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Autore: Ilune Willowleaf    26/07/2007    5 recensioni
Alla fine dell'anime, Roy è convalescente, e Riza come al solito è al suo fianco. E un rapporto cresciuto all'ombra della divisa finalmente ha modo di crescere con naturalezza e spontaneità, malgrado gli ostacoli interni ed esterni. RoyxRiza a tutto spiano! Occhio, l'ultimo capitolo conterrà spoiler del film! ATTENZIONE: ho modificato leggermente i primi 2 capitoli!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 2
Capitolo 2 - crescere
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La sveglia scandiva i secondi di un altro giorni di degenza, il cinquantesimo.
Il silenzio era interrotto solo dal fruscio, ogni tanto, di una pagina girata.
-Ah, Riza…-
-Si?- chiese lei, senza alzare lo sguardo dalla rivista.
-La prossima settimana mi dimettono. -
-Ne sono felice. -
-Dovrò però stare a lungo in convalescenza in un posto tranquillo e dal clima mite. -
-Capisco. -
-Ma i sanatori dell’esercito sono sempre sovraffollati e pieni di rozzi omaccioni…-
-È un problema serio. - nella voce della ragazza non c’era la minima inflessione di sentimento.
-Soprattutto perché pensavo di chiederti di venire con me…-
-Per proteggerla, ovvio. E per assicurarsi che qualche fidanzato geloso e deluso non cerchi di farle la festa. -
-Quindi a te andrebbe bene?-
-È il mio lavoro. - fece, come se dicesse "oggi piove" o "sono finite le uova"
-E ti piace, come lavoro?-
-Generale Mustang, dove sta cercando di andare a parare?- Riza abbassò la rivista ("pistole e fucili"… si, è proprio senza speranza!)
-Ecco… tu hai ancora la casa di tuo padre, giusto? E ricordo che a un paio di chilometri c’è il lago, e quella cittadina così carina e ridente… e a maggio l’aria è così dolce che fa venire voglia di dormire anziché studiare…- Roy stava sorridendo.
Anche Riza sorrise -Fare convalescenza lì?-
-Preferire il termine "rimpatriata". Anche se non so se si possa parlare di rimpatriata in due. -
-Il viaggio in treno sarà lungo e pesante. - obiettò lei.
-Viaggeremo in prima classe, e con vagone letto. -
-E sa che questo alimenterebbe le voci che lei cerca tanto di spegnere, vero?- fu l’estrema sua obiezione.
-Il primo che ne parlerà verrà ridotto a un flambè. -
-Sa che in segreto la soprannominano "piromane arrivista", generale?-
-Lo prendo per un complimento. - sorrise Roy.
Riza sospirò.
-Ha vinto. Stasera andrò a prendere i biglietti. -
-Allora, domani è il gran giorno: la dimettono.- Riza stava, come al solito, sbucciando una mela. Non riusciva a capire se a Roy piacessero le mele o il modo in cui lei le sbucciava, visto come la guardava farlo. Quando lo faceva, gli affiorava uno strano sorriso, come di chi è perso nei ricordi.
-Già, finalmente. Non ne posso più di questo ospedale. - Roy era piuttosto di buon umore, malgrado le notizie non tanto allegre dategli dal medico. Notizie che riguardavano la ferita al suo occhio.
-Cos’ha detto il dottore riguardo alla ferita alla testa?-
-Ah, questa…- si toccò la larga benda nera che copriva l’occhio e parte della tempia sinistra. -La cicatrice sparirà con gli anni. Invece l’occhio… non l’ho perso, ma è irrimediabilmente danneggiato. -
Per poco Riza non si affettò un dito per la sorpresa. La fronte liscia le si corrugò, mentre abbassava lo sguardo.
-Dai, smettila di fare quella faccia. - le disse Roy.
-Il piano era semplicemente perfetto. È stata colpa mia, che non ho fatto in tempo a-
-No. Non c’è niente di perfetto. Questo mondo è imperfetto. - Le passò due dita tra le ciocche di capelli sciolti sulle spalle -Ma è per questo, che è anche così bello. -
Lei non riuscì a fare altro che a sorridere, grata per quelle parole, destinate ad alleviare il suo senso di colpa, almeno un poco.
A sorridere e ad arrossire, quando le dita del generale Mustang le sfiorarono il collo.
Per tutta risposta, gli ficcò la fetta di mela in bocca, allontanandosi poi appena fuori della portata di Mustang.
Lui le sorrise, come se nulla fosse stato.
Il viavai della stazione era sempre lo stesso: gente che arrivava e che partiva, confusione di facchini e di bagagli.
I due bauli contenenti gli effetti personali del tenente Hawkeye e del brigadiere generale Mustang erano già stati caricati nel vagone bagagli, e i due graduati si stavano congedando dal loro staff.
Per dirla in parole povere, i quattro fedelissimi di Mustang erano tutti lì per augurare all’ex colonnello, ora Brigadiere Generale, una pronta guarigione, e per raccomandare a Riza di tenerli informati. Black Hayate scodinzolava e annusava tutti, come se anche lui sapesse che per un lungo periodo non avrebbe rivisto il resto del suo "branco".
In quei dieci mesi che si prospettavano senza il capo e il vicecapo dell’ufficio, sarebbero stati temporaneamente smistati in questo o quell’ufficio, ma Mustang aveva fatto buon viso a cattivo gioco: la sua buona abitudine di far raccogliere materiale compromettente non era certo passata, e aveva dato precise istruzioni su chi sorvegliare e cosa cercare.
Il treno fischiò, avvisando che stava per partire.
Gli ultimi saluti, gli ultimi commiati.
-Si riguardi, generale!-
-Ci scriva, tenente!-
-Cerchi di non sedurre troppe fanciulle, generale Mustang!-
Quando il treno fu uscito dalla stazione, i quattro si guardarono tra loro, un po’ spaesati. Non era la prima volta che lavoravano senza avere Mustang col fiato sul collo, ma non era mai capitato loro da anni la prospettiva di dover lavorare per mesi senza la loro guida.
-Qualcuno di voi ha un loro contatto telefonico?- chiese il sergente maggiore Fury.
-Il generale mi ha dato l’indirizzo a cui spedire la posta, glie lo chiederemo nella prima lettera. Ah, e ha dato anche istruzioni per come scriverle…-
Sospiro generale.
Mustang era quasi paranoico nei livelli di sicurezza delle sue "ricerchine segrete" volte ad avere sempre un’arma di ricatto per questo o quel membro dell’esercito.
Un tempo era stato un’idealista dal cuore puro e che odiava ogni tipo di sotterfugi.
Ora era un’idealista che non esitava a sporcarsi le mani per eliminare i rami morti e le radici marce.
Compresi quindi ricatti e gambizzazioni gerarchiche, se ciò serviva ai suoi scopi.
Del resto, tutti nell’esercito facevano così.
-Bene ragazzi… che si fa stasera?- chiese il maresciallo Falman -Andiamo a bere qualcosa alla salute del generale?-
-Io ho un appuntamento…- rispose con aria sognante Havoc, tirandosene fuori -Finalmente sono riuscito a trovarmi una ragazza senza che Mustang me la soffiasse da sotto al naso…-
Ridendo e dandosi amichevoli pacche sulle spalle, i quattro uomini in divisa lasciarono la stazione, diretti in città, e poi ai dormitori dove vivevano.
-Sarà stata davvero una buona idea lasciarli da soli senza istruzioni a più lungo termine?- chiese Riza, guardando dal finestrino la città scorrere rapida e lasciare il posto alla campagna.
-Fidati. Li smisteranno in vari uffici fino al mio ritorno, sono ragazzi in gamba e parecchi vorrebbero averli nel loro staff. Raccoglieranno molte informazioni interessanti, e quando tornerò, li pretenderò di nuovo nel mio staff. La nostra "scatola nera" mi dà abbastanza argomenti di persuasione. -
Riza sorrise. La "scatola nera" era il termine che usavano per designare la cassetta di metallo a tenuta stagna, con una chiusura degna di una cassaforte, in cui tenevano i documenti e le prove sufficienti per far crollare mezzo esercito.
Ne aveva usati una parte per assicurarsi che Mustang non perdesse gradi in seguito alla insubordinazione e alla ribellione che aveva creato al nord, per avere il tempo di uccidere King Bradley, l’homuncolus a capo dell’esercito. Anzi, aveva fatto un lavoro così buono, tra lei e i ragazzi dello staff, che i nuovi capi provvisori dell’esercito gli avevano lasciato anche il grado di brigadiere generale che gli era stato dato solo per spedirlo al nord.
-La "scatola nera" langue un po’. Abbiamo dovuto usare parecchia merce di scambio per non farle togliere i gradi. Per fortuna, pare che ci siano parecchi che le debbano dei favori. Francamente, quando abbiamo iniziato quella missione suicida, pensavo che ci sarebbe andata grassa a restare vivi e ad essere degradati a soldati semplici. - ammise la donna.
-Ah, ma in tal caso, visti i risultati ottenuti e la formazione del governo civile, avrei abbandonato l’esercito e mi sarei dato alla politica!-
-E io avrei continuato ad assicurarmi che nessuno cercasse di farle la pelle. - sorrise lei, come se si trattasse di una cosa normale -Come le promisi otto anni fa. -
La mente di entrambi tornò a quando erano ancora poco più che ragazzini idealisti, traumatizzati dal primo impatto con la guerra, con la morte quotidiana, col fuoco e col sangue innocente.
-Ha raggiunto il suo scopo: Amestris ha una democrazia, ora. -
-È una democrazia debole e neonata. Basterebbe poco a distruggerla. -
-Allora la proteggeremo e la faremo diventare salda, anche a costo di danneggiare gli interessi dell’esercito. -
Mustang alzò lo sguardo. Un’altra volta, Riza gli aveva letto nel pensiero.
-Non si meravigli: dopo otto anni come suo braccio destro, ho imparato a capire cosa le passa per la testa… più o meno. -
Roy ridacchiò -Sono così prevedibile?-
-Dipende. Per me, si. In fondo, abbiamo lo stesso sogno. - anche Riza sorrise.
Entrambi erano entrati nell’esercito per proteggere le persone, ed entrambi erano stati costretti a macchiarsi le mani di sangue, in un’età in cui si dovrebbe parlare d’amore e pensare con gioia al futuro.
Ed entrambi avevano un sogno: proteggere le persone, perché nessun’altro dovesse più passare ciò.
-Per curiosità… se davvero lasciassi l’esercito per dedicarmi a una carriera politica… come faresti a guardarmi le spalle? - chiese Roy, con un sorriso a trentasei denti.
-Lascerei l’esercito anche io e mi qualificherei come sua guardia del corpo, suppongo. - fece Riza, placidamente, in risposta.
-Umh, ci sarebbe un modo perché tu possa farmi da guardia del corpo ventiquattro ore su ventiquattro…-
-Non credo che ne possiamo parlare finché siamo ancora ufficiali dell’esercito, generale. -
Roy alzò lo sguardo al cielo.
Forse non avevano tutti i torti a definirla "frigida". Anche, se, forse, "donna di ghiaccio" o "maritata col lavoro" sarebbe stato più corretto.
Come si può corteggiare una donna, se questa si ostina a essere in servizio ventiquattro ore al giorno?
-Sai, l’esercito ha fatto un affare ad arruolarti: ti paga per otto ore al giorno di servizio, ma tu lo sei ventiquattro ore su ventiquattro. -
Riza lo guardò, sinceramente stupita dell’affermazione di Mustang.
-Voglio dire, pare che non stacchi mai… santo cielo, da quanti anni ci conosciamo? -
-Da…più di un decennio. -
-E sei sempre fredda come se fossi un estraneo!-
-Non è vero…- Riza distolse lo sguardo -Sono professionale. E la proteggo dalle chiacchiere, così. -
-Sai che le chiacchiere della gente non mi hanno mai toccato…- Roy allungò una mano, per prendere quella di Riza.
-Riza, io…-
Un rumore di passi improvviso li fece sobbalzare, e Riza si affrettò a ritirare la mano.
Era solo il controllore, che dette un’occhiata frettolosa ai loro biglietti, prima di lasciare lo scompartimento.
Ma ormai, il momento magico era spezzato.
Riza si era trincerata dietro un libro, ma Roy notò che, in un’oretta buona, aveva girato si e no due pagine.
Sorrise.
Si, Riza era diversa.
L’unica donna che poteva permettersi di ignorare i suoi sorrisi da rubacuori, la sua corte spietata, eppure, anche l’unica capace di capirlo veramente, di sostenerlo e di essergli leale fino all’ultimo.
Roy Mustang non amava troppo i lunghi viaggi in treno, ma, d’altra parte, in un territorio vastissimo e tendenzialmente pianeggiante come era Amestris, il treno era il mezzo più comodo e veloce per coprire lunghe distanze, data la assoluta mancanza di grandi corsi d’acqua navigabili per lunghi tratti.
Il ritmico sobbalzare del treno e il brusio delle ruote sui binari avevano un effetto ninnananna, e quel giorno si appisolò diverse volte.
Fu svegliato alle sette di sera da Riza.
-Generale… sono le sette di sera. Tra poco serviranno la cena, nel vagone ristorante. - lo scuoteva delicatamente per il braccio destro. Era professionale e distaccata come al solito.
-Cos..? Oh, grazie. - gettò un’occhiata fuori dal finestrino. A novembre, la sera scendeva presto, e alle sette, era già notte fonda. Una pallida falce di luna gettava una luce incerta sulla campagna altrimenti nera e vellutata.
Mustang fece per alzarsi, ma la gamba destra gli cedette, e, con un sibilo di dolore, ricadde sul sedile. Riza gli porse il bastone.
-Mi sento un vecchio bacucco con quest’aggeggio. - sbuffò.
-Tocca portare pazienza. La gamba ha subito gravi ferite, e ci vorrà del tempo perché torni come prima. -
-Parli come il dottore, Riza. -
-Il dottore mi ha solo raccomandato di far si che non si sforzi, generale. - fece lei di rimando, aprendogli la porta dello scompartimento. Roy si rassegnò a raggiungere il vagone ristorante con il bastone. Sentiva il passo incerto, e il movimento del treno non lo aiutava di certo a reggersi in piedi.
Odiava sentirsi così… infermo. Incapace di correre.
Si tastò la tasca sinistra, in cui aveva riposto i suoi guanti speciali, quelli da piromane. Beh, averli lì gli dava un certo senso di sicurezza.
Il vagone ristorante della prima classe era pieno di gentiluomini distinti e di signore eleganti, con abiti attillati e preziosi.
Roy sogghignò: gli ultimi viaggi in treno che aveva fatto, erano stati in treni militari, quindi non tanto comodi. E quando aveva viaggiato per conto suo, era sempre stato in seconda classe.
Non che i soldi gli mancassero, aveva un ottimo stipendio e fondi ingenti per le sue ricerche, in quanto Alchimista di Stato, ma ai ragazzi del suo gruppo i soldi non scappavano dalle tasche, così, per non stare solo, viaggiava in seconda classe, con loro.
Ma stavolta, aveva deciso di non badare a spese.
In parte perché la seconda classe non era certo il luogo più comodo per un convalescente che faticava a muoversi con scioltezza.
In parte perché aveva deciso che, ogni tanto, aveva pur il diritto di godersi un po’ di lussi.
E, soprattutto, farli godere a Riza.
Notò che in mezzo alla folla di gentiluomini e dame, tra i lampadari di cristallo e le poltrone di velluto, loro due, in uniforme, spiccavano parecchio.
Non avevano l’alta uniforme, ma quella normale, e un occhio non abituato a riconoscere le mostrine e i distintivi, poteva scambiarli anche per due giovani ufficialetti freschi di accademia con tanti soldi, figli di papà.
Nessuno dei due dimostrava l’età attorno ai trenta, rifletté Roy, ammirando le movenze sempre eleganti di Riza nello scorrere il menù del giorno.
Con un cenno della mano, chiamò il cameriere.
-Cosa ordina, tenente?- fece, anche se il tono era quelli di un uomo che chiede alla fidanzata "che cosa desideri, cara?"
Riza aveva già scorso rapidamente il menù. -Consommé, le scaloppine, e della frutta. Acqua minerale. -
-Anche per me il consommé, poi filetto al pepe, e… è sicura tenente di non volere il dolce? Ho sentito dire che le pesche alla crema stasera sono favolose…-
-Generale, il dottore le aveva vietato di esagerare con i condimenti e le salse. - ricordò Riza.
-Il dottore può andare a curare i vecchietti! Roy Mustang ha uno stomaco di ferro!- poi si rivolse al cameriere -Pesche alla crema per me e per il tenente, e anche una bottiglia di vino bianco, questo frizzante, qui. - indicò sul menù.
E, prima che Riza potesse protestare, congedò il cameriere.
-Se poi stanotte dorme male, non dia la colpa a me. Io l’avevo avvertita. - sibilò Riza.
-Avanti, tenente, sono due mesi che mangio la sbobba dell’ospedale, lasciami godere la vita, adesso!- Roy fece un sorriso smagliante, e Riza ebbe l’impressione che due o tre dame lì vicino avessero appena sospirato nella direzione del generale.
Lei sospirò: ovunque andasse, Roy Mustang attirava l’attenzione femminile come mosche sul miele. E, ovviamente, le occhiate assassine di uomini che vedevano le loro fidanzate o mogli mangiarsi con gli occhi quel bell’uomo in divisa.
La benda sull’occhio gli dava poi un’aria da reduce di guerra, di eroe sopravvissuto.
-Non so perché, ma ho l’impressione che siamo un po’ al centro dell’attenzione. -
-Abituati, tenente: per me è normale esserlo…- sorrise Roy con aria affabile, mentre il cameriere serviva dinnanzi ai due le tazze col consommé.
-È abituale anche essere mangiato con gli occhi da molte signore e signorine?- chiese ironica Riza, iniziando a sorbire la delicata zuppa dalla tazza di porcellana, col cucchiaio d’argento. Non aveva mai viaggiato in prima classe, ma doveva ammettere che le piaceva, e molto.
-Normale amministrazione. Ma scommetto che con uno di quei begli abiti attillati e alla moda, anche tu saresti ammirata e mangiata con gli occhi dai signori giovani e meno giovani. -
-Da ragazza, a scuola di buone maniere, me li facevano portare. Li odiavo. -
Roy si fermò col cucchiaio a mezz’aria.
-Sapevo che tuo padre ti aveva mandato in una scuola privata… ma non pensavo si trattasse di una di quelle scuole per signorine dove insegnano le buone maniere…-
-A suon di bacchettate sulle dita. Mi ha richiamata a casa solo quando lei è stato accettato come suo allievo. - Riza finì la zuppa e si asciugò le labbra col tovagliolo. Roy si rese conto che non l’aveva mai vista comportarsi così… da vera dama. Era abituato a pensarla come a un eccellente soldato, un aiuto indispensabile in ufficio, un cecchino micidiale, un commilitone di lunga data, ma non come a una raffinata ragazza.
La visione di una Riza in abito da sera gli fece deglutire a vuoto.
-Una sera, erano quasi due anni che lei era suo allievo, mi disse "Perché non lo sposi e non mi dai un nipote maschio che possa essere il mio erede di sangue?"-
A quelle parole, Roy per poco non si strozzò. Passò i successivi due minuti a tossire e cercare di non soffocarsi con il consommé.
-Che COSA?!- chiese incredulo, quando riuscì a smettere di tossire.
Era più che sorpreso. Era esterrefatto.
-Ovviamente gli risposi che ero troppo giovane per sposarmi, e che avrei sposato solo chi volevo io, e non certo qualche ragazzetto arrogante, solo per far piacere a lui. -
-Mi giudicavi un ragazzetto arrogante?- sorrise Roy.
-Beh, non si può certo dire che era un gentiluomo, all’epoca. - rispose lei, versandosi da bere.
Ecco un’altra cosa che Roy ammirava in Riza: pur essendo sempre formale ed educata, non esitava a dirgli ciò che pensava di lui o delle sue idee.
-E adesso, hai cambiato idea?-
Riza lo guardò da sopra il bicchiere. Lei beveva acqua.
-Non è che sta bevendo un po’ troppo, generale?-
Roy guardò il suo bicchiere di vino, appena toccato.
-No, non credo proprio. -
Arrivarono i secondi, e Riza non fece più parola sull’argomento.
Anzi, a dire il vero, la conversazione fu quasi assente fino all’arrivo del dolce.
-Avrei preferito della frutta. - disse semplicemente lei, quando le fu messo davanti una coppa di cristallo con mezza pesca sciroppata coperta di una delicata crema gialla.
-Andiamo, tenente, un piccolo strappo alla dieta può farlo, ogni tanto, no?-
Riza sospirò, calcolando mentalmente quanti piegamenti e flessioni avrebbe dovuto fare per smaltire quei peccati di gola.
Sentendo profumino di cose buone, Black Hayate, che era rimasto molto educatamente ai piedi della padrona per tutta la cena, con la sua ciotola di pappa, si sollevò a mettere le zampe in grembo a Riza prima, e poi a Roy, implorando qualche buon boccone.
Con la padrona era abbastanza difficile, ma aveva imparato che Roy era facile da corrompere con le scodinzolatine, e che allungava buoni bocconi, in mensa.
Infatti, puntuale, gli arrivò un pezzetto di pane con della crema.
Per i cani, i comportamenti umani sono spesso facili da capire: è tutta una questione di odori e di atteggiamenti inconsci.
Per loro, il padrone è il capobranco, o la femmina alfa. Black Hayate considerava Riza la femmina alfa del suo branco, e Roy come il capobranco, sebbene il cagnolino obbedisse agli ordini di Riza.
Tutti gli altri dello staff di Roy Mustang avevano diversi posti nella sua "graduatoria canina" di branco. Il sergente maggiore Fury, per esempio, che era il più giovane e quello di gradi inferiore, lo considerava come un compagno di giochi. Hughes era stato un maschio importante, appena sotto l’alfa, nella sua graduatoria di branco.
Ora, Black Hayate capiva abbastanza bene che il "capobranco" Roy stava tentando di fare la corte alla "mamma" Riza, e che lei era combattuta tra l’accettare o meno questa corte.
Il che lo lasciava piuttosto perplesso, perché aveva vagamente intuito che il "capobranco Roy" era, nel branco degli umani, un maschio abbastanza importante, con molte femmine pronte a contendersi la sua attenzione.
Rinunciando a capire i motivi degli umani, tornò a concentrarsi sulla sua ciotola di carne macinata saltata in padella, condita con gli avanzi delle scaloppine e col sughetto del filetto.
Un buon soldato deve essere capace di prendere sonno, e quindi di riposarsi, in qualsiasi condizione o luogo, quindi anche seduto in treno.
In una cuccetta di un vagone letto, poi, dovrebbe essere facile.
Eppure, la mattina dopo, una Riza fresca come una rosa notò che il generale Mustang aveva la faccia di chi ha dormito poco, male e pure scomodo.
-Le salse e il pepe le sono tornate su tutta la notte?- chiese, con nonchalance.
-No… non so perché, ma non sono riuscito a dormire bene. -
Non osò dire che ogni volta che si girava nello stretto letto della cabina-cuccetta, le ferite riprendevano a fargli male. Riza era, a volte, un’infermiera troppo zelante, che si faceva ubbidire con quello sguardo da "attento, ho una 9 millimetri in fondina". Se avesse aperto bocca sulla gamba e la spalla dolorante, si sarebbe trovato impossibilitato ad alzarsi per il resto del viaggio.
-Invece, per che ora dovremmo arrivare, tenente?-
-Nella tarda mattinata. Possiamo pranzare in uno dei ristoranti in città, poi ho dato disposizioni perché un’auto ci venisse a prendere, assieme ai bagagli, per arrivare a villa Hawkeye. -
-Che organizzazione!- ammirò Roy.
-Ho anche chiamato il custode perché pulisse e arieggiasse le stanze, così non ci troveremo dentro ragnatele decennali. -
-Da quanto tempo è che non torni a villa Hawkeye?-
-Da quando è morto mio padre, e mi sono arruolata. - non c’era la minima inflessione di tristezza o rimpianto in quelle parole. Era solo un dato di fatto. -Ho incaricato un uomo di controllare la villa, fare le riparazioni necessarie di tanto in tanto, e ora di far pulire e arieggiare i locali. L’ho sempre tenuta come… una forma di investimento. Per il futuro. -
Non disse che quella casa era piena di ricordi dolceamari, per lei. Che preferiva chiudere in un cassetto e gettare la chiave i ricordi belli assieme a quelli brutti e tristi, e di pensare alla Riza in quella casa come a un’altra persona.
In fondo, era quasi un’altra persona.
La signorina per bene era chiusa in quella casa, e fuori c’era il soldato, il cecchino, il tenente.
-Non è cambiata per nulla, in tutti questi anni. - fu il primo commento di Roy, giunti di fronte a Villa Hawkeye.
Gli alberi erano un po’ più alti, e il glicine aveva colonizzato l’intera facciata, contendendosi spazio vitale con un gelsomino. Ora, erano solo rampicanti senza foglie, nella pallida luce di fine novembre, ma promettevano grandi cose per la primavera.
-Invece, noi lo siamo, e molto. - sorrise Riza tra sé e sé, ricordando quando aveva lasciato la sua casa natale per andare ad arruolarsi.
-Forse meno di quanto non pensi. - le rispose sottovoce Roy.
In quel momento, furono raggiunti dal custode, che consegnò le chiavi a Riza. Poi andò ad aiutare l’uomo che li aveva portati fin lì con la macchina a portare dentro, nelle due stanze da letto, i bauli con gli effetti personali.
Il salone d’ingresso era esattamente come Riza ricordava: ampio, col soffitto altissimo e l’imponente lampadario di cristallo, comunicava la sensazione di essere piccoli e insignificanti.
Era immerso nella penombra, perché alcune finestre erano ancora sbarrate.
L’inverno era freddo, e non conveniva tenere tante finestre non sbarrate.
-Accidenti, mi sembra di essere tornato alla prima volta che misi piede qui dentro…- commentò Roy.
Riza andò ad aprire una porta, e il calore e la luce di un bel fuoco li accolsero, nel salotto.
-Anche qui, nulla pare cambiato. Era una delle mie stanze preferite. - disse lei, entrando.
-Non so quanto sia stata una buona idea venire qui in pieno inverno, generale. - Riza si voltò, sobbalzando: Roy le era arrivato proprio dietro di lei.
-Senti… dato che qui non c’è nessuno che possa chiacchierare su di noi… che ne dici di lasciar perdere il "generale", il "tenente" e il darmi del lei e compagnia bella? Mi fa strano chiamarti "tenente" qui, dove ti ho sempre chiamato per nome. -
-Ma… generale…-
Roy le mise un dito sulla bocca. -Roy. D’accordo? E basta col darmi del lei. Sono in permesso, ora, quindi fuori servizio. E anche tu. Rilassati, e goditi questa vacanza. -
-Non è una vacanza. Il mio compito è sempre proteggerla. - Riza si allontanò di qualche passo. -Forse è stato un errore, venire qui. -
Un crepitio e scricchiolio di pelle la informò che Roy si era appena seduto su quella che anche un tempo era la sua poltrona preferita, una larga, bassa poltrona di pelle marrone vicino al fuoco.
Riza ne aveva sempre preferita un’altra, più alta e rigida. Roy diceva che, quando sedeva lì a leggere, pareva il soggetto perfetto per uno di quei dagherrotipi di quando la fotografia era ai suoi albori, e occorreva stare fermi immobili per quaranta secondi per imprimere una lastra fotografica.
Lei rideva e diceva che non sarebbe mai riuscita a restare immobile così a lungo.
-È stata un’ottima idea, invece. - Roy si stiracchiò e si accoccolò nella poltrona -È un posto tranquillo, abbastanza isolato, lontano dagli scocciatori. La città è abbastanza vicina per avere qualche che serve, ma abbastanza lontana perché non ci sia casino. Inoltre, la compagnia femminile è deliziosa. - sorrise.
Riza sospirò, passandosi una mano in fronte.
-Vado a vedere in che condizioni sono le camere. - disse, lasciando il salotto.
Black Hayate guaì, diviso tra l’istinto di restare al calduccio, accanto al fuoco, o il seguire la padrona.
-Resta qui. - lo liberò lei dall’incertezza, e il cane si acciambellò beato accanto al fuoco.
Le camere erano pulite e in ordine, ma quando fece per aprire il suo vecchio armadio, Riza quasi soffocò per l’odore di naftalina.
Santo cielo, aveva dimenticato che aveva letteralmente imbottito gli armadi di quella roba, prima di chiudere tutta la casa e partire per arruolarsi!
Con un sorriso, tirò fuori i suoi vecchi vestiti di quando era ragazzina.
Se ne accostò uno al corpo. Probabilmente le stavano ancora bene, anche se forse le avrebbero tirato un po’ sulle braccia. I suoi muscoli erano quelli di un soldato, non quelli di una ragazzina reduce dalla scuola di buone maniere.
Appese la divisa a una gruccia, infilandola nell’armadio semivuoto, e faceva uno strano contrasto, accanto al vestito delle feste di morbida lana azzurra, bordato in nero.
Da che ricordava, aveva sempre avuto qualcosa di nero, indosso, da quando era morta sua madre.
Guardò con aria critica i suoi vestiti "civili", meno di un terzo rispetto ai vari pezzi della sua divisa militare nel baule.
Aveva portato con sé tutti i suoi effetti personali, quindi anche la divisa ordinaria, due giacche, due paia di pantaloni, e le magliette che indossava sotto, l’alta uniforme, con quella lunga e scomoda gonna e la giacca con le medaglie e i bottoni d’argento, le pistole d’ordinanza, la rivoltella, il fucile e la sciabola d’ordinanza.
Posò distrattamente la rivoltella sul cassettone, fissando poi il singolare contrasto di quell’arma accanto alla bambola di porcellana in abiti di trine, accessorio indispensabile nella cameretta di una signorina per bene, ma che in quella di un tenente risultava quasi surreale.
-Riza, ma quanta naftalina hai messo negli armadi?- chiese la voce di Roy, dalla porta aperta.
La ragazza si voltò di scatto: Roy era arrivato su fino alla porta della sua camera e lei, assorta nei suoi pensieri, non l’aveva neanche sentito arrivare.
Ah, già: c’erano tappeti su tappeti, in quella casa, che attutivano gli scricchiolii del parquet antico.
-Parecchia. Il mio ucciderebbe una tarma a una decina di metri di distanza. - sorrise.
-Che poi, quello della mia camera è assolutamente vuoto. -
-Almeno, la divisa non rischierà di essere divorata dalle tarme, in questi mesi. -
-In questo non sei cambiata: riempivi tutti gli armadi, usati e non, di naftalina. -
-Se non altro, ho ancora tutti i miei vestiti di ragazza. - osservò con aria critica i pochi vestiti civili che aveva: solo ora si rendeva conto che lei viveva sei giorni alla settimana in divisa. -Mi ci vorranno, temo. Ho un solo vestito invernale. In compenso, ho tre divise complete. -
-Di solito le donne viaggiano con un sacco di bagagli. Confesso che sono rimasto sorpreso nel notare che il mio baule è il doppio del tuo!-
-Non ho mai avuto bisogno di grandi abiti da sera, ultimamente.-
Roy ridacchiò, avanzando, e tirando fuori un vestito color giallo, con una sottogonna di pizzo bianco, dall’armadio. Aveva delle maniche a palloncino, ma era molto accollato sulla schiena e sul petto.
-Oh, questo lo ricordo… il primo giorno che ti vidi così, scendesti per colazione con questo, e io rimasi imbambolato a fissarti, col cucchiaio pieno a mezz’aria!-
Roy non aggiunse che era stato in quel momento che si era reso conto di come Riza non fosse una ragazzetta, una "sorellina", ma una giovane donna in boccio.
-Si, e poi mio padre mi vietò di indossarlo perché la faceva distrarre. - Riza glie lo prese gentilmente di mano e lo rimise via.
-Prometti che quest’estate lo rimetterai. -
-Dipende se ci entro ancora. - fece elusiva lei. Roy però era soddisfatto: non era stato un no.
Il lattaio portava il latte ogni mattina, l’ortolano la verdura e un fattorino recapitava il resto della spesa. In teoria, non avevano motivo per andare in città, ma Riza insisteva, diceva che Roy doveva muoversi, per recuperare in fretta l’uso completo della gamba. E a Roy non dispiaceva.
Dimesse le divise, quando passeggiavano per la strada principale, parevano quasi come una felice coppietta.
La prima volta che una bella donna fece l’occhiolino a Roy, lanciandogli un esplicito messaggio ("arrhh bel maschione, sono una bella donna in cerca della compagnia di un bel gentiluomo") e lui la ignorò, Riza gli mise una mano in fronte, temendo che scottasse per la febbre.
Invece, lui le aveva sorriso, le aveva preso la mano nella sua, e avevano continuato a passeggiare come se nulla fosse.
Beh, lei era arrossita, ma si poteva, forse, attribuire all’aria fredda di quel giorno.
Di colpo, però, sfilò la mano guantata da quella di Roy: una donna pressappoco della sua età le stava venendo incontro.
-Ma tu sei Riza Hawkeye! Da quanto tempo!-
Era vestita all’ultima moda, con una pelliccia e un cappellino che da soli dovevano valere quanto un intero anno di stipendi di Riza, il che non era affatto poco.
La ragazza la fissò qualche istante, prima di riconoscerla.
-Mariela! Che piacere vederti!- mentì spudoratamente, tirando la bocca in un sorriso forzato.
Erano state alla stessa scuola di buone maniere, fino all’età di dodici anni, ma lei era felice di dover solo imparare come mangiare a tavola e come ballare.
-Che fine hai fatto, in tutti questi anni? Avevo sentito dire che ti eri arruolata, ma vedo che invece ti sei sposata…-
Riza arrossì immediatamente -N… no, guarda, sono sempre nell’esercito, lui è il Brigadiere Generale Mustang, ho il compito di fargli da guardia del corpo. -
La donna la guardò con l’aria di chi la sapeva lunga. Poi guardò il "generale"; lo guardò ancora e ancora.
-Accipicchia, è proprio quello delle foto dei giornali!- disse, guardando Riza con la faccia da "ma allora è vero quel che mi hai detto!"
Roy sentì una gocciolina scendergli sulla tempia.
-Tenente, chi è la signora?- chiese a Riza, intuendo che Riza, in quel momento, voleva evitare gossip a loro carico.
-È una mia compagna di scuola, generale. Generale Mustang, Mariela Mondel. Mariela, il Brigadiere Generale Roy Mustang. - fece le presentazioni.
Roy fece un mezzo inchino, ma non fece il baciamano né le altre smancerie che un tempo avrebbe fatto in abbondanza a una bella signorina. O signora.
-Così sei davvero nell’esercito, Riza? E, dimmi, cosa fai? Un lavoro di ufficio, immagino…-
-Sbagli Mariela, sono tenente e il mio compito principale è scortare il generale Mustang e guardargli le spalle dagli innumerevoli nemici che ha. - Riza apparve infastidita dalla sottovalutazione delle sue capacità e compiti nell’esercito. -Mi sono guadagnata i gradi a Ishbar. -
-Ishbar? Ma… ma quanti anni avevi? Cioè, quando te ne sei andata, la guerra all’est…-
-All'ultimo anno di accademia militare. - fece, come se fosse una cosa normale che una ragazza di neanche venti anni sia mandata in guerra a sparare alla gente.
Dopo il primo saluto, Roy pareva aver perso interesse per la signora, infatti stava accarezzando sulla testa Black Hayate, con aria indifferente.
-E tu, Mariela, che cosa hai fatto in questi anni?-
-Oh, io mi sono sposata, come voleva papà, mio marito è un uomo d’affari, e mi compra tutto ciò che desidero! Abbiamo anche tre bambini, ma ora sono a lezione con i loro insegnanti privati. - era chiaro che la donna si stava vantando, tentando di vedere una scintilla di invidia negli occhi della ex compagna di scuola per signorine.
-Sono felice per te. È stato un piacere rivederti, ma ora dobbiamo proprio andare… - le porse la mano da stringere.
La donna glie la strinse, poi si allontanò, diretta alla sua dorata vita di moglie di uomo d’affari.
-Non sembravi troppo dispiaciuta che ci avesse scambiato per marito e moglie. - fece notare sorridente Roy.
Riza era tornata rossa, alle parole dell’uomo -Forse se non mi tenesse per mano come due scolaretti, la gente non si farebbe strane idee…-
-Perché strane? Trovo siano idee molto carine. -
Riza lo guardò in faccia.
-Le è tornata la febbre con questo freddo?- fece lei con occhio critico.
-Riza, guarda che…-
-Si sta facendo tardi, è meglio che cerchiamo una vettura a noleggio per tornare a casa!- lei si allontanò di qualche passo, ma a Roy non era sfuggito il fatto che avesse le guance e le orecchie rosse.
Aveva indosso un cappotto color panna. Le rare volte che l’aveva vista con abiti civili, erano sempre colori chiari e delicati: panna, avorio, beige e tortora, con qualche tocco di celeste o rosa antico. Era elegante e discreta, e i capelli raccolti nella sua tipica, severa pettinatura non facevano altro che evidenziare il collo ben modellato e i tratti del volto.
Si trovò a pensare che era molto più affascinante delle appariscenti donne che era solito frequentare in passato.
Se non altro, con lei era sicuro… rabbrividì al pensiero di una orrenda esperienza che aveva avuto un paio di anni prima. Da quel momento, era sempre stato amor platonico con le donne, almeno finché non era certo che fossero davvero donne.
(questa è una citazione a una very-short-fiction di circa 120 parole, "Roy in trappola!", un piccolo sclero mentale che ho scritto tempo fa… n.d.Ilune)
Nella berlina a noleggio, Riza non disse una parola, e Roy risparmiò il fiato per un momento più adatto.
Voleva un ambiente più discreto e comodo di una vettura a noleggio.
-Oh, no, si è spento il fuoco!- constatò Riza. La casa era vecchia, e non aveva l’impianto di riscaldamento centralizzato, ma solo stufe e camini.
Un crepitio, e una enorme, calda fiammata si levò dai ciocchi.
-Nessun problema. - fece Roy sorridente, già con la giacca piegata sul braccio, e una mano coperta dal suo guanto speciale -Altrimenti a che serve essere un "piromane arrivista"?-
-Se ne ricorda ancora?-
-Beh, te l’ho detto, lo considero un complimento. Se non fossi un dannato arrivista, sarei ancora a fare il tenente colonnello. E piromane, beh, temo di esserlo. Fin da quando ero bambino, mia mamma tremava ogni volta che mi vedeva avvicinarmi a una candela, perché sapeva che mi ci mettevo a giocare o a fissare la fiamma per ore!- si sedette sulla sua poltrona preferita.
-Vado a preparare per la cena. - disse Riza.
In realtà, non cucinava lei: la moglie del custode veniva ogni mattina, preparava il pranzo e qualcosa per la cena che fosse buono anche scaldato, puliva un po’, e se ne andava.
La sala da pranzo era esposta a nord, ed era fredda e umida. Malgrado non fosse molto dignitoso, avevano notato che era più comodo mangiare in cucina, con il calore dei fornelli e della stufa e tutto a portata di mano.
-Aspetta, vengo a darti una mano!- disse come al solito Roy, finendo poi, come al solito, relegato a sedere, perché senza il bastone faceva ancora fatica a muoversi per più di pochi passi, con la gamba che minacciava sempre di cedergli.
-Continuo a non capire perché ha insistito per venire a fare convalescenza in questo posto che, d’inverno, è sperduto e gelido. - Riza guardò fuori della finestra -E da domani, sarà anche pieno zeppo di neve. -
Infatti, stava iniziando a nevicare.
-Beh, ci sono dei bei ricordi, qui… e poi, è tranquillo e-
-lontano dai chiacchieroni. Non ci conti: ora che Mariela ci ha visti, diffonderà la voce tra tutte le ragazze che frequentavano quella scuola con me. Saremo SOMMERSI di "visite di cortesia" volte a caccianasare nella nostra vita privata. - Riza pareva molto seccata.
-Ma dai, per loro siamo sempre e solo due ufficiali, uno in convalescenza e l’altro al lavoro. -
-Non si illuda. - terminò lei, riprendendo a mangiare.
Riza finì di mettere i piatti nel lavello. Ci avrebbe pensato la moglie del custode, l’indomani.
Accipicchia, erano quindici giorni che erano lì, e non aveva ancora imparato come si chiamava quella donna.
Si ripropose di rimediare alla mancanza.
Tornò nel salotto, la stanza più calda della casa. Sicuramente, le loro stanze erano ancora piuttosto fredde, anche se aveva già acceso le stufe.
Roy era seduto sulla poltrona, e leggeva un libro, alla luce del fuoco. Riza gli accese la lampada sul tavolo vicino.
-Non deve sforzare l’occhio così. - lo rimproverò, ma dolcemente.
-Avevo appena iniziato. - replicò lui, in tono di scusa.
Anziché sedersi, Riza andò alla finestra, poggiandosi al balcone interno. Era di legno, e quindi tiepido. La neve fuori scendeva, morbida e silenziosa, sul giardino appena rischiarato dalla luce che proveniva da quell’unica finestra con le serrande aperte.
Era uno spettacolo ipnotico, tanto che Riza non notò lo scricchiolio della pelle della poltrona, quando Roy si alzò, e si avvicinò a lei.
Sobbalzò quando lui le circondò le spalle con un braccio, e istintivamente, fece per sottrarsi, guardando attorno agitata.
-Rilassati. Non c’è nessuno che possa vedere e criticare. - disse Roy.
Era vero, nessuno dell’esercito lì poteva vederli e andare a fare la spia che tra il Brigadiere Generale Mustang e il tenente Hawkeye c’era di più che un rapporto di lavoro.
-Immagineranno e chiacchiereranno lo stesso, in questo anno in cui non saremo al Comando Generale. - fece notare lei.
-Beh, lo faranno anche se ci comportiamo come due pezzi di ghiaccio, quindi tanto vale stare un po’ più rilassati, no?-
Riza sospirò -Lei non pare rendersi conto che delle voci con qualche parvenza di fondamento su una relazione tra noi due potrebbero danneggiarla, e parecchio, anche!-
-Chissenefrega, ho abbastanza argomenti per far tacere chiunque osi sparlare…-
-Generale, i rapporti personali tra capo e subordinati sono fortemente osteggiati nell’esercito. E sa che ci sono persone che non vedono l’ora di allontanare da lei il suo cecchino di fiducia!-
-Si, ma queste persone non sono qui, ora. Ragion per cui… che ne dici di piantarla col "Generale" e col darmi del lei?-
Riza non disse nulla.
-Anzi, dato che non riesci ad accettare questo invito, ti ordino di non chiamarmi più generale quando siamo solo noi due!- sorrise Roy.
Riza sospirò, ma c’era un sorriso sulle sue labbra.
-Lei è davvero un uomo impossibile, Mustang…-
Anche Roy sorrise.
Bene, un piccolo passo era fatto.
-Ah! Senti… tra ventitre giorni è Natale…cosa vorresti come regalo?-
Riza lo guardò come se avesse preso una botta in testa.
Regalo? Natale?
Da otto anni, da quando aveva terminato l’addestramento ed era diventata un membro dell’esercito, il Natale lo passava in caserma o, più tardi, in ufficio, coprendo i turni di coloro che si prendevano le ferie per tornare dalla famiglia.
Lei non aveva una famiglia a cui tornare, e quella festa comandata, in cui tutti erano più buoni e ci si scambiava regali tra gli amici e parenti, le sembrava sempre vuota.
Ommeglio, aveva qualche lontano parente, ma suo padre aveva tagliato i ponti con tutto e tutti quando sua madre era morta. Dubitava persino che ci fosse qualche parente che si ricordasse di lei.
Preparava dei pensierini per i ragazzi dell’ufficio, e loro ne facevano a lei, ma poi tornavano in famiglia per le feste, e lei rimaneva sempre sola, nell’ufficio deserto.
Ultimamente c’era Black Hayate, ma un cane non sostituisce una famiglia, per quanto affettuoso fosse.
-Siamo un po’ grandini per Babbo Natale, non trova?-
-Beh, io, da quando sono qui, mi sento tornato un ragazzino. A te non succede?-
Riza non rispose, ma neanche da bambina aveva avuto grandi feste di Natale.
Non da quando sua madre era morta, e lei all’epoca non aveva ancora quattro anni.
Da allora, Natale era una cena con il signor padre nella solenne sala da pranzo delle grandi occasioni, con tanti cibi che non le piacevano, e una scatola con una bellissima bambola di porcellana che lei accettava con un sorriso, ma che poi finiva negletta su una mensola.
Suo padre le aveva regalato una bambola anche l’ultimo Natale che avevano passato assieme. E lei era già diventata fisicamente donna. Quell’anno aveva sperato ardentemente in un vestito da signorina, un bell’abito con cui apparire una giovane donna, non più una bambina.
E invece, una bambola.
-Non ho ricordi di gran bei Natale, in questa casa. - rispose lei -Anzi, a dire il vero, non ho per niente ricordi di bei Natali. -
Scivolò via dalla finestra.
-Buonanotte, Mustang. Si sta facendo tardi, e ormai le stanze saranno calde. - lo salutò con un sorriso un po’ triste.
-B… buonanotte…-
Seduto sulla poltrona, Roy ripassò mentalmente gli anni che aveva vissuto in casa Hawkeye. A Natale tornava dai suoi genitori, ma gli pareva in effetti che Riza non fosse mai stata troppo entusiasta della festività in arrivo, da ragazzina. La casa non veniva addobbata, e, a pensarci bene, dubitava che il maestro Hawkeye si fosse mai interessato a cosa potesse gradire in dono la figlia.
Qualche volta, si era anche chiesto se quell’uomo, tanto orgoglioso di lui, provasse davvero dell’affetto per sua figlia.
In fondo, l’aveva usata per assicurarsi che le sue ricerche non cadessero in mano sbagliata, tatuandogliele sulla schiena.
Non sospettando certo che, poco dopo la sua morte, la figlia, custode obbligata dei suoi segreti, li mostrasse, quasi con rabbiosa vendetta, al suo unico allievo, proprio lui, Mustang.
All’epoca, ansioso solo di migliorare come Alchimista di Stato, aveva prestato attenzione solo al complicato tatuaggio sulla schiena di Riza, nel copiarlo per impararlo a memoria, assieme a tutte le note codificate che spiegavano i segreti dell’alchimia del fuoco.
Ora, invece, si dava dello stupido, per non aver notato la grazia e la bellezza di quel corpo che doveva portare quei segreti, volente o nolente.
Alzò lo sguardo, in direzione delle camere da letto.
Sicuramente dormiva, ora, con quel pigiama assolutamente privo di alcunché di femminile che aveva intravisto mentre lei disfaceva i bagagli, due settimane prima.
Non aveva molto di femminile da indossare, anche i suoi abiti civili erano discreti ma più pratici che veramente eleganti.
Sorrise.
Ora sapeva cosa avrebbe potuto regalarle, per Natale.
Doveva solo procurarsi un suo vestito, per le misure.
Cosa non propriamente facile…
E, ovviamente, il necessario per un bel Natale.
continua...
post scriptum post produzione e commenti alle recensioni:
DOPO aver scritto questa storia, ho trovato nel manga una nota di Arakawa-sensei che dice che nel mondo di FMA non ci sono festività come Natale e San Valentino (mannaggia, saranno scontati ma sono ottimi spunti narrativi!), quindi chiudete un occhio, ok? Il Natale mi serviva come spunto narrativo, specie perché in Giappone non è vista come festa religiosa, ma come occasione per scambiarsi doni, stare con la famiglia o gli amici a fare festa, e magari dichiararsi pure. Dall'anime si capisce che il nostro mondo e quello di FMA un tempo erano uniti, o correvano paralleli. Poi, in quello di FMA il cristianesimo è scomparso, circa 300 anni prima della storia (Hohenaim ha scritto una lettera piuttosto "compromettente" a Dante nell'ultimo periodo in cui tale religione era nota), quindi potremmo giudicare il Natale qui descritto come un residuo di tale festa, ormai trasformato in un'occasione commerciale e in una scusa per fare festa con amici e parenti. Insomma, come in Giappone
Grazie a tutti per i complimenti =^^= metto sempre un'attenzione quasi maniacale nello stile con cui scrivo: mi parrebbe una mancanza di rispetto verso i personaggi, l'autore originale e i lettori preparare una bella storia in una confezione scadente. Peggio ancora andare OOC in una storia che non sia stata pensata appositamente per essere comica.
Certo che la storia continuerà, a dire il vero è praticamente finita, sto solo facendo le ultime letture, le ultime limature, l'ultima caccia maniacale agli errori di battitura (ma se ne trovate, non esitate a segnalarmeli!)
Infine, io AMO questa coppia. Sono adulti, non ragazzini, il che mi permette di passare dal gioco amoroso della prima cotta, tipico di altre storie, a una relazione sentimentale di una coppia di adulti, quindi con situazioni più mature, il guardare assieme concretamente a un futuro, cercando le certezze di una vita assieme (il che di solito non si riscontra nelle relazioni tra teen ager). Oltretutto, posso lasciarmi andare a capitoli speciali lime senza sensi di colpa: sono maggiorenni, vaccinati ed è ora che si diano una mossa sennò qui li vedremo in casa di riposo assieme, ancora a darsi del lei :lol: (oddio che visione inquietante... ma anche un po' triste ^^; )
  
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