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Autore: Hermione Weasley    26/07/2007    34 recensioni
Soffiò piano sul suo volto arrossato, sentendosi così leggera da poter fluttuare a mezz'aria senza dover ricorrere necessariamente alla magia. Perché era sicura di non aver mai sperimentato una magia più potente, più coinvolgente, e più dannatamente esaltante di quella che stava vivendo in quello stesso istante.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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AVVERTENZE
: QUESTA FANFICTION è POST-DEATHLY HALLOWS, CONTIENE PERTANTO SPOILERS PER QUANTO RIGUARDA IL SETTIMO LIBRO DI HARRY POTTER. SE NON L'AVETE LETTO E CERCATE DI RISPARMIARVI LA SORPRESA (E IN QUESTO CASO, AUGURI!) è MEGLIO CHE USCIATE DI QUI ALLA VELOCITà DELLA LUCE.

Okay, questo libro mi ha spedito su un altro pianeta: sono giorni che non riesco a pensare ad altro. Diciamo solo che per il cuoricino di una R/Hr shipper come me, il libro è stato una dura botta. Questa è solo la prima di quella che spero essere una lunga serie di one-shot, dedicate ai missing moments di Deathly Hallows: ce ne sono così tanti da metter giù che non saprei proprio da dove cominciare.

Chiarire cosa è successo subito dopo la fine dell'ultimo capitolo mi è sembrato essenziale, ed è su questo che verte questa fanfiction.

Ammetto di esserci andata giù pesantemente con romanticherie varie, ma .. abbiamo vinto! Quindi è del tutto lecito, giusto? Giusto.

E finalmente il mio nickname ha un senso, hihihi (smetterò di gongolare prima o poi) ..

Ho straparlato anche troppo, se non vi ho ancora spaventati, avanti con la lettura!

Questa fanfiction è dedicata a tutti i Ron/Hermione shipper, perché dopo 6 libri e 502 pagine, CE L'ABBIAMO FATTA! E in particolare a Eli, perché si sorbisce tutti i miei sfoghi su Ron/Hermione, Espiazione e specialmente su Nessie, e a Sara, perché non mi ha mandata a quel paese quando - leggendo Deathly Hallows in camera mia - mi mettevo a saltare e urlacchiare tutte le volte che succedeva qualcosa tra Ron ed Hermione. Graziee!


* * *

Everything

Find me Here

Speak To Me

I want to feel you

I need to hear you

You are the light

That's leading me

To the place where I find peace again.

You are the strength, that keeps me walking.

You are the hope, that keeps me trusting.

You are the light to my soul.

You are my purpose...you're everything.

How can I stand here with you and not be moved by you?

Would you tell me how could it be any better than this?

You calm the storms, and you give me rest.

You hold me in your hands, you won't let me fall.

You steal my heart, and you take my breath away.

Would you take me in? Take me deeper now?

[...]

Cause you're all I want, You're all I need

You're everything, everything

You're all I want your all I need

You're everything, everything.

You're all I want you're all I need.

You're everything, everything

You're all I want you're all I need, you're everything, everything.

(Lifehouse - Everything)


Si rigirò per l'ennesima volta, soffocando un'imprecazione quando si rese conto che il lenzuolo gli si era aggrovigliato attorno ad una gamba.

Dannazione, si ritrovò a pensare, mentre cercava un modo più o meno indolore di distriscarsi dalla matassa informe di stoffa.

Ci rinunciò dopo un paio di inutili tentativi.

Ricadde pesantemente indietro sul materasso, ritrovandosi a fissare il soffitto.

Per la .. duecentotrentesima volta?

Qualcosa di simile, sì.

Solo il respiro regolare e profondo di Harry, e il gracchiare improvviso di quello di Neville (era sussultato più di una volta, tanto più che non smetteva di borbottare cose senza senso riguardo serpenti enormi, teste mozzate, spade di Grifondoro, eccetera eccetera), interrompevano il silenzio, con cadenza estenuantemente fissata.

La verità è che non ne poteva più.

Sì, erano appena reduci da una battaglia epica, e sì Harry aveva finalmente sconfitto il fantomatico Voldemort e .. sì, avevano vinto quello scontro che aveva posto finalmente fine alla tremenda minaccia che Tom Riddle era stato per tutto il mondo magico e non.

Eppure Ron Weasley, era troppo agitato per potersi permettere un sonno tranquillo. Troppe cose gli saettavano per la testa, a partire dagli scontri sul campo di qualche ora prima, per poi passare alla morte di suo fratello Fred - al solo pensiero sentiva lo stomaco contrarsi dolorosamente, e il respiro mancargli per una quantità indefinita di tempo - e infine per equilibrare lo sconforto di quelle immagini ancora così vivide nella sua memoria, si sforzava di ricordare la scena di poco precedente alla terribile perdita che la sua famiglia aveva subito.

Solo in quel momento riusciva a rammentare l'esatto rumore di tutte quelle zanne di Basilisco che cadevano a terra, una dopo l'altra, senza alcun controllo. Era convinto di poter sentire ancora la pressione delle braccia esili di Hermione sulle sue spalle. Era certo che quel buon profumo di pulito, che era così sicuro di sentire anche in quel momento, le appartenesse. Ed era più che persuaso che quel sapore così dolce che aveva in bocca fosse quello delle sue labbra.

Aveva fantasticato notte e giorno, su un periodo di tempo che si allungava su ben tre anni, su che sapore avessero avuto quelle labbra.

Era solito fissarla mentre si concentrava in questo o quel tema assegnato la mattina stessa; amava quella sua abitudine di mordersi il labbro inferiore, gli occhi fossi sulla pergamena già fitta di parole, segni e numeri, scritti in quella sua calligrafia minuta e perfetta.

Sbuffò sonoramente, una volta resosi conto di essersi perso nuovamente in quella valle di pensieri che stava cercando ardentemente di riuscire ad evitare, almeno fino alla mattina successiva.

Battè una mano sul materasso: un rumore ovattato si spanse per tutta la stanza. Neville mugugnò qualcosa di incomprensibile rigirandosi di nuovo; Dean strascicò un paio di parole di cui Ron non riuscì a cogliere il significato; Seamus era completamente raggomitolato nella sua coperta; Harry continuava ad avere quello stupidissimo mezzo sorriso fisso sulle labbra, gli occhiali poggiati sul comodino di fianco al suo letto, come se fosse stata una notte qualunque, di un qualunque giorno che trascorrevano ad Hogwarts, di uno qualsiasi dei sei anni in cui l'avevano frequentata.

Si coprì il volto con entrambe le mani: non sapeva se essere incredulo o stordito.

Felice o triste. Non sarebbe mai riuscito a godersi quella vittoria fino in fondo. Lo sentiva distintamente quel retrogusto amaro, quel veleno che era riuscito ad intaccare quel giorno, che nel suo immaginario, era sempre stato di gioia più totale.

L'unico pensiero che riusciva a farlo sorridere un po' più spontaneamente (assieme a quello di Hermione, ovviamente) era la più che radicata convinzione che se Fred avesse potuto dirgli qualcosa in quel momento, sarebbe stata sicuramente un'esclamazione di rimprovero e scherno allo stesso tempo.

Gli avrebbe detto che anche i più affascinanti muoiono, che l'avevano voluto togliere di mezzo perché avevano paura che potesse conquistare il mondo con il suo magnetismo animale, gli avrebbe detto che preferiva essere morto che ritrovarsi quell'orrenda faccia segnata dalla stanchezza che Ron, invece, aveva, l'avrebbe sicuramente spinto a ridere e a godersi il successo, perché in fondo era quello in cui Fred e George eccellevano: sdrammatizzare. E non lo facevano in modo volgare o totalmente fuori luogo, sembravano non farsi mai abbattare dalle circostanze, e dopotutto - Ron sembrò sentire ancora una volta la voce di Fred rieccheggiargli nella testa - se Percy era capace di scherzare, allora i miracoli esistono!

"E se i miracoli esistono, Ronnie, sta' pur certo che non morirai vergine", la voce di Fred aveva parlato di nuovo nel silenzio della sua mente.

Il pensierò gli strappò un debole sorriso che non accennò a cadere per un minuto buono.

Un rumore improvviso lo costrinse a rialzare il capo: Neville aveva battuto la testa alla testiera del letto e anche se sembrava non curarsene più di tanto, il rumore rimase sospeso nella camera silenziosa per quella che a Ron parve un'eternità.

Lanciò un'occhiata alla porta, indeciso: non sapeva cosa voleva fare esattamente, ma la luce fuori dal castello ancora mancava, e non aveva idea di quante ore dividessero ancora la notte dall'alba; in ogni caso il colore scuro del cielo non gli suggeriva niente di buono, o almeno nessuna soluzione rapida e indolore alla sua evidente insonnia.

Senza rendersene conto scivolò giù dal letto, portandosi dietro il lenzuolo ancora allacciato alla sua caviglia.

Saltellò sul posto, sgranando incredibilmente gli occhi quando il piede bloccato lo fece traballare pericolosamente e si sarebbe schiantato sicuramente sul pavimento se non avesse avuto l'accortezza di appoggiarsi ad una delle colonne del baldacchino.

Si maledisse mentalmente, prendendo la bacchetta che aveva lasciato sul comodino.

Con un "Relascio" smozzicato a mezza voce, riuscì finalmente a liberarsi dalla morsa del lenzuolo assassino. Restò fermo ed immobile per una manciata di secondi prima di decidersi ad infilarsi le scarpe e a prendere il mantello abbandonato ai piedi del letto.

Lanciò un'ultima occhiata ai compagni di stanza mentre usciva silenziosamente dalla stanza; nessuno, ne era più che convinto, aveva fatto caso a lui, troppo presi dai loro momentanei successi onirici.

Richiuse la porta con cautela, alzando automaticamente lo sguardo verso le scale del dormitorio femminile.

Deserte.

Sbuffò senza preoccuparsi di svegliare alcuni dei quadri appesi per il corridoio, di certo non era la sua priorità quella di curarsi dei sonnecchianti occupanti di quelle cornici così vecchie e consunte: pure loro riuscivano a dormire meglio di lui!

Cominciò a scendere verso la Sala Comune, nel buio quasi totale, qualche torcia qua e là rischiarava il passaggio.

Era arrivato al piano dei dormitori maschili del secondo anno - quasi in fondo, praticamente - quando andò a scontrarsi con un'altra ombra informe che non fece in tempo a distinguere all'ennesima ansa della scala a chiocchiola immersa nell'oscurità che si snodava su per la Torre di Grifondoro.

Avvertì un tuffo al cuore estraendo contemporaneamente la bacchetta in un gesto così rapido che probabilmente stupì anche lui stesso.

La puntò contro chiunque fosse quell'ombra, e in un attimo la vittoria, il successo e l'aver cancellato tutto quel pericolo e quella paura che avevano oppresso il loro mondo, svanirono nel nulla: restare all'erta e con le orecchie ben tese era stata una delle sue priorità in quell'ultimo turbolento anno della sua vita, ma non solo, era anche diventata una specie di abitudine alla quale doveva ancora imparare a rinunciare.

Chi gli stava di fronte, comunque, non fu sorprendentemente da meno, perché se lui era riuscito a puntare la bacchetta su quello che sembrava il torace del suo invisibile avversario, anche l'altro - per tutta risposta - non aveva perso tempo.

Solo in quel momento si rese conto della leggera pressione della punta di un'altra bacchetta puntata appena sotto il mento.

"Che cavolo -"

"Ron!"

Sentire quella voce fu come uno scossone improvviso e inatteso. L'illusione del pericolo sparì di colpo, lasciando il posto a quello che aveva tutta l'aria di essere imbarazzo, dato il calore che avvertì in zona orecchie.

Grazie a Merlino, al buio era impossibile distinguere qualcosa, figuriamoci il rossore delle sue orecchie!

"Hermione ..," le bacchette tornarono rapidamente al loro posto, "che ci fai qui?"

"Che ci fai tu qui," corresse prontamente lei.

"Ehi, non vale, te l'ho chiesto prima io," protestò a mezza voce.

"Sì, ma ..," pareva sul punto di replicare a tono, ma a quanto pare, all'ultimo secondo, decise di desistere, "non riesco a prendere sonno," ammise infine.

Ci fu un attimo di silenzio.

"No, nemmeno io," fece di rimando Ron, sentendo qualcosa di molto simile al sollievo riempirgli il petto.

Non essere l'unico in quella condizione lo consolava, o almeno lo aiutava a non sentirsi un perfetto idiota.

"Ehm ..," Hermione balbettò qualcosa.

"Neville russa," aggiunse subitaneamente Ron, come se giustificarsi fosse necessario. Non voleva lasciarle credere di essere troppo disperato per non essere riuscito a dormire come tutti gli altri suoi compagni stavano facendo in quel momento.

"Capisco." Fu la telegrafica risposta di lei.

Un altro silenzio. Il pensiero schizzò rapidamente alla sua copia di "Dodici Modi Infallibili Per Incantare Una Strega" rimasta da qualche parte nella sua stanza alla Tana, era più che convinto che ci fosse un capitolo intero dedicato a "Silenzi, Tecniche Per Evitarli O Per Volgerli A Proprio Vantaggio".

La guardò, e giurò di averla vista portarsi le mani alle labbra, in un gesto di disagio. Sentiva il calore del suo corpo vicino al suo e avrebbe scommesso qualsiasi cosa sul rossore che doveva avere sparso sulle guance in quel momento.

Aveva realizzato che gli piaceva il modo in cui arrossiva, specialmente quando era più che convinto di essere la causa di quell'improvviso imbarazzo, e l'imbarazzo era notoriamente elencato come uno dei Quindici Sintomi Di Evidentemente Intesa Tra Un Mago E Una Strega; Ron si era affidato ciecamente ai consigli di quel libro e fino a quel momento non gli avevano portato altro che conseguenze più che degne di nota, quindi perché decidere di farne improvvisamente a meno?

"Ti vanno due passi?" Era la cosa più immediata e sincera che gli uscì dalle labbra.

"Certo!" Rispose lei con entusiasmo. "Sono stata in infermeria da Lavanda," aggiunse dopo un attimo mentre riprendevano a scendere le scale, "Greyback ..," si bloccò subito dopo, sentendo l'irrefrenabile impulso di stoppare quella conversazione. Il pensiero di Greyback l'aveva terrorizzata. Sentì un brivido risalirle su per la spina dorsale e annebbiarle per un attimo la vista una volta arrivatole dritto alla testa.

Ron sembrò comprendere al volo. Non si fece problemi a passarle un braccio sulle spalle e a stringerla leggermente al suo fianco.

Hermione gliene sembrava grata; si abbandonò sotto la sua stretta lasciandosi condurre attraverso la Sala Comune di Grifondoro.

Solo in quel momento, alla luce del fuoco acceso nel camino, Ron parve riuscire a distinguere i suoi lineamenti segnati dallo stress e dalla stanchezza degli ultimi eventi, certo, ma pur sempre dolci e morbidi come amava che fossero.

Di certo la smorfia di pura rabbia e disgusto che le aveva visto dipinta in volta dopo l'episodio del ritrovamento della spada di Godric e la distruzione del medaglione non gli era piaciuta per niente: rivederla in quello stato non gli premeva più di tanto, o almeno non in quel momento.

Doveva comunque ammettere che vederla rossa in volto, con gli occhi umidi e il volto contratto dall'ira di quell'attimo, nell'atto di dargli violentemente contro, l'aveva trovata .. bella. Hermione, bella, non lo era mai stata, eppure Ron non riusciva a trovarle alcun difetto al momento.

Se non ci fosse stato quell'Incantesimo di Protezione nel mezzo l'avrebbe volentieri zittita con un bacio, labbra su labbra, e tanti saluti ad Harry che dietro di loro era impegnato a fare chissà cosa con la tela della tenda!

La fermata di fronte alle scale fuori dalla Sala Comune, lo costrinse ad un brusco ritorno alla realtà. Ci aveva fantasticato abbondantemente su quell'episodio inesistente, e via via che ci si soffermava qualche particolare in più si aggiungeva alla scena, rendendola così vivida e reale che di lì a poco avrebbe sicuramente finito per considerarla tale.

Hermione restava silenziosa al suo fianco mentre raggiungevano la Sala d'Ingresso, a quanto pare si erano accordati per il Parco come tacita meta della loro scampagnata notturna.

Lui espirò piano, rispondendo con altrettante parole al mutismo di lei.

Si limitò a stringerla di più, come per ricordarle che sì, era ancora lì al suo fianco e no, non aveva intenzione di andarsene. Non fecero caso a gruppetti di persone ancora in piedi qua e là negli angoli meno bui del castello. Passarono davanti alla Sala Grande, ma Ron fu abbastanza accorto da non voltarsi in quella direzione, anche se il vuoto che sentì improvvisamente all'altezza del petto non riuscì ad evitarlo. E la morte di Fred lo colpì di nuovo, improvvisamente, come un pugno di ghiaccio dritto al cuore. Tremò.

Hermione parve accorgersene perché rallentò appena il passo, rivolgendogli uno sguardo interrogativo: si vedeva che stava cercando qualcosa di appropriato da dire, ma miracolosamente niente di incredibilmente intelligente le venne in mente. Sapeva che cercare parole di conforto trite e ritrite non sarebbe servito a niente, anche perché non c'era niente di banale in quello che era successo quella notte.

Ron si sforzò di non farci caso, continuando comunque a camminare, lo sguardo fisso al pavimento, la mascella leggermente irrigidita in un'espressione contrita.

"Ron," lo richiamò piano Hermione.

"Che?" Fu la risposta sgarbata di lui.

Si fermarono sui gradini che divideva il castello dai giardini, Hermione lo guardò inclinando leggermente il capo di lato. Il disperato di bisogno di qualcosa di sensato da dire chiaramente evidente sul suo volto.

"Forse -," tentò, ma Ron la interruppe bruscamente.

"No."

"No?"

"No, non voglio parlarne."

"Va bene .. non stavo cercando di obbligarti," fece notare Hermione.

Paradossalmente quel suo tono gentile non contribuiva che a farlo innervosire maggiormente.

"Credo di aver imparato a leggertele in faccia le cose."

"Ah sì?"

"Sì," sentenziò duramente lui, riprendendo ad allontanarsi da solo sul prato immerso nella leggera foschia notturna.

Hermione si guardò attorno in attesa, forse, di un qualche aiuto inatteso, ma niente di provvidenziale accadde.

"Ron!" Finì per richiamarlo, correndogli dietro per poterlo raggiungere.

Lui non rispose, né si fermò.

"Ron, ti prego," mormorò Hermione non appena gli fu di nuovo di fianco.

Tentava di tenere il suo passo, il che non era per niente facile visto che una falcata di Ron equivaleva a due passi di lei. Lo afferrò per un braccio strattonandolo in sua direzione, un lampo di determinazione le attraversò gli occhi, "non andartene."

Non di nuovo, le fecero eco i suoi pensieri.

"Io non sto andando da nessuna parte," ribattè lui, odiandosi profondamente. Per quale motivo l'aveva invitata in quella passeggiata nel bel mezzo della notte? Per insultarla? Per farla sentire come l'aveva fatta sentire qualche mese prima?

Aveva speso già speso abbastanza notti a darsi dell'emerito imbecille per quel gesto e la coscienza gli suggeriva che sarebbe stato meglio evitare un altro episodio simile.

"Sì, invece," sussurrò lei, a bassa voce ma con tono deciso.

Si stava deliberatamente rifiutando di guardarla negli occhi, questo le face saltare i nervi.

"Ti prego, guardami, Ron," lo supplicò.

"Io non ..," scosse la testa, senza esaudire la richiesta di lei.

"Non so cosa fare per -"

"Nemmeno io!" L'aveva interrotta di nuovo, con astio. I loro sguardi si incontrarono improvvisamente, ed Hermione era più che sicura che gli occhi di Ron si stessero riempiendo di lacrime.

E di nuovo tornò quella sensazione che l'aveva accompagnata per così tanto tempo, due anni, forse tre, quel che era certo è che man mano che i giorni, i mesi, gli anni passavano, non faceva altro che intensificarsi e peggiorare, peggiorare e peggiorare. Era come se qualcosa di informe e invisibile le si stesse agitando in petto, come catene invisibili che si attorcigliavano e si stringevano attorno al suo cuore. C'erano momenti in cui sentiva quella stretta aumentare improvvisamente e non aveva ancora capito se la sensazione che ne derivava era più fastidiosa che piacevole, o viceversa. Quello di cui era fermamente convinta era che il responsabile di tutto ciò era proprio davanti a lei.

Ron, chi altri?

"Non voglio ascoltare," aggiunse lui.

"Strano." Fu la replica tanto secca quanto veemente.

"Strano?" Irritazione pura e nervosismo che traboccavano dalla sua voce.

"Tu non vuoi mai ascoltare, sei solo bravo a parlare, parlare e parlare."

"E' questo che pensi?"

"Non lo penso, è così."

Un mugugnio a metà tra l'incredulo e il furioso le fece eco.

"Cos'è che dovrei pensare?" Aggiunse subito dopo.

"Mah, non lo so," rispose lui ironico, "magari che sono un attimo emotivamente provato?"

"Non prendermi in giro," ironia e sarcasmo nel tono di lei.

"No! TU non prendermi in giro!"

"Non lo sto facendo." Il tono calmo e inspiegabilmente pungente di lei non aiutava di certo a placare la sua rabbia.

"Mio fratello è appena morto, okay?!" Urlò improvvisamente Ron, la voce fuori qualsiasi controllo. "Mio fratello è appena morto, Hermione!"

Una dopo l'altra, innumerevoli lacrime iniziarono a scivolargli lungo il viso pallido alla luce della luna che marchiava il cielo, leggermente schiarito dall'avvicinarsi dell'alba.

Hermione rimase immobile, non rispose.

"Non lo rivedrò più!" Tuonò Ron completamente fuori di sé. "E non credo di essere pronto ad un'eventualità simile! ERA MIO FRATELLO!"

Lei strinse le labbra. La voce di lui risuonò nell'aria aperta tutt'attorno, perdendosi tra gli alberi poco distanti, increspando impercettibilmente la superficie piatta e scura del lago.

Ron si era zittito improvvisamente. Si era messo seduto e aveva avuto l'accortezza di nascondere il viso tra le mani: sebbene non gliene importasse niente in quel momento, non voleva farsi vedere in quelle condizioni, non da Hermione, non da colei per la quale aveva cercato di essere sostegno onnipresente e sicuro per qualsiasi problema o attimo di sconforto.

Ron si chiese se l'aveva fatto apposta: se voleva farlo urlare ci era perfettamente riuscita, non che avesse qualche dubbio, in fondo Hermione riusciva in qualsiasi cosa si mettesse a fare.

Lei gli si inginocchiò di fronte: in qualche modo, l'averlo visto così fragile dopo mesi e mesi in cui la situazione era rimasta fermamente capovolta, l'aveva resa più decisa, improvvisamente inerme alle stilettate al cuore che la vista delle sue lacrime le causavano.

Gli fece scivolare un mano sotto al mento, costringendolo ad alzare il volto verso di lui. L'espressione le si era visibilmente addolcita.

"Non tenerti tutto dentro," mormorò con voce decisa, "non aiuta."

Gli sorrise debolmente asciugandogli le lacrime con i pollici minuti sul viso leggermente allungato di lui.

Spazzò via quell'umido che aveva visto bagnargli il viso solo al funerale di Silente, un anno addietro.

Non smise di farlo per cinque minuti buoni, come se fosse assuefatta da quel compito, come se stesse cercando di portarlo a termine con estenuante minuzia e perfezione.

Ron la fissava. La fissava e sentiva la stretta allo stomaco serrarsi ulteriormente.

La fissava e non avrebbe voluto fare altro che baciarla, baciarla per sentirla vicina, per avvertire il suo calore fondersi col proprio, per essere sicuro di averla accanto, di averla con sé in un modo un po' meno scontato della semplice compagnia tra amici. E mentre scrutava ogni singolo particolare del suo viso, la fronte leggermente aggrottata, i riccioli più corti che le sfuggivano dalla treccia che le legava i capelli crespi, le guance rosate anche alla luce grigiastra della luna, il naso perfetto, scese fino alle labbra. Il labbro inferiore era vittima della dolce morsa dei denti di lei, era la sua classica espressione concentrata, quella che adorava così tanto, quella che l'aveva spinto ad andare a studiare in Biblioteca qualche volta.

E poi qualcosa gli scoppiò in petto, qualcosa di caldo e rassicurante, che lo avvolse completamente. Qualcosa che lo spinse ad allargare leggermente le gambe, a prenderla per la vita, ad avvicinarla bruscamente a sé e a baciarla come se da quel bacio dipendesse tutta la sua esistenza, come se quel bacio potesse ridargli l'aria che non riusciva a trovare da nessuna parte quella notte, come se quel bacio fosse l'unica cosa capace di riempirgli quel vuoto enorme che sentiva al centro del petto.

Le poggiò le mani ai lati del volto, lasciando che quelle di lei rimanessero sul proprio. Le accarezzava distrattamente le guance e poi la linea sottile della mascella e il mento e il collo, mentre la baciava con crescente trasporto.

E il calore al petto aumentò e continuò a farlo man mano che la disperata ricerca di quel contatto, che in quel momento gli sembrava così vitale e indispensabile, andava avanti.

Fece scivolare le dita dietro le sue orecchie, affondandone la punta nei capelli raccolti sulla nuca. L'avvicinò di più a sé, approfondendo quel contatto, e mettendoci così tanta passione e sentimento, che Ron era convinto sarebbe potuta essere l'unica cosa di cui aveva bisogno per sopravvivere altri mille anni felice e contento.

Lei non fu da meno. Si avvicinò, muovendo le ginocchia sullo stralcio di prato delimitato dalle gambe di Ron, si strinse al suo petto, senza che ci si fosse bisogno di costringerlo ad abbassarsi, visto che la posizione le permetteva di sovrastarlo di qualche centimetro; non di molto, quel tanto che bastava a darle libertà di movimento.

Fu solo dopo quella che entrambi avrebbero definito come l'eternità, che si scostarono l'uno dall'altra. Gli occhi ancora fermamente chiusi, il respiro alterato, il viso scarlatto, le labbra arrossate e i polmoni appena doloranti per la mancanza prolungata di aria. I loro respiri si mescolavano l'uno con l'altro, i battiti dei loro cuori sembravano un unico suono ovattato, amplificato fino all'inverosimile dal sangue che sentivano entrambi pulsare alle tempie.

Rimasero perfettamente immobili in quella posizione, concentrati solamente su quei minimi rumori che in quel momento sembravano l'unica cosa che li circondasse. Hermione si chinò su di lui ancora una volta, per un casto bacio a fior di labbra, seguito a ruota da un altro e un altro ancora, sempre più piccoli, sempre più fugaci, sempre più lontani dalle labbra di lui: stava scivolando sempre di più verso l'angolo della bocca, e poi giù verso il mento.

Ron strinse leggermente la presa sulla schiena di lei, sentiva di non poter pensare razionalmente in quell'attimo. Non c'era niente di razionale in tutto ciò che gli stava letteralmente facendo scoppiare il cuore in quel momento, non c'era razionalità nel suo battito alterato e accelerato, nessuna logica nel tremore delle sue mani, nessuna spiegazione chiara e concisa per quell'onda di totale appagamento che sembrava avverlo improvvisamente investito.

Eppure .. forse, una spiegazione c'era, una spiegazione tanto semplice ma al contempo così complicata.

Ron si chiese come fosse possibile che due minuscole parole potessero riuscire a fargli perdere la cognizione del tempo e dello spazio, come due misere parole potessero spiegargli perché in quel momento si sentisse al centro del mondo, al centro del mondo da solo, solo lui e la sua Hermione, stretti in quell'abbraccio caldo e rassicurante, in quell'abbraccio che Ron non avrebbe mai sciolto se gliene fosse stata data l'opportunità.

Hermione era arrivata all'altezza del collo, e stava tracciando un intricato percorso fatto di baci fino al suo orecchio.

Soffiò piano sul suo volto arrossato, sentendosi così leggera da poter fluttuare a mezz'aria senza dover ricorrere necessariamente alla magia.

Perché era sicura di non aver mai sperimentato una magia più potente, più coinvolgente, e più dannatamente esaltante di quella che stava vivendo in quello stesso istante.

Riportò il viso all'altezza di quello di lui, fissandolo insistentemente in quegli occhi che sembravano essere così profondi, in quel momento, che avrebbe giurato di potercisi perdere là dentro. Felicemente smarrita nel blu di quello sguardo che l'aveva fatta sussultare tante di quelle volte che non era nemmeno stata capace di tenerne il conto dopo un po'.

Fece ricadere la mano, passandogli i polpastrelli sulle labbra. Aveva odiato vedere quelle stesse labbra padrone di una bocca che non era la sua, aveva odiato vederle chinate al volere di qualcuna che non era lei.

In quell'esatto istante, il solo pensiero di non averle completamente per sé le dava alla testa, le sembrava così maledettamente fuori discussione che il desiderio di riappriopriarsene fu nuovamente brusco e immediato.

Si baciarono di nuovo e a lungo.

L'abbraccio di Ron la strinse sempre di più, mentre la pressione che lei metteva nello sporgersi versi lui stava pericolosamente minacciando di farlo cadere di schiena sul prato.

Il contatto era diventato improvvisamente più frenetico ed esigente.

Si divisero appena, ma improvvisamente, come scottati da quell'andare troppo in là, troppo oltre, troppo in fretta.

Riaprirono istantaneamente gli occhi, i loro sguardi innegabilmente inchiodati l'uno all'altro.

E sotto quella luce, con quei ciuffi mezzi svolazzanti, con quegli occhi scuri e profondi, con quelle labbra così rosse, così rosse per causa sua, col respiro mozzatole in gola da lui stesso, gli sembrò bella come mai lo era stata.

"Ti amo, Hermione."

Le parole gli erano uscite di bocca senza alcun preavviso, senza alcun accenno ad un discorso, ad una misera introduzione a quella bomba sganciata di colpo.

Ma non sgranò gli occhi, e non tentò di giustificarsi goffamente per ciò che aveva appena detto. Gli erano uscite dal cuore quelle due misere parole, gli erano uscite direttamente dal cuore e non era riuscito a fermarle. Perché avrebbe dovuto?

La spiegazione a tutti quei sintomi che si erano manifestati uno dopo l'altro nel giro di quei pochi minuti che sembravano innaturalmente dilatati nel tempo, era così semplice e così immediata che Ron non poté fare a meno di darsi del deficiente per non averci pensato prima. Era così evidente, così scontata come risposta, che .. probabilmente non si era nemmeno soffermato a prenderla in considerazione.

Hermione non rispondeva, ricambiava il suo sguardo, e basta.

Stavolta Ron, era piuttosto convinto che il cuore di lei si fosse fermato improvvisamente.

Ma poteva forse pentirsi di quello che le aveva appena confessato? Poteva o doveva ritrattare quell'ammissione che non gli era costata niente in quel momento, ma la cui anche solo lontana formulazione l'aveva fatto tribolare per anni e anni, senza che riuscisse a capacitarsene? Doveva dirle qualcosa? Attutire il colpo? Ridimensionare ciò che aveva appena spassionatamente confermato a se stesso e comunicato ad Hermione?

"Anch'io," la voce di Hermione interruppe bruscamente il flusso dei suoi pensieri, "anch'io," ripeté di nuovo come ad enfatizzare la conferma, a rassicurarlo e a rassicurarsi definitivamente.

E poi il più bel sorriso che Ron le aveva visto fare dopo tanti anni, le si aprì sulle labbra, un sorriso che le illuminò tutto il volto e le scoprì i denti bianchi e perfetti.

E non riuscì a fare a meno di risponderle, con un sorriso un po' impacciato, ma sincero, sincero come non lo era mai stato in vita sua.

Si misero a ridere inaspettatamente, due risate così diverse, ma allo stesso tempo indicibilmente simili che risuonarono l'una nelle orecchie dell'altro e viceversa.

Ed era la musica più bella che si sarebbero aspettati di udire.

Ron la baciò di nuovo, appena, sulle labbra.

Il vuoto al petto se n'era andato, forse solo temporaneamente, ma in quel momento non voleva pensarci. Gli bastò il pensiero di un Fred stupito dall'audacia del suo piccolo Ronniekins a renderlo ancora più allegro di quanto già non fosse.

"Propongo una visita alle cucine," disse con tono leggero, "magari Kreacher e gli altri sono già in piedi."

"Per .. ?"

"Per farci dare qualcosa da mangiare, ovviamente. Non so te, ma comincio ad avere fame."

L'espressione di Hermione non era scocciata, ma semplicemente incredula, di un'icredulità positiva che la costrinse a scuotere il capo in un'occhiata alla tanto-non-cambierai-mai-Ronald-Weasley.

"Oppure possiamo restare qua e aspettare che io decida di mangiarti la faccia," Ron aggiunse, romantico quanto un calcio nello stomaco.

"Ah-ah," fu la laconica risposta di Hermione, "sempre che non decida di farlo prima io a te." Fece notare innocentemente lei.

Ron la occhieggiò con aria furba.

"Lo sapevo che sotto sotto sei sempre una Donna Scarlatta!" Esclamò allegro.

Una sonora botta a mano aperta lo colpì alla spalla. Accusò il colpo senza scomporsi più di tanto.

"Io non sono una Donna Scarlatta!" Lo rimbrottò lei, mentre si rimetteva in piedi.

"Lo so, Hermione," concesse lui, "non sei tu che sei Scarlatta, sono io che sono incredibilmente sexy." Sospirò con fare drammatico da playboy incallito. "Dopotutto non posso fartene una colpa," continuò imperterrito rialzandosi a sua volta, "il mio magnetismo animale le stende tutte!"

Fece un rumore strano, come di birilli che vengono buttati giù in un colpo solo.

"Strike!" fu l'esclamazione che gli risuonò nella testa, senza alcuna ragione.

Hermione si portò le mani ai fianchi. "Certo, Ron," acconsentì, come si acconsente a ciò che dice un malato di mente, "è tutto merito del tuo magnetismo animale."

"E del tuo essere Scarlatta," la corresse Ron, "non dimentichiamocelo."

Le fece l'occhiolino, e Hermione fu costretta a voltarsi per nascondere il sorrisetto che le era sfuggito sulle labbra.

"Bene. Vorrà dire che la prossima volta possiamo occupare il nostro tempo discorrendo di Trasfigurazioni, Livello Avanzato," disse soddisfatta, prendendo a camminare spedita verso il castello.

Ron sbiancò. "Che cosa?!" Le parole gli erano uscite strozzate e acute mentre la rincorreva su per il prato. "No, che non lo faremo!"

"Oh sì, che lo faremo," si ostinava lei senza voltarsi.

"No! Ti prego!"

"Onestamente, Ronald, non c'è niente di così sconvolgente nelle Trasfigurazioni di Livello Avanzato!"

"Ma non è per quello!"

"Ah no?"

"No"

Pausa.

"Bè magari possiamo trovare un modo per occupare il tempo tra una trasfigurazione e l'altra," disse lei, risalendo i gradini per la Sala d'Ingresso.

"Ora iniziamo a ragionare," sentenziò Ron con aria piuttosto soddisfatta, raggiungendola e afferrandola bruscamente per la vita.

La trascinò rapida per gli scalini e poi via sparati per il passaggio segreto che conduceva alle cucine.

Mentre Hermione scoppiava a ridere, e Ron faceva altrettanto, quest'ultimo si chiese se esistesse un qualche libro intitolato "Dodici Cose Da Fare Esattamente Dopo Aver Incantato Una Strega, Che Non Comprendono Il Saltarle Direttamente Addosso O Il Mangiarle La Faccia", e si augurò vivamente che occupare il tempo dilettandosi di Trasfigurazioni di Livello Avanzato non fosse compreso nella lista.


* * *

Hiii fine. Mi sa che ho calcato un po' la mano, ma oh, LUNGA VITA A RON ED HERMIONE!

  
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