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Autore: Ely_fly    07/01/2013    3 recensioni
Raven e uno specchio.
Momenti di riflessione sulle note di "Riflesso", dal film della Disney "Mulan".
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Raven, Robin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Raven uscì dalla doccia, avvolta da una nuvola di borotalco e seguita da una scia profumata del suo shampoo ai fiori di ciliegio. Si strinse addosso l’asciugamano, in cerca di calore, mentre si aggirava per la stanza alla ricerca dell’abito perfetto per la serata.
Non sarebbe stata una scelta facile, d’altro canto, cosa ci si mette a teatro?
Cominciò a spulciare tra gli abiti civili presenti nel suo (immenso) armadio: sicuramente niente jeans. E con questo aveva scartato metà dei suoi vestiti. Altrettanto ovviamente niente magliette.
Restavano solo un paio di pantaloni che facevano parte del suo tailleur preferito, con giacca coordinata e qualche vestito. Scartò anche il tailleur, troppo serio.
Passò quindi in rassegna gli abiti: rosa. Orrendo, perché lo teneva ancora? Ah, già, era un regalo di Starfire.
Verde. Mmm, già meglio, anche se non le piaceva proprio come le cadeva in quel momento.
Blu. No, troppo tetro e troppo cliché. Anche se quel vestito le piaceva.
Nero. Assolutamente no, faceva troppo funerale. Però…
Viola. Quello era proprio bello, ammise a se stessa. Effettivamente era stato un suo regalo…
Giallo. Decisamente no. Troppo vistoso.
Prese uno dei due vestiti rimasti sul letto e se lo posò davanti, per guardare l’effetto. Si voltò verso lo specchio a figura intera che campeggiava nella stanza.
 
Guardami,
quella che tu vedi non sono io,
tu non mi conosci...
È così,
la mia parte è questa qua.
Eccomi,
ciò che mostro è solo esteriorità,
certo non il cuore mio.

 
“Oh, ma chi voglio prendere in giro… Non gli piacerà, ne sono sicura. Meglio tornare su qualcosa di classico, normale… Un bel vestito nero. Sì, è questo quel che ci vuole. Dopotutto sono la triste, malinconica, musona, oscura Raven, no?” pensò amaramente la ragazza, passando lo sguardo alternativamente dallo specchio all’abito tra le sue mani.
Era un abito rosso brillante, con inserti bordeaux lungo l’orlo e sulle maniche, che arrivava a metà coscia.
Era molto bello. E decisamente nel suo stile.
Solo che nessuno l’avrebbe mai detto e nessuno l’avrebbe mai apprezzato.
 
Dimmi, dimmi chi è
l’ombra che riflette me,
non è come sono io
e il perché non so.


Guardò di nuovo lo specchio e vide una Raven insicura di sé, stretta ad un abito rosso come se fosse stato un salvagente in mezzo ad un mare in tempesta.
Lo posò sul letto a malincuore e prese l’abito nero, posandolo davanti a sé nuovamente, proprio come quello rosso poco prima.
Anche quest’abito era molto bello, nulla da dire. E le stava bene, certo.
Ma era davvero quella la vera Raven? pensò guardando il riflesso.
“Certo che no!” esclamò una vocina nella sua testa, quasi sicuramente quella di Felicità, che dove c’era da mettere becco era sempre presente. Figurarsi.
“E allora com’è la vera Raven?” domandò sconsolata la ragazza, posando anche l’abito nero e prendendo lo specchio per Nevermore. Con un lampo nero, vi fu risucchiata dentro e si trovò davanti tutti i suoi cloni al gran completo.
«Ragazze, quanto tempo» esordì la maga, con un vago cenno di saluto.
«Già, non vieni mai a trovarci!» ringhiò Rabbia, mostrando i suoi quattro occhi rossi.
«Smettila di essere così maleducata!» la rimproverò Felicità, correndo ad abbracciare Raven, il mantello rosa svolazzante dietro di lei.
«Già! Rae-Rae non ha avuto tempo di venire, non è stata colpa sua! È stata piuttosto occupata, ultimamente» ridacchiò maliziosamente Coraggio, prima di continuare. «Quindi non osare rimproverarla o dovrai vedertela con me, chiaro?» domandò, mostrando i muscoli. In tutta risposta, Rabbia ringhiò e poi voltò le spalle a tutte quante.
«Spero che non sia questa la vera Raven…» mormorò Raven, guardando la scenetta davanti a sé e abbassando gli occhi disperata.
«Tranquilla, Raven. Tu non sei come una sola di noi» intervenne Conoscenza, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«Ah no? Pensavo che voi foste questo… Che voi foste me» replicò la ragazza.
«Noi siamo te, in linea teorica. Ma c’è una parte di te che non può essere influenzata da noi e quella sei tu, la vera Raven. Una Raven composta da un delicato equilibrio di tutte noi e di qualcosa in più che nessuna di noi possiede.»
Raven guardò il suo clone vestito di giallo. «Davvero?»
«Davvero. Pensaci un momento e vedrai che la troverai.»
 
Sono qui,
obbligata sempre a nascondere
quello in cui più credo;
a essere,
fuori e dentro uguale, un’identità,
in un mondo in libertà.


Raven chiuse gli occhi e lo stesso lampo nero di poco prima la ritrasportò fuori da Nevermore, di nuovo nella sua stanza, davanti agli abiti sul letto.
Si portò di nuovo davanti allo specchio.
Vide una ragazza in mutande e reggiseno che la guardava con uno sguardo da uccellino impaurito. Questa doveva essere Timidezza…
La scacciò via e guardò di nuovo la ragazza nello specchio.
La studiò da tutte le angolazioni, cercando di cogliervi qualcosa di particolare.
Capelli viola, lunghi fino alle spalle. Lisci, senza imperfezioni di sorta, nessun nodo e nessuna onda.
Occhi di un particolare viola-blu, grandi, circondati da lunghe ciglia da gatta.
Pietra di chakra incastonata sulla fronte. La pietra splendeva, colpita dalla luce del lampadario.
Pelle liscia e pallida, di un particolare grigio tendente al bianco.
Denti bianchi che risaltavano contro le labbra rosee, piene.
Si morse il labbro inferiore, guardandosi a lungo. Stava per rinunciare a tutto quanto, infilarsi dentro una tuta vecchia di lui e andare fino alla Main Ops Room per guardarsi un film in compagnia di un barattolo gigante di gelato al triplo cioccolato.
Stava per farlo davvero, quando notò qualcosa, accanto al labbro inferiore. Si avvicinò allo specchio e vide… Un neo.
Un semplice neo. L’unico che avesse, per quel che ne sapeva.
Lo sfiorò con due dita, per assicurarsi che fosse davvero lì. E in quel momento sentì uno strano calore invaderla, un pizzicorio che la attraversò tutta da capo a piedi, dandole una sensazione di vitalità e una scarica di adrenalina.
Finalmente quel che aveva cercato per tanto tempo! Un segno della sua individualità! Era sicura che nessuno dei suoi cloni avesse una cosa del genere…
Sorrise leggermente e tornò a guardare lo specchio.
 
Dimmi, dimmi chi è
l’ombra che riflette me,
non è come la vorrei,
perché non so…

Chi sono e chi sarò
lo so io, solo io,
e il riflesso mio sarà,
uguale a me;
e il mio cuore batterà, senza limiti,
saprò cosa spinge l’uomo a vincere.

 
Adesso sembrava più sicura di sé ed era così che si sentiva. Forse, dopotutto, il suo vero io era davvero un mix di tutte le sue emozioni e di qualcosa in più. E quel qualcosa in più le piaceva davvero.
Si avvicinò ancor di più allo specchio, sfiorandolo con la punta delle dita affusolate. La ragazza nello specchio fece lo stesso e anche lei dovette nascondere un sorriso nascente.
Sì, quella era davvero lei, non c’erano dubbi. Il sorriso venne fuori a forza, come anche l’istinto di voltarsi verso il letto e di prendere l’abito rosso.
Non era quello che ci si aspettava da lei?
E cosa le importava?? Aveva finalmente capito cosa volesse dire essere se stessa.
Buffo come un piccolo, minuscolo, microscopico neo potesse significare tanto.
Con un sorriso radioso indossò l’abito rosso, si acconciò i capelli in una sobria coda di cavallo, avendo cura di lasciarne fuori qualche ciocca e indossò le scarpe nere che l’aspettavano ai piedi del letto.
Guardò ancora una volta lo specchio, cercando di scorgere il suo nuovo segno distintivo.
In quel momento sentì un rumore assordante che le fece fare un salto dallo spavento.
Perché nascondersi,
vivere per metà,
quando dirò facile
così son io;
ma io ce la farò,
riuscirò, perché sai,
non c’è nulla al mondo che
valga più di noi.


Raven guardò allarmata la porta, che rimbombava sotto i colpi di qualcuno che stava, evidentemente, cercando di farsi aprire.
Con cautela, si avvicinò e fece scorrere la porta metallica, trovandosi davanti Robin, con un’aria preoccupata stampata sul viso e con abiti civili addosso.
«Che succede?» chiese la maga, facendosi da parte per farlo entrare.
«Che succede? Che succede, chiedi?? Sto bussando alla tua porta da almeno cinque minuti senza ottenere una benché minima risposta!! Avrebbe potuto esserti accaduta qualsiasi cosa e invece eccoti qui, beata e contenta a guardarmi e a chiedermi cosa ci sia che non vada!!!» esclamò il ragazzo, agitato, senza prendere fiato.
«Robin…»
«Oh, Raven! Ero  preoccupato, cerca di capirmi! Insomma, cosa dovrei pensare se quando busso alla tua porta non mi rispondi? Dopo l’incidente con Malchior e tutto quello che ne è seguito... Come potrei non preoccuparmi???»
«Robin…»
«E poi, insomma, sei una ragazza! E sei anche una mia sottoposta! E sei anche… Ho il dovere di proteggerti! Perché non vuoi capire?»
«Robin!» Il ragazzo dai capelli neri alzò lo sguardo preoccupato dal pavimento e lo puntò, finalmente, sulla maga che gli si era piantata davanti a gambe divaricate, le braccia incrociate sotto il seno e uno sguardo bellicoso diretto a lui. «Sto bene.» gli disse semplicemente la ragazza, prima di saltargli al collo e stringerlo forte a sé.
Robin sgranò gli occhi, poi la strinse ancor più forte, ripensando a tutte le sue (inutili) preoccupazioni.
«Davvero va tutto bene?» le chiese, quando allentarono la stretta.
«Tutto benissimo, ora che sei qui con me» rispose con semplicità la ragazza, scoccandogli un leggero bacio sulla guancia. «Andiamo?» domandò poi, sciogliendosi definitivamente dall’abbraccio e acchiappando la borsa dal letto.
«Ma certo!» si affrettò a riprendersi il moro, prendendola per mano e portandola verso la porta. «Per fortuna che abbiamo già i biglietti!!» esclamò, sventolandole davanti due biglietti su cui era stampato il celebre logo di “Notre Dame de Paris”, gentile omaggio di Bruce, che aveva sentito che la ragazza andava matta per quel musical.
Si voltò quando non la sentì venirgli dietro e la vide ferma davanti allo specchio, a contemplare la sua immagine.
«Ehi? Tutto a posto?»
«Perfetto» replicò lei, sorridendo al suo riflesso e allontanandosi con il suo ragazzo, che la guardava perplesso. Quando faceva così, proprio non la capiva.
 
E il riflesso mio sarà
uguale a me.

 
«Lo sai? Ti sta bene questo vestito» le disse il ragazzo, una volta che furono al sicuro dentro il teatro, seduti ai loro posti.
«Grazie» sorrise lei, arrossendo leggermente, scoccandogli un bacio sulla guancia.
«Prego» replicò lui, intrappolando le sue labbra in un dolce bacio.
«Robin! Ci vedono tutti!» bisbigliò lei, scappando a malincuore dal bacio.
«E chi se ne importa?» domandò lui di rimando.
«Bè… Ehi, hai ragione. Chi se ne importa!» esclamò lei, riacchiappando le labbra del ragazzo in un bacio che di casto aveva ben poco.
«Ehm, ehm… Non per disturbare, ma siamo venuti per un altro tipo di spettacolo» brontolò uno spettatore dietro di loro. I due ragazzi si staccarono all’improvviso e si voltarono, trovandosi davanti…
«Bruce? Che ci fai qui?» sibilò Robin, riconoscendo l’uomo.
«Pensavi di essere l’unico ad avere un appuntamento galante, stasera?» rispose Bruce Wayne, conosciuto ai più come Batman, sorridendo ed indicando la splendida donna accanto a lui.
«Selina! Anche tu!» esclamò inorridito Robin.
«Non ho potuto resistere, insomma… “Notre Dame de Paris”, capisci…» tentò di giustificarsi la donna.
«Oh, certo. E il fatto che anche io fossi qui per il mio appuntamento non conta, vero ?» esclamò sarcastico il ragazzo-meraviglia.
«Eddai, Robin… Non fare lo scorfano brontolone. Goditi lo spettacolo…» gli sussurrò Raven, scambiando sguardi di scusa con Bruce e Selina, prima di voltarsi con il suo ragazzo verso il palco, dove il sipario era stato alzato e la musica stava cominciando.
 
Raven stava per perdersi nella Parigi del 1482 quando sentì la mano di Robin sulla sua e la voce del ragazzo sussurrarle all’orecchio: «Interessante il tuo neo…»
Si voltò a guardarlo, contenta che l’avesse notato, ma il ragazzo si limitò a sorridere e a farle un cenno verso il palcoscenico.
Con un sorriso, Raven si avvicinò al moro e appoggiò delicatamente la testa sulla sua spalla.
 
Adesso sapeva chi era. E anche chi sarebbe stata.
  
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