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Autore: Orion_Nebula    08/01/2013    1 recensioni
Scritta tempo fa, quasi subito dopo "L'Orione", nella classica enfasi degli scrittori in erba.
La tematica è simile: il protagonista, trasferitosi da poco, s'innamora della neve, la quale lo ricambia mostrandosi in una delle sue forme... la più soffocante.
Genere: Dark, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jack rimase stupito da come gli abitanti di quel paese seppero far fronte agilmente alla nevicata massiccia del 3 febbraio. Il posto dal quale si era trasferito gli sembrò d’un tratto pieno di incapaci non all’altezza delle minime emergenze, quali ad esempio riparare quelle dannate luci di quello squallido sottopassaggio che portava a casa sua oppure togliere di mezzo quell’albero troppo piegato in avanti e potenzialmente pericoloso per i passanti.
Qua, invece, era diverso. Certo, non aveva ancora fatto amicizia con nessuno -era lì da poco- ma se è vero che le prime impressioni sono quelle che contano, allora queste genti erano davvero in gamba.
Quella stessa notte, Jack sognò la solitudine… 
All’alba, alcuni fiocchi ricominciavano ad accarezzare il paese e il ragazzo ne fu più felice che mai: non solo aveva visto la neve una sola volta in vita sua ma, di smettere di fioccare, qui, non se ne parlava proprio!
Il cielo rimase grigio e anonimo tutta la mattina e tutto il pomeriggio, poi calò la sera e la sua anonimità si fece più scura. Ed è proprio allora che Jack decise di uscire di casa.
Notò che i cumuli di neve abilmente ammucchiati agli angoli delle strade erano aumentati in altezza; anche questo gli fece ripensare al posto in cui viveva, in cui le uniche cose ammucchiate in maniera simile erano i sacchi di spazzatura.
Al chiosco stavano dando una partita di calcio e le urla dei frequentatori tifosi si sentivano fino al paese più vicino; a volte anche Jack si fermava a  guardare ma stavolta era determinato a fare una bella camminata sotto i cristalli.
 
Imboccò la strada del cimitero, tanto per rendere ancora più suggestiva la sua camminata e non si sbagliò: l’accoppiata neve-cimitero assumeva tonalità quasi mistiche.
Jack volle accomodarsi sulla panchina posta al di sotto del muro esterno del camposanto, non curante del fatto che questa era completamente bianca. Si accese una sigaretta, la consumò e si alzò per continuare a camminare (sulla panchina era rimasto un grande buco). 
Man mano che proseguiva, il rumore dei suoi passi cominciava ad imporsi sempre più sugli altri, finché non divenne un unico frastuono che lo fece arrestare bruscamente. Jack si guardò intorno: gli sembrava di essere entrato come in un occhio di un ciclone. La pace e il silenzio regnavano incontrastati in quel viale alberato.
Si era fermato proprio sotto un piccolo lampione che emanava un bagliore giallo e, quando guardò in alto, notò che i fiocchi di neve si cimentavano in giochi di luce inquietanti e pareva volessero accerchiarlo. Jack si fece inspiegabilmente prendere da un attacco di claustrofobia e l’unico movimento che riuscì a fare fu abbassare la testa e guardare per terra.
Non c’era terra.
Tutto era diventato solamente un manto bianco accecante che sembrava non avere limiti. Il boulevard non esisteva più, niente esisteva più. In preda al panico, Jack rimase paralizzato per alcuni istanti, fino a quando i fanali di un’automobile in arrivo lo fecero riemergere dal luogo angosciante in cui si era andato a ficcare con la mente. 
Il ragazzo diede un’occhiata all’orologio e, lentamente, rincasò.
  
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