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Autore: Ronnie02    08/01/2013    2 recensioni
«“Tu sei troppo incosciente di quello che sei”, rispose il ragazzo.
Per lui era speciale in qualsiasi cosa facesse, ma per il resto del mondo era ancora di più.
Era diversa… diversa da chiunque in qualsiasi mondo andasse.
Era unica nella sua specie.»
Come si comporterebbe Jared se qualcosa dovesse fargli cambiare tutte le sue opinioni, tutte le sue convinzioni? Amando così tanto avere il controllo della situazione, cosa farebbe se questa gli sfuggisse via?
E Tomo, con Vicky, come possono proteggere il frutto del loro amore, sapendo che non potrà mai essere quello che credevano?
E Shannon... Shannon, che ama la vita e tutte le sue sfaccettature, come aiuterà il fratello a credere a ciò che sta capitando a tutti loro?
Spero di avervi incuriositi :)
Genere: Avventura, Fantasy, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Salve! Eccomi con la mia seconda FF sui Mars a più capitoli. Se c'è gente che già mi conosce per "One Day We'll Meet Again", con il sequel "I Will Never Regret"... BENTORNATI! Mentre per tutti gli altri.... BENVENUTI!
Sappiate già che sono un pò matta, e questo si vedrà anche nella mia storia. Mi piace mettere sempre un pò di me ovunque ;D
Bè... forse con questo primo capitolo può sembrare la solita storia, ma, credetemi, non lo è per niente. Non ho messo il rating rosso perchè non sono presenti scene forti molto spesso, anche se ci sono, ma l'avviso "Contenuti forti" spero vi sia saltato all'occhio, per ogni vostra scelta legittima. 
Direi per il resto basta, spero vi piaccia la storia, anche se è appena iniziata. Buona lettura 

 
                         

 

Prologue
 

 
Ormai vederla fare certe cose non avrebbe dovuto fargli così effetto, o almeno non dopo così tanto tempo passato da quella rivelazione, ma ancora pensava fosse uno scherzo. Non perché fosse qualcosa di sbagliato, ma era totalmente illogica come situazione da farlo impazzire.
Invece lei giocava allegra come se fosse normale, normale come prendere una bambola e farle vivere mille avventure, ma sapeva benissimo che prima o poi avrebbe capito da sola che ciò che faceva non era usuale per tutti.
Shannon continuava a guardarla sorridente, sempre meravigliato, anche perché lui, grazie al suo carattere più aperto e solare del fratello, riusciva ad accettare meglio quel dono come normalità.
Tomo cercava di imitarla, ovviamente fallendo miseramente ogni volta, così alla fine rideva e lasciava a lei tutto il bello dello spettacolino che stava offrendo loro. E come lui, Vicki la incitava a continuare con sorrisi e battiti di mani.
Emma non c’era, se n’era andata da un pezzo, credendoli tutti dei pazzi… la capiva, in fondo era difficile pensare il contrario.
Guardò la ragazzina muovere le mani e sorridere del risultato; era… se stessa, e mai si sarebbe permesso di portarla via dal suo mondo. Poi si voltò a guardare la ragazza che li aveva portati fin lì, la quale sorrideva fiera, aiutando la più piccola dove non riusciva.
Davvero era finita lì? Nessun problema o pericolo in vista?
Davvero potevano finalmente godersi la vita che si erano creati?




Chapter 1. Tomo, what? You’re crazy!


 

“Tesoro, ci siamo. È il momento”, disse Vicki, abbastanza triste, guardando ciò che c’era nella piccola culla verdognola che i ragazzi avevano regalato loro tempo prima.
“Non potremmo aspettare ancora un anno?”, chiese Tomo, dolce e sempre iperprotettivo, seguendo lo sguardo della neo moglie. Era stato tutto così maledettamente veloce: lei, lui, il tour, i ragazzi, l’album, questo…
“Tesoro, non possiamo, lo sai. Tu devi lavorare, io sto rischiando di impazzire e lui conoscerebbe dei piccoli amici, ambientandosi un po’ con persone che non siano i miei genitori o noi”, gli spiegò la donna, sorridendo intenerita dalla possessività dell’uomo.
“Ma ha solo un anno!”, si lamentò il croato, anche se sapeva che quando sua moglie si metteva in testa una cosa, difficilmente cambiava idea. Ormai lei aveva deciso tutto dall’inizio dell’estate. Già a giugno aveva ottenuto tutte le informazioni necessarie e ora era pronta a fare tutto per bene.
“Ti prego, Tomo, non ce lo rapiscono mica. Lo lasciamo lì la mattina presto, mentre vai dai ragazzi e passiamo a portarlo a casa poco dopo mangiato. Emma dice che lì lavorano delle ragazze molto brave”, cercò di convincerlo sorridente, mentre prendeva in braccio l’interessato. Ricordò quello che avevano passato in quell’anno con lui e un po’ capì il marito.
Ma ovviamente se lui provava ogni giorno per il nuovo disco e lei aveva deciso di tornare a lavorare come fotografa, dopo che le sue foto erano state comprate da un riccastro newyorchese, come potevano stargli dietro come un tempo?
Ogni mattina, da qualche mese a quella parte, Vicki doveva portarlo dai suoi genitori perché non poteva lasciarlo sempre dai ragazzi, che con la musica alta non lo potevano far dormire.
“Credi che sia la scelta migliore?”, chiese per l’ultima volta sapendo che ormai non c’era niente da fare, mentre Vicki rideva. Erano anni, praticamente da quando si erano conosciuti, che lei riusciva a capirlo al volo, e ovviamente ora si dava una vittoria certa.
“Assolutamente certa, Tomo. Domani andremo a vedere e, se sarai convinto, lo iscriveremo. Ma ti prego… ti prego, ti prego, ti prego… pensaci bene!”, disse facendo gli occhi da cucciolo a cui il marito mai avrebbe negato nulla.
Lui annuì, ormai sconfitto, e Vicki rimettendo il povero interessato ammutolito nella sua culla, tornando in cucina per mettere su qualcosa da mangiare.
Non cucinò grandi cose, sapeva che doveva fare in fretta per poi tornare a lavorare, e in più Tomo sarebbe rimasto in quella piccola camera ancora a lungo.
Finì di preparare e si sedette a tavola, da sola. La loro cucina aveva una grande finestra da cui si poteva vedere gran parte della città e molte volte restava ammirata. Molte foto aveva scattato da quella prospettiva e mai una era simile all’altra. Era spettacolare.
E parlando di fotografia, si convinse di finire di mangiare in fretta per tornare al lavoro. E così fece, dopo aver pulito il suo piatto e sistemando le sue cose.
Lasciò un piccolo post-it sul frigorifero come loro solito e si chiuse nella loro camera, dove sulla scrivania c’era già il suo personal computer acceso sul programma per le foto. L’aveva lasciato lì dopo pranzo, forse dimenticandosi di spegnerlo.
Cominciò a lavorare: zoomando, modificando, colorando, tagliando… doveva guardare ogni singolo millimetro della foto, esaminare ogni minimo particolare o avrebbe dovuto rifare tutto dall’inizio e non ne aveva intenzione.
Ci mise parecchie ore e verso l’una decise di terminare lì il compito. Era a buon punto, forse il giorno dopo avrebbe potuto consegnare la foto e prendersi la sua paga. Andò a prepararsi per dormire, mentre sentiva Tomo camminare verso la camera.
Così sorrise, spense il computer salvando tutto, prese il beauty e il pigiama e corse in bagno per una doccia rilassante.
Nello stesso momento, Tomo aprì la porta della loro camera, stanco della giornata.
Aveva passato tutta la mattina a provare e riprovare testi che magari alla fine nemmeno avrebbero inserito nel disco, ma sapeva quanto Jared ci tenesse a fare tutto per bene, anche se non era indispensabile. Il pomeriggio invece era stato un momento di pausa per lui, ma era rimasto da loro per vedere provare Shannon e sistemare alcuni vocalizzi di Jared, dopodiché erano usciti a farsi un giro per la città.
Certo, lavorare al quarto album era fantastico, avevano appena fatto un VyRT per festeggiare il primo, anche se lui non ne faceva esattamente parte, e tutto sembrava andare alla grande… ma era stanco. Stanco come mai prima di quel momento.
Forse era invecchiato, perché ne per A Beautiful Lie ne per This Is War si era mai sentito così scombussolato. O forse era perché ci stavano mettendo tutti se stessi. Non potevamo permettersi errori dopo la fama di This Is War e tutti contavano su di loro per una buona riuscita.
Ma cavolo… se per il terzo album sembrava di essere andati all’Inferno per due anni e essere tornati sulla Terra più carichi di prima (da una famosa citazione del suo amico cantante), per quell’album ancora innominato erano andati oltre l’Inferno.
Ma almeno alla sera si ritrovava in quella cameretta, sorridente come poche volte nella sua vita, a rilassarsi. Vicki di solito stava lì con lui ma in questi giorni aveva un lavoro troppo importante e ormai aveva capito la sua idea. Non potevano più andare avanti così…
A mezzanotte era andato a farsi uno spuntino con quello che Vicki aveva preparato, trovando il suo post-it e fermandosi a mangiare davanti alla finestra. L’aveva fatta costruire apporta per lei.
In realtà quella era solo una delle grandi vetrate di casa loro. Infatti molti muri esterni erano stati abbattuti e rimpiazzati con grandi finestre che offrivano un panorama mozzafiato.
Quella era stata problematica perché, essendo praticamente sempre estate a Los Angeles, il caldo entrava da quella finestra senza pietà e a volte stare lì dentro era impossibile. Ma Dio… la visuale era troppo bella per lasciarla coperta da un muro in cemento.
Dopo la piccola cena aveva sistemato ed era andato nel suo piccolo studio, ovvero una cameretta minuscola insonorizzata, con dentro chitarra e amplificatore. Lì poteva fare ciò che voleva e quella sera si era messo a suonare ‘Alibi’ e i veloci accordi di ‘L490’, tanto per rilassarsi un po’.
A volte pensava al futuro e sinceramente, dopo quasi un anno di pausa, ancora aveva voglia di andare in tour con i ragazzi, anche se l’adrenalina passava appena si rendeva conto di quello che avrebbe lasciato a casa.
Alla fine, all’una di notte, decise di andare a dormire e infatti eccolo lì a vedere il computer spegnersi e l’acqua cominciare a gocciolare dalla doccia. Forse Vicki era appena entrata in bagno dopo una serata di lavoro; così la lasciò fare con calma, andando a sdraiarsi sul letto, aspettando la sua dolce metà. Ma nel mentre, chiuse gli occhi e finì per addormentarsi, pensando per ultima cosa a quello che in questo tempo gli aveva cambiato così tanto la vita.
Suo figlio. Devon.
Devon Mile Milicevic.
 
Era arrivato il momento decisivo, e Tomo era pronto per vedere se era una buona idea. Al suo fianco Vicki era al settimo cielo. Per lei questa era un’ottima occasione per il piccolo e in fondo anche il marito le dava ragione. Infatti, pensando a tutto ciò che stava succedendo loro, era meglio così.
Entrarono in un edificio tutto colorato con Devon nel passeggino che mugugnava versi sconnessi tanto per far percepire la sua presenza. Si diressero verso la segreteria, dove videro una donna sulla trentina, con i capelli rossi arancini tranne che per una sola ciocca rosso sangue di lato, evidentemente tinta. Era seduta dietro ad un bancone, a sfogliare fogli e sottolineare righe con un evidenziatore giallo fosforescente.
Si avvicinarono e Tomo si schiarì la voce, in un evidente tentativo di far capire la loro presenza.
Questa alzò il viso, scioccata ad un primo approccio, ma poi mise via tutti i fogli, dando loro attenzione. Li sorrise, chiedendo gentilmente il loro nome per prima cosa, e poi cominciò a spiegare in poche e veloci parole cosa avrebbe potuto fare Devon in quell’asilo e come sarebbe stato trattato.
Vicki era molto interessata e stava per fare una domanda, quando, appena provò a parlare, si sentì un rumore assordante e una decina di bambini uscirono da una delle classi più vicine all’entrata dell’edificio.
“Matt, Dan, non osate ricominciare a pitturare sui muri!”, disse una voce femminile, giovane, che apparteneva ad una ragazza che comparve poco dopo, con un sorrisone e una pila enorme di fogli. Si mise in mezzo al cerchio ordinato che i bambini avevano creato al suo arrivo e consegnò ad ognuno di loro un minimo di due fogli. “Qui invece potete disegnare tutto ciò che volete, ok?”.
Due bambini, probabilmente i primi e gli unici nominati, fecero una smorfia, ma poi accettarono volentieri la carta e, con le matite e i pennarelli che avevano già in mano, cominciarono a divertirsi.
Lei sorrise e arruffò i capelli ad entrambi, per poi rimettersi al centro del cerchio e sedersi per terra, controllando ognuno di loro. Si guardava in giro molte volte, o aiutava qualche bambino a disegnare, ma non sembrava una maestra. Era più simile ad una sorta di sorella maggiore, da come si relazionava con loro.
“Lei è Ash Connor, la nostra ‘babysitter’, per così dire”, sorrise la donna in segreteria, facendo le virgolette con le dita appena pronunciò quella parola.  I Milicevic si voltarono al suono della sua voce, così concentrati entrambi a vedere quello che stava accadendo. “Tiene i bambini più piccoli e visto che vostro figlio rientrerebbe in quella categoria, potrebbe esservi sicuramente utile andare a parlare con lei. Poi, se vi ha convinto, tornate pure qui da me per terminare la parte burocratica”.
E così, sempre con un sorriso, la donna si spostò dal bancone e indicò ai due consorti di seguirla. Vicki era praticamente alle stelle – se avesse potuto avrebbe saltellato di gioia – visto che la ragazza le stava già simpatica a pelle, mentre il marito non era della stessa opinione. Aveva una sensazione strana, come se quella ragazza nascondesse qualcosa.
Ma, vedendo la moglie così felice del luogo e delle persone che ci lavoravano, decise di lasciar perdere la sua mente e le sue congetture.
“Ash, questi sono i coniugi Milicevic con loro figlio, Devon Mile”, li presentò la donna, per poi sorridere a tutti e andarsene al suo posto di lavoro.
“Piacere di conoscervi, signori”, sorrise la ragazza, stringendo la mano ad entrambi molto educatamente, per poi accucciarsi di fianco al passeggino, prendendo una manina di Devon, come per salutare anche lui. “E tu che bel nome che hai!”.
“Devon significa ‘difensore’ e Mile è un nome croato, come mio marito”, spiegò pronta Vicki, con un sorriso. Era seriamente troppo contenta per essere ragionevole. Se fosse rimasta ancora qualche minuto avrebbe cominciato a straparlare dalla gioia, come quando Tomo le aveva chiesto di sposarlo o avevano saputo che lei era incinta. Sparava parole a caso tanto da far venire mal di testa e molte volte non era affatto divertente.
“Decisamente un nome stupendo”, confermò Ash, sempre piegata su Devon che la guardava ammirato. Lei gli porse la mano, così lui le prese un dito e cominciò a giocarci. “Bè, se avete qualche domanda sono più che felice di rispondervi”.
In pochi secondi si staccò dalla presa di Devon e si ritirò in piedi, guardandoli felice. Vicki fece un verso stridulo per meno di un secondo, ma che fece vergognare Tomo per lo stesso arco di tempo. Decisamente Ash Connor stava simpatica a sua moglie.
“Non fatevi problemi”, sorrise visto che i due non parlavano, ma sembravano in coma, allucinati forse da non sapeva che visione mistica.
Ash Connor aveva una voce brillante e decisa, per niente stridula, come invece si poteva pensare ad un primo sguardo. Ispirava sicurezza e protezione, cosa che piacque subito a Vicki.
Sempre sorridente, era una ragazza sprizzante, sulla ventina, con dei lunghi capelli biondi e lisci, tinti sulle punte di un blu puffo molto ribelle, che in quel momento stava arrotolando attorno all’indice, giocandoci un po’. Il blu contro la sua pelle risaltava moltissimo il suo colore pallido, piuttosto anormale se si vive in California.
Tomo sorrise guardando quel colore, ricordandosi del suo compagno di band, Jared, e il mitico periodo nel quale anche lui era diventato un mezzo puffo.
Di sicuro a lui sarebbe piaciuta quella ragazza: aveva un bel fisico, occhi grigi che ti fermavano il cervello e un sorriso simpatico che non aveva paura di usare e che ti ispirava molta fiducia.
Era vestita con una maglietta a maniche corte e dei pantaloni di jeans a tre quarti, con ovviamente delle All Stars.
Strano, di solito le ragazze della sua età le vedevi in spiaggia con dei bikini o degli shorts a godersi gli ultimi giorni delle vacanze estive prima di tornare nei banchi di scuola.
“…e quindi credo che vostro figlio si troverà benissimo”, rise finendo un discorso che la ragazza aveva appena concluso e di cui Tomo non aveva sentito nemmeno una parola se non quest’ultima frase.
“Tu cosa ne pensi, tesoro?”, chiese sua moglie, guardandolo eccitata, senza accorgersi (fortunatamente) che lui non stava pensando all’asilo del figlio.
Così scosse impercettibilmente la testa e sorrise alla moglie. “Credo sia perfetto?”, domandò senza nemmeno rendersene conto. Ma nessuno sembrò notare la domanda implicita ed entrambe le ragazze di fronte a lui la presero come un’affermazione.
A Vicki s’illuminarono gli occhi e annuì più volte, presa da chissà quale adrenalina.
“Se volete ora lo tengo io il piccolo per farlo ambientare, anche solo per un’ora e poi tornate a prenderlo”, propose Ash mentre si avvicinavano di nuovo alla segreteria.
“Oh, non saprei. In realtà dovevamo proprio scappare”, disse Tomo, pensando alle prove con i Thirty Seconds To Mars.
“Bè, tu e i ragazzi potreste venire qui a prenderlo dopo, mentre io finisco di lavorare. Va bene se te lo lasciamo per un paio di ore?”, chiese la moglie, mentre Ash annuiva sorridente. Quel bimbo le stava già simpatico, e in più era bellissimo.
“Allora penso che possa andare bene… Sei sicura, Vicki?”, domandò Tomo alla moglie, sapendo comunque che non era la prima volta che lasciavano il piccolo da solo. Vicki lo lasciava spesso dai nonni e poche volte aveva pianto davvero tanto per la sua mancanza.
“Certo, e tu non dovrai avere mille pensieri e andrai a suonare più tranquillo”, sorrise Vicki, prendendo suo figlio in braccio e abbracciandolo con amore.
Tomo sorrise a vederla così e poi andò dalla donna rossa per firmare le carte per l’iscrizione del figlio, annoiandosi a morte come poche volte nella sua intera vita.
Quando finii di sistemare il tutto, fu il suo turno di abbracciare il piccolo Devon, coccolandolo un po’ prima di poggiarlo tra le braccia della ragazza.
Lei sorrise e gli assicurò che sarebbe andato tutto bene. Ovviamente lui le credette.
 
“Tomo, dai non è così grave!”, disse Jared, cercando di non sentirsi troppo in colpa per l’accaduto. Cosa ne poteva sapere lui, in fondo, che sarebbe andata a finire così?
“Fottiti, stronzo del cazzo”, rispose il croato, tenendosi una mano sulla testa, con il sangue che scendeva dalle dita ancora caldo. Stavolta Vicki l’avrebbe ucciso sul serio, e con lui quel coglione del cantante.
“Ma che simpatico”, sussurrò Jared.
“Fratello, vai a prendere dal ghiaccio invece di lamentarti? Grazie!”, chiese per la terza volta il più grande dei Leto, cercando di fermare il flusso di sangue che scendeva dalla testa capelluta dell’amico. Meno male che Jared da piccolo si tagliava in continuazione cadendo ovunque e così Constance gli aveva insegnato come medicare anche ferite di quel genere.  
“Scusa, ma Vicki stavolta mi ammazza davvero… dovevo andare a prendere Devon un quarto d’ora fa e sono ancora qui con la testa spaccata in due, cazzo!”, si lamentò Tomo cercando di trovare una soluzione.
Vicki stava lavorando duro e di certo non poteva chiamarla per dirle che aveva un fottuto buco in testa e non poteva andare all’asilo pieno di sangue. Se l’avesse saputo ora gli avrebbe urlato dietro per ore. Preferiva farglielo sapere a casa, con Devon tra le braccia, sperando che restasse tranquilla.
“Manda Jared”, disse Shannon come se fosse la cosa più ovvia nell’intero universo. “Jared, cazzo vieni qui!”, urlò poi.
Shannon sorrise all’amico, come se volesse tranquillizzarlo, e aspettò che il fratello tornasse. Quando quello arrivò, con tanto di prezioso ghiaccio al seguito, si voltò verso i due, che lo guardavano con un preoccupante sorrisino malandrino sulla faccia.
“Che volete dalla mia vita?”.
“Oh niente, fratellino… solo la tua anima!”, scherzò Shannon alzando un sopracciglio e facendo scoppiare a ridere Tomo.
“Cosa?!”, si preoccupò il cantante, scioccato, per poi  puntare il dito contro suo fratello. “Oddio io lo sapevo che eri il Diavolo! Ne ero certo!”.
“Ma quanto cazzo sei cretino?”, commentò il fratello maggiore, scuotendo la testa con un sorriso, per poi aggiungere: “E io lo sapevo che ti eri fottuto il cervello! Ne ero certo!”.
Tomo ridacchiò ancora, divertito dalla sceneggiata, ma poi tornò serio. “No, Jared. Volevo solo chiederti se potevi andare a prendere Devon all’asilo... me lo devi!”.
“Cosa?! No, no, no. Voi siete tutti pazzi, no!”, si scandalizzò Jared, ancora più scioccato di prima. “Quel bambino mi odia!”.
“Non ti odia, smettila”, disse Shannon, mentre ridacchiava. “Ha solo trovato qualcuno del suo stesso livello d’intelligenza con cui confrontarsi… e poi non è che i bambini vomitano ventiquattro ore su ventiquattro”.
“E perché quando lo fanno sono io il bersaglio?”, s’infuriò Jared, ricordando l’accaduto e lasciando passare l’insulto del fratello. “No, non ci vado, scordatevelo”.
“Nemmeno se la maestra è una biondina tutto gambe e forme al posto giusto con due occhi di ghiaccio e qualche ciocca blu puffo nei capelli?”, chiese Tomo usando l’arma segreta. Le donne erano il punto debole di quei quarantenni fumati. Sapeva che avrebbero fatto qualsiasi cosa con una scusa del genere.
“Vado io!”, urlò Shannon, cercando di dare a qualcuno il ghiaccio, ma Tomo se lo tenne stretto. Non sarebbe rimasto a farsi medicare da Jared.
“Predo la giacca”, sbuffò il cantante, arrabbiato, ma pregustando la serata con la biondina.
Una serata che però non avrebbe vissuto mai…
“Okay, ma sappi che lo faccio solo per la biondina”, dichiarò ancora Jared, ricevendo in risposta un dito medio del chitarrista, che rise un secondo dopo. “Bene… ci vediamo all’Inferno”.
Poi prese le chiavi della macchina di Tomo, dove c’era già il passeggino e il sedile apposta per il bambino, e uscì di casa.
Insomma, odiava stare con Devon: non perché non gli volesse bene, in fondo era figlio di Tomo e alla sua nascita avevano festeggiato per una settimana, però sembrava che appena arrivasse lui, il bambino entrava in modalità ‘bimbo stronzo’.
Evitò di pensarci e parcheggiò davanti all’edificio che Tomo gli aveva indicato all’inizio delle prove, mentre gli avvisava gli sarebbero dovuto passare di lì al ritorno.
Era carino e colorato… logico, era un asilo!
Entrò ed era tutto in silenzio, non vedeva nessuno, tranne per una donna all’entrata, la stessa rossa che aveva accolto i Milicevic quella mattina.
“Ha bisogno di aiuto?”, gli chiese guardandolo fare passi incerti e confusi.
“E’? Oh, sì. Sono un amico dei Milicevic, mi hanno chiesto di portare a casa loro figlio visto che hanno avuto degli impegni importanti”, spiegò il cantante, mentre la segretaria lo fissava poco convinta, ma anche molto affascinata da quell’uomo.
“Oh, d’accordo mi segua pure”, rispose la donna, non credendo molto alle sue parole. Ma in fondo, ormai chi credeva più alle parole di Jared Joseph Leto?
Lo fece avanzare verso una classe piccola, contenente una decina di bambini tutti addormentati in piccoli lettini. Poi la rossa si rivolse ad una ragazza piegata su uno di loro, forse mentre gli cantava una ninna nanna.
Si alzò e Jared notò il biondo dei capelli mischiato al blu. Era lei la biondina prescelta?
“Ash, questo signore dice che lo mandano i Milicevic”, lo presentò la donna per poi riuscire dalla classe, lasciandoli soli in mezzo a quei nanetti.
“Oh, signor Leto!”, gli sorrise la biondina, andando a stringergli la mano. Uhm, molto carina… ottima scelta, sì.
Wait, un secondo.
“Come fai a conoscere il mio nome?”, chiese il cantante, abbastanza scioccato.
“Oh, credo di saper riconoscere un cantante famoso quando ce l’ho davanti, soprattutto se il chitarrista della sua band è venuto qualche ora prima per lasciarmi suo figlio”, ridacchiò a bassa voce per evitare che i bambini si svegliassero. Uno di loro si mosse nel sonno, ma poi si rimise a dormire.
Ovviamente Jared era sicuro che ogni benedetto bimbo in quella stanza fosse pazzamente innamorato della biondina, come lo erano tutti a quell’età con la propria baby-sitter o anche la mamma. Anche lui lo era stato e in fondo quella ragazza non era nemmeno così brutta, anzi.
“Ci conosce?”, divenne curioso, abbassando anche lui la voce per non ritrovarsi addosso un’ondata di bambini gelosi e appena svegli.
“Prima di tutto non ho sessant’anni, quindi chiamami pure Ash e dammi del tu. Secondo, sì vi conosco anche se non vi seguo molto”, rispose prontamente la biondina, con l’immancabile sorriso.
“Ash? Ash, da Ashley?”, chiese il cantante, cercando di ammaliarla come suo solito, mentre nella testa della ragazza prendeva vita una sola domanda: “Ma i cazzi tuoi?”.
“No, Ash da Ash”, rispose secca, infatti, indicando poi i bambini addormentati attorno a loro. “In realtà l’aspettavo una mezz’oretta fa, signor Leto…”.
“Jared, ti prego”, sorrise il cantante mentre lei cercò di non tirargli un pugno in faccia. Odiava che ci provassero così spudoratamente con lei.
“Sì, certo, come preferisce”, provò a non alzare gli occhi al cielo per educazione e continuò il suo discorso. “Le stavo dicendo… visto che non arrivava ho preferito far addormentare Devon con tutti gli altri bambini, quindi faccia con calma e non alzi troppo la voce, nemmeno in macchina. E non faccia manovre eccessive”.
“Oh… sì, certo, va bene”, sussurrò deciso. Di certo non voleva farlo vomitare di nuovo addosso a lui.
Lei sorrise e andò verso una delle poche culle per i bambini più piccoli in fondo alla classe. Si accucciò di fianco a una di colore bluastro violaceo, borbottando parole che sembravano fatte di miele.
Poi si alzò e prese in braccio quello che ormai era suo nipote acquisito e si avvicinò verso di lui, che era rimasto fermo tutto il tempo. Quando fu abbastanza vicina notò qualcosa di strano: le ciocche blu si erano dimezzate e al loro posto erano comparse alcune ciocche viola… che fossero rimaste nascoste nei capelli e sia lui che Tomo non le avessero viste prima?
“Eccolo qui”, sussurrò Ash, sperando che se ne andasse presto, passandogli il bambino tra le braccia, mentre Jared ci mise qualche secondo a capire come prenderlo bene in modo da non svegliarlo. “Non è molto pratico con i bambini. Dico male… Jared?”.
“Ho avuto a che fare con loro solo per qualche film o foto con i fan… lui è il primo che devo davvero tenere d’occhio, visto che è del mio migliore amico”, disse Jared usando una scusante abbastanza credibile, per poi passare al suo reale interesse. “Ash, ora…”.
“Ora dica pure ai signori Milicevic di portarlo domani mattina, sarò già qui con tutti gli altri. E dica loro anche che questo bambino è un amore: ha pianto pochissimo, al contrario di altri suoi coetanei”.
“E’ una roccia”, sorrise lo zio mancato, per poi tornare serio come sempre… bè non esattamente come sempre. “Va bene, riferirò tutto quanto. Invece noi…”.
“No, non uscirò con lei, signor Leto”, sorrise ironica Ash, riprendendo la forma di cortesia, decisamente seccata. “E tantomeno verrò nel suo letto. Arrivederci”.
E detto questo si ritrovò, senza sapere esattamente come, fuori dalla classe, con Devon in braccio. Che testarda!
Ma avrebbe visto…
Se Jared Leto voleva una ragazza, quella ragazza sarebbe arrivata da lui, costi quel che costi. Era guerra aperta.
 

 

....
Note dell'Autrice:
Il nome "ASH" so che sembra quello dei Pokemon (-.-) ma vuol dire cose meravigliose e perfette per la storia. Spero vi piaccia. Secondo, Mile è un nome croato e Demon, come Ash, significa molto (sono fissata con i nomi, se non si era capito :D). Terzo, non fatevi ingannare da Jared, questa NON è una storia romantica. Ci saranno dei momenti, ma principalmente è avventura/azione.
Direi, questo è quanto. Spero vi sia piaciuto stare in mia compagnia. 
Tenterò di aggiornare ogni martedì, salvo impegni scolastici (maledetta scuola), quindi ci vediamo settimana prossima, no?
Abbraccioni a tutti, Ronnie

   
 
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