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Autore: Luciferosenzaali    08/01/2013    0 recensioni
"Un Lucifero costretto a patire le pene di un mondo imperfetto, di un mondo pieno di male."
"Un baule enorme pieno di ricordi. E ricordi.
Tanti, troppi ricordi che tutt' ora scavano un solco profondo nel cuore arrivando al centro di esso e poi in quella ferita ci buttavano il sale. Ricordi che facevano male, ricordi che continuano a far male, ricordi indelebili nella mente di un ragazzo diciannovenne che ha buttato la sua vita in un burrone e non è più andato a recuperarle."
"-Vorrei una vita in bianco e nero, i colori sbavano la bellezza delle cose.-"
"-Forse ho deluso tutti, sai? Sia te Chris, sia la mamma, sia papà, sia quei parenti che mai ho conosciuto, sia Anne, sia Maddie, sia gli amici, sia Cam, sia gli sconosciuti. Secondo me, ho deluso perfino Dio.-"
"-Se ti sei tolta la vita per darla a me, ti ringrazio, ma potevi tenertela.-"
"-Alcuni dicono che il tempo sana tutte le ferite. Io non sono d'accordo. Le ferite rimangono. Col tempo, la mente, per proteggere se stessa, le cicatrizza, e il dolore diminuisce, ma non se ne vanno mai. [Spencer Reid.]
Questa citazione mi ha fatto pensare a te.-"
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Era una giornata triste, buia. Una burrasca di neve imprigionava la città. Urla, grida, parolacce e rivelazioni inondavano la stanza numero 14 dell' ospedale del centro di Amsterdam. 
Proprio in quella giornata così malinconica stava nascendo una nuova vita. Una vita con un destino sconosciuto. Ma nel mentre che una nasceva, un' altra moriva. Un' ultima spinta, un' ultima stretta di mano, un ultimo ti amo urlato al mondo intero, un ultimo respiro, un ultimo battito e poi il nulla. Tutto si spense, tutto divenne nero. Un primo battito, un primo pianto, un primo grido, una prima occhiata al mondo intero. Tutto si accese, tutto divenne limpido. Una nascita e una morte. Due cose differenti, ma legate da un filo sottilissimo: la vita. 

"È un maschio! Signore, il suo bimbo è un bel maschietto."
 
Lui non sentiva, lui non capiva. Guardava la moglie inerme, lei aveva lo sguardo impassibile, neutro. Non un sorriso, non una parola, solo un' ultima lacrima che scivolava lungo la guancia ancora calda. Come se sapesse di star per dare la sua vita in cambio di quella del figlio, come se sapesse di non aver la possibilità vedere suo figlio crescere.
Nessuno se n' era accorto, ma lui sì. Lo sapeva, ne era sicuro. Lacrime calde sgorgarono dal profondo delle viscere fino a salire agli occhi e poi riversarsi su guance arrossate. Quelle erano lacrime liberatorie, lacrime che spazzavano via tutto il male accumulato negli anni.
Uno piangeva, l' altro anche. Due pianti completamente diversi. Uno era rivolto al mondo, uno rivolto a Dio. Uno diceva: "Sono qui. Ci sono pure io.", l' altro malediceva qualcosa o qualcuno: "Perché a me? Perché proprio lei? Perché noi?".
Il cervello era completamente perso, l' anima completamente distrutta, il cuore non pompava nessuna emozione nel corpo dell' uomo.
 
"Signore?"
 
L' infermiera lo chiamò e si avvicinò a lui porgendogli il bambino che ora mugugnava cose insensate.
Uno sguardo, un sorriso, altre lacrime solcarono le guance e si andarono a frantumare sul viso del piccolo neonato. Una carezza, una stretta al grosso dito rispetto alle mani del bimbo, un sorriso innocente e un sorriso triste. Un sospiro, un ripensamento, una sicurezza. Un nome detto a bassa voce, un passaggio del piccolo Luke a braccia sconosciute, grida di tristezza strozzate. Un saluto cordiale, un "arrivo subito" blaterato troppo velocemente per essere capito, altre lacrime troppo amare.
Se n' era andato. Era uscito dall' ospedale, era andato nel parcheggio e aveva cercato la sua macchina. Aveva preso le chiavi nella tasca, aveva aperto la macchina freneticamente, si era seduto al suo interno e con le mani nei capelli piangeva, urlava, tirava calci, bestemmiava. Non riusciva a capacitarsi di quello che era successo, del perché era successo. Accese la macchina, giudò verso casa. La musica che usciva dalla radio, sbattendo con violenza su ogni cosa incontrasse, suonava le note della canzone del loro primo ballo. Il ballo scolastico. Il ballo in cui si erano conosciuti e si erano innamorati. Quella era la loro canzone. Le lacrime cadevano copiose sulle guance e quelle posizionate negli occhi impedivano all' uomo di veder la strada.
Grida, rumore sordo di freni, la botta, lo sbalzamento in avanti, la testa che picchiò forte contro il volante, la macchina accartocciata e catapultata via. Le parole della canzone gli inondavano le orecchie per poi spandersi nel corpo intero. 
 
"I never meant 2 cause u any sorrow 
I never meant 2 cause u any pain 
I only wanted 2 one time see u laughing 
I only wanted 2 see u laughing in the purple rain"
 
Si sentiva strano, stanco. Il sangue scendeva lentamente dalle ferite e sporcava la tappezzeria del sedile. Le ultime parole, un' ultima lacrima, un ultimo sorriso amaro, un ultimo ripensamento e poi la fine di tutto il male. La canzone continuava imperterrita a suonare, ma le orecchie non udivano più nulla. Il cuore pompava man mano sempre meno e poi pure lui cedette alla sconfitta, pure lui si spense. 
Un "arrivo subito" che non fu mantenuto. Se n' era andato, l' ultimo porto sicuro se n' era andato, aveva chiuso.
Quello fu l' inizio della fine per il piccolo Luke. L' inizio di una vita in discesa, una discesa percorsa troppo velocemente. Una discesa troppo difficile da percorrere, fatta di intoppi. 
Sì, lui andava verso il basso, non verso l' alto. 
  
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