AVVERTENZE: QUESTA FANFICTION è POST-DEATHLY
HALLOWS, CONTIENE PERTANTO SPOILERS PER QUANTO RIGUARDA IL SETTIMO LIBRO
DI HARRY POTTER. SE NON L'AVETE LETTO E CERCATE DI RISPARMIARVI LA SORPRESA (E
IN QUESTO CASO, AUGURI!) è MEGLIO CHE USCIATE DI QUI ALLA VELOCITà DELLA LUCE.
Okay, questo libro mi ha spedito su un altro pianeta: sono giorni che
non riesco a pensare ad altro. Diciamo solo che per il cuoricino di una R/Hr
shipper come me, il libro è stato una dura botta. Questa è solo la prima di
quella che spero essere una lunga serie di one-shot, dedicate ai missing
moments di Deathly Hallows: ce ne sono così tanti da metter giù che non saprei
proprio da dove cominciare.
Chiarire cosa è successo subito dopo la fine dell'ultimo capitolo mi è
sembrato essenziale, ed è su questo che verte questa fanfiction.
Ammetto di esserci andata giù pesantemente con romanticherie varie, ma
.. abbiamo vinto! Quindi è del tutto lecito, giusto? Giusto.
E finalmente il mio nickname ha un senso, hihihi (smetterò di
gongolare prima o poi) ..
Ho straparlato anche troppo, se non vi ho ancora spaventati, avanti
con la lettura!
Questa fanfiction è dedicata a tutti i Ron/Hermione shipper, perché
dopo 6 libri e 502 pagine, CE L'ABBIAMO FATTA! E in particolare a Eli,
perché si sorbisce tutti i miei sfoghi su Ron/Hermione, Espiazione e
specialmente su Nessie, e a Sara, perché non mi ha mandata a quel paese
quando - leggendo Deathly Hallows in camera mia - mi mettevo a saltare e urlacchiare
tutte le volte che succedeva qualcosa tra Ron ed Hermione. Graziee!
* * *
Everything
Find me Here
Speak To Me
I want to feel you
I need to hear you
You are the light
That's leading me
To the place where I find peace
again.
You are the strength, that keeps me
walking.
You are the hope, that keeps me
trusting.
You are the light to my soul.
You are my purpose...you're
everything.
How can I stand here with you and not
be moved by you?
Would you tell me how could it be any
better than this?
You calm the storms, and you give me
rest.
You hold me in your hands, you won't
let me fall.
You steal my heart, and you take my
breath away.
Would you take me in? Take me deeper
now?
[...]
Cause you're all I want, You're all I
need
You're everything, everything
You're all I want your all I need
You're everything, everything.
You're all I want you're all I need.
You're everything, everything
You're all I want you're all I need,
you're everything, everything.
(Lifehouse - Everything)
Si rigirò per l'ennesima volta, soffocando un'imprecazione quando si
rese conto che il lenzuolo gli si era aggrovigliato attorno ad una gamba.
Dannazione, si ritrovò a pensare, mentre cercava un modo
più o meno indolore di distriscarsi dalla matassa informe di stoffa.
Ci rinunciò dopo un paio di inutili tentativi.
Ricadde pesantemente indietro sul materasso, ritrovandosi a fissare il
soffitto.
Per la .. duecentotrentesima volta?
Qualcosa di simile, sì.
Solo il respiro regolare e profondo di Harry, e il gracchiare improvviso
di quello di Neville (era sussultato più di una volta, tanto più che non
smetteva di borbottare cose senza senso riguardo serpenti enormi, teste
mozzate, spade di Grifondoro, eccetera eccetera), interrompevano il silenzio,
con cadenza estenuantemente fissata.
La verità è che non ne poteva più.
Sì, erano appena reduci da una battaglia epica, e sì Harry aveva
finalmente sconfitto il fantomatico Voldemort e .. sì, avevano vinto quello
scontro che aveva posto finalmente fine alla tremenda minaccia che Tom Riddle
era stato per tutto il mondo magico e non.
Eppure Ron Weasley, era troppo agitato per potersi permettere un sonno
tranquillo. Troppe cose gli saettavano per la testa, a partire dagli scontri
sul campo di qualche ora prima, per poi passare alla morte di suo fratello Fred
- al solo pensiero sentiva lo stomaco contrarsi dolorosamente, e il respiro
mancargli per una quantità indefinita di tempo - e infine per equilibrare lo
sconforto di quelle immagini ancora così vivide nella sua memoria, si sforzava
di ricordare la scena di poco precedente alla terribile perdita che la sua
famiglia aveva subito.
Solo in quel momento riusciva a rammentare l'esatto rumore di tutte
quelle zanne di Basilisco che cadevano a terra, una dopo l'altra, senza alcun
controllo. Era convinto di poter sentire ancora la pressione delle braccia
esili di Hermione sulle sue spalle. Era certo che quel buon profumo di pulito,
che era così sicuro di sentire anche in quel momento, le appartenesse. Ed era
più che persuaso che quel sapore così dolce che aveva in bocca fosse quello
delle sue labbra.
Aveva fantasticato notte e giorno, su un periodo di tempo che si
allungava su ben tre anni, su che sapore avessero avuto quelle labbra.
Era solito fissarla mentre si concentrava in questo o quel tema
assegnato la mattina stessa; amava quella sua abitudine di mordersi il labbro
inferiore, gli occhi fossi sulla pergamena già fitta di parole, segni e numeri,
scritti in quella sua calligrafia minuta e perfetta.
Sbuffò sonoramente, una volta resosi conto di essersi perso nuovamente
in quella valle di pensieri che stava cercando ardentemente di riuscire ad
evitare, almeno fino alla mattina successiva.
Battè una mano sul materasso: un rumore ovattato si spanse per tutta
la stanza. Neville mugugnò qualcosa di incomprensibile rigirandosi di nuovo;
Dean strascicò un paio di parole di cui Ron non riuscì a cogliere il
significato; Seamus era completamente raggomitolato nella sua coperta; Harry
continuava ad avere quello stupidissimo mezzo sorriso fisso sulle labbra, gli
occhiali poggiati sul comodino di fianco al suo letto, come se fosse stata una
notte qualunque, di un qualunque giorno che trascorrevano ad Hogwarts, di uno
qualsiasi dei sei anni in cui l'avevano frequentata.
Si coprì il volto con entrambe le mani: non sapeva se essere incredulo
o stordito.
Felice o triste. Non sarebbe mai riuscito a godersi quella vittoria
fino in fondo. Lo sentiva distintamente quel retrogusto amaro, quel veleno che
era riuscito ad intaccare quel giorno, che nel suo immaginario, era sempre
stato di gioia più totale.
L'unico pensiero che riusciva a farlo sorridere un po' più
spontaneamente (assieme a quello di Hermione, ovviamente) era la più che
radicata convinzione che se Fred avesse potuto dirgli qualcosa in quel momento,
sarebbe stata sicuramente un'esclamazione di rimprovero e scherno allo stesso
tempo.
Gli avrebbe detto che anche i più affascinanti muoiono, che l'avevano
voluto togliere di mezzo perché avevano paura che potesse conquistare il mondo
con il suo magnetismo animale, gli avrebbe detto che preferiva essere morto che
ritrovarsi quell'orrenda faccia segnata dalla stanchezza che Ron, invece,
aveva, l'avrebbe sicuramente spinto a ridere e a godersi il successo, perché in
fondo era quello in cui Fred e George eccellevano: sdrammatizzare. E non lo
facevano in modo volgare o totalmente fuori luogo, sembravano non farsi mai
abbattare dalle circostanze, e dopotutto - Ron sembrò sentire ancora una volta
la voce di Fred rieccheggiargli nella testa - se Percy era capace di scherzare,
allora i miracoli esistono!
"E se i miracoli esistono, Ronnie, sta' pur certo che non
morirai vergine", la voce di Fred aveva parlato di nuovo nel silenzio
della sua mente.
Il pensierò gli strappò un debole sorriso che non accennò a cadere per
un minuto buono.
Un rumore improvviso lo costrinse a rialzare il capo: Neville aveva
battuto la testa alla testiera del letto e anche se sembrava non curarsene più
di tanto, il rumore rimase sospeso nella camera silenziosa per quella che a Ron
parve un'eternità.
Lanciò un'occhiata alla porta, indeciso: non sapeva cosa voleva fare
esattamente, ma la luce fuori dal castello ancora mancava, e non aveva idea di
quante ore dividessero ancora la notte dall'alba; in ogni caso il colore scuro
del cielo non gli suggeriva niente di buono, o almeno nessuna soluzione rapida
e indolore alla sua evidente insonnia.
Senza rendersene conto scivolò giù dal letto, portandosi dietro il
lenzuolo ancora allacciato alla sua caviglia.
Saltellò sul posto, sgranando incredibilmente gli occhi quando il
piede bloccato lo fece traballare pericolosamente e si sarebbe schiantato
sicuramente sul pavimento se non avesse avuto l'accortezza di appoggiarsi ad
una delle colonne del baldacchino.
Si maledisse mentalmente, prendendo la bacchetta che aveva lasciato
sul comodino.
Con un "Relascio" smozzicato a mezza voce, riuscì
finalmente a liberarsi dalla morsa del lenzuolo assassino. Restò fermo ed
immobile per una manciata di secondi prima di decidersi ad infilarsi le scarpe
e a prendere il mantello abbandonato ai piedi del letto.
Lanciò un'ultima occhiata ai compagni di stanza mentre usciva
silenziosamente dalla stanza; nessuno, ne era più che convinto, aveva fatto
caso a lui, troppo presi dai loro momentanei successi onirici.
Richiuse la porta con cautela, alzando automaticamente lo sguardo
verso le scale del dormitorio femminile.
Deserte.
Sbuffò senza preoccuparsi di svegliare alcuni dei quadri appesi per il
corridoio, di certo non era la sua priorità quella di curarsi dei sonnecchianti
occupanti di quelle cornici così vecchie e consunte: pure loro riuscivano a
dormire meglio di lui!
Cominciò a scendere verso la Sala Comune, nel buio quasi totale,
qualche torcia qua e là rischiarava il passaggio.
Era arrivato al piano dei dormitori maschili del secondo anno - quasi
in fondo, praticamente - quando andò a scontrarsi con un'altra ombra informe
che non fece in tempo a distinguere all'ennesima ansa della scala a chiocchiola
immersa nell'oscurità che si snodava su per la Torre di Grifondoro.
Avvertì un tuffo al cuore estraendo contemporaneamente la bacchetta in
un gesto così rapido che probabilmente stupì anche lui stesso.
La puntò contro chiunque fosse quell'ombra, e in un attimo la
vittoria, il successo e l'aver cancellato tutto quel pericolo e quella paura
che avevano oppresso il loro mondo, svanirono nel nulla: restare all'erta e con
le orecchie ben tese era stata una delle sue priorità in quell'ultimo
turbolento anno della sua vita, ma non solo, era anche diventata una specie di
abitudine alla quale doveva ancora imparare a rinunciare.
Chi gli stava di fronte, comunque, non fu sorprendentemente da meno,
perché se lui era riuscito a puntare la bacchetta su quello che sembrava il
torace del suo invisibile avversario, anche l'altro - per tutta risposta - non
aveva perso tempo.
Solo in quel momento si rese conto della leggera pressione della punta
di un'altra bacchetta puntata appena sotto il mento.
"Che cavolo -"
"Ron!"
Sentire quella voce fu come uno scossone improvviso e inatteso.
L'illusione del pericolo sparì di colpo, lasciando il posto a quello che aveva
tutta l'aria di essere imbarazzo, dato il calore che avvertì in zona orecchie.
Grazie a Merlino, al buio era impossibile distinguere qualcosa,
figuriamoci il rossore delle sue orecchie!
"Hermione ..," le bacchette tornarono rapidamente al loro
posto, "che ci fai qui?"
"Che ci fai tu qui," corresse prontamente lei.
"Ehi, non vale, te l'ho chiesto prima io," protestò a mezza
voce.
"Sì, ma ..," pareva sul punto di replicare a tono, ma a
quanto pare, all'ultimo secondo, decise di desistere, "non riesco a
prendere sonno," ammise infine.
Ci fu un attimo di silenzio.
"No, nemmeno io," fece di rimando Ron, sentendo qualcosa di
molto simile al sollievo riempirgli il petto.
Non essere l'unico in quella condizione lo consolava, o almeno lo
aiutava a non sentirsi un perfetto idiota.
"Ehm ..," Hermione balbettò qualcosa.
"Neville russa," aggiunse subitaneamente Ron, come se
giustificarsi fosse necessario. Non voleva lasciarle credere di essere troppo
disperato per non essere riuscito a dormire come tutti gli altri suoi compagni
stavano facendo in quel momento.
"Capisco." Fu la telegrafica risposta di lei.
Un altro silenzio. Il pensiero schizzò rapidamente alla sua copia di
"Dodici Modi Infallibili Per Incantare Una Strega" rimasta da
qualche parte nella sua stanza alla Tana, era più che convinto che ci fosse un
capitolo intero dedicato a "Silenzi, Tecniche Per Evitarli O Per Volgerli
A Proprio Vantaggio".
La guardò, e giurò di averla vista portarsi le mani alle labbra, in un
gesto di disagio. Sentiva il calore del suo corpo vicino al suo e avrebbe
scommesso qualsiasi cosa sul rossore che doveva avere sparso sulle guance in
quel momento.
Aveva realizzato che gli piaceva il modo in cui arrossiva,
specialmente quando era più che convinto di essere la causa di quell'improvviso
imbarazzo, e l'imbarazzo era notoriamente elencato come uno dei Quindici
Sintomi Di Evidentemente Intesa Tra Un Mago E Una Strega; Ron si era affidato
ciecamente ai consigli di quel libro e fino a quel momento non gli avevano
portato altro che conseguenze più che degne di nota, quindi perché decidere di
farne improvvisamente a meno?
"Ti vanno due passi?" Era la cosa più immediata e sincera
che gli uscì dalle labbra.
"Certo!" Rispose lei con entusiasmo. "Sono stata in
infermeria da Lavanda," aggiunse dopo un attimo mentre riprendevano a
scendere le scale, "Greyback ..," si bloccò subito dopo, sentendo
l'irrefrenabile impulso di stoppare quella conversazione. Il pensiero di
Greyback l'aveva terrorizzata. Sentì un brivido risalirle su per la spina
dorsale e annebbiarle per un attimo la vista una volta arrivatole dritto alla
testa.
Ron sembrò comprendere al volo. Non si fece problemi a passarle un
braccio sulle spalle e a stringerla leggermente al suo fianco.
Hermione gliene sembrava grata; si abbandonò sotto la sua stretta
lasciandosi condurre attraverso la Sala Comune di Grifondoro.
Solo in quel momento, alla luce del fuoco acceso nel camino, Ron parve
riuscire a distinguere i suoi lineamenti segnati dallo stress e dalla
stanchezza degli ultimi eventi, certo, ma pur sempre dolci e morbidi come amava
che fossero.
Di certo la smorfia di pura rabbia e disgusto che le aveva visto
dipinta in volta dopo l'episodio del ritrovamento della spada di Godric e la
distruzione del medaglione non gli era piaciuta per niente: rivederla in quello
stato non gli premeva più di tanto, o almeno non in quel momento.
Doveva comunque ammettere che vederla rossa in volto, con gli occhi
umidi e il volto contratto dall'ira di quell'attimo, nell'atto di dargli
violentemente contro, l'aveva trovata .. bella. Hermione, bella, non lo era mai
stata, eppure Ron non riusciva a trovarle alcun difetto al momento.
Se non ci fosse stato quell'Incantesimo di Protezione nel mezzo
l'avrebbe volentieri zittita con un bacio, labbra su labbra, e tanti saluti ad
Harry che dietro di loro era impegnato a fare chissà cosa con la tela della
tenda!
La fermata di fronte alle scale fuori dalla Sala Comune, lo costrinse
ad un brusco ritorno alla realtà. Ci aveva fantasticato abbondantemente su
quell'episodio inesistente, e via via che ci si soffermava qualche particolare
in più si aggiungeva alla scena, rendendola così vivida e reale che di lì a
poco avrebbe sicuramente finito per considerarla tale.
Hermione restava silenziosa al suo fianco mentre raggiungevano la Sala
d'Ingresso, a quanto pare si erano accordati per il Parco come tacita meta
della loro scampagnata notturna.
Lui espirò piano, rispondendo con altrettante parole al mutismo di
lei.
Si limitò a stringerla di più, come per ricordarle che sì, era ancora
lì al suo fianco e no, non aveva intenzione di andarsene. Non fecero caso a
gruppetti di persone ancora in piedi qua e là negli angoli meno bui del
castello. Passarono davanti alla Sala Grande, ma Ron fu abbastanza accorto da
non voltarsi in quella direzione, anche se il vuoto che sentì improvvisamente
all'altezza del petto non riuscì ad evitarlo. E la morte di Fred lo colpì di
nuovo, improvvisamente, come un pugno di ghiaccio dritto al cuore. Tremò.
Hermione parve accorgersene perché rallentò appena il passo,
rivolgendogli uno sguardo interrogativo: si vedeva che stava cercando qualcosa
di appropriato da dire, ma miracolosamente niente di incredibilmente
intelligente le venne in mente. Sapeva che cercare parole di conforto trite e
ritrite non sarebbe servito a niente, anche perché non c'era niente di banale
in quello che era successo quella notte.
Ron si sforzò di non farci caso, continuando comunque a camminare, lo
sguardo fisso al pavimento, la mascella leggermente irrigidita in
un'espressione contrita.
"Ron," lo richiamò piano Hermione.
"Che?" Fu la risposta sgarbata di lui.
Si fermarono sui gradini che divideva il castello dai giardini,
Hermione lo guardò inclinando leggermente il capo di lato. Il disperato di
bisogno di qualcosa di sensato da dire chiaramente evidente sul suo volto.
"Forse -," tentò, ma Ron la interruppe bruscamente.
"No."
"No?"
"No, non voglio parlarne."
"Va bene .. non stavo cercando di obbligarti," fece notare
Hermione.
Paradossalmente quel suo tono gentile non contribuiva che a farlo
innervosire maggiormente.
"Credo di aver imparato a leggertele in faccia le cose."
"Ah sì?"
"Sì," sentenziò duramente lui, riprendendo ad allontanarsi
da solo sul prato immerso nella leggera foschia notturna.
Hermione si guardò attorno in attesa, forse, di un qualche aiuto
inatteso, ma niente di provvidenziale accadde.
"Ron!" Finì per richiamarlo, correndogli dietro per poterlo
raggiungere.
Lui non rispose, né si fermò.
"Ron, ti prego," mormorò Hermione non appena gli fu di nuovo
di fianco.
Tentava di tenere il suo passo, il che non era per niente facile visto
che una falcata di Ron equivaleva a due passi di lei. Lo afferrò per un braccio
strattonandolo in sua direzione, un lampo di determinazione le attraversò gli
occhi, "non andartene."
Non di nuovo, le fecero eco i suoi pensieri.
"Io non sto andando da nessuna parte," ribattè lui,
odiandosi profondamente. Per quale motivo l'aveva invitata in quella
passeggiata nel bel mezzo della notte? Per insultarla? Per farla sentire come
l'aveva fatta sentire qualche mese prima?
Aveva speso già speso abbastanza notti a darsi dell'emerito imbecille
per quel gesto e la coscienza gli suggeriva che sarebbe stato meglio evitare un
altro episodio simile.
"Sì, invece," sussurrò lei, a bassa voce ma con tono deciso.
Si stava deliberatamente rifiutando di guardarla negli occhi, questo
le face saltare i nervi.
"Ti prego, guardami, Ron," lo supplicò.
"Io non ..," scosse la testa, senza esaudire la richiesta di
lei.
"Non so cosa fare per -"
"Nemmeno io!" L'aveva interrotta di nuovo, con astio. I loro
sguardi si incontrarono improvvisamente, ed Hermione era più che sicura che gli
occhi di Ron si stessero riempiendo di lacrime.
E di nuovo tornò quella sensazione che l'aveva accompagnata per così
tanto tempo, due anni, forse tre, quel che era certo è che man mano che i
giorni, i mesi, gli anni passavano, non faceva altro che intensificarsi e
peggiorare, peggiorare e peggiorare. Era come se qualcosa di informe e
invisibile le si stesse agitando in petto, come catene invisibili che si
attorcigliavano e si stringevano attorno al suo cuore. C'erano momenti in cui
sentiva quella stretta aumentare improvvisamente e non aveva ancora capito se
la sensazione che ne derivava era più fastidiosa che piacevole, o viceversa.
Quello di cui era fermamente convinta era che il responsabile di tutto ciò era
proprio davanti a lei.
Ron, chi altri?
"Non voglio ascoltare," aggiunse lui.
"Strano." Fu la replica tanto secca quanto veemente.
"Strano?" Irritazione pura e nervosismo che traboccavano
dalla sua voce.
"Tu non vuoi mai ascoltare, sei solo bravo a parlare, parlare e
parlare."
"E' questo che pensi?"
"Non lo penso, è così."
Un mugugnio a metà tra l'incredulo e il furioso le fece eco.
"Cos'è che dovrei pensare?" Aggiunse subito dopo.
"Mah, non lo so," rispose lui ironico, "magari che sono
un attimo emotivamente provato?"
"Non prendermi in giro," ironia e sarcasmo nel tono di lei.
"No! TU non prendermi in giro!"
"Non lo sto facendo." Il tono calmo e inspiegabilmente
pungente di lei non aiutava di certo a placare la sua rabbia.
"Mio fratello è appena morto, okay?!" Urlò improvvisamente
Ron, la voce fuori qualsiasi controllo. "Mio fratello è appena morto,
Hermione!"
Una dopo l'altra, innumerevoli lacrime iniziarono a scivolargli lungo
il viso pallido alla luce della luna che marchiava il cielo, leggermente
schiarito dall'avvicinarsi dell'alba.
Hermione rimase immobile, non rispose.
"Non lo rivedrò più!" Tuonò Ron completamente fuori di sé.
"E non credo di essere pronto ad un'eventualità simile! ERA MIO
FRATELLO!"
Lei strinse le labbra. La voce di lui risuonò nell'aria aperta
tutt'attorno, perdendosi tra gli alberi poco distanti, increspando
impercettibilmente la superficie piatta e scura del lago.
Ron si era zittito improvvisamente. Si era messo seduto e aveva avuto
l'accortezza di nascondere il viso tra le mani: sebbene non gliene importasse
niente in quel momento, non voleva farsi vedere in quelle condizioni, non da
Hermione, non da colei per la quale aveva cercato di essere sostegno
onnipresente e sicuro per qualsiasi problema o attimo di sconforto.
Ron si chiese se l'aveva fatto apposta: se voleva farlo urlare ci era
perfettamente riuscita, non che avesse qualche dubbio, in fondo Hermione
riusciva in qualsiasi cosa si mettesse a fare.
Lei gli si inginocchiò di fronte: in qualche modo, l'averlo visto così
fragile dopo mesi e mesi in cui la situazione era rimasta fermamente capovolta,
l'aveva resa più decisa, improvvisamente inerme alle stilettate al cuore che la
vista delle sue lacrime le causavano.
Gli fece scivolare un mano sotto al mento, costringendolo ad alzare il
volto verso di lui. L'espressione le si era visibilmente addolcita.
"Non tenerti tutto dentro," mormorò con voce decisa,
"non aiuta."
Gli sorrise debolmente asciugandogli le lacrime con i pollici minuti
sul viso leggermente allungato di lui.
Spazzò via quell'umido che aveva visto bagnargli il viso solo al
funerale di Silente, un anno addietro.
Non smise di farlo per cinque minuti buoni, come se fosse assuefatta
da quel compito, come se stesse cercando di portarlo a termine con estenuante minuzia
e perfezione.
Ron la fissava. La fissava e sentiva la stretta allo stomaco serrarsi
ulteriormente.
La fissava e non avrebbe voluto fare altro che baciarla, baciarla per
sentirla vicina, per avvertire il suo calore fondersi col proprio, per essere
sicuro di averla accanto, di averla con sé in un modo un po' meno scontato
della semplice compagnia tra amici. E mentre scrutava ogni singolo particolare
del suo viso, la fronte leggermente aggrottata, i riccioli più corti che le
sfuggivano dalla treccia che le legava i capelli crespi, le guance rosate anche
alla luce grigiastra della luna, il naso perfetto, scese fino alle labbra. Il
labbro inferiore era vittima della dolce morsa dei denti di lei, era la sua
classica espressione concentrata, quella che adorava così tanto, quella che
l'aveva spinto ad andare a studiare in Biblioteca qualche volta.
E poi qualcosa gli scoppiò in petto, qualcosa di caldo e rassicurante,
che lo avvolse completamente. Qualcosa che lo spinse ad allargare leggermente
le gambe, a prenderla per la vita, ad avvicinarla bruscamente a sé e a baciarla
come se da quel bacio dipendesse tutta la sua esistenza, come se quel bacio
potesse ridargli l'aria che non riusciva a trovare da nessuna parte quella
notte, come se quel bacio fosse l'unica cosa capace di riempirgli quel vuoto
enorme che sentiva al centro del petto.
Le poggiò le mani ai lati del volto, lasciando che quelle di lei
rimanessero sul proprio. Le accarezzava distrattamente le guance e poi la linea
sottile della mascella e il mento e il collo, mentre la baciava con crescente
trasporto.
E il calore al petto aumentò e continuò a farlo man mano che la
disperata ricerca di quel contatto, che in quel momento gli sembrava così
vitale e indispensabile, andava avanti.
Fece scivolare le dita dietro le sue orecchie, affondandone la punta
nei capelli raccolti sulla nuca. L'avvicinò di più a sé, approfondendo quel
contatto, e mettendoci così tanta passione e sentimento, che Ron era convinto
sarebbe potuta essere l'unica cosa di cui aveva bisogno per sopravvivere altri
mille anni felice e contento.
Lei non fu da meno. Si avvicinò, muovendo le ginocchia sullo stralcio
di prato delimitato dalle gambe di Ron, si strinse al suo petto, senza che ci
si fosse bisogno di costringerlo ad abbassarsi, visto che la posizione le
permetteva di sovrastarlo di qualche centimetro; non di molto, quel tanto che
bastava a darle libertà di movimento.
Fu solo dopo quella che entrambi avrebbero definito come l'eternità,
che si scostarono l'uno dall'altra. Gli occhi ancora fermamente chiusi, il
respiro alterato, il viso scarlatto, le labbra arrossate e i polmoni appena
doloranti per la mancanza prolungata di aria. I loro respiri si mescolavano
l'uno con l'altro, i battiti dei loro cuori sembravano un unico suono ovattato,
amplificato fino all'inverosimile dal sangue che sentivano entrambi pulsare
alle tempie.
Rimasero perfettamente immobili in quella posizione, concentrati
solamente su quei minimi rumori che in quel momento sembravano l'unica cosa che
li circondasse. Hermione si chinò su di lui ancora una volta, per un casto
bacio a fior di labbra, seguito a ruota da un altro e un altro ancora, sempre
più piccoli, sempre più fugaci, sempre più lontani dalle labbra di lui: stava
scivolando sempre di più verso l'angolo della bocca, e poi giù verso il mento.
Ron strinse leggermente la presa sulla schiena di lei, sentiva di non
poter pensare razionalmente in quell'attimo. Non c'era niente di razionale in
tutto ciò che gli stava letteralmente facendo scoppiare il cuore in quel momento,
non c'era razionalità nel suo battito alterato e accelerato, nessuna logica nel
tremore delle sue mani, nessuna spiegazione chiara e concisa per quell'onda di
totale appagamento che sembrava avverlo improvvisamente investito.
Eppure .. forse, una spiegazione c'era, una spiegazione tanto semplice
ma al contempo così complicata.
Ron si chiese come fosse possibile che due minuscole parole potessero
riuscire a fargli perdere la cognizione del tempo e dello spazio, come due
misere parole potessero spiegargli perché in quel momento si sentisse al centro
del mondo, al centro del mondo da solo, solo lui e la sua Hermione, stretti in
quell'abbraccio caldo e rassicurante, in quell'abbraccio che Ron non avrebbe
mai sciolto se gliene fosse stata data l'opportunità.
Hermione era arrivata all'altezza del collo, e stava tracciando un
intricato percorso fatto di baci fino al suo orecchio.
Soffiò piano sul suo volto arrossato, sentendosi così leggera da poter
fluttuare a mezz'aria senza dover ricorrere necessariamente alla magia.
Perché era sicura di non aver mai sperimentato una magia più potente,
più coinvolgente, e più dannatamente esaltante di quella che stava vivendo in
quello stesso istante.
Riportò il viso all'altezza di quello di lui, fissandolo
insistentemente in quegli occhi che sembravano essere così profondi, in quel
momento, che avrebbe giurato di potercisi perdere là dentro. Felicemente
smarrita nel blu di quello sguardo che l'aveva fatta sussultare tante di quelle
volte che non era nemmeno stata capace di tenerne il conto dopo un po'.
Fece ricadere la mano, passandogli i polpastrelli sulle labbra. Aveva
odiato vedere quelle stesse labbra padrone di una bocca che non era la sua,
aveva odiato vederle chinate al volere di qualcuna che non era lei.
In quell'esatto istante, il solo pensiero di non averle completamente
per sé le dava alla testa, le sembrava così maledettamente fuori discussione
che il desiderio di riappriopriarsene fu nuovamente brusco e immediato.
Si baciarono di nuovo e a lungo.
L'abbraccio di Ron la strinse sempre di più, mentre la pressione che
lei metteva nello sporgersi versi lui stava pericolosamente minacciando di
farlo cadere di schiena sul prato.
Il contatto era diventato improvvisamente più frenetico ed esigente.
Si divisero appena, ma improvvisamente, come scottati da quell'andare
troppo in là, troppo oltre, troppo in fretta.
Riaprirono istantaneamente gli occhi, i loro sguardi innegabilmente
inchiodati l'uno all'altro.
E sotto quella luce, con quei ciuffi mezzi svolazzanti, con quegli
occhi scuri e profondi, con quelle labbra così rosse, così rosse per causa sua,
col respiro mozzatole in gola da lui stesso, gli sembrò bella come mai lo era
stata.
"Ti amo, Hermione."
Le parole gli erano uscite di bocca senza alcun preavviso, senza alcun
accenno ad un discorso, ad una misera introduzione a quella bomba sganciata di
colpo.
Ma non sgranò gli occhi, e non tentò di giustificarsi goffamente per
ciò che aveva appena detto. Gli erano uscite dal cuore quelle due misere parole,
gli erano uscite direttamente dal cuore e non era riuscito a fermarle. Perché
avrebbe dovuto?
La spiegazione a tutti quei sintomi che si erano manifestati uno dopo
l'altro nel giro di quei pochi minuti che sembravano innaturalmente dilatati
nel tempo, era così semplice e così immediata che Ron non poté fare a meno di
darsi del deficiente per non averci pensato prima. Era così evidente,
così scontata come risposta, che .. probabilmente non si era nemmeno soffermato
a prenderla in considerazione.
Hermione non rispondeva, ricambiava il suo sguardo, e basta.
Stavolta Ron, era piuttosto convinto che il cuore di lei si fosse
fermato improvvisamente.
Ma poteva forse pentirsi di quello che le aveva appena confessato?
Poteva o doveva ritrattare quell'ammissione che non gli era costata niente in
quel momento, ma la cui anche solo lontana formulazione l'aveva fatto tribolare
per anni e anni, senza che riuscisse a capacitarsene? Doveva dirle qualcosa?
Attutire il colpo? Ridimensionare ciò che aveva appena spassionatamente
confermato a se stesso e comunicato ad Hermione?
"Anch'io," la voce di Hermione interruppe bruscamente il
flusso dei suoi pensieri, "anch'io," ripeté di nuovo come ad
enfatizzare la conferma, a rassicurarlo e a rassicurarsi definitivamente.
E poi il più bel sorriso che Ron le aveva visto fare dopo tanti anni,
le si aprì sulle labbra, un sorriso che le illuminò tutto il volto e le scoprì
i denti bianchi e perfetti.
E non riuscì a fare a meno di risponderle, con un sorriso un po'
impacciato, ma sincero, sincero come non lo era mai stato in vita sua.
Si misero a ridere inaspettatamente, due risate così diverse, ma allo
stesso tempo indicibilmente simili che risuonarono l'una nelle orecchie
dell'altro e viceversa.
Ed era la musica più bella che si sarebbero aspettati di udire.
Ron la baciò di nuovo, appena, sulle labbra.
Il vuoto al petto se n'era andato, forse solo temporaneamente, ma in
quel momento non voleva pensarci. Gli bastò il pensiero di un Fred stupito
dall'audacia del suo piccolo Ronniekins a renderlo ancora più allegro di quanto
già non fosse.
"Propongo una visita alle cucine," disse con tono leggero,
"magari Kreacher e gli altri sono già in piedi."
"Per .. ?"
"Per farci dare qualcosa da mangiare, ovviamente. Non so te, ma
comincio ad avere fame."
L'espressione di Hermione non era scocciata, ma semplicemente
incredula, di un'icredulità positiva che la costrinse a scuotere il capo in
un'occhiata alla tanto-non-cambierai-mai-Ronald-Weasley.
"Oppure possiamo restare qua e aspettare che io decida di mangiarti
la faccia," Ron aggiunse, romantico quanto un calcio nello stomaco.
"Ah-ah," fu la laconica risposta di Hermione, "sempre
che non decida di farlo prima io a te." Fece notare innocentemente lei.
Ron la occhieggiò con aria furba.
"Lo sapevo che sotto sotto sei sempre una Donna Scarlatta!"
Esclamò allegro.
Una sonora botta a mano aperta lo colpì alla spalla. Accusò il colpo
senza scomporsi più di tanto.
"Io non sono una Donna Scarlatta!" Lo rimbrottò lei, mentre
si rimetteva in piedi.
"Lo so, Hermione," concesse lui, "non sei tu che sei
Scarlatta, sono io che sono incredibilmente sexy." Sospirò con fare
drammatico da playboy incallito. "Dopotutto non posso fartene una
colpa," continuò imperterrito rialzandosi a sua volta, "il mio
magnetismo animale le stende tutte!"
Fece un rumore strano, come di birilli che vengono buttati giù in un
colpo solo.
"Strike!" fu l'esclamazione che gli risuonò nella
testa, senza alcuna ragione.
Hermione si portò le mani ai fianchi. "Certo, Ron,"
acconsentì, come si acconsente a ciò che dice un malato di mente, "è tutto
merito del tuo magnetismo animale."
"E del tuo essere Scarlatta," la corresse Ron, "non
dimentichiamocelo."
Le fece l'occhiolino, e Hermione fu costretta a voltarsi per
nascondere il sorrisetto che le era sfuggito sulle labbra.
"Bene. Vorrà dire che la prossima volta possiamo occupare il
nostro tempo discorrendo di Trasfigurazioni, Livello Avanzato," disse
soddisfatta, prendendo a camminare spedita verso il castello.
Ron sbiancò. "Che cosa?!" Le parole gli erano uscite
strozzate e acute mentre la rincorreva su per il prato. "No, che non lo
faremo!"
"Oh sì, che lo faremo," si ostinava lei senza voltarsi.
"No! Ti prego!"
"Onestamente, Ronald, non c'è niente di così sconvolgente nelle
Trasfigurazioni di Livello Avanzato!"
"Ma non è per quello!"
"Ah no?"
"No"
Pausa.
"Bè magari possiamo trovare un modo per occupare il tempo tra una
trasfigurazione e l'altra," disse lei, risalendo i gradini per la Sala
d'Ingresso.
"Ora iniziamo a ragionare," sentenziò Ron con aria piuttosto
soddisfatta, raggiungendola e afferrandola bruscamente per la vita.
La trascinò rapida per gli scalini e poi via sparati per il passaggio
segreto che conduceva alle cucine.
Mentre Hermione scoppiava a ridere, e Ron faceva altrettanto,
quest'ultimo si chiese se esistesse un qualche libro intitolato "Dodici
Cose Da Fare Esattamente Dopo Aver Incantato Una Strega, Che Non Comprendono Il
Saltarle Direttamente Addosso O Il Mangiarle La Faccia", e si augurò
vivamente che occupare il tempo dilettandosi di Trasfigurazioni di Livello
Avanzato non fosse compreso nella lista.
* * *
Hiii fine. Mi sa che ho calcato un po' la mano, ma oh, LUNGA VITA A
RON ED HERMIONE!