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Autore: fuko chan    08/01/2013    3 recensioni
Una mamma, anche io ero una mamma e come tale dovevo salvare mio figlio.
Bombe, fuoco, campo, filo spinato, baracche, quella era la nostra casa. Lavori forzati, bambini maltrattati, stuprati, uccisi mentalmente, ormai sporcati, pigiami a righe, capelli tagliati, sguardi vuoti; questa era la loro vita.
E tra loro, tra quelle macerie di bambini soffocati da spasmi di dolore, c’era pure lui, c’era mio figlio.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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L'identità Riconquistata!

 

…Io chiedo quando sarà 
che l'uomo potrà imparare 
a vivere senza ammazzare, 
e il vento si poserà, si poserà…

(Nomadi, La canzone del bambino nel vento.)

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“Presto, presto… allontanatevi!”



“C’è mio figlio lì! Aspettate. Salvatelo vi prego!”



“Aiuto mamma!”

“Salvatelo, vi scongiuro!”
 

***
 




 “Stanno arrivando gli aiuti! Presto sarà tutto finito!”


“Mi lasci! Là c’è mio figlio!”




***

 
CAOS.
 
Una mamma, anche io ero una mamma e come tale dovevo salvare mio figlio.
Bombe, fuoco,  campo, filo spinato, baracche, quella era la nostra casa. Lavori forzati, bambini maltrattati, stuprati, uccisi mentalmente, ormai sporcati, pigiami a righe, capelli tagliati, sguardi vuoti; questa era la loro vita.
E tra loro, tra quelle macerie di bambini soffocati da spasmi di dolore, c’era pure lui, c’era mio figlio.
Non avevamo scelto noi quella vita, non avevamo scelto noi quella realtà. Loro ci hanno obbligato, loro ci hanno massacrato, ucciso, lacerato.
Eravamo diversi? Per loro si!
Eravamo sudici? Per loro si!
Eravamo persone? No, per loro no!
Eravamo numeri, niente identità, nessun abito, niente capelli. Una divisa, un pigiama a righe.
Ci avevano tolto tutto: non esisteva più l’amore, il rispetto, la vita. C’era solo duro lavoro, sporcizia, sudiciume. Ma tra tutte quelle macerie, vedevo ancora mio figlio.
Non potevo abbracciarlo come una normale madre, non potevo sfiorarlo, cullarlo. Potevo solo guardarlo da lontano, di nascosto. Il tempo passava dentro al nostro campo troppo velocemente, così velocemente che però la via della salvezza sembrava troppo lontana; il mio bimbo aveva ormai dodici anni, dodici anni passati in rovina, seguendo la vita di un adulto, senza conoscere la libertà, la fantasia, il gioco, la natura.
Mi era rimasto solo lui. Ero venuta a sapere che mio marito l’altro ieri, era andato con il suo gruppo a lavarsi, a farsi la loro prima doccia. Solo che ancora non era tornato.
Eravamo davvero sudici, anche perché non ci davano tempo per lavarci. Sapevo che l’indomani sarebbe toccato a mio figlio, ed ero veramente felice. Si sarebbe leggermente ripulito almeno di quella sporcizia che naufragava intorno a noi.
E l’indomani arrivò, con i nostri salvatori che arrivarono troppo tardi.
Mio figlio era partito, verso le docce, insieme all’altro gruppo di bambini. Volevo vederlo, volevo vederlo uscire fresco da quella sana doccia.
L’ho seguito fino alla fine del viale, incrociandolo varie volte con lo sguardo. Lo vedevo marciare in tutta la sua tristezza, con lo sguardo spento, perso nel vuoto; sentivo un qualcosa accaldarmi il collo.
Mi girai e vidi un uomo. Pensai davvero che la mia ora era giunta proprio in quel momento. Invece mi fermò, bloccandomi la bocca che stava per urlare. Lo guardai e mi accorsi che la sua divisa era diversa da quella che ogni giorno frustava la mia carne.
“Cosa ci fai qui? Lì ci sono le docce, ci stiamo muovendo per bombardare quell’area, così che nessuno mai più venga ucciso da quel gas!” disse a bassa voce il salvatore.
Docce? Gas? Bombardare?
Lì c’era mio figlio! Dovevo salvarlo, dovevo prenderlo, agguantarlo e portarlo lontano. Ma lui mi prese forte, immobilizzandomi.
“Lasciami andare! Lì c’è mio figlio!” urlai, in preda ad una crisi di nervi. “Salvatelo, vi prego!”
Vedevo mio figlio avanzare lento dentro al capannone, fino a che una bomba non mandò a fuoco la baracca. Piangevo, urlavo il suo nome invano!
“Mamma! Aiuto!”
Era vivo! Potevo salvarlo, potevo sentire la sua voce in lontananza. Correvo forte, con le lacrime che mi rigavano violente il viso. Vedevo intorno a me crearsi il caos, divise di vario tipo uccidersi a vicenda, urla, bombe, fuoco.
Ero arrivata, ero proprio lì davanti a lui, mi sono gettata, tuffata, abbracciandolo…
“…Mamma…”
L’ultima parola che la sua voce affievolita sussurrò.
 

"…come 

un pastore errante che sa che ha 

perso la sua stella d'oriente..."


 
Era finita, era davvero finita. Piangevo, senza accorgermi che sul mio pigiama a righe spuntavano chiazze rosse.
I miei occhi terrificati si riempirono di inquietudine e di terrore.
Davanti a me, raccolto tra due braccia di madre, vi era un figlio massacrato. Un foro, un buco che gli trapassava il torace gli fece cessare quel doloroso respiro.
I suoi occhi erano bui, la sua bocca era colma di sangue che zampillava fuori funesto. Lo guardai, lo fissai bene, cercando il suo ormai spento battito.
Il salvatore mi caricò sulle spalle, mentre mi divincolavo dalla sua presa, cercando le mani di mio figlio.
Non ci riuscii, mi portò via senza sentire lamentele.
“Stanno arrivando gli aiuti, presto sarà tutto finito.” Disse lui correndo tra le macerie del campo massacrato.
“Mi lasci, là c’è mio figlio! Devo curarlo, devo proteggerlo. So che non è morto… la prego. Mi… mi lasci…”
Ma le mie parole non arrivarono al soldato che percorreva veloce le rosse vie del campo tedesco.

Una madre, anche io ero una madre, e come tale volevo salvare mio figlio.
 
 

“Signora, l’abbiamo ritrovato!”

***
“Dottore, e mio figlio?”
“Mi spiace, ancora nulla.”
***

Ero salva, ero finalmente salva. Ma lui non c’era, lui non si trovava. Era davvero finita, ma lui era scomparso. Urlavo, piangevo, maledicevo chiunque.
Volevo tra le braccia solo lui, solo mio figlio.
“Mamma…”
Era lì accanto a me, seduto nel suo pigiamone che sorrideva!
“Sei vivo? Cosa ci fai qui?”
“Vieni con me, mamma! Ti porto insieme a me in un bel posto!”
“Portami via, si! Portami via da qui!” risposi a bassa voce.
Finì lì, la nostra storia. Lui mi fece conoscere la morte, una bella signora in nero che ci accompagnò in un tranquillo mondo.
Siamo di nuovo uniti, io, lui e mio marito. Siamo qui, tutti insieme, felici.
Ci amiamo, ci culliamo.
Non sentiamo più il rumore ruggente delle bombe, non sentiamo più l’odore intenso di polvere da sparo. La nostra carne non soffre più, non abbiamo più lividi, nemmeno sangue che zampilla fuori.
Non siamo più numeri, non siamo più bestie.
Abbiamo di nuovo un’identità: Anna, Carlo e Giosuè.
Siamo liberi, liberi di pensare, di amare, di parlare, di urlare. Non capirete mai il dolore che abbiamo sofferto, come non capirete mai la tranquillità che ora ci riscalda.
Ora si! Ora si, che siamo vivi!
 
 



 

Spazio D'autrice: OS creata su due piedi in queste due ore di spazio notturno!
Spero che qualcuno si soffermi a leggerla, e che qualcuno magari l'apprezzi!
La canzone citata in rosso è dei Nomadi, dal titolo "Stella d'oriente!"
Grazie a chiunque passerà e buona lettura, cari viandanti!


   
 
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