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Autore: absinthium    07/01/2013    1 recensioni
Parigi. Una finestra aperta. Una bottiglia. Ricordi.
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con
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 La sveglia suona. Le 7:30. Aspetta che io la spenga, ma non mi va.
Provo ad aprire gli occhi, un raggio di sole attraversa la stanza, sta per cominciare la solita routine: 8.30 in ufficio, una giornata più che stressante sul lavoro, torno a casa tardi, spossata, un panino al volo e mi ritrovo qui, seduta sul mio divano, le gambe larghe e quella bottiglia quasi vuota di Gin in mano. La finestra aperta lascia entrare quella leggera brezza estiva che mi rinfresca il viso, le luci della città si riflettono sul vetro.
Dopo l’ultimo sorso di Gin continuo a pensare alla mia vita e mi chiedo come ho fatto a mandarla in malora così.
Ricordo ancora quando da bambina sognavo di avere un lavoro fantastico, un marito tutto mio, il compagno ideale che non mi avrebbe mai lasciata, nella buona e nella cattiva sorte, in salute e malattia, in ricchezza e povertà; dei bambini, tre per essere precisi, il numero perfetto, figli miei che avrei amato sopra ogni cosa, più di tutta me stessa.
E ora, ora ho paura anche che un uomo si avvicini a me. 

Da quella notte. 

Ormai è così, da quella notte è iniziato il rapido declino della mia vita, ho iniziato a bere. Si. Bere per dimenticare. È così che si fa. In un primo momento pensi che tutti i tuoi problemi stiano per svanire. Nel momento stesso in cui senti quel fluido freddo scendere e bruciarti la gola, giù fin dentro lo stomaco, ti senti libero, libero da ogni preoccupazione. Poi d’un tratto la magia scompare, come in Cenerentola... solo che in un tempo più breve e soprattutto senza lieto fine. Allora ricominci ancora e ancora, senza fermarti mai, con l’unico scopo di riprovare la stessa sensazione di momentaneo benessere, solo per sentire anestetizzato il cuore ed il tuo dolore, fin quando credi di non farcela più, di essere arrivata al limite.
E poi cadi, come un peso morto, e con te anche quella maledettissima bottiglia, che si frantuma a terra come la tua anima.
Questa sera non basta, voglio superare quel limite. Tra un ricordo ed un altro mando giù un sorso di quella magica pozione, “la pozione per un secondo di felicità”…

Ricordi.

Sogni di una vita ormai spezzata. La mente torna lì, a quella notte di due anni fa.
Tornavo a casa e ripensavo alla serata appena trascorsa con Stephàn, l’unico e l’ultimo uomo che abbia mai amato davvero. Ero stata benissimo con lui, eravamo andati a cena, il locale più in della città. Io, giornalista di successo, lui, specialista in neurochirurgia. Al termine della cena, in un bicchiere di champagne avevo trovato finalmente quella promessa tanto attesa. L’anello. Poi la dichiarazione e la sua richiesta di matrimonio. Non volevo aspettare, non potevo aspettare... Gli dissi di si, la risposta più ovvia che avrei potuto dare, la cosa più vera che abbia detto in tutta la mia vita. Felici come non lo eravamo mai stati, andammo a casa sua e facemmo l’amore.

Quando me ne andai e mi chiusi la porta di Stephàn alle spalle per dirigermi verso casa, volavo verso il paradiso.
Arrivata a destinazione, mentre tentavo di aprire la mia, strisciavo all’inferno. 

Presi la macchina, quella sera non mi feci accompagnare, avevo voglia di stare da sola, sognavo il momento in cui sull’altare e con l’abito bianco l’avrei guardato e con le lacrime agli occhi avrei rinnovato ufficialmente quella promessa.
Quella stupida macchina si ruppe e rimasi da sola in una strada deserta. Il cellulare non prendeva, non potevo chiamare nessuno. Decisi di scendere per chiedere aiuto a qualche passante.
Un’auto si fermò. Tre uomini scesero, credevo volessero prestarmi soccorso ma avevo una sensazione di paura, paura di quella strana luce che potevo scorgere nei loro occhi. Si avvicinarono, uno di loro cominciò a farmi dei complimenti, frasi sempre più volgari, sempre più spinte.
La paura si trasformò in vero e proprio terrore. 

Bevo. Continuo a bere, bere.
Voglio bere. Voglio bere. Non ce la faccio più. 

Il più grosso dei tre mi prende, mi spinge a sé, mi maltratta, cerco di divincolarmi da quella squallida presa, ma non ci riesco... mi usa e poi mi getta nelle braccia degli altri due che terminano il suo sporco lavoro.

Nella mente scorrono i ricordi di quella serata felice, dei cinque, intensi anni trascorsi con lui, il mio grande amore. Chissà cosa farà ora. Chissà se vorrà ancora sposarmi.

Mi lasciarono li, gettata al margine di quella strada deserta con i vestiti a brandelli, come spazzatura.
Non so quanto tempo passò, so solo che mi feci coraggio e con grande sforzo riuscii ad alzarmi. Tornai in macchina, quella maledetta partì di nuovo.
Fu il destino? Chissà. Ormai la mia vita era distrutta. Non ebbi il coraggio di denunciare l’accaduto: mi vergognavo, mi odiavo, odiavo me stessa ed un corpo che non sentivo più mio.
Decisi di andar via, di partire, cambiare città, cambiare vita. Volevo solo fuggire. L’unica cosa che lasciai a malincuore fu lui: Stephàn. Mi chiedo ancora il perché di quel gesto. Lo amavo ma avevo paura di una sua reazione e andai via senza dir nulla, non una telefonata, non una lettera, né un biglietto.
A causa del dolore iniziai a bere e oggi, l’anniversario della fine della mia vita, sono ancora qui. Continuo a bere.
Perché? Perché ne ho voglia.
Dove voglio arrivare? Non so, forse alla fine di questo dolore.
Continuo a ricordare momenti felici.
D’un tratto sento che le forze mi abbandonano, il respiro ed il cuore rallentano. Questa non è una sera qualunque, questa è “ la grande sera”, la fine di ogni sofferenza, la fine di tutto.
Sento la vita scivolarmi addosso indifferente.
Chissà quando scopriranno l’accaduto. Non mi importa.
Ora sono pentita. Pentita dei miei errori. Pentita di aver lasciato Stephàn, sono sicura che mi avrebbe capita. Pentita di essere diventata un’alcolista.
Rimpiango tutte le cose che ho perso a causa della mia stupidità.
E mentre ammetto queste cose, sento il cuore fermarsi.

  
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