Film > Thor
Ricorda la storia  |       
Autore: Callie_Stephanides    06/01/2013    13 recensioni
[Thor/Loki] Accolto tra gli Æsir, Loki non sembra destinato a trovare la pace: il suo diritto a vivere al fianco al principe di Asgard, infatti, cozza contro le aspirazioni di Frigga e di Odino, che mai avrebbero scelto un simile compagno per il figlio.
Una terribile prova di lealtà e coraggio porrà il figlio di Laufey davanti a una scelta spietata e a un'imprevista risoluzione, perché l'amore di uno Jotun è tanto più freddo quanto più intensamente brucia.
(...) Non aveva mai cavalcato uno Shire, né battuto boschi tanto rigogliosi e impenetrabili da mangiarsi persino la luce della stella.
Non era il suo mondo, non era casa, eppure apparteneva a qualcuno che gli aveva domandato proprio quello: il permesso d’essere terra.
La sua (...)
[ATTENZIONE: questa fanfiction s'inserisce nell'universo narrativo di Anemone. La comprensione degli eventi raccontati è dunque subordinata alla lettura della one-shot succitata]
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frigga, Loki, Odino, Thor, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Fiorirà la neve'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Fictional Dream © 2013 (06 gennaio 2013)
Thor © Marvel Comics, Marvel Studios, Paramount Pictures.
Questa fanfiction è il tributo di una fan e non rivendica alcun diritto sull’opera citata, né persegue finalità lucrative. Non si ritiene infranto alcun copyright o altro diritto depositato.
L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell’autrice (Callie Stephanides - Fictional Dream).

*

Doubt thou the stars are fire;
Doubt that the sun doth move;
Doubt truth to be a liar;
But never doubt I love.
― William Shakespeare, Hamlet

1. Risvegli

Quando nasci al freddo e cresci solo, non ti servono parole, né colori.
A Loki Laufeyson toccò sperimentare la prepotenza di un affetto caldissimo e gentile per rendersene conto, perché tutto quel che conosceva, all’improvviso, mutò segno.
Prima c’erano vento e neve, il biancore accecante delle albe in caccia.
Poi…

“Sembri in difficoltà. Posso aiutarti?”

Thor gli scivolò alle spalle; con tenerezza, gli allacciò i fianchi e baciò la nuca. Loki chiuse gli occhi e trattenne a stento un brivido.
Era sensibile, la sua nuova pelle: morbida e tiepida come le emozioni che non sapeva chiamare.
Ignorava da quanto tempo fosse ormai ad Asgard, poiché era stato così vicino a spegnersi da dimenticare l’ostinazione feroce della vita. Nel dormiveglia inquieto della febbre sognava Fenrir, il suo odore selvatico e rassicurante. Ad asciugargli le guance e a vegliarlo, tuttavia, un grosso bambino biondo che aveva odiato per principio, eppure amato con l’intensità delle predestinazioni.

“Non avevo bisogno di tutti questi abiti su Jotunheim.”
I lunghi capelli di Thor gli solleticavano la spalla nuda e scivolavano lungo il suo torace come rivoli d’oro.
Non era la sua pelle, come non gli apparteneva quel calore imprevisto, eppure erano suoi.
“Lo so; infatti era molto più facile…”
“Osa toccarmi e…”
Thor gli afferrò le mani, poi ne sfiorò il dorso con insospettabile eleganza.
I suoi occhi blu riverberavano una luce maliziosa, ma la sua bocca era buona. Era gentile.
“Mi trasformeresti davvero in uno Skrull?”
Loki socchiuse le palpebre. “Una rana. Forse una rana sarebbe…”

“Desolata d’interrompere l’accoppiamento, ma dovrei pur sempre scortare il nostro ospite dal Grande Padre… Principi in calore permettendo, s’intende.”

Loki distolse lo sguardo, frustrato da un disagio che tradiva abbandono, fiducia. Debolezza.
“Sei gelosa, Sif?” sogghignò invece Thor, mentre lo aiutava a indossare una pesante cottardita stretta da una ragnatela di legacci di cuoio.
Lady Sif era uno degli uomini più fidati di Thor, per quanto senso avesse conferire un simile titolo a qualcuno che no, non era senz’altro un uomo, benché fosse abile nel combattere e persino più forte di molti degli asgardiani che aveva spiato su Jotunheim.
Era stata anche uno dei membri della spedizione che l’aveva tratto in salvo, quando re Laufey l’aveva condannato a morte e cacciato come una bestia.
Sif, soprattutto, era l’immancabile scorta di Thor, quando l’erede dei Nove Regni si recava a fargli visita in orari che nessuno avrebbe potuto trovare sconvenienti.
La notte, tuttavia, non ammetteva altri testimoni che i loro cuori.
Di notte, a volte, Loki scivolava di nuovo nell’antica pelle, per ricordare come fosse godere senza maschere e senza compromessi.
Come fosse, soprattutto, ricevere un amore libero dall’ipocrisia di un’ipotesi.

Se fossi un bambino vero; se fossi un bambino asgardiano, tu mi vorresti bene?

“Vedremo se il tuo splendido umorismo ti soccorrerà davanti a Odino.”
Thor annodò con un paio di strattoni decisi gli ultimi lacci. “Direi che ci siamo.”
Loki annuì e allontanò la spessa treccia oltre le spalle. Gli mancava il fiato e non era solo per un clima cui faticava ad abituarsi.
Benché avesse recuperato le forze e le ferite avessero smesso di dolergli, aveva abbandonato di rado dalle stanze che gli erano state assegnate, e mai senza la compagnia di Thor.
Sapeva di essere diverso: una bestia rara cui rivolgere occhiate colme di una curiosità sprezzante. Persino Sif fissava con insistenza le sue chiome, quasi fossero un imperdonabile errore.
Asgard era oro e miele.
I corvi cari a Odino erano i soli a potersi vestire di notte.

“Sono pronto,” disse – la voce scossa da un lieve tremito. Una debolezza indegna di chi, come Loki Laufeyson, sapeva vivere a dispetto di tutto.
“Andrà tutto bene, coraggio.”
Poi Thor sorrise e lo costrinse a ricordare la differenza tra una vita fatta di sottrazioni e una felicità a scadenza.
Tremava perché aveva paura di perderlo.
Tremava perché Thor non era Fenrir: bastava un’assenza a fargli male.

*


Thor Odinson scoprì di aver perso cuore, testa e forse anche un po’ di preziosa dignità principesca quando decise di fare il nido al capezzale del nemico senza nemmeno curarsi di nasconderlo.
Gli piaceva guardarlo dormire e ancor più amava quell’ombra liquida, sospesa tra sollievo e incredulità, che ne appannava lo sguardo al risveglio.
Non sapeva come fosse accaduto, né perché, se al principe di Asgard era destinata senz’altro la più bella e potente delle Ásynjur, ma aveva scelto lui, né uomo, né dio, né maschio, né femmina.
Lui, che era neve, eppure sapeva sciogliersi tra le sue braccia.

La prima volta in cui l’aveva baciato, a guidarlo era stato l’istinto, la voglia, forse la curiosità.

Com’era la bocca di uno Jotun?
Che sapore avevano quelle labbra?

Poi aveva imparato a respirare il suo odore, a desiderarne la pelle e non aveva più avuto bisogno di porsi domande.
Loki era ancora silenzioso, spesso freddo, distante anche quando l’avrebbe voluto morbido e arrendevole. Forse era quello ad accendere l’eccitazione e il desiderio: la consapevolezza di non potergli premettere un possessivo. Non, almeno, come Thor Odinson era avvezzo a fare con tutto.
Loki non era suo.
Loki apparteneva soltanto a se stesso.

*


“È stato generoso da parte tua, figlio, e sono sicura che…”

Benché avesse infine deciso d’affrontare il discorso, Frigga intuiva di non possedere le parole adatte. Era stordita, spaventata e schiacciata da un sentimento che somigliava alla pietà senza conservarne il calore.
Loki aveva perso tanto sangue da indurla a unire il proprio Seiðr a quello delle migliori guaritrici di Asgard per salvargli la vita.
Era stata costretta a farlo per amore di Thor; tuttavia, se accettava di specchiarsi in un abisso chiamato ‘cuore’, sapeva che avrebbe preferito vederlo morto.
Loki non aveva colpa di niente, eppure era la causa di tutto, perché che futuro poteva mai attendere l’erede dei Cieli accanto a uno Jotun?

“Credi che Asgard gli piacerà?”
Thor sfiorava premuroso la fronte di Loki, ne percorreva con la bocca la linea dritta del naso e posava sulle sue labbra ferite un bacio castissimo e pericoloso al contempo, perché la voglia era una fiamma effimera, mentre le braci dell’amore vero avrebbero bruciato in eterno.
Frigga era consapevole d’aver perduto, ma non aveva rinunciato alla speranza di salvare Thor da un destino d’amarezza; confidava ancora in Odino, nella scaltra lucidità con cui il padre degli dei aveva sempre saputo comandare alla sorte e rivolgerne i capricci a proprio vantaggio.

“Stanno arrivando.”

Sollevò lo sguardo, mentre il drappello delle guardie si apriva per lasciar passare il principe di Asgard e l’erede di ben altro trono, figlio maledetto due volte del freddo e della notte di Jotunheim.
Loki misurava i passi, esitante, ma non aveva l’aria di un penitente. Il suo sguardo, dritto e fiero, possedeva piuttosto qualcosa di arrogante e predatorio. Non si presentava né come ostaggio, né come supplice: era un conquistatore.
Alto poco meno di Thor, elegante e sottile come suo figlio non sarebbe mai stato, era bello – anzi: magnifico. Nella sua nuova pelle sembrava quasi volerle rimproverare l’antico rifiuto.

Tu vedevi un mostro, invece ero un bambino come tutti. Volevo essere il tuo bambino.
Adesso guardami: guarda chi mi appartiene.

Frigga strinse i denti e deglutì a fatica. Loki era ormai ai piedi di Hliðskjálf; al pari di Thor, si era inginocchiato ed era rimasto a capo chino, in attesa della parola di Odino.
Una voce che si levò presto, lenta e grave.

“Tu sai perché ti ho voluto al mio cospetto, figlio di Laufey, non è vero?”

Al patronimico seguì un lieve sussulto: Frigga vide Loki sollevare il viso e cercare Thor con lo sguardo.
Non le sfuggì, soprattutto, l’occhiata con cui suo figlio l’aveva ricambiato – era una carezza, non un semplice incoraggiamento.

“Immagino di saperlo, grande Padre degli Æsir, e vi ringrazio per la possibilità che mi concedete.”

Odino la fissò per qualche istante. Nell’unico occhio c’era ora una scintilla incredula, forse persino divertita.

Lingua d’argento: per essere cresciuto con un lupo, conosce la diplomazia più del selvaggio che porta il mio nome.

Eppure non c’era nulla che potesse giustificare il riso in quel giorno maledetto.
Proprio niente.

*

2. Una libra implacabile


“Conosci Fáfner (1), Loki Laufeyson?”

Il primo segnale fu la reiterazione di quel nome: che non l’aspettasse nulla di facile e gradevole, almeno, Loki lo colse da un simile dettaglio.
Forse perché quella era la legge in cui era sempre vissuto.
Forse perché la morte di Fenrir si era portata via l’ultima illusione felice.

“No, vostra Maestà.”

Odino si puntellò su Gungnir e abbandonò il trono.
“Era uno Jotun, proprio come te. Uno Jotun tanto stolto da tentare l’assalto ai miei tesori.”

Loki contrasse d’istinto le dita. La mandorla dell’unghia incise il palmo, grattando una pelle troppo chiara e troppo fragile per la sua rabbia.

“Avrei potuto strizzargli il cuore nel pugno, ma sono stato magnanimo, come sono generoso con te, figlio del nemico e salvatore di mio figlio.”

Loki piegò le labbra in un sorrisino ironico, prima di sollevare lo sguardo. I suoi occhi verdi, freddi e attenti come quelli di un lupo, resistevano all’inquietante fissità monocola del dio.

Oh, lo immagino, Odino. Lo immagino proprio…

Al suo fianco, Thor s’irrigidì.

“Ne ho fatto un valido guardiano. Repellente d’aspetto, forse, ma non era granché piacevole nemmeno prima.”

Loki si morse a sangue le labbra, ma non gli mancò la prontezza di stendere il braccio e imporre un ordine muto.

No, Thor, no. Se raccogli la sua provocazione, è finita. Non è una partita che sia possibile vincere con la forza. Non con quella che intendi tu.

“Cosa vi aspettate da me, sovrano degli Æsir?”
“Che mi porti il cuore di Fáfner come prova del tuo valore.”
“Se è quel che desiderate…”
“Senza ricorrere al Seiðr o a qualunque sotterfugio la situazione possa suggerirti: gli Æsir combattono e sanguinano, non cercano riparo dietro illusioni da donnette pavide.”

“No, padre, no!”

Loki sollevò il viso.

“Voi non potete chiedergli questo. Fáfner è…”
“Taci, Thor. Nessuno ti ha autorizzato a prendere la parola.”
“Non ne ho bisogno. Non di certo per…”
“Fa’ silenzio!”

La voce di Odino esplose come un tuono: secca, feroce, implacabile.

“È giusto,” disse. “Se questa è la legge di Asgard, devo…”
“Oh, risparmia il fiato!” ringhiò in rimando Thor. “La verità è che vuole solo…”
La mia testa? Non sarebbe il primo, pensò.
“Figlio, ti consiglio di assumere un atteggiamento più rispettoso e, soprattutto, consono al trono e al ruolo che sei destinato a ereditare, sempre che tu non voglia…”
“Cosa? Condanneresti a morte anche me, tuo figlio? Come stai condannando a morte certa chi l’ha salvato?”
Loki strinse i pugni, poi lo guardò. “Ho detto che mi sta bene,” ribadì, sebbene con minore fermezza di quel che avrebbe voluto.
Era spaventato e preoccupato, ma, soprattutto, sapeva per l’ennesima volta di non avere scampo, quasi una nascita mai domandata fosse un peccato da scontare mille volte.
Affiancò Thor e s’impadronì del corto pugnale assicurato alla cintura del principe; poi, sotto il suo sguardo incredulo, recise la treccia alla base della nuca, per gettarla ai piedi di Odino.
“So combattere, Padre degli dei. Se è il cuore di Fáfner che desiderate, ve lo porterò; oppure morirò da asgardiano.”

*


“Sei pazzo? Hai di nuovo la febbre, Loki, perché…”

Era difficile dire cosa facesse più male, se la crudeltà di Odino – giustizia, la chiamava! Giustizia! – o la freddezza con cui quello stupido Jotun seguitava a ignorare i suoi strepiti, quasi fosse buono, sacrosanto e giusto rispondere con un’oltraggiosa indifferenza alla sua pena.

“Mi ascolti?”

Colmò la distanza che ancora li separava con un paio di rapide falcate e lo strattonò senza la minima grazia.
Loki non mosse un muscolo.
“Vuole che tu muoia, te ne rendi conto o no?”
L’altro annuì a capo chino e Thor comprese d’aver appena ottenuto il permesso di consolarlo.
Lo trasse a sé, finché non sentì sulla pelle le lacrime terrorizzate dello Jotun. Lacrime orgogliose e disperate e piene di rabbia.
“Non posso fare altro,” lo sentì mormorare. “Sono maledetto.”
Non aveva capito niente: forse era davvero stupido come lo vedeva Loki.
Stupido e cieco.
“No, non è vero,” mormorò al suo orecchio. “Non sei maledetto e non sei condannato, perché io non ti abbandonerò. Non lo farò mai, te lo giuro.”
“Non promettere quello che non sai se potrai mantenere,” rispose Loki. “Mi faresti ancora più male.”
Thor, per tutta risposta, gli prese il viso tra le mani e lo baciò a lungo, con desiderio e tenerezza.
“Va meglio?”
Loki sospirò rumorosamente, prima di asciugarsi le palpebre e allontanarlo con una spinta. Thor sorrise: adorava il suo orgoglio almeno quanto la sua forza – che c’era, oh, se esisteva! Sotterranea e antica come la magia che gli correva nelle vene.
“Cominciamo a prepararci: ci aspetta un lungo viaggio e tu, a cavallo, non sei granché.”
Loki gli rivolse un’occhiata ostile. “Fenrir era morbido.”
“Dovresti trattarmi con più gentilezza o potrei rifiutarmi di massaggiarti la schiena, quando…”
Loki inarcò ironico un sopracciglio. “Sappiamo entrambi con quali intenzioni ti avvicini alla mia schiena, perciò risparmiami le tue penose perifrasi.”

“Dice bene, figlio: ancora una volta permetti a uno Jotun d’insegnarti come si vive.”

Thor schiuse le labbra, ma non riuscì a opporre per tempo una replica che potessi dire tale: alla fine del vestibolo, ad aspettarli, c’erano Odino in armi e il suo drappello di guardie.

“Vediamo se questo non servirà a ridurti a più miti consigli,” lo sentì ringhiare, prima che una forza spaventosa lo schiantasse contro il colonnato.

“Dovrà superare la prova solo, che ti piaccia o no: per vivere con gli Æsir, deve prima accettare di morire come uno di noi.”

Thor tentò di rialzarsi, ma il buio lo vinse: una tenebra densa e oscura, senza una sola scintilla del verde che amava.

*


L’antro di Fáfner si trovava nel cuore di una foresta come Loki era certo di non aver mai esplorato.
A dispetto di una vita selvatica – da lupo, più che da essere umano – la sua esperienza del mondo era limitata dalla povertà estrema di Jotunheim.
Nessuno dei luoghi in cui aveva speso ore randagie, nello sforzo disperato di sopravvivere, possedeva la varietà di forme e colori con cui Asgard lo sorprendeva.
Loki sapeva fiutare i venti gelidi del settentrione, riconoscere le prime tracce della fioritura degli anemoni, seguire impronte nell’indistinto candore dell’inverno.
Non aveva mai cavalcato uno Shire, né battuto boschi tanto rigogliosi e impenetrabili da mangiarsi persino la luce della stella.
Non era il suo mondo, non era casa, eppure apparteneva a qualcuno che gli aveva domandato proprio quello: il permesso d’essere terra.
La sua.

Non è la prima volta che corteggio la fine. Probabilmente non sarà nemmeno l’ultima.
Cos’ho da perdere?
Thor.
Tutto.

Inghiottì quel pensiero amarissimo e abbandonò la propria cavalcatura. Dalle ginocchia all’inguine era un unico dolore intermittente – maledette anche quelle bestie buone solo da mangiare.
Oltre le dense chiome degli alberi, il cielo di Asgard era velluto tempestato di stelle indifferenti.
“Tornerò,” disse, prima di avvolgersi nel mantello e arrendersi al sonno.

Tornerò, te lo prometto.
Perché ti amo.
Perché sei tu la mia casa.

Nota:
(1) Ho scelto di utilizzare il nome che Wagner dà alla figura mitologica del serpente Fáfnir, poiché dal suo dramma mutuo un altro elemento ben più importante ai fini dello sviluppo di questa storia: il fatto, cioè, che il drago non fosse in origine un nano, bensì uno Jötunn. Quanto segue – l’attacco proditorio ad Asgard e il conseguente castigo inflitto da Odino – sono invece una mia invenzione.

   
 
Leggi le 13 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Thor / Vai alla pagina dell'autore: Callie_Stephanides