NdA:
Oh, io che pubblico due capitolo nel giro di un giorno. Quale
incredibile novità!
Voglio scusarmi se i capitoli di questa storia risulteranno
schifosamente
corti, ma è meglio così, almeno per me.
Credetemi, non ho idee su come
svilupparla, e le cose iniziano a venir fuori man mano che scrivo. Se i
capitoli fossero troppo lunghi, rischierei di mischiare le cose e fare
un
casino. In più, se anche la lunghezza fosse variabile, non
sarebbe male. Prima avevo
sempre il pallino di dover scrivere dei capitoli abbastanza
consistenti, e mi
sentivo decisamente “costretta” a dover sempre
scrivere tanto. Così è molto più
piacevole, ecco. Poi, volevo dirvi che, in caso aveste bisogno di chiarimenti e di far domande, io sono qui e vi risponderò senza problemi. (: Ancora, scusate se ci sono degli errori o ripetizioni. Non ho mai voglia di rileggere. #facciopena Sentitevi liberi di correggermi, se vi va.
2.
Hestil,
“il Mondo di sopra”, era un
posto di una bellezza impossibile da riprodurre nel resto
dell’intero universo,
specialmente nel Mondo degli uomini. Se
Gweluon era il mondo insopportabilmente caldo, insopportabilmente
stretto e,
spesso, insopportabilmente triste, afflitto da scontri –
seppur involontari –
fra i suoi dei, Hestil era piacevole in ogni suo singolo dettaglio.
Gli dei di
Hestil, così come quelli di
Gweluon, soffrivano comunque la separazione dalla loro metà
originale,
nonostante la pace che regnava nella loro dimensione. C’era
chi, in ogni caso,
affrontava la sofferenza con ottimismo.
«Buongiorno,
Xium-»
Un tonfo. Il dio
del ghiaccio, da
Gweluon, attraverso il suo specchio, riuscì a sentirlo
chiaramente. Non aveva
ancora visto il volto del guardiano di Hestil mostrarsi
nell’argento, il che,
come al solito, stava a significare che fosse caduto a terra, cercando
di
afferrare lo specchio dal comodino accanto al suo letto. Fortuna per
loro che
erano immortali!
«Ghiaccio…?»
domandò Xiumin trattenendo una risata, seppur debole. Niente
risate a Gweluon.
Mai.
«Sì,
Xiumin. Grazie.»
A quel punto, il
dio di Gweluon riuscì a
vedere il volto del guardiano di Hestil mostrarsi nello specchio. SuHo
aveva un
viso dai tratti e dalle espressioni gentili, a differenza di quello del
guardiano di Gweluon. Così, a Xiumin veniva molto
più facile prenderlo in giro,
con il suo già spiccato comportamento da folletto dispettoso.
«Che
ne dici di fare piovere un po’ sui deserti, oggi?»
Il guardiano di
Hestil, osservando l’espressione
speranzosa di Xiumin riflessa nello specchio, scosse la testa, come
ogni volta
che gli faceva una richiesta del genere. Intanto, si teneva un impacco
di
ghiaccio – apparentemente comparso dal nulla –
sulla tempia, esattamente dove
aveva battuto.
«Lo
sai che non potrei anche volendo, Xiumin.»
L’altro
sbuffò. «Non è giusto darla
sempre vinta ad Ekhard,» disse, col tono di voce estremamente
basso «Voglio
dire, se tutt’e dodici cercassimo di ribellarci, ci sarebbero
intere galassie
simili ad Hestil. Immagina gli uomini, poi-»
«Non
è possibile. Non riusciamo neanche ad andare del tutto
d’accordo fra di noi. Come
pretendi di poter conciliare caos ed ordine? Bene e male?»
Sospirò. «Ormai ne
abbiamo parlato così tante volte che ripeto queste parole
come una mantra. Lasciamo
perdere questo discorso, Xiumin, e non riprendiamolo
più.»
SuHo, quindi,
decise di alzarsi dal suo
letto. Lì ad Hestil avevano giacigli e dimore accoglienti,
seppur in luoghi
decisamente inusuali. Il dio dell’acqua viveva in una
struttura fluttuante che
spiccava al disopra di nient’altro che l’immenso
lago attorno al quale si
sviluppava il resto di quel mondo. La sua dimora non era grandissima.
Vi era
solo la sua stanza, un bagno ed una piccola cucina, tutto arredato in
maniera
abbastanza sobria, in perfetto stile umano.
Quelli eccentrici, del resto, erano tutti a Gweluon.
Mentre si stava
dirigendo verso la
porta, dovette fermarsi, sentendo Xiumin parlare nuovamente.
«Mi
manchi, SuHo.»
Abbassò
la testa, sospirando. Alzando un
po’ la voce, in modo da farsi sentire, si apprestò
a rispondere.
«Anche
tu, Xiumin. Buonanotte.»
Andò
quindi a salutare le creature che
popolavano il lago Ion.
Il lago Ion non
aveva una fine, vale a
dire che non possedeva un fondale. La sua grandezza era tale che
neanche il
guardiano di Hestil sapesse per quanto s’estendeva
né conoscesse l’ammontare di
esseri che vi vivevano. Il lago Ion fu creato successivamente
all’albero della
vita Gaerdaer in modo da continuare a nutrirlo, eternamente, attraverso
le sue
acque. Non è propriamente corretto definirle
“acque”. Non ci si bagnava nel
momento dell’immersione e, a voler raccogliere un
po’ di quel liquido azzurro
brillante, questo non si sarebbe mai e poi mai trattenuto fra le mani.
Era così
impossibile asportarlo da Hestil. Tuttavia, nonostante a livello fisico
non
avesse alcun effetto particolare su chi si immergeva, rimanendo solo
con i
piedi a mollo per cinque minuti, si poteva sentire un benessere
generale diffondersi
per tutto il corpo.
Nuotando
velocemente verso la superficie,
SuHo sbucò dal lago con la velocità simile a
quella di un missile, diffondendo
zampilli lucenti ovunque. Ed intanto che, con calma, si apprestava ad
atterrare
sulla sponda, lanciò una fugace occhiata al cielo limpido.
Vide la scia che il
guardiano di Gweluon stava lasciando intanto che volava
chissà dove per poter
incontrare la madre. Una volta con i piedi saldi a terra, si
voltò a guardare
la torre della fenice. Il fuoco che ardeva incessantemente sulla cima
aumentò d’intensità
luminosa. Si ritrovò a sospirare, prima di iniziare il suo
giro di
ricognizione.
Il guardiano di
Gweluon, ascendendo dal
fuoco che ardeva sulla torre della fenice, senza potervi – a
malincuore – sostare,
andò ad incontrare nuovamente la Madre per la quinta volta
nel giro di un mese.
Generalmente, agli dei, capitava di incontrare i due supremi una volta
ogni
venti anni. Potete ben capire, quindi, come essere chiamato al suo
cospetto per
così tante volte di seguito fosse un evento incredibile
quanto preoccupante.
Nella dimensione
immateriale della
Madre, nessun guardiano né tantomeno gli dei minori,
potevano utilizzare i loro
poteri. Il dragone, così, si ritrovava a dover salire
innumerevoli gradini ogni
volta, in modo da poter arrivare di fronte a quella donna vestita di
bianco. A dire
il vero, lì ogni singola cosa era bianca. Non
v’era alcuna variazione cromatica
minima. Al guardiano di Gweluon, non faceva paura mai nulla, sul serio.
Non si
vergognava, addirittura, della cicatrice che gli era stata inflitta da
Ekhard
quando aveva osato provocarlo. Eppure, Ekhard, colui che era il male,
colui che
era un dio supremo, non lo spaventava. Anzi, si ritrovava a pensare a
lui con
sufficienza, venendogli spontaneo da parlarne e da trattarlo in maniera
beffarda. La Madre, invece, portatrice dell’essenza del bene,
di tutto ciò che
doveva essere buono, paradossalmente, gli incuteva timore. Il candore esasperante di quel posto nel quale non
vi era nient’altro se non una ripida scalinata che portava ad
una specie di
podio neanche troppo grande, senza nemmeno un
“trono”, non faceva altro che
aumentare l’ansia che prendeva il sopravvento su di lui.
«Non
dovresti venire
qui sfruttando il volo, Kris. Non sarà l’ultima
volta che ti chiamerò e
potresti iniziare sul serio a stancarti.»
Se non altro,
per lo meno, quella donna
teneva fede all’ideale di bontà, guardando coloro
con cui parlava con un’espressione
ed un sorriso magnanimo.
«Dovrei
mandare Kai a prenderti, la prossima volta.»
Il guardiano di
Gweluon scosse la testa,
subito contrariato. «No, è troppo pericoloso che
venga da noi.»
Entrambi
tacquero. La madre, ora, lo
stava guardando con un sorriso per qualche motivo divertito.
Più che guardarlo,
lo osservava. Prese a girargli intorno, il vestito bianco che, toccando
a
terra, seguiva i suoi movimenti. Portò una mano sotto il
mento, segno che aveva
preso a pensare.
La Madre era
l’entità che racchiude in
sé il significato ultimo di tutte le cose, colei dalla
quale, chissà quando e
chissà dove, tutto ebbe inizio. Semplicemente, la Madre era
eterna, senza un passato,
un presente o un futuro. Si presentava come una giovane donna durante i
suoi
vent’anni. Non vi dirò che era di indubbia
bellezza perché lei, invece, oltre
che ad essere l’eternità, ad essere
l’origine di tutto, era la perfezione.
Ancora, al
guardiano di Gweluon tutti
questi dettagli non incutevano timore. Erano solo tante cose che, messe
insieme, lo portavano a stare al di sotto di lei solo di un gradino.
Fra l’altro,
al suo cospetto non si inchinava mai. Era quel sorriso bonario, invece,
che lo
faceva rimanere in tensione come una corda di violino.
La Madre
girò attorno a lui almeno due
volte. Poi gli si fermò davanti, a braccia incrociate.
«Se
dici che è pericoloso, allora hai intuito cosa sta
succedendo, giusto?»
Kris premette
due dita contro una
tempia, chiudendo gli occhi e sospirando, al limite della sopportazione.
«Non
potrebbe gentilmente dirmi cosa diamine sta succedendo? Sa
com’è, ho il fuoco
della distruzione da alimentare e tutte queste cosucce che potrebbero
mandare
in tilt l’universo. Ora,» pausò per un
istante, cercando di incanalare altro
ossigeno per poter parlare, intanto che l’altra prendeva di
nuovo a girare
attorno a lui, ridacchiando «Abbiamo capito che Ekhard ha in
testa qualcosa
perché, oh, ce lo sentiamo dentro
quindi devo continuare a venire qui allarmando tutti quanti. Ieri mi ha
detto
di tenerlo a bada, gridandomi contro, ma non ci sto capendo
nu-»
«Oppure
è che vuoi non aver capito, Kris?»
Ora gli si era
fermata accanto,
mettendogli una mano sulla spalla. Lo guardava sorridendo.
Il guardiano di
Gweluon spostò lo
sguardo di lato, corrucciato. La Madre, come sempre, aveva ragione.
«Cosa
dobbiamo aspettare?»
«Che
la sabbia smetta di scorrere.»
***
«Stai
facendo scorrere la luce, oppure stai qui a far nulla?»
SuHo venne
abbagliato da un fascio di
luce improvviso. Portando due dita a stropicciarsi gli occhi, prese a
lamentarsi, come suo solito, senza ottenere alcun risultato.
«Sto
facendo scorrere la luce, sì, basta che stai zitto, SuHo,
cavolo! Non ti si può
sentire!»
Il dio della
luce si girò su un fianco,
rotolando sull’erba, dando così le spalle al
guardiano.
«Grazie
per l’attenzione.» disse. Avrebbe voluto avere
un’aria infastidita, dura, ma
finiva sempre col risultare dispiaciuto e ferito, nonostante cercasse
di non
darlo a vedere il più possibile.
«Comunque,
hai visto Kai?»
L’altro
fece spallucce.
«BaekHyun…»
«Non
sono affari miei.»
SuHo
sospirò, abbassando la testa. Poi riprese.
«Se non te ne fossi reso conto, qui sta succedendo qualcosa,
e dovreste cercare
di mettere la testa a posto e aiutar-»
«E’
a Gweluon.» lo interruppe il dio della luce, facendolo
raggelare all’istante.