2. FRIDAY NIGHT FEVER
"COSA HAI FATTO?", esclamò Jutta dopo che Mac ebbe finito di
parlarle.
"Ho proposto una mia dom...", provò a dirle.
"COSA HAI FATTO?", ripetè l’altra senza lasciarla finire.
"Jutta, non ti arrabbiare, lo sai che io non sono una giorn..."
"Non ho capito bene, COSA HAI FATTO?"
Mac perse la speranza: sarebbe morta della peggiore morte del mondo. Già vedeva
Jutta con la pietra pomice che affilava il suo lungo coltello da macellaio,
mentre lei giaceva già in parte affettata sul tavolo e gli altri se la
mangiavano con la maionese su spesse fette di pane...
"Mi dispiace....", disse Mac, che non sapeva cos’altro dirle.
Jutta si sedette a peso morto sulla sua sedia. Era appena tornata dall'ospedale
dove sua sorella aveva dato alla luce un fagottino tutto nero e spettinato di
nome Wolfgang e non aveva nemmeno avuto il tempo di posare la sua borsa che Mac
era accorsa a raccontarle quello che era successo qualche ora prima, durante
l'intervista.
"E adesso... il capo redattore mi darà in pasto agli squali...",
disse, sconsolata. Con le braccia penzoloni e la testa piegata di lato sembrava
una brutta riproduzione di un cristo sofferente seduto.
"E' tutta colpa mia... dovevo essere più professionale, dovevo capire che
non dovevo farmi influenzare da quello che pensavo di loro...", prese a
giustificarsi Mac, che era davvero dispiaciuta per il casino che aveva
combinato.
"Ora Hilke avrà di cui parlare per un mese...", continuò l'altra,
senza ascoltare le scuse di Mac.
"E anche se sono un gruppo indecente dovevo semplicemente fare le domande
che ti eri scritta sul foglio... anche se erano stupide come la
stupidità...", continuò l’altra.
"Ora non mi daranno il premio mensile e non potrò comprarmi quelle
deliziose scarpe di Prada..."
"Jutta mi stai ascoltando?", le disse Mac, la quale aveva intuito che
l'amica era in tutt'altra dimensione.
"Ora se le comprerà prima Hilke di me..."
"Jutta!", esclamò Mac.
"Cosa?", disse l'altra, riprendendosi, "Ah, sì, non è colpa tua.
Non avrei mai dovuto lasciarti la responsabilità di un'intervista, non sei una
giornalista... è colpa mia... soprattutto di mia sorella! Come ha potuto
pensare di partorire mentre stavo lavorando?"
Mac si arrese, Jutta era nella sua dimensione di auto commiserazione e non
sarebbe tornata prima di qualche ora. Nel frattempo, lei doveva sbrigare tutto
il lavoro arretrato: l'aspettava un centinaio di fotocopie.
"Ti giuro, quando è partita quella musichina dal registratore sarei anche
potuto morire!", disse Georg, mentre gli altri stavano ancora ridendo
dell'intervista fatta qualche ora prima.
"E quando ci ha fatto quella domanda?", disse Gustav, asciugandosi le
lacrime.
"Perchè non vi ritirate dal mercato?", fece Tom, cercando di imitare
la voce e muovendo le mani come una donna.
"Pensavo che sarei soffocato dalle risate! Non mi sono mai divertito così
tanto ad un'intervista!", disse Bill, "Quella li ha del potenziale
come comica! E aveva anche un bel tatuaggio, l'avete visto?"
"Mi fa male la pancia... Ho riso troppo...", fece suo fratello.
"Con tutte quelle schifezze che ti sei mangiato....", disse David,
"Adesso dobbiamo tornare in studio, dovete provare."
Pioveva, pioveva come se fosse stato il giorno del giudizio universale. Veniva
giù come dio la mandava da almeno un'ora e oramai non credeva più che fosse un
semplice temporale estivo. Com'era possibile che nel giro di poche ore il tempo
potesse cambiare repentinamente dal caldo più afoso di luglio al temporale più
nero? Tutta colpa dell'effetto serra, dell'inquinamento e lei, con quel
maggiolino scassato, si sentiva responsabile per tutti gli scarichi nocivi che
emetteva.
Con la testa era coperta dalla sua fedele borsa arrivò alla sua vecchia
auto e, dopo aver sferruzzato per qualche tempo con la chiave perchè
non riusciva ad infilarla nella portiera per aprirla, entrò infradiciata,
tremando come un pulcino. Nel posare la borsa sul cruscotto si accorse che il
finestrino al lato accompagnatore, lasciato mezzo aperto per far entrare un po'
d'aria nel veicolo, aveva causato un mezzo allagamento.
"Maledizione!", esclamò, "Ci voleva anche questa!"
Lo richiuse in fretta, anche perchè gli schizzi le arrivavano fino alla faccia.
Si allacciò la cintura, infilò la chiave e dopo qualche ruglio stanco il motore
partì. Fortunatamente l'acqua non era arrivata a bagnare la radiolina portatile
che fungeva da impianto stereo: premette il tasto on e, mentre usciva
dal parcheggio, sentì che la prima canzone che usciva dall'apparecchio era
proprio una delle tante dei Tokio Hotel.
"Eh no! Una volta al giorno basta!", disse cambiando subito stazione.
Il traffico delle sette era impressionante: una mandria di auto di tutte le
cilindrate e dimensioni si metteva in moto per tornare nelle stalle. Si mise in
fila con pazienza: prima delle otto non sarebbe arrivata a casa. Alle otto e
mezza infilò le chiavi nel portone, mentre alcune ciocche dei suoi capelli
biondi le si appiccicavano alla faccia.
"Pensavo di chiamare la polizia!", disse Thiago, il suo coinquilino,
mentre le andava incontro. Era un ragazzo spagnolo, in erasmus in Germania che
viveva con lei da tre mesi per dividere le spese.
"Con la pioggia il traffico si intensifica...", fece Mac, gettando le
chiavi sul tavolino accanto alla porta e trascinando la sua borsa per terra,
verso la sua stanza.
"Si intensicosa?", disse l'altro, che parlava molto bene il
tedesco ma aveva ancora qualche difficoltà. E poi quel suo accento
spagnolo era così affascinante…
"Il traffico diventa più grande... insomma, si intensifica!"
"Ah, intensifica... che brutta parola. La cena è pronta tra qualche
minuto.", fece lui.
"Grazie... vado a farmi una doccia, tra il sudore e la pioggia non so più
per quale motivo sono bagnata..."
"Vale chica.", fece l'altro, nella sua lingua, tornando in
cucina. Meno male che aveva lui, che era una cuoco provetto, perchè lei sapeva
solo prepararsi panini.
Quando il ragazzo si era presentato alla sua porta, per rispondere all'annuncio
di affitto che aveva sparso per tutta la città, Mac decise che sarebbe stato
lui il suo coinquilino: era un bellissimo ragazzo, mediterraneo, pelle abbronzata
e magnifici occhi verdi. Aveva solo un difetto: era terribilmente gay, era
evidente da un chilometro di distanza. In quella casa, ogni giorno sembrava di
vivere un episodio del telefilm americano 'Will e Grace'.
Sotto il getto d’acqua calda i muscoli di Mac si rilassarono e la stanchezza le
passò istantaneamente. Mentre l'acqua le scendeva sul collo, pensava a quanto
schifosa fosse stata quella giornata. Almeno era passata, domani sarebbe stato
un altro giorno, era questa la sua filosofia di vita. Vivere il momento, carpe
diem, domani si vedrà. Uscì dalla doccia con l'asciugamano legato sul petto:
dopo aver tamponato un po' i capelli si infilò una maglietta larga e un paio di
mutande.
"Ma che bel sederino che hai!", esclamò Thiago, vedendola arrivare
mentre tagliava il suo pezzo di carne e se lo portava alla bocca, "Ci
vorrebbe un po' di ginnastica per tirarlo su però..."
"Non ti ci mettere anche tu... sono distrutta, vuoi anche farmi morire su
una ciclette?", mugolò lei, sedendosi al suo solito posto, intorno alla
tavola, davanti al ragazzo.
"Per carità... allora, com'è andata?", le chiese.
"Male... molto male... ho fatto un casino oggi..."
"E cioè? Non sarai mica stata licenziata?", disse lui, smettendo di
mangiare per occuparsi dell'amica.
"No... Sono andata con Jutta ad un'intervista, non c'era nessuno in
redazione perchè stavano festeggiando la promozione di Hilke..."
"Non mi dire! Quella sgualdrina ha preso il posto che spettava a
Jutta!"
"Già... comunque, siamo andate alla redazione di Viva e indovina chi
abbiamo intervistato?"
"Ti sei fatta fare l'autografo?", disse Thiago, mettendosi le mani
davanti alla bocca nell'attesa della rivelazione, eccitato.
"Quello no... insomma, dovevamo intervistare quei marmocchi dei Tokio
Hotel..."
"Oh... mio... dio...", fece il ragazzo, iniziando a sventolarsi con
un tovagliolo, "Tu hai.... tu hai..."
"Sì, proprio loro... non mi dire che ti piacciono e non me lo hai mai
detto!", disse Mac, prendendo un coltello e puntandolo contro il ragazzo
per scherzo.
"Quando quella volta mi dicesti che ti facevano schifo me lo sono tenuto
per me!", fece l'altro, dandole un colpetto sulla mano per allontanare via
quell’arma letale, "Hai visto quando è figo il cantante? Non so cosa gli
farei..."
"Gesu..."
"Non nominare il tuo dio invano!", disse l'altro, assumendo una
posizione severa.
"Come si fa ad essere gay e pure religioso... e fan di quelli lì... mi
arrendo!", disse Mac, alzandosi da tavola, con le mani in alto.
"Dove vai? Non mangi?", le chiese Thiago, vedendola uscire dalla cucina.
"No, non ho fame. Mi dispiace."
"Non preoccuparti, mangio anche la tua parte. Devo ingerire proteine per i
muscoli.", fece lui, toccandosi i bicipiti.
"Allora fai pure. Io vado a fumarmi una sigaretta sul terrazzino."
"Ti verrà il cancro."
Mac si voltò e gli alzò il dito medio facendogli la linguaccia.
"A proposito, ha chiamato Jakob, vuole che lavoriamo venerdì sera. Dice
che ha bisogno di gente.", disse Thiago, riferendosi ad un amico di Mac,
proprietario del locale dove i due lavoravano durante il fine settimana come
guardarobieri. Visto però che d'estate nessuno aveva bisogno di depositare le
proprie giacche in un luogo sicuro, i due venivano impiegati alla biglietteria.
"No... venerdì sera no... Chiamalo e digli che non andiamo."
"Tardi, già ho confermato anche la tua presenza. E non mi hai detto come è
andata a finire con l'intervista!"
Da quando
Thiago abitava con lei la vita era diventata divertente: uscivano quasi
tutte le sere nel pub sotto casa e incontravano persone sempre nuove. Quel
quartiere era popolato soprattutto da studenti universitari perchè nelle
vicinanze c'era la facoltà di lettere e si vedevano spesso facce nuove di
ragazzi venuti a studiare in erasmus, proprio come Thiago. Di solito il venerdì
era la serata del 'paga 10 euro e bevi quello che vuoi' ed era per
questo che Mac non voleva andarsene al lavoro.
Entrambi davanti allo specchio, cercavano di farsi belli più che potevano: in
quel locale passava gente di un 'certo livello' e bisognava essere
presentabili, o meglio, bisognava mettersi in tiro.
Thiago stava cercando invano di immobilizzare la faccia di Mac per evitare di
sbaffare il trucco.
"Bellezza, se ti infilo la matita nell'iride è colpa tua.", fece lui,
"Ecco, fatto. Ti va bene?"
Mac si guardò nello specchio e fece segno di sì con la mano.
"Non ne ho proprio voglia stasera...", disse poi, sedendosi sul bidè
con la testa appoggiata sulla mano.
"Lo sai che nei giorni non stabiliti ci paga di più."
"Sì... ma che palle lo stesso! Io lavoro anche di giorno!"
"Basta con le storie! Vai a metterti le scarpe!"
"Posso mettermi le sneakers?"
"No! Te lo proibisco!", disse l'altro, severo.
"E dai....", disse Mac, con gli occhi imploranti e le mani chiuse in
preghiera.
"Piuttosto mettiti quei sandali con i lacci... quelli da legare intorno
alla gamba. Almeno non fai la figura del maschiaccio!"
"Va bene...", disse l'altra.
Thiago non usciva mai senza essere perfettamente a posto e lo era sette giorni
su sette, tranne la mattina appena sveglio, quando con i capelli arruffati e
l'alito pestilenziale perdeva tutto il suo fascino latino. In pantaloni di
pelle e camicia bianca aperta sul petto, mostrava apertamente la sua tendenza
sessuale e ne andava talmente fiero che a volte Mac, accanto a lui, poteva
sembrare un uomo. "Ma non avevi niente di meglio da metterti?", disse
a Mac, guardandola mentre si allacciava i sandali intorno al polpaccio.
"Mi sembri Jutta... che palle! Io mi vesto come mi pare e piace!",
disse Mac, che si sentiva perfettamente a suo agio con quella gonnellina con
pieghe a quadretti fuscia e neri, i fuseaux neri fino al ginocchio e t-shirt
nera con una stella rossa sul petto.
"Fossi un uomo ti terrei alla larga!", disse l'altro.
"Sempre gentile Thiago... sempre!"
"Io esprimo il mio parere di donna in un corpo di uomo!", fece
l'altro, mentre sculettava ridendo, in una caricatura di se stesso.
"Sono pronta!", esclamò Mac, prendendo la sua borsa e uscendo dalla
camera.
"Ma i capelli sono perfetti!", fece l'altro.
"Grazie, ci vuole il premio nobile per fare due trecce! Guidi tu
stasera!", disse Mac, prendendo le chiavi e passandole all'amico.
"Quanti ne hai contati?", chiese Thiago a Mac, che stava contando il
numero dei biglietti rimasti sul blocchetto. Oramai era l'una passata e di
solito, dopo quell'ora, non c'era molta gente nuova in arrivo. Seduti dietro il
bancone, di fronte all'entrata, i due erano in procinto di avviare le loro
solite chiacchiere e battibecchi.
"Trecentocinquanta.", disse l'altra, dopo aver contato l’ultimo
biglietto..
"Quanto vorrei essere dentro...”, disse Thiago, con aria sognante “Hai
presente quel ragazzo, quello che aveva la camicia nera con quel disegno
spettacolare sulla spalla..."
"No, non mi ricordo...", disse Mac, distratta.
"Comincio quasi a credere che tu sia lesbica!", esclamò l'altro,
indignato per la sua sbadataggine.
"Puoi stare tranquillo, non mi vedrai mai ad un gay pride.", gli
rispose lei, ridendo.
"Non ci scommetterei la pelle... comunque, aveva un paio di
pettorali..."
"Thiago... non riesci proprio a tenerlo a bada!”, sbottò lei, “Sbavi
dietro a qualsiasi ragazzo che abbia capacità di respirazione autonoma!"
"E' quello che dovresti fare anche tu alla tua età.", disse l'altro.
"Non ho tempo per nessun altro che per me... e poi sto bene anche da
sola!"
"Lo dicono tutti e poi, dopo un attimo, si trovano fidanzati col primo che
passa."
"Certamente... piuttosto, io vado a fumarmi una sigaretta.", disse
Mac, scendendo dallo sgabello su cui era seduta.
"No, non lo farai."
"E perchè?"
"Ti ho nascosto i fiammiferi.", disse il ragazzo, con sguardo
ammiccante.
"Stavolta non mi freghi, guarda!", esclamò Mac, prendendone un nuovo
pacchetto dalla piccola tasca che c'era sulla sua gonna.
"Brutta stronza!", disse lui, cercando di afferrarli velocemente. Mac
non sfuggì alla rapidità della sua mano, che li prese e prontamente li inzuppò
nel bicchiere dove c'era la sua bibita.
"Ma che bastardo che sei!", disse Mac, quasi arrabbiata.
"Adesso prova a fumare!", la sfidò lui, con soddisfazione.
Con una sigaretta spenta tra le dita, Mac andò verso il guardaroba. Era una
stanzetta, accanto alla biglietteria, chiusa all’accesso da un grande bancone
bianco, su cui i clienti appoggiavano i loro cappotti in attesa che venissero
presi in custodia, in cambio di un tagliando con un numerino sopra.
Visto che fumare era vietato anche in quegli ambienti, Mac non poteva fare
altro che farlo fuori fuori. Sedendovisi sopra, scavalcò il bancone del
guardaroba e andò verso la porta di sicurezza e uscì fuori. Dato che Jacob non
voleva che i dipendenti fumassero insieme ai clienti, per una motivazione
assurda che Mac non aveva mai capito, era quello il luogo in cui lei potè
accendere la prima sigaretta della serata.
Per sua sfortuna, di lì non passava quasi nessuno e forse non avrebbe trovato
da accendere per diverso tempo. Lasciò la porta aperta, altrimenti non avrebbe
potuto sentire la musica che usciva dal piccolo impianto del guardaroba, che
trasmetteva pezzi del buon vecchio rock degli anni settanta e ottanta, il suo
genere preferito.
Seduta sulla soglia, a gambe incrociate, attendeva nervosamente che qualcuno
passasse di lì per farle accendere la sigaretta. Poteva sperare che un cliente
apparisse dall'uscita di sicurezza della zona privè, a qualche metro da lei, ma
di solito quella porta non veniva mai utilizzata.
Ascoltando 'Stairway to heaven' dei Led Zeppelin cercò di chiudere gli occhi e
di raffigurare le parole della canzone... una ragazza sulla scala per il
paradiso, una scala mobile, così non faceva nemmeno tanta fatica. Quanti piani
doveva passare prima di arrivare in paradiso? E soprattutto c'erano i tabaccai
lassu?
Sentì il clack dell’altra uscita di sicurezza e, alzando gli occhi al cielo,
ringraziò chi aveva accolto il suo desiderio. La porta era rialzata di un paio
di gradini rispetto al pianterreno e, sulle scalette, vi si era seduta strana
tipa. Andò da lei e le chiese se aveva da accendere. Questa, con il telefono in
mano, tutta intenta a mandare un messaggio, senza nemmeno guardarla si frugò in
tasca e glielo porse. Mac dovette notare con quanta precisione si era smaltato
le unghie di nero e si complimentò.
"Nemmeno il mio coinquilino gay sa fare le unghie bene come le tue. Potrei
anche venire da te la prossima volta, sei bravissima.", le disse, con
umorismo.
La ragazza sembrò ignorarla totalmente. Mac, infastidita, si accese la
sigaretta e ci mancò poco che, per vendicarsi, non premesse la parte
arroventata dell'accendino sulla mano. Ma rinunciò, non voleva fastidi e glielo
restituì senza nemmeno ringraziarla. Quando tornò a sedersi al suo posto, con
la schiena appoggiata allo stipite spigoloso, le dette le spalle e sintonizzò
la sua mente sulla melodia di 'Whole lotta love'' dei Led Zeppelin.
"Vado un attimo fuori Tom, ho bisogno di aria fresca.", disse Bill al
fratello.
"Che c'è? Mi sembri strano...", fece l'altro.
"No, tranquillo, è che c'è troppa gente e mi sento mancare l'aria."
"Mmm... ok.", disse Tom, non molto convinto della
risposta.
"Vado solo cinque minuti fuori, ho visto che c'è un uscita laggiù.",
disse Bill, prima di allontanarsi.
Tom sapeva che non era la serata giusta per suo fratello. Erano stati chiamati
a quella festa, non si ricordava nemmeno di chi o di cosa fosse in onore, e
dovevano solo cantare tre o quattro canzoni. Mentre lui, con Georg e Gustav
erano seduti al balcone a parlare con altri ragazzi, Bill aveva ricevuto una
chiamata al telefono. Si era allontanato ma lo aveva tenuto sott'occhio per
tutto il tempo: dall'espressione della faccia del fratello e dai suoi
atteggiamenti, aveva capito che la telefonata non era stata molto gradita. Non
c'era stato nemmeno il bisogno che gli chiedesse cosa fosse successo, era
sicuro che quella tipa con cui si vedeva da qualche mese gli aveva tirato un
altro bidone.
"Ma dico! Cosa ci perdi tempo a fare con quella? Lo sai che ti
sfrutta...", gli aveva detto qualche sera prima, scatenando una specie di
bufera. Bill gli aveva detto gentilmente di occuparsi dei suoi affari, di
lasciare in pace i suoi e non gli aveva parlato per diverse ore. Non sapeva che
cosa ci trovasse in quella, Tom vedeva solo una ragazza in cerca dei suoi
quindici minuti di fama e non era nemmeno una gran bellezza. Magari suo
fratello ne era rimasto colpito: mora, pelle di porcellana e occhi così chiari
da sembrare di ghiaccio. Nelle occasioni pubbliche lei era sempre al suo
fianco, quando invece lui voleva vederla per momenti meno visibili al pubblico,
questa si dileguava. Non credeva che suo fratello fosse scemo e non lo avesse
capito, credeva piuttosto che avesse perso un po' la testa per lei.
Bill si sedette sui gradini al di fuori dell'uscita di sicurezza, con il
telefono in mano: guardava alcune foto che aveva scattato insieme a Adina,
pensando a quanto fosse stupido tutto quello che gli stava capitando. Forse
doveva dare un taglio a quella storia così inconcludente… Non era da lui farsi
prendere in giro in quel modo ma stavolta aveva preso una bella cantonata per
lei.
"Scusa il disturbo, hai da accendere?", gli chiese una voce, alla sua
sinistra.
Come un robot, infilò la mano in tasca e lo estrasse. Pensando che la ragazza
stesse solo cercando di attaccare bottone, lui la ignorò completamente. Era
ancora concentrato sui suoi pensieri e aveva voglia di rivolgere parola a
nessuno.
"Nemmeno il mio coinquilino gay sa fare le unghie bene come le tue. Potrei
anche venire da te la prossima volta, sei bravissima.", disse questa
ragazza..
O questa era scema, oppure era cieca. Non aveva visto chi era?
Ancora in giro incontrava gente che lo scambiava per una donna…
Riprese il suo accendino e la sentì allontanarsi, sicuramente si era un pochino
stizzita per essere stata completamente ignorata, ma non era un problema suo.
Gli venne da lanciarle una rapida occhiata: anche se la stava vedendo di
spalle, seduta, la categorizzò come non interessante. Tornò al suo telefono e
guardò qualche altra fotografia, quando si accese qualcosa nella sua testa.
Un pensiero veloce, quella ragazza l'aveva già incontrata altrove. Lo accantonò
rapidamente, non l'aveva nemmeno vista di faccia. La curiosità lo fece voltare
di nuovo: c'era qualcosa in lei che aveva già visto, ma non riusciva a definire
cosa fosse. Guardò meglio e la sua attenzione fu catturata da un tatuaggio tra
le scapole, messo in bella vista dallo scollo posteriore della sua t-shirt..
Gli era familiare, quei due serpenti incrociati tra loro con una forma
circolare.
"Andiamo!", sbottò Georg, sbucando alle sue spalle e facendolo
sobbalzare.
"Certo, un momento...", disse, mentre guardava la ragazza gettare la
sigaretta e chiudere la porta davanti a cui stava seduta.