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Autore: delilahs    07/01/2013    0 recensioni
Questa è la solita storia d'amore.
Questi sono Robert e Kristen.
Questo si chiama colpo di fulmine.
L'amore immaturo dice: ti amo perché ho bisogno di te.
L'amore maturo dice: ho bisogno di te, perché ti amo.

Ma l'amore non è solo per chi si ama.
L'amore è anche per chi nasce.
Perchè il cuore non si divide quando si ama.
Il cuore diventa due volte più grande.
 
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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“Ehilà, barbone!”
“Ciao zingara!”
“Allora, cosa facevi?” dissi soffiando nella cornetta del telefono
“Pensavo a voi”
“Mhh, molto interessante. E prima ancora?”
“Pensavo a voi”
“Ma tu non lavori mai?” dissi ridendo.
“Certo che lavoro! Insieme a tante donne sexy e affascinanti”
Risi di nuovo, cercando di ignorare la sensazione di gelosia che si faceva strada nel mio stomaco. Stupido.
“Ah, davvero?” sussurrai con finta voce dispiaciuta.
“Kristen? Ma ti sei offesa?” disse preoccupato dal telefono, alzando la voce.
Risi e lui capì tutto, come sempre.
“Haha, Stewart, molto divertente. Ora, per favore, fammi salutare i miei fagiolini, grazie, molto gentile.”
“Ok, aspetta che sposto il gatto.”
“Perché, dove dorme il gatto?” disse divertito Robert.
“Con le zampe sulla mia pancia, aspetta un attimo…” mi bloccai, inorridita da quello che avevo detto.
“Okay, adesso non tirerai fuori la storia che sta…” sussultai.
“…li sta schiacciando! Sono piccoli, Kris, ho letto su internet che sono lunghi solo quattro centimetri e…”
Sorrisi tentando di spostare Jella dalla mia pancia. Aveva cercato anche su internet. Non mi sarei stupita più di tanto se avesse iniziato a leggere libri sulla gravidanza prima di me.
“Ecco fatto, papino, l’ho spostata, contento?”
“Grazie al cielo. Ripeto, avvicina il telefono al tuo dolce ventre”
Ridendo come una scema avvicinai il telefono alla mia pancia e lo infilai sotto la maglietta leggera che usavo come pigiama. Dopo qualche minuto lo ripresi.
“Conversazione interessante, Robert?”
“Si, sai, cose padre-figli” sentii una porta che sbatteva dall’altro lato della cornetta e Rob che sospirava.
“Ora devo andare. Queste pause durano sempre troppo poco. Tu adesso dormi. A Los Angeles sono la tre di notte. Sarai stanca.” Sussurrò apprensivo.
“Va bene. A domani papino” risi e attaccai la conversazione.
Guardai l’orologio e mi resi conto che era davvero tardi. Mi infilai sotto le coperte con Jella e Minou al mio fianco e mi addormentai serena, con la consapevolezza di non essere sola e di avere una piccola parte di Rob dentro di me.
 



“Svegliala!”
“No, svegliala tu!”
“Lei non ama essere svegliata. E se poi mi picchia?”
“Tay, ma sei scemo? Sei il doppio di lei e hai paura?”
“Mhhhg” mugugnai infastidita “Che volete, rompiscatole?”
“Kristen, mamma ci ha detto di svegliarti. È quasi mezzogiorno” urla Taylor da dietro la porta.
“Mezzogiorno?”
Questa gravidanza stava decisamente scombussolando il mio bioritmo.
“Va bene, arrivo subito.”
Scesi di malavoglia dal letto e mi diressi in bagno. Doccia, denti e uscii. Cosa mi metto? Il dilemma di ogni donna. Una donna incinta, poi…
Optai per una maglietta elasticizzata in vita con dei lupi sopra, la mia preferita e dei jeans, sempre elasticizzati. Mi sentivo gonfia.
Cioè, circa ogni donna su questo pianeta si sente gonfia, ma il pensiero che quei jeans nel giro di un paio di mesi non mi sarebbero più entrati mi fece scendere una lacrima calda sulla guancia.
Me l’asciugai quasi con rabbia, asciugandola col palmo della mano. La guardai scivolare lenta sul mio polpastrello, arrivando fino al polso e poi fino al gomito, per poi cadere sulla moquette rossa.  Mi guardai intorno. La mia stanza non mi era mai sembrata più estranea di quel giorno. Il letto sotto la finestra, la mensola con i pupazzi, la cassapanca di vernice scrostata che conteneva ancora i miei vecchi giocattoli di quando ero piccola.
Sorrisi al pensiero dei miei bambini in quella stanza. Avrebbero potuto giocare con quei peluche quando fossero venuti a dormire dai nonni. E si sarebbero addormentati nello stesso punto in cui mi addormentavo io. E sarebbero stati dei bimbi felici. E amati. Rincuorata da quel pensiero confortante, uscii dalla camera e scesi in cucina.
In quel momento sentii qualcosa vibrarmi in tasca e subito dopo una suoneria partire ‘Firework’ di Katy Perry. Presi il telefono con un sorriso e risposi, non guardando neanche il numero, non ne avevo bisogno.
“Hey..”
“Ciao bella, come va? Stai bene?”
“Si, tutto bene Rob, mi sono svegliata adesso”
“Adesso? Ci credo, sarai andata a dormire tardi come al solito!”
“Non è vero! Prenditela con la gravidanza, babe.”
Sento squillare il campanello e mi dirigo verso la porta, incerta, perché non so se qualcuno andrà ad aprire facendomi un favore. Mh, molto divertente questa.
“….mbè? Vai ad aprire la porta si o no?”
“E tu che ne sai che hanno bussato alla porta?”
“Ho sentito il campanello. Va’ ad aprire, vai” dice soffocando una risata.
“Perché ridi, cretino? Ti stai facendo qualcuna?” dissi ridendo aprendo la porta. Mi ghiacciai quando vidi chi c’era fuori. Robert mi sorrideva, con il telefono ancora attaccato all’orecchio.
“Pervertita” disse ridendo ed entrò di slancio in casa, abbracciandomi e facendomi girare in tondo.
“Smettila, Rob, basta! Mi viene la nausea!” urlai ridendo.
Lui smise di farmi girare ma continuò a ridere. Mi beai di quel suono fino a quando non mi accorsi di stare intrattenendo una conversazione nell’ingresso. Lo presi per mano e mi incamminai nel salone, sotto gli sguardi sbalorditi dei miei fratelli e quello rassegnato e contento di mia madre, il che mi fece pensare che lei sapesse già tutto.
Ci sedemmo tutti a tavola e aggiunsi una sedia accanto a me per Rob. Però lui non si siedette e si avvicinò a mia madre, dicendole qualcosa all’orecchio. Lei sorrise e annuì tranquilla. Allora Rob si avvicinò a me e mi prese per mano, portandomi fuori dalla stanza, fuori dalla casa.
“Dove stiamo andando?”
“Lo vedrai” mi rispose sorridendo.
Camminiamo per dieci minuti fino ad arrivare in un piccolo ristorante tranquillo sul ciglio di una strada semideserta e contornata di aiuole fiorite. Da vero gentleman inglese, Robert mi prende sottobraccio e mi accompagna dentro. Stranamente, il ristorante è deserto.
Faccemo un ottimo pranzo, e Rob uscì prima per andare a chiamare un taxi. Pagai il conto e uscii. Ma mi aspettava una pessima sorpresa.
Paparazzi.
“Stronzi di merda..” mugugnai infastidita. Alzai la testa cercando di vedere oltre la luce accecante dei flash, ma Robert non si vedeva. Allora iniziai a scendere piano le scale, incazzata ma anche contenta di aver messo una maglia larga. Non ero ancora pronta ad arrivare a quel punto. Stavo per scendere sul terzultimo gradino quando vidi qualcosa arrivarmi addosso. Non feci in tempo a spostarmi che quel qualcosa mi colpì. O forse quel qualcuno. Non so. Sapevo solo che ero caduta per gli ultimi tre alti scalini che mi rimanevano e che sentivo un dolore provenire da qualche parte del mio corpo non meglio identificata. Mi sembrò tutto sfocato. Vidi una marea di flash e non riuscii ad alzarmi. Mi faceva male la caviglia. Sentii qualcuno urlare e vidi Robert farsi largo dai paparazzi, il volto bloccato su una maschera inorridita, probabilmente derivante dall’urlo che quasi sicuramente avevo cacciato, forse per il dolore o forse per lo spavento.
“Rob…” sussurrai, non sapendo dove mi trovavo o perchè.
“Sono qui Kristen, sono qui.” rispose lui di rimando, aiutandomi ad alzarmi e camminando, anzi, trascinandomi verso la macchina. Poco prima di aprire la portiera, però, sentii qualcuno afferrarmi la maglietta e qualcun altro urlare lontano
“Scatta, scatta, che questi due stronzetti si baciano!” entusiasta.
Robert si girò infuriato e prese in pieno la faccia di un paparazzo con un cazzotto. Poi mi depositò sul sedile posteriore dell’auto e si girò facendo cadere di mano molte macchine fotografiche di paparazzi accalcati su di lui. Entrò con me e si chiuse la porta alle spalle furioso,per poi  rivolgersi subito a me.
“Kristen? Tutto bene? Come ti senti? Oddio, la tua caviglia…”
Osai lanciare uno sguardo alla suddetta parte e quasi svenni. Era diventata enorme, e di colore bluastro. Che velocità.
“Autista, ci porti subito all’ospedale più vicino” sussurrò inviperito all’autista del taxi che ci guardava sconcertati.
Lui ingranò la marcia e partì, spedito, quasi investendo un paio di paparazzi accampati sul cofano. Emisi un gemito di dolore quando mi toccò la caviglia.
“Non… non toccarla, ti prego” lo implorai con sguardo sofferente. Sapevo che vedermi così lo faceva soffrire, ma non ero nelle condizioni di poter fingere. Mi faceva troppo male.
“Dio ti prego, fai che non sia successo niente. Dio ti prego…” sussurrò impaurito.
E per quel viaggio all’ospedale pregai con lui. Pregai che i miei bambini stessero bene e che non fosse successo niente. Non ero mai stata credente, ma in quel  momento mi sembrava l’unica soluzione. Pregai.















 

angolo autore


ehhehehe positivo o negativo? negativo o positivo? i bambini stanno bene? chissà u.u *si sfrega le mani con aria demoniaca* e forse un solo bambino sarebbe più facile da gestire.... u.u ma con due non ci sarebbe il problema che poi il bambino cresce viziato. ma poi si sa, la gelosia è una brutta bestia da bambini, e allora perchè non tagliare subito la testa al toro? *si sfrega le mani* e.e mi spiace, ci vediamo alla prossima babe! che potrebbe non essere tanto presto, quindi..... *si sfrega le mani*
   
 
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