E... niente. Ogni tanto la mia mente pare ricordarsi che mi piace scrivere. :O Un paio di paroline sulla coppia di fondo (se così si può definire): la PruBel. Come coppia mi ha sempre intrigato: lui è un pazzo egomaniaco, lei una folle psicotica, assieme cosa sarebbero capaci di diventare? Così, partendo dal presupposto "Fai incontrare i due per farli innamorare (più o meno)" è nata questa fic. È la prima volta che mi capita di fare una slice of life tanto arrandom, e infatti sono finita con lo scrivere qualcosa che si discosta totalmente dalla fic sentimentale che avevo intenzione di scrivere. Insomma, più che altro alla fine fa ridere. ._." Ed ho pure avuto difficoltà nello scegliere quale genere inserire T///T "Romantico"? Ma no, non riuscirei a scrivere qualcosa di romantico nemmeno se mi facessi un'endovena di cuoricini e arcobaleni. "Comico"? Beh, più o meno, ma la trama non si concentra mica su quello ... "Horror"? Oddio, non esageriamo. La presenza di Bielorussia non implica tutto ciò.
Così alla fine ho optato per "Slice of life" (racconta un pezzettino della vita di Prussia, niente di più, niente di meno), "Sentimentale" (perché in teoria questa è una fic dedicata ad un pairing) e "Generale", giusto perché con generale ho l'impressione di non sgarrare mai.
La fic mi piace, più o meno, e spero di aver mantenuto abbastanza IC i caratteri dei personaggi, soprattutto dei due accoppiati per caso, perché li adoro da morire ♥ In ogni caso, mi auguro che la fic piaccia C: Ringrazio chi spenderà un pochettino del suo tempo a leggerla e chi ne spenderà un po' di più per lasciare una recensione! (E perdonate eventuali errori di HTML, ma io e NVU ci odiamo .-.)
Buona lettura!
Lezioni
di vita
Mai
provarci con la sorella del proprio peggior
nemico.
Gilbert
odiava
da sempre Ivan. Non l’aveva mai sopportato, ma il
perché non gli era del tutto
chiaro. Forse erano i capelli platinati a trasmettergli repulsione
pura, o
forse era l’ambigua forma del naso, oppure quella finta
espressione innocente e
a tratti ebete che lo caratterizzava.
Già,
forse era
proprio quel suo apparire così innocuo a fargli provare
ribrezzo verso il
mastodontico russo, perché, in fin dei conti, tanto innocuo
poi non era. Anzi.
Ormai aveva perso il conto delle volte in cui si era presentato con un
sorriso
infantile e un girasole in mano alla porta di casa sua, così
come aveva perso
quello delle volte in cui, passati i primi istanti di serena e sospetta
calma, l’espressione
dolce dell’altro si distorceva in uno spaventoso, terribile
ghigno, e il
girasole veniva sostituito da un ambiguo rubinetto preso da
chissà dove, mentre
tra le mura della stanza rimbombava l’eco del tipico ghigno
che emetteva quando
non aveva buone intenzioni, quel “Kol Kol”
gutturale. Era terribile, il suono
di quel ghigno.
Ivan
era un
pazzo, uno di quelli veri, che facevano raggelare il sangue nelle vene
al sol
pensiero di cos’avessero intenzione di farti quando le loro
iridi assatanate si
posavano sulla tua figura. Sulla tua affascinante, ben proporzionata e
magnificente figura. Perché di persone – o Nazioni
– straordinarie come te ce
ne sono davvero poche, a questo mondo.
Riflessioni
tanto
sagge sarebbero state successivamente annotate su uno dei suoi diari,
il
CLXVII, per la precisione, per attestare quanto l’inutile
essere comunemente
noto come Russia, o Ivan Braginski, fosse irritante e, doveva
ammetterlo,
spaventoso ai suoi fantastici occhi.
Andava
a
finire sempre così: ogni volta che si sedeva alla scrivania
per mettere nero su
bianco un nuovo pezzo della sua incredibile vita,
quest’ultima lo travolgeva
talmente tanto da lasciarlo per ore lì, seduto, a riflettere
anche solo sulla
minima sfaccettatura, che a suo parere non mancava assolutamente di
fascino,
mentre fissava la pagina ruvida e biancastra del suo diario.
«Gil,
ho
bussato un paio di volte, ma visto che non mi aprivi ho pensato che ti
fosse
success- … Gil, che stai facendo?» una voce
femminile lo riscosse dal momento
di immersione nella, come amava definirla lui stesso, cronaca della sua
fantastica vita – perché chiamarla
“diario” suonava troppo poco magnificente
–.
Al suo fianco era giunta una ragazza dagli occhi verdi e dai lunghi
capelli
castano chiaro, quasi biondi, tra i quali, ad un lato del capo, era
infilato un
fiore. Le ciocche chiare le ricadevano mosse fin sotto le scapole,
indossava un
vestitino verde dalle maniche rigonfie all’altezza delle
spalle e dalla gonna a
sbuffo, un grembiule bianco legato in vita e una cuffia che le copriva
i
capelli sulla nuca. Lo osservava con un misto di curiosità e
dubbio, i
lineamenti del volto schiusi in un’espressione che la rendeva
davvero carina. O
forse lo sarebbe stata se le dita di entrambe le mani non si stessero
convulsamente stringendo attorno al manico della sua inseparabile,
indistruttibile, tremendamente dolorosa padella, con cui la giovane era
solita
mettere a dura prova l’integrità del setto nasale
dell’albino.
«Liz
… - la
salutò Gilbert passandosi una mano tra i capelli brizzolati,
le guance s’erano
lievemente colorite – Perché sei qui?»
«Che
domande.
Sono qui perché mi mancavi!» esclamò,
mentre un imbarazzato sorriso le si
disegnava in volto.
Il
prussiano
le lanciò un’occhiata indagatrice «Chi
sei tu e che ne hai fatto della vera
Liz?» le chiese poi, sarcastico. Elizaveta, nonostante fosse
sua amica da
sempre, non era il tipo di persona a cui veniva in mente di andare a
trovarlo
solo perché le mancava. Anzi, proprio perché era
sua amica da così tanto sapeva
bene che in realtà dietro quella visita si nascondeva
sicuramente qualche
oscuro motivo da approfittatrice.
«Ormai
mi
conosci troppo bene per poterci cascare, eh?»
sospirò, passandosi una mano tra
le lunghe ciocche chiare e portandosene una dietro l’orecchio.
Gilbert
inarcò
un sopracciglio, le labbra si piegarono in un ghigno sghembo mentre gli
occhi
cremisi osservavano con tanta intensità la figura
dell’ungherese da sembrare
volessero scottarla col loro colore così simile a quello del
fuoco.
«Kesesese,
il
magnifico me è troppo intelligente, cosa credi?»
«Certo,
Gil.
Scusa tanto se per un attimo ho osato dubitare della tua
magnificenza.»
Elizaveta alzò ironicamente le mani in segno di resa
«In ogni caso, come la
sagace mente del fantastico te – a queste ultime due parole
aggiunse un paio di
virgolette mimate con le mani – ha già compreso,
ho un favore da chiederti.»
Il
ghigno di
Gilbert si fece ancor più marcato «I miei favori
costano caro, sai?»
Naturalmente,
a meno che non si fosse trattato di andare d’accordo con
quell’odioso damerino
austriaco o realizzare qualcuna delle strane fantasie da fangirl
yaoista
dell’ungherese, il favore gliel’avrebbe fatto anche
gratuitamente, ma prendere
in giro l’amica era uno dei suoi passatempi preferiti da
quando l’aveva conosciuta
– o conosciuto, visto che
all’epoca
era convinto fosse un maschio.
Quando
le
nocche della ragazza si fecero bianche, tanto le dita si erano serrate
attorno
al manico della padella, e il volto quasi
carino di Elizaveta assunse una forma tanto grottesca quanto
tremendamente
spaventosa, Gilbert deglutì, il viso, già diafano
di suo, aveva assunto un
colore ancor più pallido per la paura. Non aveva minimamente
voglia di
ritrovarsi l’ennesima padellata dritta sul bellissimo naso.
Magari, quella
sarebbe stata la volta buona che gli si spaccava sul serio.
«Uuuuhm,
Liz,
facciamo che in onore della nostra lunga amicizia, te lo faccio
gratis!»
esclamò, ridacchiando in maniera lievemente nevrotica.
I
lineamenti
di Elizaveta si rilassarono, tornando dolci e sereni, forse un
po’ troppo agli
occhi dell’albino.
«Sapevo
di
poter contare su di te, Gil!» disse semplicemente con quello
strano sorrisetto
tirato che continuava ad insospettire Gilbert, lasciandogli in mano una
busta e
procedendo velocemente verso l’uscita dello studio
dell’amico, che, dubbioso,
continuava a seguirla con lo sguardo.
«Cosa
dovrei
farci con questa cosa, Liz?»
Quando
gli
giunse l’ovattata risposta da parte di un’ormai
lontana Elizaveta («Grazie,
Gil, ti voglio bene!»), seguita dal tonfo della porta di casa
che veniva
sbattuta con violenza dalla ragazza che, nonostante l’aspetto
più femminile,
conservava ancora modi alquanto virili, Gilbert sospirò.
Forse
la
logica femminile – se tale si poteva considerare la logica di
Elizaveta – era
l’unico argomento che sfuggiva alla comprensione della sua
geniale mente.
Restò
qualche
istante ad osservare la busta da lettere che l’amica gli
aveva frettolosamente
consegnato, sperando, magari, che vi spuntasse sopra una bocca che gli
spiegasse cos’avrebbe dovuto farci. Per quanto Liz fosse
sempre stata strana,
quella volta si era comportata in modo troppo assurdo anche per i suoi
canoni.
Gilbert
scrollò le spalle, concludendo che, forse, era la brutta
compagnia di
quell’austriaco ad averla resa ancor più pazza di
quanto già non fosse,
dopodiché girò la busta con
l’intenzione di aprirla, pensando che, magari, il
suo contenuto gli avrebbe potuto rendere la situazione più
chiara.
Quando
girò la
busta, si ritrovò semplicemente la scritta “To
Gilbert Beilschmidt”, la grafia era talmente
perfetta e maniacale da
sembrare stampata – sicuramente di Roderich, dunque
–. Aprendo la busta, vi
trovò dentro un piccolo foglio di pergamena accuratamente
piegato all’interno,
anch’esso scritto con gli stessi caratteri precisi e
calligrafici, che
recitavano:
“Col
presente invito saremmo lieti di onorarci della
Sua presenza nella nostra dimora, adibita a sala da ricevimenti per
l’occasione, il giorno 20/IX. In aggiunta ad un ampio buffet,
sarà presente
un’orchestra per allietare le ore passate assieme con musica
classica ed
eventuali danze. La preghiamo, dunque, di vestirsi in modo appropriato.
Ci
auguriamo che accolga positivamente il seguente
invito e non ci privi della Sua presenza in tale serata.
Roderich
& Elizaveta”
Dopo
aver
letto più volte l’invito trovato nella busta, il
prussiano scoppiò in una
grossa risata.
«Roderich,
ma
perché non scrivi come mangi?» esclamò,
talmente sopraffatto dalle risate da
doversi trattenere lo stomaco per il troppo ridere.
«Effettivamente,
conoscendolo, non mi stupirei se mangiasse con sette tipi di posate
diversi!»
constatò poi, per scoppiare in una risata ancor
più fragorosa.
Quando
finalmente riuscì a calmarsi, ansimante, continuò
«Lasciando perdere la mania
di perfezionismo di quel pazzo di Roderich e il fatto che scriva i mesi
in
numeri romani – Perché? Ma che senso
avrà mai? Bah, vallo a capire tu, il
damerino … –, ancora non mi spiego il
perché del comportamento di Liz.
Conoscendola, se non mi avesse voluto alla festa, me
l’avrebbe detto chiaro e
tondo, magari suonandomi anche una padellata in faccia.»
rabbrividì al pensiero
della fredda padella che andava a cozzare contro il suo magnifico viso.
Con
un’ultima
occhiata alla lettera, l’albino fece spallucce, lanciandola
sulla sua
scrivania. Ormai gli era chiaro che la stramberia
dell’austriaco avesse
contagiato la povera mente già deviata di suo
dell’amica. Nel gettare la
lettera, Gilbert si accorse di un particolare: le lettere che Elizaveta
gli
aveva consegnato erano due.
«Mh?»
il
prussiano prese l’altra lettera in mano, assolutamente
identica alla sua.
Doveva essere un altro invito, forse Liz gliel’aveva dato
perché voleva fosse
lui a consegnarlo. Voltò la busta, per vedere a chi fosse
indirizzata.
Gilbert impallidì
quando lesse, sempre nella
calligrafia impeccabile di Roderich, il destinatario di quella seconda
lettera.
To
Ivan Braginski
Quella
scritta
era la chiave dello strano comportamento dell’ungherese, in
quelle tre parole
era racchiuso il perché di tutte quelle moine iniziali,
della sua uscita da
casa Beilschmidt così nervosa e sbrigativa e anche di quel
“Grazie, ti voglio
bene!”, che gli era parso davvero troppo ambiguo per esser stato pronunciato da Liz
in pieno possesso
delle proprie facoltà intellettive.
Elizaveta
era
sempre stata l’uomo della situazione, fin da quando erano
piccoli, e non c’era
bambino con cui non avesse fatto a botte o litigato, ogni scusa era
buona per
attaccar briga con qualcuno, spesso e volentieri anche con le altre
Nazioni,
perché lei era quella impavida, quella che non aveva paura
di nessuno.
Con
Ivan,
però, era sempre stato tutto diverso. Il maschiaccio
spavaldo lasciava posto ad
un’indifesa ragazzina che, in presenza del colosso russo
– già da piccolo ben
più alto rispetto ai suoi coetanei –, arrossiva e
correva a nascondersi
intimorita dietro qualcun altro, solitamente lui o Roderich. Anche se
l’unica
utilità dell’austriaco, in casi del genere,
secondo Gilbert, era praticamente
inesistente. A meno che non si adottasse la tattica di scagliarlo
contro il
nemico e, approfittando della sorpresa di quest’ultimo nel
ritrovarsi un
puzzolente damerino addosso, fuggire a gambe levate.
Accavallando
le gambe e portando una mano a sostenergli il volto, Gilbert si
ritrovò a
sbuffare. Neanche a farlo apposta, l’annotazione del giorno
sul suo
centosessantasettesimo diario avrebbe riguardato il suo pessimo
rapporto col
mastodontico Ivan Braginski, ma se i suoi rapporti col russo potevano
esser
considerati pessimi, quelli di Elizaveta erano ancor più
disastrati, vista
l’incondizionata paura che la ragazza nutriva da sempre nei
confronti
dell’energumeno ruteno.
«Guarda
tu
cosa mi tocca fare! – sbraitò il prussiano,
lanciando nuovamente la seconda
lettera sulla scrivania – Che poi, mi chiedo, Liz, se proprio
non vuoi
consegnarla tu questa lettera ad Ivan, perché non la fai
consegnare al damerino
occhialuto? Un’utilità dovrà pur
averla, quello, oltre che starsene lì a
pigiare tasti a caso sul pianoforte!»
La
precedente
riflessione sull’utilità di Roderich nei momenti
di terrore da parte
dell’ungherese nei confronti del russo gli balenò
per un istante in mente.
«Forse
non è
stata tanto stupida a consegnare a me anche l’invito di
Braginski, in fin dei
conti.» riflesse, trattenendo un sospiro affranto.
Gettò
un’ultima
occhiata cremisi alla lettera.
«E
va bene,
Liz. Hai vinto, andrò io a consegnare la lettera a
quell’odioso russo.»
decretò, prendendo sbrigativamente la lettera indirizzata ad
Ivan e procedendo
ad ampie falcate verso la porta di casa con fare lievemente nervoso,
avere a
che fare con Ivan Braginski non spaventava solo Elizaveta.
«Via
il dente,
via il dolore.» fu l’ultimo commento che fece prima
di chiudersi la porta alle
spalle, il tono, oltre la classica superbia che lo contraddistingueva,
conteneva
in sé una nota di malcelata irritazione.
Erano
circa
tre minuti d’orologio che fissava immobile il cancello
d’entrata della villa
russa che gli si ergeva dinnanzi. Villa che, più che
un’abitazione, pareva un
paese intero, tanto era immensa.
«Kesesese,
ti
tratti bene, eh, brutto russo?» constatò Gilbert,
continuando a fissare
imperterrito il cancello, con la busta To
Ivan Braginski saldamente stretta in mano.
«Ha
… Ha
bisogno di qualcosa, signor Beilschmidt?»
Una
voce
pacata e quieta, dalla sfumatura quasi terrorizzata, distolse i
pensieri
dell’albino dall’immenso cancello che gli si ergeva
dinnanzi, portando gli
occhi color cremisi poco più di lato, dove un uomo dai
capelli castani che
arrivavano fino alle spalle e gli occhi verdi gli sorrideva con un
misto di
benevolenza, paura e confusione.
Era
Toris
Lorinaitis, Lituania, aveva due grosse buste della spesa con
sé, una in ogni
mano.
«Noto
che fai
ancora da facchino a quel russo.» fu il semplice commento di
Gilbert, che si
aprì in un ghigno divertito, nonostante il tono con cui
aveva pronunciato la
frase non mancasse di una certa compassione.
Toris
disegnò
con le labbra un sorriso imbarazzato «Io, Raivis ed Eduard
veniamo spesso a
fare compagnia al signor Ivan. Infondo, questa è stata la
nostra casa per tanti
anni, no? E poi, è talmente grande che una persona sola a
lungo andare al suo
interno soffre inevitabilmente di solitudine, non crede?»
rispose, mentre si
affaccendava per aprire il cancello con una grossa chiave.
«Può
mantenere
questa per un attimo, cortesemente?» Toris tese una delle due
ingombranti buste
della spesa al prussiano, che subito la prese dopo aver brevemente
annuito.
«Grazie,
– sorrise
nuovamente il lituano, mentre
continuava ad occuparsi della serratura con la mano libera –
questo cancello è
duro come la pietra, e queste buste così ingombranti di
certo non mi aiutano.»
Quando
finalmente riuscì ad aprire l’enorme cancello, con
un secco scatto della
serratura, l’uomo dai lunghi capelli castani fece cenno di
entrare al
prussiano.
«Allora,
signor Beilschmidt, posso sapere per quale motivo è venuto
qui? Se non mi
sbaglio, il rapporto tra lei e il signor Ivan è
tutt’altro che buono.» ripeté
il lituano con un nuovo sorriso tra l’imbarazzo e il
preoccupato, mentre
riprendeva di mano all’albino la busta della spesa e
ringraziava.
«Mh?»
Gilbert
osservò per un attimo l’interlocutore, nel seguire
il discorso di Toris s’era
dimenticato perché effettivamente fosse lì.
Quando gli si strinsero le mani a
pugno nel tentativo di ricordare perché fosse lì
– rispondere con un “Boh” gli
avrebbe fatto fare la figura dello stupido –,
sentì qualcosa accartorciarglisi
lievemente in mano.
La
lettera.
Giusto,
era
andato lì per consegnare l’invito alla festa di
Roderich ed Elizaveta ad Ivan.
«Ah,
sono
venuto perché Liz mi ha chiesto di consegnare questa
– mostrò la busta che
aveva in mano – a quel brutto muso russo.»
«Ah,
sì. –
intervenne Toris – La signorina Elizaveta è venuta
a consegnarmi un invito
simile lo scorso giorno. Sono felice che sia stato invitato anche il
signor
Ivan, una festa gli farà bene.» per un attimo
parve irrigidirsi, portandosi una
mano allo stomaco come se facesse male «Ultimamente,
– aggiunse con tono
terrorizzato – pare piuttosto nervoso.»
Gilbert
inarcò
un sopracciglio. La Lituania non era una Nazione debole, anzi, una
volta lui stesso
era stato battuto da Toris, e vederlo tanto devoto al colosso russo da
sembrare
la sua allegra cameriera lo lasciava esterrefatto, quasi preoccupato.
Certo,
Toris
era una persona particolarmente ossequiosa con chiunque, e si riferiva
ad ogni
Nazione dandole del signor o della signorina, chiamandola addirittura
per cognome
se il rapporto era più formale che amichevole, ma
l’atteggiamento
eccessivamente servile che assumeva solo in presenza di Braginski lo
spaventava, in un certo senso.
Il
prussiano
si schiarì la voce per attirare l’attenzione
dell’altro uomo, che intanto
sembrava esser nel pieno di un attacco di paranoia, e blaterava con gli
occhi
sbarrati e la mano che continuava a reggersi lo stomaco qualcosa circa
il
comportamento del russo negli ultimi giorni.
Quando
Toris
si voltò verso di lui, disse «Senti, sai meglio di
me che meno ho a che fare
con Braginski e meglio è per tutti, no? – al che
l’altro fece un cenno
affermativo col capo – Credo sia meglio se questa gliela
consegnassi
tu.» concluse porgendogli la lettera
d’invito.
«Uhm
… Lo
penso anch’io.» rispose titubante
l’altro, sorridendo impacciato e
prendendo la lettera che l’albino gli stava porgendo.
«Allora
io me
ne vado. Ci si vede al party, Toris!» salutò
Gilbert, voltandosi e avviandosi
verso il cancello dell’immensa villa, una mano era alzata per
accennare un
saluto al lituano.
«Arrivederci,
signor Beilschmidt! È stato un piacere incontrar-
…»
La
risposta di
Toris fu interrotta da un urlo improvviso, seguito da un tedioso
lamento.
«Ti
prego,
vattene, vattene!» la voce era talmente disperata
che fece voltare
Gilbert, gli occhi color rubino si sgranarono leggermente quando chiese
al
lituano « … Dimmi che non è la voce di
Braginski.»
Toris
emise un
profondo sospiro che, come suo solito, non mancava di terrore, ma a
Gilbert
parve di percepire una lieve sfumatura di felicità in quel
gesto.
«Oh,
lo è.
Pare che la signorina Natalia sia venuta a trovarlo.»
Gilbert
inarcò
un sopracciglio sorpreso.
Natalia
era la
sorella minore di Braginski, costantemente alle costole del fratello.
Gilbert
non le aveva mai dedicato troppa attenzione, per il magnifico lui era
davvero
troppo anonima, sempre impegnata a seguire il russo come
un’ombra.
Eppure,
poteva
giurare di non aver mai sentito la voce di Braginski tanto carica di
paura come
l’aveva udita pochi istanti prima. Cosa stava accadendo con
la sorella
bielorussa, in quel momento?
Gli
ci volle
una frazione di secondo perché decidesse che, sì,
era proprio il caso di
scoprirlo, girando sui tacchi e raggiungendo Toris
all’interno del giardino
della villa russa.
«Cosa
aspetti,
Toris? Andiamo a vedere cosa sta accadendo al povero
Braginski.» esclamò, con tono che
tradiva forse un po’
troppo l’euforia che gli stava divampando dentro, prima di
circondare le spalle
del lituano con un braccio e trascinarlo quasi a forza con
sé verso l’ingresso
della villa.
Toris
gli
lanciò una delle sue tipiche occhiate spaurite
«Sicuro di voler venire anche
lei?»
«Certo,
non mi
perderei per nulla al mondo Braginski che urla e piange come una
femminuccia!
Kesesesesese, ma hai sentito che voce disperata che aveva?»
e, senza voler più
sentire ragioni, avanzò spedito fino ad arrivare alla porta
di casa, voltandosi
verso Toris per incitarlo ad aprirla, gli occhi scarlatti animati da
una
scintilla di puro divertimento e goduria.
Con
una
scrollata di spalle, che Gilbert interpretò come un
implicito “fa come vuoi”,
Toris lo raggiunse e aprì l’enorme porta di villa
Braginski. Al prussiano non
sfuggì il tremolio che aveva impedito più volte
al lituano di riuscire ad
infilare la chiave nella serratura.
Quando
entrò
nell’atrio d’ingresso del russo, Gilbert si
guardò attorno, percorrendo con lo
sguardo ogni centimetro dell’ampia stanza. Tutto sembrava
fatto apposta per le
dimensioni di Braginski: alto, troppo per le persone comuni, ma per un
gigante
di due metri non doveva essere un problema vivere in una casa del
genere. A
lui, invece, già incuteva una strana sensazione di timore lo
statuario attaccapanni.
«S-signor
Ivan?» la voce tremula di Toris lo riscosse dai suoi pensieri.
Dopo
aver
atteso qualche istante, il lituano riaprì titubante la
bocca, aggiungendo
«Va …
va tutto bene?»
Ancora
nessuna
risposta da parte del russo.
«Noi
… Noi
allora saliamo, signor Ivan. Spero non le dispiaccia!» Toris
fece segno a
Gilbert di seguirlo, per poi avviarsi verso la porta che, come
poté constatare
successivamente l’albino, conduceva in un enorme salone,
anche quello
decisamente conforme alla mole del russo.
Fu
mentre
esaminava meticolosamente con lo sguardo rubino lo spazio circostante
che la
vide.
Seduta
su una
poltrona rossa che pareva un divano tanto era grande, una giovane
fissava con
sguardo gelido i due uomini appena entrati, con le braccia conserte e
le gambe
accavallate.
Gilbert
non
poté fare a meno di inarcare le sopracciglia ed assumere
un’espressione che,
agli occhi della gente, sarebbe dovuta apparire decisamente ebete.
Non
aveva mai
incontrato persone belle anche solo la metà di quanto lo
fosse l’algida giovane
– escluso se stesso, ovviamente – che in quel
momento li stava gelando con lo
sguardo, aveva i capelli lunghi e lisci, di un colore talmente chiaro
da
sembrare quasi bianco, e le incorniciavano il volto perlaceo ricadendo
fino
alla sottile vita fasciata da un nastro a strisce nere e bianche, i
tratti così
delicati da sembrare irreali e il diafano colore della pelle gli davano
sul
serio l’impressione di avere davanti una bambola di
porcellana a grandezza
umana, e poi c’erano quegli occhi di un blu tanto intenso da
ricordare il cielo
in una notte senza stelle che lo attraevano in una maniera
straordinaria.
Non
c’erano
dubbi, quella ragazza era un autentico schianto.
«Nii-san
non
vuole aprirmi.» si limitò a dire la giovane con
distacco, anche la voce sottile
era gelida come l’occhiata che scoccò al lituano.
Gilbert
sbatté
un paio di volte le palpebre, come per comprendere cosa stesse
accadendo.
Nii-san
non vuole aprirmi.
Mein
Gott, non ricordavo che la sorella del bestione
fosse così … erotisch.
Sì,
erotica
era sicuramente la parola adatta per descrivere quella che fino a pochi
istanti
prima considerava l’anonima ed insignificante sorellina di
Ivan Braginski.
Voltandosi
poi
verso Toris, Gilbert notò che s’era fatto
inspiegabilmente rosso, osservando la
ragazza con atteggiamento inquieto e quasi adorante.
«Oh,
– disse
il lituano – magari il signor Ivan non ha voglia di esser
disturbato … »
azzardò con tono vago, prima di incrociare lo sguardo di
Gilbert, che non
riuscì a far altro che inarcare nuovamente un sopracciglio e
tornare a fissare
la giovane mozzafiato, che pareva non essersi per niente accorta della
sua magnifica
presenza.
«Non
m’importa.» tagliò corto la
ragazza, lasciandogli una profonda occhiata
color notte.
Toris
cercò di
mantenere un atteggiamento quanto più dolce e comprensivo
potesse quando
aggiunse «Signorina Natalia, magari dopo il signor Ivan
vorrà …» , ma tutto ciò
che ottenne fu rendere adirato lo sguardo della bella bielorussa.
«Toris.
Voglio
vedere il mio Nii-san. Voglio vedere
Nii-san.» Natalia si alzò dalla poltrona
su cui era seduta portando
teatralmente le mani ai fianchi e avvicinandosi al lituano con sguardo
omicida.
Gilbert
ghignò.
Sentiva che quello era il perfetto momento per il magnifico lui di
entrare in
scena, salvare Toris e, magari,
cogliere al volo l’occasione e presentarsi a dovere alla
sorellina del caro
Braginski.
«Ehm
…
S-signorina Natalia …» Cercò di
protestare flebilmente il lituano, ma fu allora
che Gilbert si frappose tra l’uomo in difficoltà e
la giovane che, dedicandogli
finalmente attenzione, lo squadrò con lo sguardo blu notte.
Le labbra
dell’albino disegnarono un ghigno.
«E
tu chi
sei?» chiese lei con tono neutro, inarcando un sopracciglio
con fare stizzito.
«Ma
come, non
ti ricordi del magnifico me?» cantilenò Gilbert,
continuando ad osservarla con
un’espressione a metà tra il canzonatorio e il
suadente.
«No.»
tagliò
corto lei, scansandolo «Togliti di mezzo, che devo andare dal
mio Nii-san.»
Con
un nuovo
ghigno ancor più marcato di quello precedente, il prussiano
la afferrò per un
polso, attirandola a sé e circondandole la vita con
l’altro braccio. Il suo
magnifico viso distava pochissimi centimetri da quello quasi
altrettanto bello della giovane sorellina di Braginski.
Troppo
preso
dal bell’aspetto della giovane, Gilbert non aveva fatto caso
all’espressione di
terrore che s’era fatta largo sul volto del lituano, con gli
occhi verdi
sgranati all’inverosimile e le sopracciglia piegate
all’insù in maniera
talmente accentuata da sembrare quasi volersi fondere in un unico
sopracciglio.
«Bellezza,
–
iniziò con tono caldo l’albino –
com’è possibile non ricordarsi
dell’incredibile Gilbert Beilsch- …»
Improvvisamente,
la voce gli mancò. L’unico suono che la sua gola
sembrava capace di poter
emettere era un urlo che, se non fosse riuscito a bloccare, avrebbe
potuto
squarciargli il petto, tanto era forte, e, come se quella sgradevole
sensazione
già non bastasse, le dita di una mano gli pulsavano in
maniera talmente
frenetica da sembrare volessero esplodere.
Quando
spostò
lo sguardo rubino sul fianco della ragazza, notò che la mano
che vi aveva
poggiato su era ora circondata da una mano piccola e affusolata che
esercitava
una presa ferrea e terribilmente dolorosa.
Spostare
lo
sguardo nuovamente sul volto della ragazza poi, fu una delle cose
più sbagliate
che potesse decidere di fare. L’espressione che la giovane
aveva assunto non
lasciava dubbi sulla sua stretta parentela con quel pazzo psicopatico
di
Braginski, le iridi blu sembravano essersi accese di una luce che
definire
sadica gli sembrava riduttivo, mentre quei lineamenti da bambola tanto
perfetti
si erano tirati in un ghigno che faceva accapponare la pelle.
«Non
so chi tu
sia. – sibilò gelida la ragazza mollando la presa
dalle dita del prussiano dopo
essersi liberata dalla sua stretta – E poco mi
importa.» concluse, dirigendosi
poi con l’aggraziata andatura che aveva acquisito una
sfumatura decisamente
inquietante, verso la grossa rampa di scale che, dal salotto,
l’avrebbe portata
al piano di sopra e, molto probabilmente, alla camera di Braginski.
«Natalia,
no!
Ti prego, vattene! Ti prego!»
Troppo
preso
tutto quello che era successo in quei pochi istanti, Gilbert
riuscì a stento ad
elaborare che, a giudicare dal terrorizzato lamento che il russo aveva
ripreso,
la sua bella sorellina era proprio andata da lui.
Mein
Gott. Nella famiglia di Braginski, la follia
dev’essere qualcosa di ereditario pensò,
mentre
ancora gli sembrava di vedere il bellissimo volto di Natalia Alfroskaya
deformarsi in quella terribile espressione così dannatamente
da Ivan Braginski.
«È
rotta.» fu
la voce di Toris, che gli stava tastando in maniera troppo brutale la
mano, a
farlo riprendere dai suoi pensieri, assieme alla scarica di dolore che
lo
pervase ai pesanti tocchi del lituano.
«Ehi!»
Gilbert
ritrasse la mano, amplificando il dolore che ormai gli riverberava
lungo tutto
l’arto sinistro. Gli sfuggì qualche imprecazione
che riuscì a soffocare solo
mordendosi la lingua.
Toris
sospirò «L’ho
detto, è rotta. Non si preoccupi, signor Beilschmidt, una
volta la signorina
Natalia la ruppe anche a me, una mano.» borbottò,
arrossendo di colpo.
«Meine
Hand ... gebrochen!?»
gracchiò
allora Gilbert, osservando la mano che gli pulsava frenetica per il
dolore.
«Già,
rotta.»
sospirò Toris «Vuole che gliela medichi? Io,
Raivis ed Eduard abbiamo un kit
medico in cucina, per le emergenze.» gli spiegò,
mentre già lo trascinava per
l’altro braccio verso la suddetta stanza.
Quando
vide
Toris, dopo che lo aveva fatto accomodare ad un enorme tavolo, salire
su una
sedia, arrivare ad una credenza troppo alta per qualsiasi essere umano
di
altezza media, aprirla, estrarvi una
piccola valigetta ben nascosta sul fondo e raggiungerlo di nuovo al
tavolo,
inarcò scettico le sopracciglia.
«Pensavo
scherzassi riguardo il kit medico.»
Il
lituano,
che intanto gli stava fasciando la mano con precisione meticolosa e una
certa
bravura, come se fosse abituato a fare medicazioni, si
lasciò sfuggire un
sorriso.
«Vivere
con persone
come il signor Ivan e le sue sorelle ha parecchie controindicazioni.
– disse,
senza staccare gli occhi dalla fasciatura – Ma, in fondo, si
impara a voler
bene anche a persone come loro.»
Non
sapendo
come rispondergli, Gilbert lasciò cadere lì il
discorso.
Aspettò
in
silenzio che il lituano finisse il suo lavoro, e, dopo averlo
ringraziato con
un cenno della mano – quella sana –,
uscì veloce dalla villa russa e percorse
ad ampie falcate il giardino, accompagnato da un senso di inquietudine
che lo
abbandonò solo quando si chiuse alle spalle il cancello di
casa Braginski.
Osservandosi
la mano fasciata, Gilbert si lascò sfuggire un ghigno a
metà tra l’arrabbiato e
il disgustato.
Non
c’era
dubbio, tutto quello che riguardava Ivan Braginski, compresa la
famiglia, o
poteva definirsi folle, o pericolosa, o entrambe, compresa sua sorella,
con la
quale, giurò a se stesso, non avrebbe più avuto
più niente a che fare. Perché
provarci con la sorella del proprio peggior nemico era una cosa che non
avrebbe
mai più fatto.
Il
rumore
metallico di un cancello che sbatteva sgraziatamente lo distrasse dai
suoi
pensieri, facendolo voltare all’indietro.
Natalia,
che
sembrava davvero infuriata, era appena uscita anche lei dalla villa del
fratello, evidentemente non c’era stato verso di convincere
quel pazzo di
Braginski ad incontrarla. E in quel preciso istante,
l’immagine della folle
Natalia Alfroskaya che gli aveva rotto una mano fu sostituita da quella
decisamente più apprezzabile di lei imbronciata, col visino
da bambola corrucciato
e il bel corpo fasciato dal vestitino blu scuro.
Improvvisamente,
la massima che recitava “Non c’è essere
più vulnerabile di una donna da
consolare” – o qualcosa del genere –
prese possesso della mente di Gilbert, che
si concesse un nuovo ghigno.
«Liebling!»
esclamò,
facendo dietrofront
per raggiungere la ragazza, che, accortasi di lui, lo osservava con
sguardo
accigliato e piuttosto sospettoso.
Infondo,
se le
mani da rompere erano due, perché non potevano essere
altrettanti i tentativi
di … conoscerla?
Perché
io, Gilbert Beilschmidt, giuro solennemente
di non provarci più con la sorella del mio peggior nemico.
Magari a partire da
domani.