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Autore: Teal Eyes    08/01/2013    4 recensioni
Alla scoperta di Heather. Racconta in prima persona ogni suo pensiero e azione. 1375 parole sul destino della ragazza mora tanto odiata di TD, ma prima di immedesimarvi in lei dovete sapere una cosa (con la possibilità che qualcuno la sappia già!): Heather significa erica, come il fiore. Ed ora... A voi le parole...
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Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alejandro, Heather | Coppie: Alejandro/Heather
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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A Name, A Fate



Fin da quando ero bambina ho passato tutte le estati a casa di mia nonna in un paesino sconosciuto, in mezzo al nulla, ma allora per me era il posto migliore del mondo. Lo scorso inverno mia nonna è morta lasciandomi in eredità questa casina e i miei genitori mi hanno obbligato a passarci anche questa estate dicendo qualcosa come “Fallo per lei, per il suo ricordo, almeno per questa estate poi potrai decidere di venderla e fare quello che vuoi”. Mi sentirei umiliata ad andare lì; già da quando avevo dieci anni non mi piaceva più. Adesso ne sono passati sei e io ho 16 anni, non ho amici, non li ho mai avuti a causa del mio carattere, questo almeno è quello che ricordo, visto che quello che ricordo è tutto brutto. Sì, parlo come una bambina, ma non quella che adorava questo posto, una bambina capricciosa ed egoista. In fondo io lo sono.

Sono già arrivata? Il viaggio in macchina mi ha intorpidito la schiena, ma perché papà non provava a scansare quelle buche?! Scendo, prendo la valigia e i miei partono subito dopo senza nemmeno salutarmi. Tanto anche loro mi odiano. Ho in mano una vecchia chiave arrugginita, domani devo andare a farmela rifare, speriamo almeno che per oggi riesca ad entrare. Per quanto odi questo posto non posso rimanere fuori di notte. Non è cambiato per niente: il salice a destra, il recinto dipinto follemente di azzurro chiaro quando avevo sette anni, l’altalena attaccata ad un ramo dell’albero, la casina di legno bianco al centro, proprio di fronte a me, col portico rialzato davanti. Tutto uguale eppure manca qualcosa, ma cosa? Sento una strana sensazione di nostalgia. Io non l’ho mai provata prima! È fastidiosa ed ora sono arrabbiata! Riprendo la valigia e a passo veloce entro in casa, salgo le scale a chiocciola e arrivo al primo piano dov’è la mia camera. Lancio la valigia sul letto e mi catapulto in una disperata ricerca nelle stanze della casa trovando soltanto la scrivania con la penna stilografica e i fogli per le lettere profumati di fiori. Esco sul portico, mi appoggio alla ringhiera infilandomi qualche scheggia nei gomiti e porto le mani alla testa come disperata. Non lo sono però, ma non so perché lo faccio. Vedo in lontananza il resto del paesino, semplice, ragazzi che corrono di qua e di là, le vecchiette che parlano davanti al bar e poi ci sono io, qui, da sola, sul portico, con le mani fra i capelli e tanta malinconia. È possibile che nessuno si ricordi di me? Forse non sanno chi sono, in effetti loro si ricordano di quella bambina solare e gentile, non di me adesso. Sono così cambiata col tempo, non vivo più la vita e sinceramente non so come viverla, ma in fondo chi sono io davvero? Questa o quella bambina? Non lo so, almeno non ancora.

Vengo svegliata dal canto di un gallo e dalle urla dei ragazzi che giocano in strada. Porto una sedia sul portico e ancora in camicia da notte bevo il the che ho appena fatto. Mi sento più vecchia di mia nonna, anche lei lo faceva sempre.

-Oddio, ma devo andare in paese a rifare le chiavi! – sputo io.

In cinque minuti sono per strada vestita e intenta ad allacciare l’ultimo bottone della camicia, inciampando nei sassi con le ballerine. Ecco il vecchio ferramenta, ovviamente l’unico qui in paese. Entro, aspetto, pago ed esco. È stato veloce. Già, è stato veloce… Abbasso la testa.

-Heather! – grida qualcuno dietro di me. Un ragazzo castano dagli occhi verdi mi corre incontro affannato.

-Heather… - continua col fiatone. Dalla mia faccia credo perfettamente che si possa capire quello che stia pensando: sono sconvolta.

-Non ti ricordi di me? Sono Alejandro! Passavamo tutti i pomeriggi insieme quando venivi d’estate da tua nonna. Fino all’età di dieci anni poi sei scomparsa nel nulla, non volevi più venire a giocare con me e rimanevi sempre chiusa in casa. Ho saputo che tua nonna è morta, mi dispiace tantissimo…

-Io non mi ricordo di te… sei sicuro?

-Se tu sei Heather sono sicuro.

-Sì, Heather sono io, ma perché non ricordo?

-Abbiamo passato momenti bellissimi insieme…

Ora capisco. Abbiamo passato momenti bellissimi insieme. Svelato l’enigma, la mia testa ricorda solo cose brutte. Non ho voglia di ricominciare a frequentarlo. Ora sarà cresciuto anche lui e visto il mio fisico da modella non credo che dopo un po’ lui voglia solo giocare. Me ne vado lasciandolo con un’espressione strana. Oggi non voglio più tornare al paese.

DRIIIN!!

Ho impostato la sveglia per le 10. Ehi ma sono ancora le nove!

DRIIIN!!

Oh ma è il campanello. Stupida!

-Arrivo!

In vestaglia rosa e bianca apro la porta assonnata. 

-Alejandro?!

-Ciao Heather… - l’aria di oggi è diversa da quella di ieri mi sembra il contrario –Allora come ti trovi in questa baracca?

-Ma mi prendi in giro?! Questa era la casa di mia nonna e non è una baracca! – mi meraviglio di quello che ho detto spalancando gli occhi. Lui se ne accorge.

-Ammettilo, lo pensi anche tu.

-Cosa?! No! Ma sei qui per litigare?! Tornatene a casa latin lover e lasciami dormire!

-Allora qualcosa di me lo ricordi…

-E cioè?

-Che sono d’origini argentine…

-Io non me lo ricordavo, ho solo detto quello che vedo. La tua pelle così scura e i lineamenti di certo ti portano ad essere argentino.

-Acuta asiatica.

-Siamo anche razzisti? Ma bene!

Gli chiudo la porta in faccia. È proprio destino che non abbia amici, ma lui non è da meno. Non posso credere che una volta ci tolleravamo! Che rabbia quel Alejandro!

DRIIIN!!

No, è già passata un’ora… Mi guardo allo specchio realizzando di avere le occhiaie. Sono arrabbiata, triste, malinconica e stressata solo dopo due giorni. Non posso resistere tutta l’estate. Mi ricordo che non molto lontano da qui c’era un maneggio, chissà potrei andare lì. Mi preparo e mi incammino. Sono arrivata e c’è ancora. Il mio cavallo mi riconosce. Almeno lui. Cavalchiamo un po’, ma Greed, il suo nome, sente la mia frustrazione. Attraversiamo le campagne vicine e torniamo. Sono passate quasi tre ore. Torno a casa, mi sono un po’ liberata dai miei pensieri poi però vedo lui in lontananza. Vedo Alejandro. Corro arrabbiata verso l’albero. Mulino i miei colpi al vento, stringendo gli occhi, al povero salice, ma non uno va nel bersaglio. All’aria è più frustrante. Le lacrime scendono ed io sono già sull’altalena con i miei pensieri. Come può un ragazzo che conosco solo da due giorni, che già odio, a farmi quest’effetto straziante?

-Heather?

-Cosa vuoi? Ah capisco perfettamente… Vedermi piangere ti fa godere di tutto. Vai pure, prendimi in giro…

-No Heather… Sono serio…

-Cosa vuoi dire? – si mette in ginocchio davanti a me prendendomi le mani con aria estremamente dolce.

-So che in fondo ti ricordi di me, di quello che abbiamo passato. La nostra ultima estate ci facemmo una promessa: non ci saremmo mai lasciati. È per questo che sono stato scortese con te in questi giorni, perché tu non ti ricordavi la nostra promessa e mi hai trattato come uno sconosciuto, ma io Heather ti ho sempre amata e questo ha aumentato la rabbia. Mi dispiace di averti fatto soffrire così. Scusa. – quest’ultima parola riecheggia nella mia mente: “Scusa”, detta così freddamente da una bocca che trema. Presto è a due centimetri da me, mi asciuga le lacrime, mi sorride e mi bacia. In quel momento ricordo tutto: le corse nei prati fioriti, le risate fra amici, gli scherzi a mia nonna…

-Alejandro! Come ho potuto dimenticarti? – gli salto al collo. Quella sensazione di nostalgia è passata. Come vorrei aver amato questo luogo anche negli ultimi sei anni, ho sbagliato, ho voluto ciò che non potevo avere, ma erano capricci. Adesso voglio solo vedere scorrere davanti a me i bei ricordi, quelli con nonna e Alejandro, quelli che adesso ricomincio a ricordare. Solo perché sei tornato tu. Solo perché mi hai fatto capire che dentro di me c’è ancora quella bambina. Quindi, grazie. Coglie un fiore vicino a noi: è un’erica. Di solito sono in cespugli, ma questa è da sola, un unico stelo in tutto il giardino. Me lo porta sotto al naso ed io annuso. Che buon profumo famigliare. È lo stesso odore dei fogli per le lettere che sentivo quando mia nonna scriveva e tutta la casa profumava di erica… 

   
 
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