva
spompato. E di certo la mia pancia non mi rendeva le cose facili.
« Mi farò
una doccia… » mormorai stanca, arruffandomi i capelli, pensando già alla
bell’acqua calda mente mi scivolava sul corpo. Decisamente avevo bisogno di
rilassarmi.
Con un sospiro mi presi della biancheria pulita e un ricambio di
vestiti dalla valigia ancora fatta sul letto della mia vecchia camera. Con passo
strascicato mi diressi in fondo al corridoio, ed entrai nel piccolo bagno. Non
era cambiato assolutamente niente: tutto era al suo scrupoloso
posto.
Malinconica mi sollevai la maglietta nera buttandola a terra,
facendomi poi scivolare già per le gambe i pantaloni chiari. Quindi mi girai
verso lo specchio posto per terra, che mi rifletteva la mia figura longilinea.
Bè, neanche più tanto, pensai.
La pancia era iniziata a gonfiarsi, e la si
poteva intravedere bella rotonda. Soddisfatta mi levai la biancheria ed entrai
nella doccia.
L’ondata di acqua calda mi travolse, e sospirai di sollievo.
L’odore tipico di Forks mi fece sorridere amaramente. Incredibile come in
quattro anni un posto possa non cambiare per niente.
Io invece ero cambiata pensai, iniziando
a lavarmi con la saponetta alla lavanda, che mi fece quasi starnutire da quanto
era forte.
Mi aveva convinto Kevin a stare nella vecchia casa di mio padre
per un po’. Lui era occupato con il suo lavoro di giornalista, ed era dovuto
volare a Singapore per una speciale intervista e non so chi. Me lo avrà detto di
sicuro, ma me lo ero già dimenticato.
Con uno sbuffo chiusi l’acqua ed uscii,
accarezzandomi d’istinto la pancia.
Quindi mi infilai la biancheria pulita,
i jeans più larghi di due taglie neri, una camicia bianca e una giacchetta sopra
grigia.
Soddisfatta uscii da quella stanza vaporosa, e mi diressi verso la
mia vecchia camera.
Ero stata riluttante nel tornare lì. Tutta la città, in
fondo, credeva fossi morta. Ma mi ero ripromessa che non sarei mai uscita senza
qualcosa sul viso per non farmi riconoscere da nessuno. E poi mi ero detta che,
in fondo, i fantasmi del passato probabilmente erano tutti… scomparsi.
Con un
sospiro nervoso mi levai quei pensieri dalla testa, e, una volta chiusa la porta
della mia stanza, iniziai a svuotare la valigia. Ne estrassi i vestiti più
pesanti che avevo, e mi ritrovai a pensare che l’ultima volta che mi ero
ritrovata a disfare una valigia lì non avevo abbastanza soldi per permettermi un
guardaroba pesante. Con Kevin era tutta un’altra storia, pensai. Oramai non era
più un problema il mio conto in banca, non con mio marito che portava a casa uno
stipendio proficuo.
Misi a posto scrupolosamente il tutto, poi appoggiai una
foto di me e Kevin al nostro viaggio di nozze in Spagna.
Quindi uscii dalla
stanza, e andai in cucina, dove vi era una bella scatola con una pizza
all’interno. Prima di tornare a casa dall’aeroporto mi ero fermata per comprarla
come mio pranzo.
« Hai fame? » chiesi affettuosa ad un certo punto alla mia
pancia.
Risi. « Sono solo al terzo mese. » mi dissi fra me alzando gli occhi
al cielo. Neanche mi sente!
Finii di mangiare in silenzio, mentre fuori la
tempesta diminuiva.
« Penso farò un giro di perlustrazione. » iniziai. Poi
risi. « Ho visto che fuori c’è ancora il mio vecchio pick-up. »
Oramai mi ero
abituata a parlare con quel piccolo gonfiore che conteneva il mio bambino. Era
come avere una compagnia.
Mi
ripromisi che avrei lavato i piatti al mio ritorno. Quindi andai verso la porta
e, una volta infilata il cappotto di pelle scura, salutai con lo sguardo la
casa.
Forks non era cambiata, e di certo primeggiava sempre sulle altre città
per i maggiori giorni di pioggia dell’intera America.
A parte l’Alaska,
naturalmente.
Sofferente aprii la portiera del pick-up, lasciando sul
terriccio umido una vera e propria esplosione di ruggine.
Quindi entrai, e
il costante odore di tabacco, mi accorsi, non era ancora sparito. Sbuffai,
prendendo nota di appendere un qualche profumo per migliorarlo.
Misi in moto
con un rombo acuto, e sorrisi.
« Ciao vecchio amico. Ancora rumoroso, eh? »
Misi la retromarcia, e partii.
Feci un giro nei dintorni, ma in dieci
minuti ebbi già fatto tutto. Forks, in fondo, non era una metropoli.
Sbuffai,
battendo le dita sul volante, aspettando che il semaforo diventasse
verse.
Cosa potevo fare?
Che noia… no, non era proprio cambiato niente.
Scattò il verde e ripartii.
Decisi di andare un po’ avanti, non rendendomi conto di dove mi
dirigevo.
Solo quando notai un’entrata coperta dal verde mi accorsi che stavo
per andare a…
Deglutii, e mi imposi di fare marcia indietro. Ma gli occhi non
si staccavano da quella strada oramai coperta da fogliame.
Potrei capottarmi con la macchina!
Pensai. La verità era che non volevo rivedere quella casa. E se fossi
tornata indietro? Lui sarebbe stato ancora lì, come quando me ne ero andata
l’ultima volta, con lo sguardo vuoto e una promessa invisibile?
Do un’occhiata, niente di che… continuai
a pensare in ansia. Alla fine sbuffai e, constatando che non stava arrivando
nessuna macchina, estrassi dalla tasca del mio giubbotto una monetina
«
Testa! » esclamai, e la lanciai, riacchiappandola. Chiusi gli occhi.
Aspettai
un po’, poi diedi una sbirciata. Testa.
Sbuffando la buttai sul sedile
passeggeri, e premetti l’acceleratore. Quindi con sbalzi vertiginosi, tanto da
farmi terrorizzare, passai sopra a quelle foglie e quelle radici di alberi
giganteschi.
« Maledetta me! » imprecai, tenendo le mani tremanti sul
volante. Dopo un po’ di minuti di salti e ingorghi iniziai ad andare meglio. E
quando vidi una schiarita in tutto quel buio il mio stomaco fece uno sbalzo.
Dinanzi a me gli alberi iniziavano a districarsi e a lasciare entrare un po’ di
luce sulla maestosa villa cupa che mi si presentò davanti.
Spensi quel rombo
assordante, e uscii alla fredda aria di Forks.
D’istinto incrociai le braccia
e boccheggiai, facendo fuoriuscire dalle mie labbra delle nuvolette
bianche.
Era come l’avevo lasciata. Solo più malconcia.
Peggio di quando
l’avevo rivista dopo che… lui mi
aveva lasciato perché pensava fosse la cosa migliore.
Rabbrividii, e mi
avvicinai alle scalinate dinanzi al portone.
Sospirando, toccai il portone
e, con mia sorpresa, si aprii portando con se un cigolio
terrificante.
Prendendomi coraggio – in fondo non ci abitava più nessuno –
feci un passo avanti, entrando nell’ingresso.
La polvere la faceva da padrona
all’interno, ma quando mi volsi per guardare il salone il mio cuore fece una
capriola. Era ancora tutto lì: la tv, i mobili, i quadri…
Tutti coperti di
polvere. Solo una cosa, con mio stupore, era perfettamente tirato a lucido. Il
pianoforte.
Come se qualcuno si procurasse di pulirlo minuziosamente.
Deglutii, e lo sfiorai con un dito.
Non un filo di polvere.
Rabbrividii,
poi, quando notai che anche il seggiolino era tirato a lucido, mi venne in mente
un’idea assurda.
Com’era possibile che tutto fosse in quelle condizioni e il
pianoforte no?
Terrorizzata notai, poi, delle impronte che portavano alla
scalinata. Mi sentii tremare, e feci un passo indietro. Alzai lo sguardo, sempre
di più, nel buio del piano di sopra. E alla fine…
Driiinnn!
Urlai in preda
al panico, uscendo da quella casa con uno sbalzo vertiginoso, rischiando perfino
di cadere negli scalini che portavano alla mia macchina.
Ma sentii la tasca
dei miei pantaloni vibrare, e mi accorsi con angoscia che era soltanto il mio
cellulare. Sollevata ma ancora tremante lo presi, e il nome di Kevin.
«
Ciao. » dissi col fiatone.
« Cos’hai? » chiese subito in allarme.
«
Niente, è che… sto camminando, e mi è venuto il fiatone. » replicai. Era stata
la prima bugia che mi era balenata in mente.
« Ah… non affaticarti troppo!
Bè, come va lì a Forks? » chiese entusiasta. Sorrisi.
« Bene, ho già
sistemato tutto. » aggiunsi con soddisfazione.
« E brava la mia Bella. »
rise.
« Il tuo lavoro? » chiesi poi, moderando il mio fiatone.
« Oh, bè,
sì, insomma… »
Perché tutto quel balbettio convulso?
« Va bene. » concluse
frettoloso. Alzai un sopracciglio. « Senti, ti devo lasciare. Ci sentiamo domani
mattina, okay? Ciao Bells. »
Frettoloso. Troppo frettoloso. Ma lasciai
correre.
«
Ciao Kevin. »
E mi chiuse la conversazione. Sospirai. A volte era così
enigmatico. Ma lasciai perdere, e diedi un’occhiata a quella villa un tempo
sontuosa.
Ci avevo vissuto lì, nel mio periodo da vampira.
Arricciai il
naso in una smorfia. Cercavo e cercavo di non ricordare quei momenti, ma
venivano a galla così facilmente che mi rincresceva ogni volta e mi sentivo
sprofondare.
Come anche quella volta.
Avevo una voglia matta di tornare
lì dentro. Perché quelle impronte? Perché quel pianoforte così ben curato?
Ci
viveva ancora qualcuno?
Eppure in giro avevo sentito che i Cullen se ne erano
andati da quattro anni…
Sospirai, e feci un passo in avanti.
«
C’è nessuno? » chiesi, e sentii la mia voce rimbombare nell’ingresso. Quindi
rientrai.
« C’è nessuno? » ripetei, e risentii l’eco della mia voce entrare
in ogni singola fessura di quella casa. Ma niente.
Tremante feci un altro
passo avanti. Un ladro? Un molestatore? Un poveraccio?
Mi toccai d’istinto la
pancia, come a volerla proteggere.
« Tranquilla, non farò niente a te ne al
tuo bel frugoletto che ti porti appresso. »
Alzai lo sguardo terrorizzata,
per incontrare una figura longilinea seduta in alto sulle scale.