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Autore: Out of this world    25/07/2007    28 recensioni
La sentivo avvicinarsi. A occhi chiusi sentivo perfino il suo respiro eccitato. E nella mente ripensai a quegli occhi rossi, folli...
- A BEAUTIFUL MORTAL SEQUEL -
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non ho Saputo resistere più di ventiquattro ore per postare il sequel di A Beautiful Mortal XD.
La trama che ho utilizzato per questa storia la volevo utilizzare per una storia a parte, ma avendo fatto quel finale a ABM ho deciso che si poteva collegare benissimo a questo. Non va avanti col potere di Bella nel poter tornare indietro nel tempo, perché, come sapete se avete letto l’ultimo cap di ABM, Bella torna umana e se ne va via. Qui riprende quattro anni dopo. Spero che come storia vi piaccia anche questa, anche se sarà priva di azione. Si basa solo sulla storia di Bells e Eddie.
Va bè, vi lascio alla lettura!
Ciao a tutti! E scusate per il capitolo corto, ma è come un prologo!

Bye bye
Minako-Lore

 

 

 

 

a wonderful star ~
- a beautiful mortal  sequel -
CAPITOLO 1 : ritorno a Villa Cullen.

××

La pioggia batteva violentemente contro il vetro della finestra della mia vecchia stanza. E dietro di me quasi vidi mio padre che mi guardava raggiante come non mai nel vedermi nuovamente a casa.
Sorrisi piano, e mi risvegliai dalla trance in cui ero caduta. Mio padre era morto due anni prima. Credendomi morta in un incidente a diciotto anni…
Sospirai, e cacciai via quei brutti pensieri: in fondo ero stanchissima. Il viaggio da Phoenix a Forks mi aveva spompato. E di certo la mia pancia non mi rendeva le cose facili.
« Mi farò una doccia… » mormorai stanca, arruffandomi i capelli, pensando già alla bell’acqua calda mente mi scivolava sul corpo. Decisamente avevo bisogno di rilassarmi.
Con un sospiro mi presi della biancheria pulita e un ricambio di vestiti dalla valigia ancora fatta sul letto della mia vecchia camera. Con passo strascicato mi diressi in fondo al corridoio, ed entrai nel piccolo bagno. Non era cambiato assolutamente niente: tutto era al suo scrupoloso posto.
Malinconica mi sollevai la maglietta nera buttandola a terra, facendomi poi scivolare già per le gambe i pantaloni chiari. Quindi mi girai verso lo specchio posto per terra, che mi rifletteva la mia figura longilinea. Bè, neanche più tanto, pensai.
La pancia era iniziata a gonfiarsi, e la si poteva intravedere bella rotonda. Soddisfatta mi levai la biancheria ed entrai nella doccia.
L’ondata di acqua calda mi travolse, e sospirai di sollievo.
L’odore tipico di Forks mi fece sorridere amaramente. Incredibile come in quattro anni un posto possa non cambiare per niente.
Io invece ero cambiata pensai, iniziando a lavarmi con la saponetta alla lavanda, che mi fece quasi starnutire da quanto era forte.
Mi aveva convinto Kevin a stare nella vecchia casa di mio padre per un po’. Lui era occupato con il suo lavoro di giornalista, ed era dovuto volare a Singapore per una speciale intervista e non so chi. Me lo avrà detto di sicuro, ma me lo ero già dimenticato.
Con uno sbuffo chiusi l’acqua ed uscii, accarezzandomi d’istinto la pancia.
Quindi mi infilai la biancheria pulita, i jeans più larghi di due taglie neri, una camicia bianca e una giacchetta sopra grigia.
Soddisfatta uscii da quella stanza vaporosa, e mi diressi verso la mia vecchia camera.
Ero stata riluttante nel tornare lì. Tutta la città, in fondo, credeva fossi morta. Ma mi ero ripromessa che non sarei mai uscita senza qualcosa sul viso per non farmi riconoscere da nessuno. E poi mi ero detta che, in fondo, i fantasmi del passato probabilmente erano tutti… scomparsi.
Con un sospiro nervoso mi levai quei pensieri dalla testa, e, una volta chiusa la porta della mia stanza, iniziai a svuotare la valigia. Ne estrassi i vestiti più pesanti che avevo, e mi ritrovai a pensare che l’ultima volta che mi ero ritrovata a disfare una valigia lì non avevo abbastanza soldi per permettermi un guardaroba pesante. Con Kevin era tutta un’altra storia, pensai. Oramai non era più un problema il mio conto in banca, non con mio marito che portava a casa uno stipendio proficuo.
Misi a posto scrupolosamente il tutto, poi appoggiai una foto di me e Kevin al nostro viaggio di nozze in Spagna.
Quindi uscii dalla stanza, e andai in cucina, dove vi era una bella scatola con una pizza all’interno. Prima di tornare a casa dall’aeroporto mi ero fermata per comprarla come mio pranzo.
« Hai fame? » chiesi affettuosa ad un certo punto alla mia pancia.
Risi. « Sono solo al terzo mese. » mi dissi fra me alzando gli occhi al cielo. Neanche mi sente!
Finii di mangiare in silenzio, mentre fuori la tempesta diminuiva.
« Penso farò un giro di perlustrazione. » iniziai. Poi risi. « Ho visto che fuori c’è ancora il mio vecchio pick-up. »
Oramai mi ero abituata a parlare con quel piccolo gonfiore che conteneva il mio bambino. Era come avere una compagnia.  
Mi ripromisi che avrei lavato i piatti al mio ritorno. Quindi andai verso la porta e, una volta infilata il cappotto di pelle scura, salutai con lo sguardo la casa.
Forks non era cambiata, e di certo primeggiava sempre sulle altre città per i maggiori giorni di pioggia dell’intera America.
A parte l’Alaska, naturalmente.
Sofferente aprii la portiera del pick-up, lasciando sul terriccio umido una vera e propria esplosione di ruggine.
Quindi entrai, e il costante odore di tabacco, mi accorsi, non era ancora sparito. Sbuffai, prendendo nota di appendere un qualche profumo per migliorarlo.
Misi in moto con un rombo acuto, e sorrisi.
« Ciao vecchio amico. Ancora rumoroso, eh? »
Misi la retromarcia, e partii.

Feci un giro nei dintorni, ma in dieci minuti ebbi già fatto tutto. Forks, in fondo, non era una metropoli.
Sbuffai, battendo le dita sul volante, aspettando che il semaforo diventasse verse.
Cosa potevo fare?
Che noia… no, non era proprio cambiato niente.
Scattò il verde e ripartii. Decisi di andare un po’ avanti, non rendendomi conto di dove mi dirigevo.
Solo quando notai un’entrata coperta dal verde mi accorsi che stavo per andare a…
Deglutii, e mi imposi di fare marcia indietro. Ma gli occhi non si staccavano da quella strada oramai coperta da fogliame.
Potrei capottarmi con la macchina! Pensai. La verità era che non volevo rivedere quella casa. E se fossi tornata indietro? Lui sarebbe stato ancora lì, come quando me ne ero andata l’ultima volta, con lo sguardo vuoto e una promessa invisibile?
Do un’occhiata, niente di che… continuai a pensare in ansia. Alla fine sbuffai e, constatando che non stava arrivando nessuna macchina, estrassi dalla tasca del mio giubbotto una monetina
« Testa! » esclamai, e la lanciai, riacchiappandola. Chiusi gli occhi.
Aspettai un po’, poi diedi una sbirciata. Testa.
Sbuffando la buttai sul sedile passeggeri, e premetti l’acceleratore. Quindi con sbalzi vertiginosi, tanto da farmi terrorizzare, passai sopra a quelle foglie e quelle radici di alberi giganteschi.
« Maledetta me! » imprecai, tenendo le mani tremanti sul volante. Dopo un po’ di minuti di salti e ingorghi iniziai ad andare meglio. E quando vidi una schiarita in tutto quel buio il mio stomaco fece uno sbalzo. Dinanzi a me gli alberi iniziavano a districarsi e a lasciare entrare un po’ di luce sulla maestosa villa cupa che mi si presentò davanti.
Spensi quel rombo assordante, e uscii alla fredda aria di Forks.
D’istinto incrociai le braccia e boccheggiai, facendo fuoriuscire dalle mie labbra delle nuvolette bianche.
Era come l’avevo lasciata. Solo più malconcia.
Peggio di quando l’avevo rivista dopo che… lui mi aveva lasciato perché pensava fosse la cosa migliore.
Rabbrividii, e mi avvicinai alle scalinate dinanzi al portone.
Sospirando, toccai il portone e, con mia sorpresa, si aprii portando con se un cigolio terrificante.
Prendendomi coraggio – in fondo non ci abitava più nessuno – feci un passo avanti, entrando nell’ingresso.
La polvere la faceva da padrona all’interno, ma quando mi volsi per guardare il salone il mio cuore fece una capriola. Era ancora tutto lì: la tv, i mobili, i quadri…
Tutti coperti di polvere. Solo una cosa, con mio stupore, era perfettamente tirato a lucido. Il pianoforte.
Come se qualcuno si procurasse di pulirlo minuziosamente. Deglutii, e lo sfiorai con un dito.
Non un filo di polvere.
Rabbrividii, poi, quando notai che anche il seggiolino era tirato a lucido, mi venne in mente un’idea assurda.
Com’era possibile che tutto fosse in quelle condizioni e il pianoforte no?
Terrorizzata notai, poi, delle impronte che portavano alla scalinata. Mi sentii tremare, e feci un passo indietro. Alzai lo sguardo, sempre di più, nel buio del piano di sopra. E alla fine…
Driiinnn!
Urlai in preda al panico, uscendo da quella casa con uno sbalzo vertiginoso, rischiando perfino di cadere negli scalini che portavano alla mia macchina.
Ma sentii la tasca dei miei pantaloni vibrare, e mi accorsi con angoscia che era soltanto il mio cellulare. Sollevata ma ancora tremante lo presi, e il nome di Kevin.
« Ciao. » dissi col fiatone.
« Cos’hai? » chiese subito in allarme.
« Niente, è che… sto camminando, e mi è venuto il fiatone. » replicai. Era stata la prima bugia che mi era balenata in mente.
« Ah… non affaticarti troppo! Bè, come va lì a Forks? » chiese entusiasta. Sorrisi.
« Bene, ho già sistemato tutto. » aggiunsi con soddisfazione.
« E brava la mia Bella. » rise.
« Il tuo lavoro? » chiesi poi, moderando il mio fiatone.
« Oh, bè, sì, insomma… »
Perché tutto quel balbettio convulso?
« Va bene. » concluse frettoloso. Alzai un sopracciglio. « Senti, ti devo lasciare. Ci sentiamo domani mattina, okay? Ciao Bells. »
Frettoloso. Troppo frettoloso. Ma lasciai correre.

« Ciao Kevin. »
E mi chiuse la conversazione. Sospirai. A volte era così enigmatico. Ma lasciai perdere, e diedi un’occhiata a quella villa un tempo sontuosa.
Ci avevo vissuto lì, nel mio periodo da vampira.
Arricciai il naso in una smorfia. Cercavo e cercavo di non ricordare quei momenti, ma venivano a galla così facilmente che mi rincresceva ogni volta e mi sentivo sprofondare.
Come anche quella volta.
Avevo una voglia matta di tornare lì dentro. Perché quelle impronte? Perché quel pianoforte così ben curato?
Ci viveva ancora qualcuno?
Eppure in giro avevo sentito che i Cullen se ne erano andati da quattro anni…
Sospirai, e feci un passo in avanti.
« C’è nessuno? » chiesi, e sentii la mia voce rimbombare nell’ingresso. Quindi rientrai.
« C’è nessuno? » ripetei, e risentii l’eco della mia voce entrare in ogni singola fessura di quella casa. Ma niente.
Tremante feci un altro passo avanti. Un ladro? Un molestatore? Un poveraccio?
Mi toccai d’istinto la pancia, come a volerla proteggere.
« Tranquilla, non farò niente a te ne al tuo bel frugoletto che ti porti appresso. »
Alzai lo sguardo terrorizzata, per incontrare una figura longilinea seduta in alto sulle scale.


 

  
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