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Autore: Cassandra caligaria    08/01/2013    4 recensioni
Storia prima classificata al contest "Padre e figlia" indetto da Alice_Nekkina_Pattinson sul forum di Efp
I Cullen stanno per partire per l’Alaska, dove trascorreranno un intero mese, ospiti del clan Denali. Seguirà, poi, un altro mese di vacanza alle Canarie. Renesmee non vuole trascorrere così tanto tempo lontana da Jacob e da Forks. Cerca di scendere a patti con i suoi genitori, per diminuire la durata delle vacanze, ma non ci riesce. La piccola sta crescendo e sente una tempesta agitarsi dentro di sé. Si ribella alle imposizioni di suo padre e litiga con lui. Corre via di casa e si rifugia nella foresta, ma un temporale estivo la coglie alla sprovvista…
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Renesmee Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
- Questa storia fa parte della serie 'Mia madre credeva di aspettare un maschio, ma sono nata io.'
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STORIA PRIMA CLASSIFICATA AL CONTEST ‘PADRE E FIGLIA’ INDETTO DA Alice_Nekkina_Pattinson SUL FORUM DI EFP
 


 

Nome efp e forum: elettra989 (efp) elettra89 (forum)

Titolo storia: La tempesta

Raiting: Verde

Protagonisti: Edward Cullen, Renesmee Cullen

Prompt: Nero - Temporale

Nda : Storia ambientata un anno e mezzo dopo la fine di Breaking Dawn; Renesmee ha quasi due anni anagrafici, ma fisicamente ne dimostra otto.
La poesia del Pascoli in incipit, come tutta la produzione poetica dell’autore, presenta numerosi riferimenti alla famiglia, al senso di protezione, al tema centrale del “nido”. In particolare, la locuzione finale “un’ala di gabbiano” può leggersi come un riferimento alla perdita prematura dei suoi genitori, soprattutto della figura paterna, venuta a mancare nella tenera età del poeta.
Ho voluto inserire la piccola ballata pascoliana nel testo proprio perché mi ha ispirato la storia, riga dopo riga.

Introduzione storia : I Cullen stanno per partire per l’Alaska, dove trascorreranno un intero mese, ospiti del clan Denali. Seguirà, poi, un altro mese di vacanza alle Canarie. Renesmee non vuole trascorrere così tanto tempo lontana da Jacob e da Forks. Cerca di scendere a patti con i suoi genitori, per diminuire la durata delle vacanze, ma non ci riesce. La piccola sta crescendo e sente una tempesta agitarsi dentro di sé. Si ribella alle imposizioni di suo padre e litiga con lui. Corre via di casa e si rifugia nella foresta, ma un temporale estivo la coglie alla sprovvista…

 




LA TEMPESTA








[La Tempesta,  William Turner, 1842.  Londra, Tate Gallery]





 

Un bubbolìo lontano. . .
 
Rosseggia l’orizzonte,
come affocato, a mare:
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
un’ala di gabbiano.
 
[Giovanni Pascoli, Temporale]

 
 
 


 


«Non voglio venire, uffa!» piagnucolai per l’ennesima volta, battendo i piedi per terra.
«Tu, invece, verrai.» rispose pacato papà.
 
            Lo detestavo quando imponeva le cose. Non lasciava scelta. Decideva lui e basta, non c’era da discutere.
 
«No, ho detto di no e non verrò!» strillai, battendo ancora più forte i piedi sul pavimento.
 
Il rumore della suola di cuoio delle mie scarpe sul pavimento in marmo riecheggiò per tutto il salone. Eravamo a casa nostra, solo io e lui; la mamma era uscita con zia Alice per le ultime compere. Due giorni dopo saremmo partiti per andare in Alaska, dalle nostre cugine. Kate e Garrett si sposavano e tutta la famiglia Cullen avrebbe partecipato alla cerimonia. Io avrei dovuto portare le fedi ed ero stata felicissima della proposta.
            Era tutto perfetto. Tutto. Ero contenta per Garrett e Kate, ero elettrizzata perché era il primo matrimonio a cui partecipavo, ero felice di vedere posti nuovi, in Alaska. Tutto perfetto. Fino a quando, due giorni fa, papà e mamma mi avevano comunicato che saremmo rimasti un mese in Alaska. Tutto il mese di luglio. Zia Alice aveva previsto che l’estate sarebbe stata molto calda e soleggiata, cosa alquanto insolita per Forks. Così, per stare più tranquilli, approfittando dell’occasione, avremmo trascorso quel periodo lontani dal sole e lontani da Forks. Il mese seguente saremmo stati via per le vacanze, probabilmente saremmo andati al mare, in qualche isola poco nota dell’arcipelago delle Canarie.
            Dov’era il problema? Jake, naturalmente.
            Billy aveva bisogno di continua assistenza, non poteva lasciarlo da solo per troppo tempo. All’inizio non era stato molto felice dell’idea dei miei genitori, ma poi aveva accettato. Avevo pianto un intero pomeriggio sulla sua spalla. Non volevo stare lontana da lui per così tanto tempo: Jake era il mio migliore amico, il mio compagno di giochi, uno dei miei pilastri. Ero abituata a stare con lui tutti i giorni e stavo male al solo pensiero che saremmo stati lontani per due mesi.
Così, avevo cercato di scendere a patti con i miei genitori: avrei trascorso con loro due settimane in Alaska, anziché quattro, e poi sarei tornata a Forks, da nonno Charlie e da Jacob. Al loro rientro saremmo partiti per le vacanze, delle quali avevo cercato di ridurre un po’ la durata: due settimane, anziché un intero mese.
Ma papà non aveva voluto sentire ragioni e anche la mamma, ovviamente, era d’accordo con lui. Io ero troppo piccola per restare lontana da loro per così tanto tempo, avevano detto. Inoltre, avevo bisogno di andare al mare e prendere il sole, perché ero per metà umana ed ero una bambina: le mie ossa avevano bisogno di vitamina D e quindi di sole, per svilupparsi e crescere correttamente. E poiché questo a Forks era praticamente impossibile, perché i miei genitori in spiaggia non sarebbero passati inosservati, dovevamo stare un mese al largo della costa africana.
Avevo tentato invano di farli ragionare, ma erano irremovibili.
Disperata, ero corsa da Jacob.
            Aveva tentato di tranquillizzarmi, dicendomi che il tempo sarebbe volato e che in men che non si dica sarei tornata a Forks, da lui, da nonno Charlie, a La Push. Avrei giocato di nuovo con tutti i miei amici lupi, loro sarebbero stati sempre lì, ad attendermi.
            A me, però, due mesi sembravano un tempo infinito, lontana da casa mia, dai miei cari. Crescevo molto in fretta e non solo fisicamente. Mi rendevo conto che i miei pensieri maturavano di giorno in giorno, avevo dentro tutto un mondo e spesso non riuscivo ad esprimerlo come avrei voluto, sentivo una tempesta agitarsi dentro di me e non sapevo cosa fare. Non riuscivo a gestirla.
            Stavo litigando con papà, con il mio adorato papà. Non era mai accaduto prima.
 
            «Renesmee, tu verrai con noi, il discorso è chiuso.» sentenziò.
 
Poi, si voltò e in quell’istante scoppiai a piangere e riversai su di lui tutta quella tempesta velenosa di parole e pensieri che si agitava dentro di me.
 
            “Devo fare sempre quello che dici tu, ma chi ti credi di essere?! Non mi lasci mai scelta. Ti odio!”
 
Corsi via di casa, piangendo. Non mi voltai neanche per vedere mio padre pietrificato dalle mie parole, accanto alla porta d’ingresso, che non mi ero affatto preoccupata di chiudere. Non mi curai della smorfia di dolore sul suo volto. Ero troppo presa dal mio dolore, in quel momento.
Piansi talmente tanto da sentire gli occhi fare male e lo stomaco contrarsi. Avevo corso molto e non riuscivo a capire dove mi ero cacciata, ma poco mi importava. Mi ero inoltrata nella foresta, le mie scarpe erano sporche di fango e foglie e i miei polpacci, scoperti dall’abito corto che indossavo, erano pieni di graffi. Ma non me ne curai.
Volevo stare da sola.
Non volevo vedere nessuno della mia famiglia.
Non volevo vedere neanche Jake, in quel momento.
Erano tutti d’accordo, nessuno mi capiva.
Erano tutti felici e sicuri di sé e a nessuno importava cosa pensassi.
Per loro ero solo una bambina.
E forse sì, avevano ragione, ero ancora una bambina. Ma stavo crescendo e mi ritrovavo spesso ad avere pensieri da grande in un corpo ancora troppo piccolo.
E loro non mi capivano.
Non mi ascoltavano.
Soprattutto papà. Proprio lui, che aveva accesso diretto ai miei pensieri. Neanche lui mi ascoltava.
 
Mi accasciai al suolo, il fianco contro il tronco di un albero, il volto rigato di lacrime e arrossato, nascosto tra le braccia, poggiate sulle foglie cadute al suolo. I miei capelli, sparsi sul letto di foglie e fango del sottobosco, nascondevano completamente il mio viso. Sentivo gli aghi di pino pungermi la pelle scoperta, l’odore pungente di bosco e muschio mischiarsi a quello salato delle mie lacrime e rendere ogni mio respiro doloroso.
Un tuono squarciò la quiete della foresta, disturbata, sino a quel momento, solo dai miei singhiozzi. Seguirono parecchi lampi che colorarono di blu la luce chiara del mattino, filtrata dai rami alti e fitti della foresta. Gocce di pioggia, sempre più grandi e violente, precipitarono al suolo, colpendo il mio corpo scosso dai singhiozzi, come saette, lanciate dai più esperti arcieri.
Piansi sempre più forte.
Avevo paura.
Tanta paura.
Ero davvero sola, in quel momento.
Ero solo una bambina.
Volevo la mia mamma.
Volevo il mio papà.
Cominciai a pensare che non mi avrebbero mai trovata, che mi fossi allontanata troppo. Il panico si impossessò di me: cosa avrei fatto se non li avessi più rivisti?
Ero stata tremendamente cattiva con papà, gli avevo sputato addosso parole velenose. Gli avevo detto che lo odiavo.
Ma era una menzogna. Io lo adoravo. E avrei tanto voluto che venisse a prendermi e mi stringesse tra le sue braccia forti. Volevo sentirmi di nuovo al sicuro, amata e protetta.
Forse lo desiderai così tanto, che mi parve di sentire la sua voce chiamarmi.
In quel momento, il cielo si oscurò ed ebbi realmente paura che i miei peggiori incubi si potessero realizzare.
Un altro tuono. Più forte del precedente e poi ancora pioggia, che cadeva pesante come sassi.
Avevo freddo e tanta paura.
Sentii due braccia forti sollevarmi dal suolo e il familiare profumo di lillà e sole penetrarmi tra le narici e oscurare finalmente l’odore acre della paura.
 
«Pap- pa- pa,-papà…», balbettai, tra i singhiozzi e i tremori dovuti al freddo.
«Amore mio, torniamo a casa.» sussurrò nel mio orecchio, stringendomi forte e baciandomi la fronte.
«Scu-sa.» singhiozzai. In tutta risposta, mentre sfrecciava a velocità sovrumana tra gli alberi, mi strinse ancora di più al suo petto profumato. Papà sapeva di buono.
 
Tentai di formulare un pensiero compiuto, ma ero troppo agitata e infreddolita.
Mi sforzai comunque, avevo bisogno di fargli sapere che gli volevo bene.
“Perdonami, papà. Ti voglio bene.”
Poi, persi i sensi.
 
Quando mi risvegliai, ero nel mio letto fresco di bucato, avvolta tra le coperte. Ero pulita e profumata e indossavo il mio pigiama. Mi svegliai e trovai la mamma sorridente, seduta sulla sedia a dondolo, accanto al letto.
«Ben svegliata, piccola mia. Come ti senti?»
«Bene, mamma. Dov’è papà?» Domandai sentendo l’agitazione affiorare di nuovo in superficie.
«È andato ad accompagnare nonno Carlisle a casa, doveva prendere alcune cose prima di partire.»
«Il nonno è stato qui?»
«Sì, amore. È venuto a controllare le tue condizioni. La tua temperatura era salita troppo ed eravamo preoccupati. Hai preso molto freddo. Per fortuna, il nonno ha detto che era normale, perché sei ancora una bambina. Infatti, si è abbassata da sola, senza l’utilizzo di farmaci. Sono bastate le braccia fredde mie e di papà, per far scendere la febbre.»
Mi sorrise e si alzò dalla sedia per sedersi sul letto. Mi baciò la fronte e mi abbracciò.
Cominciai a piangere sul suo petto, mentre lei mi stringeva forte e mi accarezzava la schiena.
«È passato, amore. Non piangere.»
«Scusa, mamma. Scusa se ti ho fatto preoccupa-re…» singhiozzai.
«È mio dovere preoccuparmi di te, sempre. Quindi, non devi scusarti, amore. L’importante è che tu stia bene.» mi prese il volto tra le mani e asciugò con le sue dita fredde le lacrime sul mio volto. Poi mi baciò entrambe le guance e si alzò dal letto.
«Ti lascio sola con papà, credo che dobbiate chiarirvi…» mi sorrise e aprì la porta, facendo entrare papà.
Lui le accarezzò un fianco e lei gli sorrise dolcemente, accarezzandogli il volto. Poi gli baciò delicatamente le labbra e si allontanò, chiudendosi la porta alle spalle.
 
 «Ciao, tesoro. Come ti senti?» mi chiese papà, sedendosi lì dove fino a un secondo prima c’era la mamma e prendendomi una mano tra le sue.
«Abbastanza bene.» risposi tenendo lo sguardo basso. Ero certa che se lo avessi guardato negli occhi sarei scoppiata a piangere di nuovo.
“Scusa, papà”pensai.
Lui venne a sedersi accanto a me, poggiò la schiena contro la testiera del letto e mi avvolse nel suo abbraccio. Io posai la testa sul suo petto muto e le lacrime iniziarono a scorrere da sole.
«Sono io che devo chiederti scusa, Renesmee. Non piangere, bimba mia. Hai ragione: io non ti ho ascoltata e questo è stato terribilmente ingiusto e imperdonabile da parte mia. Puoi perdonarmi e ascoltare le mie ragioni?»
Sollevai il capo e lo guardai dritto negli occhi, prima di gettargli le braccia al collo e stringerlo forte.
«Certo che ti perdono, papà. Ma io… ho detto cose che non pensavo, credimi. Io ti voglio bene…» singhiozzai sul suo collo.
«Lo so, tesoro. Anch’io ti voglio tanto bene. A volte capita di dire cose che non si pensano, soprattutto quando si è arrabbiati. Capita a tutti e in futuro, piccola mia, capiterà molto spesso. Stai crescendo, è normale contestare le scelte dei genitori.» mi sorrise e mi baciò una tempia.
«Vedi, Renesmee, non c’è cosa più difficile per un genitore che accettare la crescita del proprio figlio. Nel nostro caso, credimi, è ancora più difficile. Tu sei il regalo più bello che la vita mi ha donato, in più di cento anni. Non avrei mai creduto di poter diventare padre e di poter provare una gioia così grande. Non smetterò mai di ringraziare la mamma per questo.
Sei una delle persone più importanti della mia vita, sei la mia bambina e stai crescendo in fretta. Troppo in fretta. E non intendo solo fisicamente. Tu pensi che io non mi sia accorto di quello che ti sta accadendo, di quello che si agita nella tua piccola mente. Credimi: se potessi risparmiarti le sofferenze della crescita e viverle io al posto tuo, lo farei. Ma non posso. Non sarebbe giusto. Ho finto di non ascoltarti, ho mentito a me stesso, perché non riuscivo ad accettare il fatto che tra qualche anno sarai grande e non avrai più bisogno di me, come ne hai adesso.
Io mi sono arrabbiato quando mi hai chiesto di trascorrere due settimane qui a Forks, lontana da me e dalla mamma, perché vorremmo averti sempre al nostro fianco. La tua crescita è così rapida e io non voglio perdermi un solo centimetro, una sfumatura del tuo carattere e dei tuoi pensieri, ogni piccola e grande trasformazione che subirà il tuo corpo. Non voglio perdermi un solo istante della tua breve infanzia. Presto, troppo presto, diventerai una bellissima adolescente ribelle e poi una splendida giovane donna. E mi lascerai. Ti allontanerai da me e dalla mamma, come è giusto che sia, per vivere la tua vita. Quindi, non voglio stare lontano da te neanche un attimo, in questo breve tempo che mi è concesso per proteggerti da ogni cosa, per essere il tuo principale punto di riferimento. So che questo è terribilmente egoistico e ti chiedo scusa. Sei ancora una bambina, ma sei molto più matura e intelligente. Puoi capire il mio punto di vista?»
           
Papà mi aveva parlato come a un’adulta e ne fui felice. Aveva le sue buone ragioni. Potevo capirlo. Solo una cosa era sbagliata in quello che aveva detto: lui sarebbe stato sempre il mio punto di riferimento, insieme alla mamma e a Jake. Questo non sarebbe cambiato mai.
            Mi sorrise: aveva letto nella mia mente i miei pensieri.
            Lo abbracciai forte, nonostante con le mie piccole braccia non riuscissi a circondare tutta la sua vita.
            «Sì, papà. Posso capirlo. Io sono felice di trascorrere con voi le vacanze, sai che mi piace viaggiare. Scusami se sono stata così capricciosa, non so cosa mi sia preso. A volte, sento una tale confusione dentro di me… non so come spiegarlo. È come una tempesta, un temporale estivo: si agita dentro di me con violenza e poi d’improvviso passa. Mi lascia stordita. Non capisco cosa mi succeda.»
 
             Papà sorrise e mi baciò la fronte, posando poi la sua guancia sulla mia testa.
            «Stai crescendo, tesoro. La tempesta è solo il preludio del magnifico sereno che ti aspetterà dopo, al di là della pioggia. Non devi averne paura. Io ci sarò sempre, al di là di quelle nuvole e di quelle piogge che ti si agitano dentro. Ti troverò sempre e sarò pronto a soccorrerti, proprio come è accaduto nel bosco, ieri, durante il temporale.»
            «Ti voglio bene, papà, e te ne vorrò sempre.» sussurrai sul suo cuore muto.
            «Anch’io, piccola. Anch’io.»
            Mi strinse ancora più forte al suo petto e mi baciò la testa.
            «Papà?» lo chiamai.
            «Dimmi, amore.»
            «Prima hai detto che mi hai trovata ‘ieri’ nel bosco. Quanto tempo ho dormito?»
            «Un intero giorno. Non ti sei svegliata neanche un secondo. Eri molto spossata e stanca. Credo che riuscirai a restare sveglia durante il viaggio, visto che hai fatto il pieno…» ridacchiò.
            «Non hai avuto paura? Che non mi svegliassi…»
            «No, dormivi… ma la tua mente continuava a trasmettere immagini e parole. Nei tuoi sogni eri sveglia e avevi solo bisogno di riposarti fisicamente. Eri stremata, tesoro. La mamma era molto preoccupata, ma lei non può leggerti nella mente.» mi rispose sereno, accarezzandomi i capelli sulla spalla con il dorso della mano.
            «Povera mamma…» sussurrai sinceramente dispiaciuta.
            Proprio in quell’istante la porta si aprì, rivelando la figura della mia mamma in tutto il suo splendore. Ero certa che avesse ascoltato tutta la nostra conversazione, al di là della porta.
            «Allora, pigroni! Siamo pronti per partire? I bagagli sono già in macchina e se non partiamo subito, rischiamo che la zia Alice faccia lievitare notevolmente il numero delle valigie!»
            Papà mi lanciò uno sguardo allarmato.
            «Io vado a cambiarmi. Si parte!» esclamai, saltando giù dal letto sorridente.
 
           
           


           
 
Grazie infinite all'autrice che ha indetto il contest.
Ho sempre detestato il fatto che nella saga ci fosse poco spazio dedicato a Edward e Renesmee. 
Grazie a chi leggerà questo piccolo momento padre/figlia. Spero mi farete conoscere la vostra opinione a riguardo. ;-)
A presto!

  
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