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Autore: _Ape_    06/01/2013    3 recensioni
Mai provarci con la sorella del proprio peggior nemico.
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«Ti prego, vattene, vattene!» la voce era talmente disperata che fece voltare Gilbert, gli occhi color rubino si sgranarono leggermente quando chiese al lituano «… Dimmi che non è la voce di Braginski.» Toris emise un profondo sospiro che, come suo solito, non mancava di terrore, ma a Gilbert parve di percepire una lieve sfumatura di felicità in quel gesto.
«Oh, lo è. Pare che la signorina Natalia sia venuta a trovarlo.»

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[più o meno PruBel]
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Bielorussia/Natalia Arlovskaya, Lituania/Toris Lorinaitis, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Russia/Ivan Braginski, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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E... niente. Ogni tanto la mia mente pare ricordarsi che mi piace scrivere. :O Un paio di paroline sulla coppia di fondo (se così si può definire): la PruBel. Come coppia mi ha sempre intrigato: lui è un pazzo egomaniaco, lei una folle psicotica, assieme cosa sarebbero capaci di diventare? Così, partendo dal presupposto "Fai incontrare i due per farli innamorare (più o meno)" è nata questa fic. È la prima volta che mi capita di fare una slice of life tanto arrandom, e infatti sono finita con lo scrivere qualcosa che si discosta totalmente dalla fic sentimentale che avevo intenzione di scrivere. Insomma, più che altro alla fine fa ridere. ._." Ed ho pure avuto difficoltà nello scegliere quale genere inserire T///T "Romantico"? Ma no, non riuscirei a scrivere qualcosa di romantico nemmeno se mi facessi un'endovena di cuoricini e arcobaleni. "Comico"? Beh, più o meno, ma la trama non si concentra mica su quello ... "Horror"? Oddio, non esageriamo. La presenza di Bielorussia non implica tutto ciò.

Così alla fine ho optato per "Slice of life" (racconta un pezzettino della vita di Prussia, niente di più, niente di meno), "Sentimentale" (perché in teoria questa è una fic dedicata ad un pairing) e "Generale", giusto perché con generale ho l'impressione di non sgarrare mai.

La fic mi piace, più o meno, e spero di aver mantenuto abbastanza IC i caratteri dei personaggi, soprattutto dei due accoppiati per caso, perché li adoro da morire ♥ In ogni caso, mi auguro che la fic piaccia C: Ringrazio chi spenderà un pochettino del suo tempo a leggerla e chi ne spenderà un po' di più per lasciare una recensione! (E perdonate eventuali errori di HTML, ma io e NVU ci odiamo .-.)

Buona lettura!

Lezioni di vita

Mai provarci con la sorella del proprio peggior nemico.

Gilbert odiava da sempre Ivan. Non l’aveva mai sopportato, ma il perché non gli era del tutto chiaro. Forse erano i capelli platinati a trasmettergli repulsione pura, o forse era l’ambigua forma del naso, oppure quella finta espressione innocente e a tratti ebete che lo caratterizzava.

Già, forse era proprio quel suo apparire così innocuo a fargli provare ribrezzo verso il mastodontico russo, perché, in fin dei conti, tanto innocuo poi non era. Anzi. Ormai aveva perso il conto delle volte in cui si era presentato con un sorriso infantile e un girasole in mano alla porta di casa sua, così come aveva perso quello delle volte in cui, passati i primi istanti di serena e sospetta calma, l’espressione dolce dell’altro si distorceva in uno spaventoso, terribile ghigno, e il girasole veniva sostituito da un ambiguo rubinetto preso da chissà dove, mentre tra le mura della stanza rimbombava l’eco del tipico ghigno che emetteva quando non aveva buone intenzioni, quel “Kol Kol” gutturale. Era terribile, il suono di quel ghigno.

Ivan era un pazzo, uno di quelli veri, che facevano raggelare il sangue nelle vene al sol pensiero di cos’avessero intenzione di farti quando le loro iridi assatanate si posavano sulla tua figura. Sulla tua affascinante, ben proporzionata e magnificente figura. Perché di persone – o Nazioni – straordinarie come te ce ne sono davvero poche, a questo mondo.

Riflessioni tanto sagge sarebbero state successivamente annotate su uno dei suoi diari, il CLXVII, per la precisione, per attestare quanto l’inutile essere comunemente noto come Russia, o Ivan Braginski, fosse irritante e, doveva ammetterlo, spaventoso ai suoi fantastici occhi.

Andava a finire sempre così: ogni volta che si sedeva alla scrivania per mettere nero su bianco un nuovo pezzo della sua incredibile vita, quest’ultima lo travolgeva talmente tanto da lasciarlo per ore lì, seduto, a riflettere anche solo sulla minima sfaccettatura, che a suo parere non mancava assolutamente di fascino, mentre fissava la pagina ruvida e biancastra del suo diario.

«Gil, ho bussato un paio di volte, ma visto che non mi aprivi ho pensato che ti fosse success- … Gil, che stai facendo?» una voce femminile lo riscosse dal momento di immersione nella, come amava definirla lui stesso, cronaca della sua fantastica vita – perché chiamarla “diario” suonava troppo poco magnificente –. Al suo fianco era giunta una ragazza dagli occhi verdi e dai lunghi capelli castano chiaro, quasi biondi, tra i quali, ad un lato del capo, era infilato un fiore. Le ciocche chiare le ricadevano mosse fin sotto le scapole, indossava un vestitino verde dalle maniche rigonfie all’altezza delle spalle e dalla gonna a sbuffo, un grembiule bianco legato in vita e una cuffia che le copriva i capelli sulla nuca. Lo osservava con un misto di curiosità e dubbio, i lineamenti del volto schiusi in un’espressione che la rendeva davvero carina. O forse lo sarebbe stata se le dita di entrambe le mani non si stessero convulsamente stringendo attorno al manico della sua inseparabile, indistruttibile, tremendamente dolorosa padella, con cui la giovane era solita mettere a dura prova l’integrità del setto nasale dell’albino.

«Liz … - la salutò Gilbert passandosi una mano tra i capelli brizzolati, le guance s’erano lievemente colorite – Perché sei qui?»

«Che domande. Sono qui perché mi mancavi!» esclamò, mentre un imbarazzato sorriso le si disegnava in volto.

Il prussiano le lanciò un’occhiata indagatrice «Chi sei tu e che ne hai fatto della vera Liz?» le chiese poi, sarcastico. Elizaveta, nonostante fosse sua amica da sempre, non era il tipo di persona a cui veniva in mente di andare a trovarlo solo perché le mancava. Anzi, proprio perché era sua amica da così tanto sapeva bene che in realtà dietro quella visita si nascondeva sicuramente qualche oscuro motivo da approfittatrice.

«Ormai mi conosci troppo bene per poterci cascare, eh?» sospirò, passandosi una mano tra le lunghe ciocche chiare e portandosene una dietro l’orecchio.

Gilbert inarcò un sopracciglio, le labbra si piegarono in un ghigno sghembo mentre gli occhi cremisi osservavano con tanta intensità la figura dell’ungherese da sembrare volessero scottarla col loro colore così simile a quello del fuoco.

«Kesesese, il magnifico me è troppo intelligente, cosa credi?»

«Certo, Gil. Scusa tanto se per un attimo ho osato dubitare della tua magnificenza.» Elizaveta alzò ironicamente le mani in segno di resa «In ogni caso, come la sagace mente del fantastico te – a queste ultime due parole aggiunse un paio di virgolette mimate con le mani – ha già compreso, ho un favore da chiederti.»

Il ghigno di Gilbert si fece ancor più marcato «I miei favori costano caro, sai?»

Naturalmente, a meno che non si fosse trattato di andare d’accordo con quell’odioso damerino austriaco o realizzare qualcuna delle strane fantasie da fangirl yaoista dell’ungherese, il favore gliel’avrebbe fatto anche gratuitamente, ma prendere in giro l’amica era uno dei suoi passatempi preferiti da quando l’aveva conosciuta – o conosciuto, visto che all’epoca era convinto fosse un maschio.

Quando le nocche della ragazza si fecero bianche, tanto le dita si erano serrate attorno al manico della padella, e il volto quasi carino di Elizaveta assunse una forma tanto grottesca quanto tremendamente spaventosa, Gilbert deglutì, il viso, già diafano di suo, aveva assunto un colore ancor più pallido per la paura. Non aveva minimamente voglia di ritrovarsi l’ennesima padellata dritta sul bellissimo naso. Magari, quella sarebbe stata la volta buona che gli si spaccava sul serio.

«Uuuuhm, Liz, facciamo che in onore della nostra lunga amicizia, te lo faccio gratis!» esclamò, ridacchiando in maniera lievemente nevrotica.

I lineamenti di Elizaveta si rilassarono, tornando dolci e sereni, forse un po’ troppo agli occhi dell’albino.

«Sapevo di poter contare su di te, Gil!» disse semplicemente con quello strano sorrisetto tirato che continuava ad insospettire Gilbert, lasciandogli in mano una busta e procedendo velocemente verso l’uscita dello studio dell’amico, che, dubbioso, continuava a seguirla con lo sguardo.

«Cosa dovrei farci con questa cosa, Liz?»

Quando gli giunse l’ovattata risposta da parte di un’ormai lontana Elizaveta («Grazie, Gil, ti voglio bene!»), seguita dal tonfo della porta di casa che veniva sbattuta con violenza dalla ragazza che, nonostante l’aspetto più femminile, conservava ancora modi alquanto virili, Gilbert sospirò.

Forse la logica femminile – se tale si poteva considerare la logica di Elizaveta – era l’unico argomento che sfuggiva alla comprensione della sua geniale mente.

Restò qualche istante ad osservare la busta da lettere che l’amica gli aveva frettolosamente consegnato, sperando, magari, che vi spuntasse sopra una bocca che gli spiegasse cos’avrebbe dovuto farci. Per quanto Liz fosse sempre stata strana, quella volta si era comportata in modo troppo assurdo anche per i suoi canoni.

Gilbert scrollò le spalle, concludendo che, forse, era la brutta compagnia di quell’austriaco ad averla resa ancor più pazza di quanto già non fosse, dopodiché girò la busta con l’intenzione di aprirla, pensando che, magari, il suo contenuto gli avrebbe potuto rendere la situazione più chiara.

Quando girò la busta, si ritrovò semplicemente la scritta “To Gilbert Beilschmidt”, la grafia era talmente perfetta e maniacale da sembrare stampata – sicuramente di Roderich, dunque –. Aprendo la busta, vi trovò dentro un piccolo foglio di pergamena accuratamente piegato all’interno, anch’esso scritto con gli stessi caratteri precisi e calligrafici, che recitavano:

“Col presente invito saremmo lieti di onorarci della Sua presenza nella nostra dimora, adibita a sala da ricevimenti per l’occasione, il giorno 20/IX. In aggiunta ad un ampio buffet, sarà presente un’orchestra per allietare le ore passate assieme con musica classica ed eventuali danze. La preghiamo, dunque, di vestirsi in modo appropriato.

Ci auguriamo che accolga positivamente il seguente invito e non ci privi della Sua presenza in tale serata.

Roderich & Elizaveta”

Dopo aver letto più volte l’invito trovato nella busta, il prussiano scoppiò in una grossa risata.

«Roderich, ma perché non scrivi come mangi?» esclamò, talmente sopraffatto dalle risate da doversi trattenere lo stomaco per il troppo ridere.

«Effettivamente, conoscendolo, non mi stupirei se mangiasse con sette tipi di posate diversi!» constatò poi, per scoppiare in una risata ancor più fragorosa.

Quando finalmente riuscì a calmarsi, ansimante, continuò «Lasciando perdere la mania di perfezionismo di quel pazzo di Roderich e il fatto che scriva i mesi in numeri romani – Perché? Ma che senso avrà mai? Bah, vallo a capire tu, il damerino … –, ancora non mi spiego il perché del comportamento di Liz. Conoscendola, se non mi avesse voluto alla festa, me l’avrebbe detto chiaro e tondo, magari suonandomi anche una padellata in faccia.» rabbrividì al pensiero della fredda padella che andava a cozzare contro il suo magnifico viso.

Con un’ultima occhiata alla lettera, l’albino fece spallucce, lanciandola sulla sua scrivania. Ormai gli era chiaro che la stramberia dell’austriaco avesse contagiato la povera mente già deviata di suo dell’amica. Nel gettare la lettera, Gilbert si accorse di un particolare: le lettere che Elizaveta gli aveva consegnato erano due.

«Mh?» il prussiano prese l’altra lettera in mano, assolutamente identica alla sua. Doveva essere un altro invito, forse Liz gliel’aveva dato perché voleva fosse lui a consegnarlo. Voltò la busta, per vedere a chi fosse indirizzata.

Gilbert impallidì quando lesse, sempre nella calligrafia impeccabile di Roderich, il destinatario di quella seconda lettera.

To Ivan Braginski

Quella scritta era la chiave dello strano comportamento dell’ungherese, in quelle tre parole era racchiuso il perché di tutte quelle moine iniziali, della sua uscita da casa Beilschmidt così nervosa e sbrigativa e anche di quel “Grazie, ti voglio bene!”, che gli era parso davvero troppo ambiguo per esser stato pronunciato da Liz in pieno possesso delle proprie facoltà intellettive.

Elizaveta era sempre stata l’uomo della situazione, fin da quando erano piccoli, e non c’era bambino con cui non avesse fatto a botte o litigato, ogni scusa era buona per attaccar briga con qualcuno, spesso e volentieri anche con le altre Nazioni, perché lei era quella impavida, quella che non aveva paura di nessuno.

Con Ivan, però, era sempre stato tutto diverso. Il maschiaccio spavaldo lasciava posto ad un’indifesa ragazzina che, in presenza del colosso russo – già da piccolo ben più alto rispetto ai suoi coetanei –, arrossiva e correva a nascondersi intimorita dietro qualcun altro, solitamente lui o Roderich. Anche se l’unica utilità dell’austriaco, in casi del genere, secondo Gilbert, era praticamente inesistente. A meno che non si adottasse la tattica di scagliarlo contro il nemico e, approfittando della sorpresa di quest’ultimo nel ritrovarsi un puzzolente damerino addosso, fuggire a gambe levate.

Accavallando le gambe e portando una mano a sostenergli il volto, Gilbert si ritrovò a sbuffare. Neanche a farlo apposta, l’annotazione del giorno sul suo centosessantasettesimo diario avrebbe riguardato il suo pessimo rapporto col mastodontico Ivan Braginski, ma se i suoi rapporti col russo potevano esser considerati pessimi, quelli di Elizaveta erano ancor più disastrati, vista l’incondizionata paura che la ragazza nutriva da sempre nei confronti dell’energumeno ruteno.

«Guarda tu cosa mi tocca fare! – sbraitò il prussiano, lanciando nuovamente la seconda lettera sulla scrivania – Che poi, mi chiedo, Liz, se proprio non vuoi consegnarla tu questa lettera ad Ivan, perché non la fai consegnare al damerino occhialuto? Un’utilità dovrà pur averla, quello, oltre che starsene lì a pigiare tasti a caso sul pianoforte!»

La precedente riflessione sull’utilità di Roderich nei momenti di terrore da parte dell’ungherese nei confronti del russo gli balenò per un istante in mente.

«Forse non è stata tanto stupida a consegnare a me anche l’invito di Braginski, in fin dei conti.» riflesse, trattenendo un sospiro affranto.

Gettò un’ultima occhiata cremisi alla lettera.

«E va bene, Liz. Hai vinto, andrò io a consegnare la lettera a quell’odioso russo.» decretò, prendendo sbrigativamente la lettera indirizzata ad Ivan e procedendo ad ampie falcate verso la porta di casa con fare lievemente nervoso, avere a che fare con Ivan Braginski non spaventava solo Elizaveta.

«Via il dente, via il dolore.» fu l’ultimo commento che fece prima di chiudersi la porta alle spalle, il tono, oltre la classica superbia che lo contraddistingueva, conteneva in sé una nota di malcelata irritazione.

Erano circa tre minuti d’orologio che fissava immobile il cancello d’entrata della villa russa che gli si ergeva dinnanzi. Villa che, più che un’abitazione, pareva un paese intero, tanto era immensa.

«Kesesese, ti tratti bene, eh, brutto russo?» constatò Gilbert, continuando a fissare imperterrito il cancello, con la busta To Ivan Braginski saldamente stretta in mano.

«Ha … Ha bisogno di qualcosa, signor Beilschmidt?»

Una voce pacata e quieta, dalla sfumatura quasi terrorizzata, distolse i pensieri dell’albino dall’immenso cancello che gli si ergeva dinnanzi, portando gli occhi color cremisi poco più di lato, dove un uomo dai capelli castani che arrivavano fino alle spalle e gli occhi verdi gli sorrideva con un misto di benevolenza, paura e confusione.

Era Toris Lorinaitis, Lituania, aveva due grosse buste della spesa con sé, una in ogni mano.

«Noto che fai ancora da facchino a quel russo.» fu il semplice commento di Gilbert, che si aprì in un ghigno divertito, nonostante il tono con cui aveva pronunciato la frase non mancasse di una certa compassione.

Toris disegnò con le labbra un sorriso imbarazzato «Io, Raivis ed Eduard veniamo spesso a fare compagnia al signor Ivan. Infondo, questa è stata la nostra casa per tanti anni, no? E poi, è talmente grande che una persona sola a lungo andare al suo interno soffre inevitabilmente di solitudine, non crede?» rispose, mentre si affaccendava per aprire il cancello con una grossa chiave.

«Può mantenere questa per un attimo, cortesemente?» Toris tese una delle due ingombranti buste della spesa al prussiano, che subito la prese dopo aver brevemente annuito.

«Grazie, – sorrise nuovamente il lituano, mentre continuava ad occuparsi della serratura con la mano libera – questo cancello è duro come la pietra, e queste buste così ingombranti di certo non mi aiutano.»

Quando finalmente riuscì ad aprire l’enorme cancello, con un secco scatto della serratura, l’uomo dai lunghi capelli castani fece cenno di entrare al prussiano.

«Allora, signor Beilschmidt, posso sapere per quale motivo è venuto qui? Se non mi sbaglio, il rapporto tra lei e il signor Ivan è tutt’altro che buono.» ripeté il lituano con un nuovo sorriso tra l’imbarazzo e il preoccupato, mentre riprendeva di mano all’albino la busta della spesa e ringraziava.

«Mh?» Gilbert osservò per un attimo l’interlocutore, nel seguire il discorso di Toris s’era dimenticato perché effettivamente fosse lì. Quando gli si strinsero le mani a pugno nel tentativo di ricordare perché fosse lì – rispondere con un “Boh” gli avrebbe fatto fare la figura dello stupido –, sentì qualcosa accartorciarglisi lievemente in mano.

La lettera.

Giusto, era andato lì per consegnare l’invito alla festa di Roderich ed Elizaveta ad Ivan.

«Ah, sono venuto perché Liz mi ha chiesto di consegnare questa – mostrò la busta che aveva in mano – a quel brutto muso russo.»

«Ah, sì. – intervenne Toris – La signorina Elizaveta è venuta a consegnarmi un invito simile lo scorso giorno. Sono felice che sia stato invitato anche il signor Ivan, una festa gli farà bene.» per un attimo parve irrigidirsi, portandosi una mano allo stomaco come se facesse male «Ultimamente, – aggiunse con tono terrorizzato – pare piuttosto nervoso.»

Gilbert inarcò un sopracciglio. La Lituania non era una Nazione debole, anzi, una volta lui stesso era stato battuto da Toris, e vederlo tanto devoto al colosso russo da sembrare la sua allegra cameriera lo lasciava esterrefatto, quasi preoccupato.

Certo, Toris era una persona particolarmente ossequiosa con chiunque, e si riferiva ad ogni Nazione dandole del signor o della signorina, chiamandola addirittura per cognome se il rapporto era più formale che amichevole, ma l’atteggiamento eccessivamente servile che assumeva solo in presenza di Braginski lo spaventava, in un certo senso.

Il prussiano si schiarì la voce per attirare l’attenzione dell’altro uomo, che intanto sembrava esser nel pieno di un attacco di paranoia, e blaterava con gli occhi sbarrati e la mano che continuava a reggersi lo stomaco qualcosa circa il comportamento del russo negli ultimi giorni.

Quando Toris si voltò verso di lui, disse «Senti, sai meglio di me che meno ho a che fare con Braginski e meglio è per tutti, no? – al che l’altro fece un cenno affermativo col capo – Credo sia meglio se questa gliela consegnassi tu.» concluse porgendogli la lettera d’invito.

«Uhm … Lo penso anch’io.» rispose titubante l’altro, sorridendo impacciato e prendendo la lettera che l’albino gli stava porgendo.

«Allora io me ne vado. Ci si vede al party, Toris!» salutò Gilbert, voltandosi e avviandosi verso il cancello dell’immensa villa, una mano era alzata per accennare un saluto al lituano.

«Arrivederci, signor Beilschmidt! È stato un piacere incontrar- …»

La risposta di Toris fu interrotta da un urlo improvviso, seguito da un tedioso lamento.

«Ti prego, vattene, vattene!» la voce era talmente disperata che fece voltare Gilbert, gli occhi color rubino si sgranarono leggermente quando chiese al lituano « … Dimmi che non è la voce di Braginski.»

Toris emise un profondo sospiro che, come suo solito, non mancava di terrore, ma a Gilbert parve di percepire una lieve sfumatura di felicità in quel gesto.

«Oh, lo è. Pare che la signorina Natalia sia venuta a trovarlo.»

Gilbert inarcò un sopracciglio sorpreso.

Natalia era la sorella minore di Braginski, costantemente alle costole del fratello. Gilbert non le aveva mai dedicato troppa attenzione, per il magnifico lui era davvero troppo anonima, sempre impegnata a seguire il russo come un’ombra.

Eppure, poteva giurare di non aver mai sentito la voce di Braginski tanto carica di paura come l’aveva udita pochi istanti prima. Cosa stava accadendo con la sorella bielorussa, in quel momento?

Gli ci volle una frazione di secondo perché decidesse che, sì, era proprio il caso di scoprirlo, girando sui tacchi e raggiungendo Toris all’interno del giardino della villa russa.

«Cosa aspetti, Toris? Andiamo a vedere cosa sta accadendo al povero Braginski.» esclamò, con tono che tradiva forse un po’ troppo l’euforia che gli stava divampando dentro, prima di circondare le spalle del lituano con un braccio e trascinarlo quasi a forza con sé verso l’ingresso della villa.

Toris gli lanciò una delle sue tipiche occhiate spaurite «Sicuro di voler venire anche lei?»

«Certo, non mi perderei per nulla al mondo Braginski che urla e piange come una femminuccia! Kesesesesese, ma hai sentito che voce disperata che aveva?» e, senza voler più sentire ragioni, avanzò spedito fino ad arrivare alla porta di casa, voltandosi verso Toris per incitarlo ad aprirla, gli occhi scarlatti animati da una scintilla di puro divertimento e goduria.

Con una scrollata di spalle, che Gilbert interpretò come un implicito “fa come vuoi”, Toris lo raggiunse e aprì l’enorme porta di villa Braginski. Al prussiano non sfuggì il tremolio che aveva impedito più volte al lituano di riuscire ad infilare la chiave nella serratura.

Quando entrò nell’atrio d’ingresso del russo, Gilbert si guardò attorno, percorrendo con lo sguardo ogni centimetro dell’ampia stanza. Tutto sembrava fatto apposta per le dimensioni di Braginski: alto, troppo per le persone comuni, ma per un gigante di due metri non doveva essere un problema vivere in una casa del genere. A lui, invece, già incuteva una strana sensazione di timore lo statuario attaccapanni.

«S-signor Ivan?» la voce tremula di Toris lo riscosse dai suoi pensieri.

Dopo aver atteso qualche istante, il lituano riaprì titubante la bocca, aggiungendo

«Va … va tutto bene?»

Ancora nessuna risposta da parte del russo.

«Noi … Noi allora saliamo, signor Ivan. Spero non le dispiaccia!» Toris fece segno a Gilbert di seguirlo, per poi avviarsi verso la porta che, come poté constatare successivamente l’albino, conduceva in un enorme salone, anche quello decisamente conforme alla mole del russo.

Fu mentre esaminava meticolosamente con lo sguardo rubino lo spazio circostante che la vide.

Seduta su una poltrona rossa che pareva un divano tanto era grande, una giovane fissava con sguardo gelido i due uomini appena entrati, con le braccia conserte e le gambe accavallate.

Gilbert non poté fare a meno di inarcare le sopracciglia ed assumere un’espressione che, agli occhi della gente, sarebbe dovuta apparire decisamente ebete.

Non aveva mai incontrato persone belle anche solo la metà di quanto lo fosse l’algida giovane – escluso se stesso, ovviamente – che in quel momento li stava gelando con lo sguardo, aveva i capelli lunghi e lisci, di un colore talmente chiaro da sembrare quasi bianco, e le incorniciavano il volto perlaceo ricadendo fino alla sottile vita fasciata da un nastro a strisce nere e bianche, i tratti così delicati da sembrare irreali e il diafano colore della pelle gli davano sul serio l’impressione di avere davanti una bambola di porcellana a grandezza umana, e poi c’erano quegli occhi di un blu tanto intenso da ricordare il cielo in una notte senza stelle che lo attraevano in una maniera straordinaria.

Non c’erano dubbi, quella ragazza era un autentico schianto.

«Nii-san non vuole aprirmi.» si limitò a dire la giovane con distacco, anche la voce sottile era gelida come l’occhiata che scoccò al lituano.

Gilbert sbatté un paio di volte le palpebre, come per comprendere cosa stesse accadendo.

Nii-san non vuole aprirmi.

Mein Gott, non ricordavo che la sorella del bestione fosse così … erotisch.

Sì, erotica era sicuramente la parola adatta per descrivere quella che fino a pochi istanti prima considerava l’anonima ed insignificante sorellina di Ivan Braginski.

Voltandosi poi verso Toris, Gilbert notò che s’era fatto inspiegabilmente rosso, osservando la ragazza con atteggiamento inquieto e quasi adorante.

«Oh, – disse il lituano – magari il signor Ivan non ha voglia di esser disturbato … » azzardò con tono vago, prima di incrociare lo sguardo di Gilbert, che non riuscì a far altro che inarcare nuovamente un sopracciglio e tornare a fissare la giovane mozzafiato, che pareva non essersi per niente accorta della sua magnifica presenza.

«Non m’importa.» tagliò corto la ragazza, lasciandogli una profonda occhiata color notte.

Toris cercò di mantenere un atteggiamento quanto più dolce e comprensivo potesse quando aggiunse «Signorina Natalia, magari dopo il signor Ivan vorrà …» , ma tutto ciò che ottenne fu rendere adirato lo sguardo della bella bielorussa.

«Toris. Voglio vedere il mio Nii-san. Voglio vedere Nii-san.» Natalia si alzò dalla poltrona su cui era seduta portando teatralmente le mani ai fianchi e avvicinandosi al lituano con sguardo omicida.

Gilbert ghignò. Sentiva che quello era il perfetto momento per il magnifico lui di entrare in scena, salvare Toris e, magari, cogliere al volo l’occasione e presentarsi a dovere alla sorellina del caro Braginski.

«Ehm … S-signorina Natalia …» Cercò di protestare flebilmente il lituano, ma fu allora che Gilbert si frappose tra l’uomo in difficoltà e la giovane che, dedicandogli finalmente attenzione, lo squadrò con lo sguardo blu notte. Le labbra dell’albino disegnarono un ghigno.

«E tu chi sei?» chiese lei con tono neutro, inarcando un sopracciglio con fare stizzito.

«Ma come, non ti ricordi del magnifico me?» cantilenò Gilbert, continuando ad osservarla con un’espressione a metà tra il canzonatorio e il suadente.

«No.» tagliò corto lei, scansandolo «Togliti di mezzo, che devo andare dal mio Nii-san.»

Con un nuovo ghigno ancor più marcato di quello precedente, il prussiano la afferrò per un polso, attirandola a sé e circondandole la vita con l’altro braccio. Il suo magnifico viso distava pochissimi centimetri da quello quasi altrettanto bello della giovane sorellina di Braginski.

Troppo preso dal bell’aspetto della giovane, Gilbert non aveva fatto caso all’espressione di terrore che s’era fatta largo sul volto del lituano, con gli occhi verdi sgranati all’inverosimile e le sopracciglia piegate all’insù in maniera talmente accentuata da sembrare quasi volersi fondere in un unico sopracciglio.

«Bellezza, – iniziò con tono caldo l’albino – com’è possibile non ricordarsi dell’incredibile Gilbert Beilsch- …»

Improvvisamente, la voce gli mancò. L’unico suono che la sua gola sembrava capace di poter emettere era un urlo che, se non fosse riuscito a bloccare, avrebbe potuto squarciargli il petto, tanto era forte, e, come se quella sgradevole sensazione già non bastasse, le dita di una mano gli pulsavano in maniera talmente frenetica da sembrare volessero esplodere.

Quando spostò lo sguardo rubino sul fianco della ragazza, notò che la mano che vi aveva poggiato su era ora circondata da una mano piccola e affusolata che esercitava una presa ferrea e terribilmente dolorosa.

Spostare lo sguardo nuovamente sul volto della ragazza poi, fu una delle cose più sbagliate che potesse decidere di fare. L’espressione che la giovane aveva assunto non lasciava dubbi sulla sua stretta parentela con quel pazzo psicopatico di Braginski, le iridi blu sembravano essersi accese di una luce che definire sadica gli sembrava riduttivo, mentre quei lineamenti da bambola tanto perfetti si erano tirati in un ghigno che faceva accapponare la pelle.

«Non so chi tu sia. – sibilò gelida la ragazza mollando la presa dalle dita del prussiano dopo essersi liberata dalla sua stretta – E poco mi importa.» concluse, dirigendosi poi con l’aggraziata andatura che aveva acquisito una sfumatura decisamente inquietante, verso la grossa rampa di scale che, dal salotto, l’avrebbe portata al piano di sopra e, molto probabilmente, alla camera di Braginski.

«Natalia, no! Ti prego, vattene! Ti prego!»

Troppo preso tutto quello che era successo in quei pochi istanti, Gilbert riuscì a stento ad elaborare che, a giudicare dal terrorizzato lamento che il russo aveva ripreso, la sua bella sorellina era proprio andata da lui.

Mein Gott. Nella famiglia di Braginski, la follia dev’essere qualcosa di ereditario pensò, mentre ancora gli sembrava di vedere il bellissimo volto di Natalia Alfroskaya deformarsi in quella terribile espressione così dannatamente da Ivan Braginski.

«È rotta.» fu la voce di Toris, che gli stava tastando in maniera troppo brutale la mano, a farlo riprendere dai suoi pensieri, assieme alla scarica di dolore che lo pervase ai pesanti tocchi del lituano.

«Ehi!» Gilbert ritrasse la mano, amplificando il dolore che ormai gli riverberava lungo tutto l’arto sinistro. Gli sfuggì qualche imprecazione che riuscì a soffocare solo mordendosi la lingua.

Toris sospirò «L’ho detto, è rotta. Non si preoccupi, signor Beilschmidt, una volta la signorina Natalia la ruppe anche a me, una mano.» borbottò, arrossendo di colpo.

«Meine Hand ... gebrochen!?» gracchiò allora Gilbert, osservando la mano che gli pulsava frenetica per il dolore.

«Già, rotta.» sospirò Toris «Vuole che gliela medichi? Io, Raivis ed Eduard abbiamo un kit medico in cucina, per le emergenze.» gli spiegò, mentre già lo trascinava per l’altro braccio verso la suddetta stanza.

Quando vide Toris, dopo che lo aveva fatto accomodare ad un enorme tavolo, salire su una sedia, arrivare ad una credenza troppo alta per qualsiasi essere umano di altezza media, aprirla, estrarvi una piccola valigetta ben nascosta sul fondo e raggiungerlo di nuovo al tavolo, inarcò scettico le sopracciglia.

«Pensavo scherzassi riguardo il kit medico.»

Il lituano, che intanto gli stava fasciando la mano con precisione meticolosa e una certa bravura, come se fosse abituato a fare medicazioni, si lasciò sfuggire un sorriso.

«Vivere con persone come il signor Ivan e le sue sorelle ha parecchie controindicazioni. – disse, senza staccare gli occhi dalla fasciatura – Ma, in fondo, si impara a voler bene anche a persone come loro.»

Non sapendo come rispondergli, Gilbert lasciò cadere lì il discorso.

Aspettò in silenzio che il lituano finisse il suo lavoro, e, dopo averlo ringraziato con un cenno della mano – quella sana –, uscì veloce dalla villa russa e percorse ad ampie falcate il giardino, accompagnato da un senso di inquietudine che lo abbandonò solo quando si chiuse alle spalle il cancello di casa Braginski.

Osservandosi la mano fasciata, Gilbert si lascò sfuggire un ghigno a metà tra l’arrabbiato e il disgustato.

Non c’era dubbio, tutto quello che riguardava Ivan Braginski, compresa la famiglia, o poteva definirsi folle, o pericolosa, o entrambe, compresa sua sorella, con la quale, giurò a se stesso, non avrebbe più avuto più niente a che fare. Perché provarci con la sorella del proprio peggior nemico era una cosa che non avrebbe mai più fatto.

Il rumore metallico di un cancello che sbatteva sgraziatamente lo distrasse dai suoi pensieri, facendolo voltare all’indietro.

Natalia, che sembrava davvero infuriata, era appena uscita anche lei dalla villa del fratello, evidentemente non c’era stato verso di convincere quel pazzo di Braginski ad incontrarla. E in quel preciso istante, l’immagine della folle Natalia Alfroskaya che gli aveva rotto una mano fu sostituita da quella decisamente più apprezzabile di lei imbronciata, col visino da bambola corrucciato e il bel corpo fasciato dal vestitino blu scuro.

Improvvisamente, la massima che recitava “Non c’è essere più vulnerabile di una donna da consolare” – o qualcosa del genere – prese possesso della mente di Gilbert, che si concesse un nuovo ghigno.

«Liebling!» esclamò, facendo dietrofront per raggiungere la ragazza, che, accortasi di lui, lo osservava con sguardo accigliato e piuttosto sospettoso.

Infondo, se le mani da rompere erano due, perché non potevano essere altrettanti i tentativi di … conoscerla?

Perché io, Gilbert Beilschmidt, giuro solennemente di non provarci più con la sorella del mio peggior nemico. Magari a partire da domani.

  
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