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Autore: Yoi yoru    06/01/2013    1 recensioni
Negli ultimi anni la violenza e la devastazione sono state le uniche cose che questo mondo in rovina ha conosciuto. Tutto ciò che rimane è la celata disperazione che ognuno di noi serba dentro di sé. Eppure il dolore, infinito e crudele, la paura, non riescono ad annientare la vita che sfodera gli artigli e si aggrappa ad ogni piccolo appiglio, mentre avanza nel buio strisciando, senza lasciarsi opprimere dalla morte, senza fermarsi, perché se lo facesse anche solo per un istante, non avrebbe un'altra possibilità.
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Negli ultimi anni la violenza e la devastazione sono state le uniche cose che questo mondo in rovina ha conosciuto. E' più o meno tutto uguale da quando riesca a ricordare.

Sono... sedici anni, giorno più giorno meno;

Anni passati a cercare di sopravvivere come animali selvaggi in una giungla di macerie e proiettili vaganti, bombe inesplose e dispotismo. Tutto ciò che rimane è la celata disperazione che ognuno di noi serba dentro di sé. Eppure il dolore, infinito e crudele, la paura, non riescono ad annientare la vita che sfodera gli artigli e si aggrappa ad ogni piccolo appiglio, mentre avanza nel buio strisciando, senza lasciarsi opprimere dalla morte, senza fermarsi, perché se lo facesse anche solo per un istante, non avrebbe un'altra possibilità.

 

 

Area Delta - Zona Ovest, 20 Dicembre 2025, 6:02

Sono già sveglio da un pezzo! Ho già fatto colazione. Ho mangiato fette biscottate e marmellata alle fragole. Purtroppo non sono bastate a saziarmi; penso che tornerò al Rifugio a veder se sono arrivate nuove notizie, magari incontro anche qualcuno che sta andando a caccia.

 

Il “Rifugio” era una sorta di quartier generale da dove gestivano le operazioni i membri della Resistenza: in tutto una trentina di uomini e donne, che si rifornivano di armi da oltreconfine.

La Caccia invece era l'occupazione preferita dei membri della Resistenza. Si trattava di rappresaglie contro le pattuglie del Governo Centrale, che facevano controlli periodici su tutta la zona, razziando e compiendo le cosiddette “Pulizie”, cioè stragi di civili che si ribellavano al regime. Per questo dal Rifugio partivano le azioni di Caccia, e le coalizioni erano spesso formate dai parenti dei dissidenti assassinati, pieni di rabbia e desiderio di vendetta.

Andavo spesso al Rifugio, ad assistere ai preparativi o ad ascoltare nuove notizie provenienti dal fronte. Solo raramente mi permettevano di prendere parte alla Caccia, dato che avevo solo sedici anni e non facevo parte ufficialmente della Resistenza. Ma il motivo principale era quello di apprendere le novità, dato che i media erano completamente censurati e il pericolo di nuove Pulizie era sempre in agguato.

 

I miei genitori dormivano ancora. Misi gli stivaletti soltanto sulla porta, per non fare rumore e rischiare di svegliarli.

Fuori l'aria mattutina era gelida, il sole non era ancora sorto: le piccole pozzanghere che riempivano le crepe dell'asfalto, formate dalle precedenti piogge, erano completamente ghiacciate, perciò dovetti stare attento a non scivolarci sopra. Il berretto di lana mi teneva bene al caldo la testa, ma le mani stavano pian piano perdendo la sensibilità. Cercai di affondarle il più possibile nelle tasche del giaccone ma il risultato fu scarsamente soddisfacente. Stringendomi nelle spalle, iniziai a camminare per le strade dissestate e deserte, diretto al Rifugio.

La spettralità del paesaggio era tragicamente normale per gli abitanti dell'Area Delta. Ovunque si guardasse, non si vedeva neanche un edificio intatto, ma erano ancora perfettamente visibili i fori dei proiettili e le crepe nei muri formatesi a seguito dei violenti scontri che avevano interessato l'Area nei lunghi anni precedenti; successivamente non c'era stata alcuna ricostruzione a causa della mancanza di denaro. Alcuni pensavano addirittura che sarebbe stato inutile ricostruire, quando avrebbero potuto verificarsi nuovi scontri da un momento all'altro.

Svoltando su una delle strade principali iniziai a notare i primi movimenti della giornata che iniziava: una donna che usciva di casa, uno dei sempre più rari commercianti che apriva il suo negozio, un anziano signore che portava a spasso il suo cagnolino.

La strada per il Rifugio era breve. Dopo pochi minuti me lo ritrovai davanti e continuai spedito in quella direzione, alitandomi sulle mani e facendo qualche piccolo saltello per riscaldarmi.

Entrai e fui lieto di sentire la piacevole aria tiepida che c'era all'interno. Molte persone erano già riunite e si scambiavano le notizie appena giunte. Tra tutto il vociare, la prima, terrificante parola che mi arrivò all'orecchio fu: pulizia.

Allora le spie mandate dalla Resistenza avevano scoperto che ne era prevista una nuova a breve, ma dove?

L'ultima nell'Area Delta era stata effettuata qualche tempo addietro, circa due anni e mezzo prima, e si era trattato di una strage: intere famiglie erano state trucidate, le loro case date alle fiamme, persino i bambini non erano stati risparmiati. Lo ricordavo ancora distintamente. Molte persone si erano nascoste nei rifugi sotterranei, ma altri non avevano sentito in tempo l'allarme ed erano stati brutalmente assassinati con la scusa di essere dissidenti politici. Era a questo che mirava il Governo Centrale: seminare terrore per evitare nuove insurrezioni della popolazione.

Nel Rifugio l'atmosfera era carica di tensione. Dovevo capire perché.

Provai ad avvicinarmi a uno dei membri della Resistenza, distinguibile dalla divisa blu notte e la spilla con lo stemma di un grifone rampante argentato su sfondo nero, trafitto da una lancia. Il tizio era un uomo alto e ben piazzato dalla faccia squadrata, sulla quale guizzavano due occhi di un nero brillante, ma quando sorrideva gli si distorceva tutta la bocca. Per fortuna in quel momento non c'era assolutamente niente da essere allegri.

Stava seduto a uno dei tavoli metallici disposti in file parallele nel grande stanzone principale. Sorseggiava una tazza di caffè nero e intanto parlava concitatamente con una donna dall'aria preoccupata. All'altro capo del tavolo era seduto un ragazzo, con la testa bassa e il cappuccio della felpa calatovi sopra. Le sue mani facevano uno scatto ogni volta che l'uomo diceva qualcosa.

-Siamo arrivati fino ai confini, stanotte. Abbiamo intercettato le truppe impegnate a compiere i rastrellamenti avanzando verso quest'Area. Provengono dalla Zona Nord, e stanno setacciando le Aree di confine come zucchero a velo. La situazione è critica, davvero. Arriveranno sicuramente prima di domani.-

Prima di domani...

No! Non poteva essere. Così presto!

Non c'era un attimo da perdere.

Mia madre era una programmatrice di software scolastici, mio padre si occupava della gestione dei rifiuti urbani attraverso la rete nazionale, quindi se esisteva qualcuno che potesse essere in pericolo, questi erano loro, in quanto impiegati ministeriali e soggetti a maggiori controlli.

Dovevo avvertirli, ma come? Le linee telefoniche non erano sicure, dovevo tornare a casa. Era ancora presto, forse ancora non erano andati al lavoro...

Mi serviva un'arma, un qualcosa per difendermi. Se era vero che stavano per arrivare non si poteva mai essere troppo sicuri.

Quando fui vicino al tavolo, l'uomo alzò gli occhi e mi guardò di sbieco. Senza esitare, gli chiesi: -Scusi, sarebbe possibile avere una pistola in prestito? Giusto per un po'.-

Mi scrutò per qualche secondo, poi rispose: -Beh, se non hai ancora raggiunto la maggiore età, non penso che ci sia qualcuno disposto a darti un'arma.-

La maggiore età? Ma che cazzo, mi mancava solo un anno!

-Ma si tratta solo di poco tempo, devo andare ad avvertire la mia famiglia!- Provai a protestare, ma era inutile. Scosse la testa e si allontanò, per unirsi alle altre persone impegnate nei preparativi per fronteggiare il nemico.

Me ne andai, rassegnato, ma non feci molti passi che sentii un -Hey- e una mano posarmisi su una spalla.

Mi voltai e vidi il ragazzo che era seduto al tavolo a testa bassa. Per la prima volta lo guardai negli occhi: erano verdi, gli occhi più verdi che avessi mai visto.

Il loro colore era quello dell'erba tenera, bagnata dalla rugiada. Brillavano come due stelle, nascoste dal cappuccio, incorniciate in un viso da lineamenti dolci ma allo stesso tempo seri. Le labbra sottili, di un rosa pallido, quasi esangue, non mostravano neanche l'ombra di un sorriso. La sua era più un'espressione di curiosità. Quello sguardo mi metteva a disagio, sembrava volesse penetrarmi fin nell'anima, radiografarmi, analizzarmi, ma con l'innocenza e la limpidezza di un bambino. Per un attimo in fondo ai suoi occhi vidi il barlume di una profonda tenerezza, ma durò pochissimo. Subito dopo riapparve un giovane freddo e determinato.

Calandosi ancora di più il cappuccio sugli occhi e stringendosi nel giaccone di pelle nera, si avviò all'uscita facendomi segno di seguirlo. Stupito ed esitante, lo seguii all'esterno. Quando aprì la porta un'ondata di vento ghiacciato mi sferzò il viso costringendomi a socchiudere gli occhi. Il sole non era ancora sorto, ma proiettava un lieve bagliore rosato attraverso l'atmosfera, che rischiarava il cielo nonostante fosse coperto da grosse nuvole plumbee cariche di pioggia.

Dopo tre passi si fermò e si voltò a guardarmi.

-Ti serve un'arma, hai detto.- Il vento ululava tra i palazzi producendo suoni cupi e sinistri, come uno spiacevole sottofondo a ciò che di ancora più spiacevole stava per accadere. Continuava a fissarmi tranquillo, l'espressione rilassata, come se tutto il resto del mondo non gli importasse. Aprii la bocca per parlare ma poi la richiusi, come un pesce.

-Si, mi hai sentito allora.- Ovvio che mi aveva sentito. E ora che voleva? Dirmi che non serviva a niente, che non c'era più nulla da fare?

-Posso prestartela io.- Che voce che aveva! Vellutata e profonda, ti accarezzava le orecchie come una dolce melodia.

Si aprì la zip della giacca e sfiorò la fondina che teneva legata attorno al busto, su un lato. Mi limitai a fissarlo incredulo, senza sapere come reagire. Allora mi voleva aiutare?

-Insomma, la vuoi?- alzò un sopracciglio nell'attesa della mia risposta.

Non riuscivo ad immaginarmi la sua età. Sembrava molto giovane, ma allo stesso tempo molto vecchio, come se si portasse sulle spalle il peso di una vita.

-E' una AS9, caricata solo a metà, ma dovrebbe bastare.- La estrasse e me la allungò. Avanzai di un passo e la afferrai delicatamente dalla canna.

-Grazie... mille.-

-Nulla.- Si girò dall'altra parte richiudendosi la zip e iniziò a masticare una gomma.

-Se dovrai restituirmela, ci rivediamo qui dopo il cessato allarme.-

-Ah, certo. Giusto. Grazie.- Gli sorrisi mettendomi l'arma nella cintura dei jeans. Feci per andarmene, ma dopo qualche passo mi venne in mente una domanda.

-Ah! Qual è il tuo nom...- mi girai, ma lui non c'era più. Svanito nel nulla, dissolto. Ancora più stupito di prima e un po' confuso, ripartii verso casa, mentre metà del mio cervello vagava sull'immagine di quello sconosciuto così misterioso, che era stato disposto a prestarmi la sua pistola senza che glie l'avessi neanche chiesto di persona, e l'altra metà che pensava alla paura dell'imminente Pulizia.

Iniziai a camminare percorrendo la strada a ritroso, sovrappensiero, immaginando cosa sarebbe potuto accadere di lì a poco. Valutavo le varie ipotesi: se non fossi riuscito ad avvertirli in tempo, se invece ci fossi riuscito ma non avremmo comunque potuto fare niente...

Nella mia testa era un mulinare di pensieri agitati, e la preoccupazione mi ghiacciò lo stomaco come una bibita gelata.

 

Ero distante ancora un chilometro da casa, quando un suono fortissimo mi lacerò i timpani, penetrandomi nella testa e nel corpo, costringendomi a tapparmi le orecchie, finché non mi resi conto di ciò che stava accadendo.

L'allarme.

Erano arrivati.

Così presto...

Mi lanciai in una corsa disperata spingendo le gambe al limite, cercando di respirare l'aria che mi penetrava dolorosamente nella gola come una lama ghiacciata. Ad ogni metro faceva sempre più male, ma continuai a correre, correre, più veloce che potevo.

La sirena mi pulsava nelle orecchie.

La mia famiglia, la mia casa. Potevano essere loro le vittime. Potevano.

Dovevo sbrigarmi. Avevo una pistola, era già qualcosa. Ma a cosa mi sarebbe servita contro l'artiglieria pesante delle truppe in avvicinamento?

A niente, pensai. Niente.

Un rombo di motori, un fortissimo sferragliare di cingoli sull'asfalto crepato. Si avvicinavano sempre di più.

Mi voltai, erano a poche centinaia di metri da me. Rumore, spari. Un paio di mani che mi afferravano e mi gettavano a terra, tra le macerie; rotolai giù, dietro un grosso pilastro di cemento armato ormai abbattuto, tra la strada e un palazzo, nell'avvallamento che conduceva ai sotterranei. Le mani mi tenevano saldamente, mi stringevano le braccia impedendomi di fare qualsiasi movimento. Sentivo intorno a me le urla disperate e gli spari, che le mettevano a tacere.

Perché non mi lasciava? Io dovevo andare, dovevo avvertirli! Ero immobilizzato. Provai a divincolarmi, ma niente, era impossibile sfuggire a quella presa.

-Sta fermo!- sussurrò una voce. Quella voce... Il ragazzo di prima? Che cosa.. ma perché era lì che mi teneva, steri sopra i detriti, con i mezzi blindati che ci passavano accanto?

Stava quasi abbracciato a me, sentivo il suo calore, in forte contrasto col freddo pungente dell'aria. Mi sarebbe piaciuto anche sentire il suo respiro, sarebbe stato di conforto: l'unica cosa concreta tra la disperazione e il terrore che si dimenavano nella mia mente come una mandria imbizzarrita; ma il rumore era troppo forte, copriva ogni cosa e contribuiva ad amplificare in maniera terrificante l'agitazione nella mia testa.

Sentii che potevo morire lì, subito, e che forse non me ne sarei accorto tanto era il tumulto, fuori e dentro di me. La presa ferrea di quel ragazzo sembrava l'unica cosa che mi potesse tenere ancora legato a quel mondo, contro la paura e l'angoscia che si mescevano fino a formare un veleno mortale che mi stava via via consumando il cuore.

Mi lasciai andare ai suoi sforzi, chiudendo gli occhi.

Quando il rumore si attenuò ed ebbi il coraggio di riaprirli, sentii che anche lui allentò un po' la presa. Non capii più nulla: il mio cervello era intriso di quella miscela fatale che mi era cresciuta dentro sin dall'inizio dell'allarme. Urlai disperato provando a scappare, via da lui, verso la mia casa. Cosa potevo immaginare? Volevo solo andare lì, rivedere i miei genitori, abbracciarli, scoprire che era tutto okay, che erano salvi.

Le mie urla rimbombarono nella mia stessa testa, dolorante, e fui sollevato quando riuscii a liberarmi e ad uscire dal nostro nascondiglio.

Arrancando fra le macerie, raggiunsi di nuovo la strada con sotto i piedi ancora il tremore dei blindati che procedevano, e dopo aver guardato cosa c'era davanti a me, ricominciai a correre.

Mi era mancato così poco, ero stato a un passo dal poterli avvertire, ma non avevo fatto in tempo.

Davanti a me le fiamme. La mia casa andava a fuoco e con essa tutto ciò che avevo di più caro. Mi fermai ansimando appena quell'orrenda visione mi si parò davanti, senza il coraggio per muovermi, senza il coraggio di scoprire la verità. Non potevo più proseguire, era tutto finito.

Le ginocchia mi cedettero e caddi a terra, mentre copiose lacrime si riversavano sulle mie mani. Un urlo di disperazione riecheggiò tra le case, uno scrosciare d'acqua, e la pioggia si unì al mio pianto come a nasconderlo, a consolarlo.

Cadeva veloce, pesante, violenta, talmente fitta che mi nascondeva al resto, ma al momento mi importava poco. Non vedevo più niente, non i soldati che finivano il loro lavoro con i lanciafiamme a qualche decina di metri di distanza, non il cielo tetro che riversava anche le sue lacrime su di me; solo il rosso bagliore che avvolgeva la mia dimora e la consumava fino alla cenere, per non lasciare più nessuna traccia di ciò che era stato.

Scomparso, come polvere al vento. Come una scena che si chiude, il buio iniziò a coprire i miei occhi, lasciando solo lo spiraglio dell'orrenda visione a consumarmi l'anima. Il mio corpo cedette ancora, e mi appoggiai sulle mani per non crollare completamente. Se mi avessero visto in quel momento e mi avessero fatto bruciare come la mia famiglia, ne sarei stato lieto. Ma c'era ancora una cosa.

La pistola. Avevo ancora la pistola.

Con mano tremante, mi tastai sotto il maglione. Eccola, era lì. La sfilai dalla cintura, la presi tra le mani e la osservai per un secondo. La caricai, con un gemito, con le poche forze che mi restavano. Era lei, lei era lì per me adesso

La sollevai, finché non si trovò all'altezza della mia tempia, ma due braccia mi afferrarono, l'abbassarono e mi voltarono fino a costringermi a guardare quegli occhi verde chiaro, mentre parlava, ma io non sentivo. Ancora lui, quel ragazzo davanti a me che cercava di dirmi qualcosa, pregandomi.

-...andare via. Alzati! Devi scappare, o uccideranno anche te! Forza, fatti forza!-

Io non avevo più nessuna forza per reagire, né nessun motivo per farlo.

Mi sentii trascinare via, avrei voluto urlargli di smetterla, di stare fermo, di lasciarmi lì, che mi prendessero. Ancora una volta si metteva contro la mia volontà e io non potevo sfuggirgli.

-Ora sei un ricercato- la pronunciò come una condanna, una condanna da scontare a vita.

Lo guardavo senza vederlo veramente, con gli occhi rossi e gonfi di pianto, la testa vuota o troppo piena per poter pensare ancora. Mi tirò uno schiaffo su una guancia, sonoro, doloroso, che mi fece risvegliare e riacquistare consapevolezza. Intanto gridava ancora, mi scuoteva per le spalle e mi incitava a proseguire, ad andare, a mettermi in salvo. Ma dove? Non avevo più niente Mi chiesi cosa ci fosse dopo il nulla. Forse il dolore... o la vendetta.

Sentii che mi sollevava, si metteva un mio braccio attorno alle spalle e mi trascinava via, lontano dall'inferno.

Anche lui era bagnato fradicio, infreddolito, i capelli gli ricadevano in ciocche ribelli sulla fronte. Sorreggendomi a lui, camminammo per le strade deserte e silenziose: non un sussurro spezzava la quiete, non un rumore. Il terrore metteva a tacere tutto.

Mentre ci dirigevamo fuori dal centro abitato -o meglio, verso quella che tanti anni prima era stata la periferia della città, rasa al suolo dai bombardamenti: un mucchio di resti e terra sterile, incoltivabile-, il ragazzo si premurò di non passare davanti agli incendi che divampavano qua e là, ma non era cosa semplice dato il loro elevato numero.

Molte volte intravidi le fiamme: si innalzavano come se volessero raggiungere il cielo, alimentate dal forte vento. La pioggia invece si fece sempre più leggera, finché scomparve in una nebbiolina sottile che velava ogni cosa e nascondeva il paesaggio.

Quando fummo giunti alla periferia, ci trovammo sulla sommità della collina sulla quale sorgeva il nucleo dell'Area Delta. In basso la foschia formava un mare grigio e spettrale, che aleggiava su tutta la valle come una coltre di fumo.

Il sole comparve lentamente nel cielo e, piano piano, si alzò fino ad illuminare ogni cosa, scacciando la nebbia.





Note dell'autrice
Bene, finalmente vedo questa storia pubblicata! Non vedevo l'ora di vedere il primo capitolo completo. Vi ringrazio se siete arrivati fin qui e spero che sia stato tutto di vostro gradimento! Ringrazio per i preziosi suggerimenti riguardo le armi che compaiono nella storia il mio amico Alessio, senza il quale non avrei saputo come fare. Grazie Ale-senpai!
Questa storia è nata... non ricordo quando, penso a scuola. E' già quasi un mese che ci lavoro ed ho scritto solo due capitoli. Per me è un grande traguardo perchè si tratta della prima storia seria che porto a termine -per ora sta andando, speriamo- mentre le altre le bloccavo tutte alla seconda pagina... Mi piace molto la trama e ne sono alquanto soddisfatta, ma spero che mi aiuterete a migliorarla. Quindi recensite e criticate! Ditemi tutto, so di poter fare errori e vi prego di avvisarmi se ne riscontrate qualcuno, sarò felice di correggerlo. Del mio stile penso che sia troppo sintetico.. vorrei scrivere fiumi di parole che però non escono °-°
Probabilmente per questa storia mi sono ispirata al mio anime preferito senza accogermene, tanto che mi sono stupita io stessa di quanti elementi risultassero simili andandola a rileggere.
C'è una parola sola che anticipa come andrà il secondo capitolo, chi di voi è in grado di scovarla? :') Ci sono molte frasi che hanno un significato che va al di là delle semplici parole, spero che i miei lettori più attenti siano in grado di capire e di farmi sapere cosa ne pensano. Ma ho già parlato troppo! Arrivederci al prossimo capitolo e... grazie ancora!

   
 
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