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Autore: Eragon36    08/01/2013    1 recensioni
Murtagh torna dall'esilio che si era autoinflitto, pronto ad aiutare il fratello Eragon ad addestrare i nuovi Cavalieri destinati a vegliare su Alagaesia. Intanto lo stesso Eragon esplora le terre che ha scelto per addestrare i suoi allievi, e trova non poche sorprese. Intanto, vecchi e nuovi nemici tentano di minare la pace del neonato regno di Nasuada, mettendolo anche a serio rischio. Il titolo significa Destino e Amore.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Eragon/Arya, Roran/Katrina
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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9 anni dopo
Elessar si alzò, un nuovo mattino nella sua noiosa vita. Anche quel giorno, come tutti i giorni da tr anni, si apprestava ad andare a noiosissime lezioni su gente morta, come quel Galbatorix che ammirava per essere riuscito a governare Alagaesia per cent’anni, o suo nonno Ajihad, che aveva dato il via alla rivoluzione guidata da sua madre, o la ex-regina degli elfi Islanzadì, perita in quella stessa città nell’ultima battaglia della rivoluzione. Al pomeriggio si divertiva di più: doveva imparare la lingua dei nani con il suo maestro, una nana scorbutica di nome Anuhin, poi la stessa gli dava anche lezioni sulle loro tradizioni e sui loro clan. Lei apparteneva ad un clan chiamato Durgrimst Vrenshrrgn, che significava Lupi da Guerra. Dopo quella lezione, in cui si divertiva a farla irritare fingendo di non sapere nulla per poi uscirsene con tutti i nuovi apprendimenti all’improvviso, lo aspettava il suo momento preferito: la lezione di antica lingua. La sua insegnante, un’elfa che doveva avere dieci anni più di lui e si chiamava Melime, era arrivata assieme alla prima visita di suo padre, quasi quattro anni prima, era altra come sua madre, ma al contrario di lei aveva i capelli biondissimi, quasi bianchi. Era un’insegnante intransigente, ma ottima, ed era anche una bellissima donna. Ormai parlava fluentemente il linguaggio degli elfi, e con lei non poteva parlare in altro modo. Dopo la lezione di Antica lingua lo attendeva la parte più dura: l’allenamento di scherma. Sapeva che per un principe e futuro re era indispensabile, ma ne avrebbe fatto volentieri a meno. Odiava il suo insegnante, soprattutto per la corazza che indossava, che sospettava portasse anche a letto. Si chiamava Fredric, e la corazza in questione era una corazza di pelle e peli di bue che puzzava più del bue vero e proprio. Inoltre con la spada non ci andava per nulla leggero, tanto che aveva accumulato già più lividi che capelli in testa. Era più di otto mesi che suo padre non si faceva vivo, eppure l’ultima volta aveva detto che erano ormai sei anni che nessun uovo si schiudeva, nemmeno quelli selvatici. Decise che non era ancora compito suo indagare per cui si vestì e scese a fare colazione. Quando aprì la porta della sala da pranzo in cui era solito recarsi, rimase di stucco. Dentro c’era l’ultima persona che si era aspettato di vedere: suo zio Eragon. Anche se non l’aveva mai visto di persona, lo riconosceva perché ogni tanto compariva dietro suo padre nello specchio magico che usavano per comunicare. Il Cavaliere era intento a gustare una fetta di torta ai semi aromatici. "Buongiorno, zio Eragon."
Eragon alzò gli occhi. "Ah, buongiorno, nipote. Dormito bene?"
"Sì grazie. Quando sei arrivato? Mia madre non mi aveva avvertito della tua visita"
"Sono qui solo di passaggio. Nessuno sapeva del mio arrivo. Sono giunto ieri sera, dopo quattro giorni di volo, e sarei dovuto ripartire oggi stesso. Tua madre però mi ha chiesto alcuni consigli, così ho deciso che partirò domani mattina all’alba."
"Posso farti una domanda, zio Eragon?"
"Dimmi pure."
"Io potrò mai diventare Cavaliere come te e papà?"
"Se un drago ti riterrà il compagno ideale e farà schiudere il suo uovo davanti a te, certamente. Sarai addestrato, non da me né da tuo padre per evitare debolezze legate alla parentela, ma dall’elfo Dusan, e poi sarai un Cavaliere."
"E allora perché nessuno mi ha mai portato un uovo di drago?"
"Perché sei troppo giovane ancora. Devi aspettare un altro anno."
"Aspetterò. Voglio diventare un Cavaliere."
"Intanto studia ora, perché se no dovresti studiare dopo. E’ vantaggioso avere allievi già preparati."
"Va bene." Arrivò in quel momento un cameriere con in mano un’altra fetta di torta ai semi  aromatici, che posò davanti al principe, che prese a mangiare di gusto. "Un’ultima domanda."
"Dimmi"
"Hai detto che un drago mi riterrà un compagno ideale e farà schiudere il suo uovo davanti di me. Com’è possibile? Non è vivo, nell’uovo, da quanto ho studiato. E come sa che io sarò un buon compagno?"
"Ti legge nella mente. Devi sapere che un drago è pronto per nascere appena il suo uovo viene deposto, ma attende le condizioni esterne favorevoli per venire alla luce. Se l’uovo è destinato ai Cavalieri, invece, oltre alle condizioni favorevoli attende di essere alla presenza di una persona che il drago stesso ritiene ideale. Da cosa lo capisca non ci è dato saperlo."
"Capisco."
"Ora tua madre mi attende. A presto, Elessar-finiarel."
"Arrivederci, zio Eragon." Il Cavaliere si alzò e uscì dalla stanza lasciandolo a riflettere. Avrebbe fatto di tutto per essere un compagno ideale quando fosse stato il momento di scegliere i nuovi Cavalieri. Si sarebbe impegnato ancora di più nello studio, così, pensava, avrebbe avuto più possibilità di essere scelto. Si avviò con rinnovato entusiasmo alle sue lezioni. Per la prima volta non fece esasperare Anuhin, che si complimentò con lui per il grado di conoscenze raggiunto, arrivando a sostenere un discorso complesso nel ruvido linguaggio dei nani. Alla lezione sulla cultura nanesca scoprì che i nani facevano parte dell’Ordine dei Cavalieri da soli undici anni, e che era stato proprio suo zio Eragon a permettere loro di entrare, come anche agli Urgali. Chiese alla sua insegnante perché, sebbene i nani fossero la razza più antica di Alagaesia, facessero arte dell’Ordine da così poco tempo, e lei gli rispose che era a causa della loro antica rivalità coi draghi. Il loro re, Orik, era fratello adottivo di Eragon, quindi aveva accettato la sua proposta di far entrare anche la sua razza nell’ordine. Molti avevano storto il naso, ma ora si iniziavano a vedere i vantaggi: la razza prosperava, ed erano più ricchi di quanto non lo fossero mai stati. La loro economia non poteva essere più prospera, e ormai nessuno piangeva più le vittime della guerra. Anche con Melime fece del suo meglio, e ora riuscì a sostenere l’intera lezione nel linguaggio nativo dell’elfa, che si complimentò con lui a fine lezione. Ora lo attendeva la lezione più difficile: la scherma. Non che non gli piacesse combattere, ma odiava quella corazza che il suo maestro indossava continuamente. Gli impediva la concentrazione, distraendolo con la puzza. Era impegnato a pensare a come contrastare la puzza di bue bagnato, per cui trasalì quando, ad aspettarlo al campo di addestramento non trovò Fredric ma bensì due draghi, di cui uno visibilmente più grande dell’altro, ma entrambi azzurri come il cielo. Non erano i primi draghi che vedeva, ma l più grande dei due era sicuramente più grande di quello di suo padre. Seduta sulla zampa anteriore sinistra del drago più piccolo c’era una donna. Non era un’elfa, ma non gli sembrava nemmeno umana: aveva i capelli rossi come il fuoco, la pelle bianchissima. Le orecchie leggermente a punta fermavano i capelli cadenti sulla schiena, e sugli zigomi alti comparivano pallide delle lentiggini dello stesso colore dei capelli. Portava una tunica colore dell’erba, e pantaloni di pelle. Stretta alla vita una cintura bianca metteva in risalto i fianchi sottili. Dalla cintura pendeva una spada chiusa in un fodero blu come i due draghi. Sul fodero riconobbe il glifo dell’antica lingua che recitava Felkr, cielo. Elessar la trovò bellissima, e doveva avere poco più del doppio dei suoi anni. Appena lo vide, la donna si alzò e gli disse, con una voce dolce e melodiosa:"Salve, principe Elessar Murtaghson. Io sono Dana, e sono un Cavaliere dei draghi come tuo padre e tuo zio. Lui" e indicò il drago su cui era seduta "si chiama Atma, ed è il drago che ha scelto di unire la sua vita alla mia, e lei>> e indicò l’altro drago <<è Saphira, ed è la compagna del maestro Eragon."
"S-s-salve>> balbettò Elessar. << è un onore conoscervi."
"L’onore è nostro. Siamo qui perché oggi il tuo maestro ha avuto un impegno, e noi siamo qui con Eragon. Tua madre, la regina Nasuada, mi ha chiesto di occuparmi del tuo addestramento di scherma, e così farò."
Quasi non credeva alle parole di Dana. Gli si chiedeva di combattere con una donna! Anche se era un Cavaliere, non aveva alcuna possibilità contro di lui. Non poteva essere più debole di una donna.
Prese una spada di legno da addestramento, e si mise in guardia. Dana estrasse la sua lama, molto sottile e affusolata, e pronunciò a voce bassa alcune parole, poi prese a passare il pollice e l’indice lungo il filo della spada. Quando finì si piazzò e disse: "In guardia!" Elessar la attaccò, correndo al massimo della velocità, e provò un fendente che aveva funzionato anche contro Fredric: una finta bassa al ginocchio per poi spostare all’ultimo la spada sulla spalla opposta, in modo tanto rapido da non dare all’avversario il tempo di reagire. Non ce l’aveva fata Fredric, perché avrebbe dovuto farcela una donna?
Invece Dana levò la spada e boccò l’affondo, con una naturalezza disarmante. Elessar arretrò, attonito. Com’era possibile? Provò una serie di colpi in rapida successione, sicuro che almeno uno sarebbe andato a segno, e invece no, Felkr era sempre lì a bloccare la sua spada. Quando alla fine si trovò esausto, non era mai riuscito a toccare quella donna. Non poté fare a meno di chiedersi come fosse possibile che una donna avesse sviluppato una tale abilità nella scherma, poi lo capì. Doveva essere a causa dell’addestramento dei Cavalieri. Evidentemente tutti i Cavalieri, sia maschi che femmine, erano allo stesso livello di scherma, che era molto più alto di un qualunque spadaccino del regno. Ora Dana lo attaccò: l’affondo fulmineo si abbatté contro la sua spalla sinistra, dove la sua arma non era arrivata in tempo a ripararsi. In poche altre mosse, Flekr si abbatté sulla sua spada e gliela fece cadere di mano, poi scese verso la sua gola, dove si posò. Elessar era sconcertato. Aveva sottovalutato il suo avversario. Non sarebbe più accaduto. Non se voleva essere Cavaliere.
   
 
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