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Autore: palanmelen    28/07/2007    7 recensioni
Fan fiction che ho mandato al concorso...
Lawful Drug. E' successo un gran casino in casa di Kudo. Ovviamente Kei c'ha rimesso un bel pezzo di sé... Sono i pensieri di Kazahaya riguardo quel che è successo, o quel poco che lui razionalizza. Povero micino, se son crudele!
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Abbi Cura Di Me


Non
Ricordo
Quel che è successo
Ieri sera.
Forse solo… solo che la mia mano era molto calda.
Questa qui, che ora è fasciata.
Sotto le bende c’è qualcosa che pulsa, come un taglio profondo. Non riesco a muoverla.
Questa è la mia stanza.
La mia stanza, a casa mia.
Ieri mattina mi ero svegliato nella mia stanza, nel nostro appartamento.
Nostro, mio e di Rikuo.
Era ieri?
Non lo so… la mano pulsa troppo, il soffitto è troppo bianco, le lenzuola troppo profumate. Io…

Ondeggio.
Qualcuno si è seduto sul letto.
-Stupido…-, sospira la sua voce.
È ruvida e calda.
Ondeggio.
Si china la sua ombra attraverso le mie palpebre.
Le sue labbra sfiorano la mia guancia ed è come se ci scivolasse una farfalla.
Poi si alza.
Un brivido.

Kei è un fiore rosso in mezzo al prato, con quel kimono.
Mi siedo accanto a lei.
Sorride, ha un’aria così serena.
Le voglio bene. Da impazzire.
-Anche il mio sangue era caldo, vero, fratello? Nonostante tu mi avessi lasciata. Era caldo.-
Si volta verso di me. I capelli le ondeggiano attorno e brillano come la sabbia sotto il sole.
Le sue labbra scarlatte, e le sue mani, giunte in grembo, sono sporche e rosse più scure del vestito.
-Oh, no…-, mi rassicura dolcemente, mostrandomi una mano. –Questo è il tuo.-
Si raccoglie i capelli. Si muove calma come una piuma in aria.
Così li sporca. Li raccoglie per mostrarmi il…
Collo.
Quel…
Taglio.
E…
-Questo è il mio.-

-Tranquillo, tranquillo.-, ripete nel mio orecchio. –Tranquillo.-
Mi culla e soffoca le mie grida contro la sua spalla, finché rimango senza fiato e si trasformano in rantoli, in singhiozzi, in un pianto silenzioso.
Il dolore mi brucia gli occhi. Li sento spalancati, eppure vedo con chiarezza la sua stanza, il suo corpo ancora seduto sulle ginocchia e la sua testa a fianco.
Mi guardava. Mi fissava.
La ferita sul mio palmo si riapre, le bende s’inzuppano subito di sangue caldo. Le ho strappato il tanto di mano, con tutta la mia forza, prendendolo per la lama.
C’era sangue dappertutto.
Mi rimette sdraiato, il suo volto si sovrappone alle immagini nella mia testa.
Anche lui si è tagliato, è un ricordo distratto, mentre mi fermava le braccia.
Chiudo gli occhi. Non riesco neanche più a piangere.
Sento il suo respiro sulle labbra.
Si alza, di scatto.
Mi accarezza di sfuggita il volto e mi rimbocca le coperte.
Mi sento sfinito.
Dice qualcosa, ma non lo afferro.
C’è solo grigio.

Sono le sue carezze a sollevarmi dall’incoscienza.
La mia pelle è sudata e fredda, la sua mano bollente e delicata.
Apro a fatica gli occhi. È di nuovo mattina.
È seduto accanto a me. Come ieri. Come ieri pomeriggio.
Il dolore è un fendente dritto nello stomaco.
Mi fa morire e nello stesso momento mi rende sicuro di essere ancora vivo.
Sto tremando.
La sua espressione è preoccupata. –Kazahaya…-. Mi accarezza ancora e sospira, come se non sapesse cosa dire. – Ti ho portato dell’acqua. Dovresti proprio bere, è più di un giorno che non mandi giù niente. Ti va? …Per favore.-
Chiudo gli occhi. Le sue carezze mi riscaldano.
Non ho sete, ma la mia gola è così secca che deglutire è doloroso. Non ho la forza di rispondergli, riesco appena a stringere il lenzuolo colla mano sana.
M’infila un braccio sotto la schiena, mi solleva e mi sostiene le spalle e la testa. Così in fretta che mi viene un capogiro.
-Ti tengo il bicchiere. Sorseggia lentamente, ok? E non sforzarti, se non la vuoi più fermati.-
È fresca. È buona. Più bevo, più ho sete.
Appoggio le mani sulla sua.
La mia fasciatura è nuova.
Si prende cura di me.

In questa casa ci siamo solo io e lui.
Non ho chiesto dove sono i miei genitori, non ho chiesto dov’è il corpo di mia sorella.
Kei occupa i miei pensieri e mi annebbia la mente.
Mi alzo un paio di volte al giorno, solo per raggiungere il bagno, le gambe non mi sostengono più di tanto.
Ho poco appetito, ma Rikuo sembra contento anche solo del fatto che mangi. Mi sto sforzando.
Non riesco a tenere le bacchette colla destra, la sinistra è immobilizzata.
Mi deve imboccare.
Non riesco neanche a lavarmi decentemente, ma non voglio chiedergli di aiutarmi.
Anche perché non riesco a parlare.

Il caldo delle coperte è il mio rifugio.
Dormire è il modo migliore per non pensare.
Non mi piace essere così abulico, e prima o poi Rikuo si stuferà di farmi da balia.
Se mi lasciasse solo morirei, semplicemente perché non sono affatto autosufficiente.
Sono ridotto peggio di un bambino.
Il caldo delle coperte è insopportabile. Penso che mi sia venuta un po’ di febbre per essere stato così tanto a letto.
Il bisogno di sciacquarmi dal sudore è più forte del tremore delle mie gambe.
La porta del bagno è sfuocata, mi sembra che sfugga dalla mia mano, ma alla fine riesco a toccarla.
Odio questa stanza, odio tutta questa casa, perché è piena di ricordi.
Io e Kei nella vasca a scherzare con l’acqua.
I pantaloni e i boxer sono già per terra, con la maglia faccio più fatica.
Questo pigiama è quello che lasciai qui quando me ne andai. Mi è appena corto.
Sento la porta che si apre, mi giro e c’è Rikuo sulla soglia.
Il suo sguardo scivola sui di me prima di incrociare i miei occhi.
-Scusa.- dice sottovoce. –Non pensavo fossi qui.-
Non si muove. Mi guarda, forse controlla quanto sono smagrito. Non mi sento a disagio.
Ma ormai sento qualcosa, a parte quel dolore costante al cuore?
-Vuoi lavarti. Hai bisogno di una mano.-
Abbasso gli occhi sulla mia sinistra. Mi accorgo che si è avvicinato quando mi scosta i capelli dal viso.
-Dai, siediti.- Prende la spugna, la bagna e la insapona. –Faccio io.-

È già passata una settimana. Una settimana.
Il dolore è meno intenso, ma sento ancora l’odore del suo sangue.
I suoi occhi vacui e ciechi continuano a fissarmi.
Se ci penso troppo mi viene la nausea.
Questa mattina, era molto presto, Rikuo mi ha svegliato e mi ha infilato un paio di jeans e una felpa.
Saiga era venuto a prenderci in macchina. C’era anche Kakei. Nessuno ha parlato.
Sono contento di essere tornato al nostro appartamento.
Qui non rivedo me e lei bambini in ogni angolo.
Non mi si gela il sangue chiedendomi perché non c’è più nessuno.
Penso sia una fortuna che i miei poteri si siano per qualche motivo bloccati. Non voglio sapere.
Sto imparando ad usare la destra.
Rikuo ridacchia un po’ alla quinta volta che il riso mi ricade nella tazza, poi mi prende la mano e me la guida fino in bocca.
Mi sta tornando l’appetito, ma a mangiare impiego un secolo.
Ci siamo seduti sul divano a guardare un film che non sto seguendo. Rikuo mi tiene stretto contro il suo petto.
È tardi e mi appisolo volentieri colla testa sulla sua spalla.
Dormicchio e mi sveglio, poi mi riaddormento.
Spegne la televisione e mi scuote piano. Riapro per metà gli occhi, poi li richiudo.
Mi prende in braccio, mi solleva facilmente. Mi allaccio al suo collo e appoggio la testa sul mio braccio.
Mi porta in camera.
Sono già in pigiama, mi sono già lavato i denti, sono pronto per dormire.
Mi appoggia sul letto, sfila le coperte da sotto di me e mi copre. Un po’ a fatica perché gli ho preso il braccio e non lo lascio andare.
Queste lenzuola fresche di bucato sono troppo fredde.
Ho paura che se ne vada. Non voglio rimanere da solo, stanotte.
Sospira e grugnisce come se fosse seccato. Però sale sul letto e si sdraia accanto a me.
Mi giro, mi abbraccia.
Appoggia la bocca sulla mia testa. Non ha intenzione di andarsene.
Infila le mani tra i miei capelli, mi alza un po’ la testa e mi sfiora la fronte colle labbra.
Rimane fermo così. Le sue mani hanno un tocco indeciso.
Vorrei chiedergli cos’ha ma…
Non so, mi sembra una domanda stupida, perché forse l’ho capito.
Chissà com’è la mia voce, è tanto che non la uso. Non so se riesco ancora ad articolare bene le parole.
Alzò la testa e il mio naso sfiora la sua guancia.
Mi stringe, quasi sia lui ora ad aver paura che io me ne vada.
-Perché non mi baci?- soffio fuori a fatica.
Trattiene un momento il fiato, poi la sua presa si salda sulla mia nuca.
La sua bocca si schiude sulla mia.


Tra le righe, vorrei si capissero i gesti che non ho descritto, le cose su cui posa gli occhi, e quello su cui, pur passandogli per la mente, non si ferma a pensare. Dicono che “l’erba ‘voglio’ non cresce neanche nel giardino del re”…
Le Clamp non ci hanno dato molto su cui lavorare. Mi sento quindi autorizzata a strapazzare i personaggi come mi capita (mi spiace solo che spesso sia Kei a finire male, nelle mie storie).
Il tanto è un pugnale giapponese. Faccio notare che Kei, decapitandosi, compie il suicidio rituale (per le donne non è il taglio del ventre). Visto che lei compare sempre in kimono, mi sembrava la morte più appropriata.
Ah, non ho idea del perché si sia uccisa. Io le sogno, mica le invento, queste cose. Forse è per come parla nel manga. Sembra sia sempre sul punto di farlo.

Disclaimer: I protagonisti di questa storia appartengono al manga Goho Drug (Lawful Drugstore in Italia) realizzato da Clamp. Tutti i personaggi sono maggiorenni e in ogni modo non si tratta di persone realmente esistenti. Fanfiction scritta non a scopo di lucro.

  
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