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Autore: Hellen96    09/01/2013    3 recensioni
Tutti desideriamo poter aprire la porta di camera e ritrovarci in tutt'altro posto rispetto al corridoio di casa. È ciò che succede ad Hellen, una ragazza come tutte che ama vagare con la mente verso luoghi sconosciuti e fantastici. Ma non tutto quel che accade è come lei se lo era immaginato...
Si ritroverà ad affrontare mille ostacoli: creature mai viste, un elfo con una capacità emotiva pari ad una donna in meno pausa e sentimenti contrastanti.
Un fantasy che racchiude ogni genere, dal romantico, all'avventura più stravagante.
Non mi resta che augurarvi buona lettura!
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Oltre…

Capitolo 1
 
Bibibit – bibibibit... La sveglia stava suonando senza sosta. Con la mano schiacciai pesantemente il pulsante di arresto. Come era possibile che fosse già mattina?! Mi ero addormentata un secondo fa!
Ero rannicchiata sotto le coperte azzurre del piumino e non avevo alcuna intenzione di mettere piede, nel freddo della camera. Girai la testa emettendo un mugolio di protesta. Sarei rimasta a letto per tutta la giornata ma ahimé, dovevo andare e anche velocemente in quella farsa di scuola, o almeno così la chiamavano. Tutto aveva tranne che la somiglianza ad un edificio scolastico. Le mura cadevano a pezzi, l’intonaco grigio come la bava di un lama, cadeva a terra e li rimaneva a stratificarsi. Dei custodi si conosceva solo il nome, non li avevamo mai visti; presumo che sia per questo che nei bagni ormai intasati, nessuno si prendeva la briga di pulirli. A pensarci bene, non credo che esistono, i custodi.
Per non parlare dei professori che avrebbero avuto bisogno tutti di una terapia da uno psicologo. Rinchiusi per chissà quante ore in quel manicomio, finivano per diventare pazzi anche loro. Le lezioni, per così dire, erano tra urla e schiamazzi dei ragazzi ormai anche loro preda della sindrome del leone in gabbia. C’era chi saliva sui banchi e agitava il posteriore in modo indecente, chi urlava e sputava a terra, ignaro che l’indomani mattina sarebbe caduto scivolando sul suo stesso sputo.
Io del resto, volevo solo che le giornate passassero velocemente, così da tornare a casa e lasciarmi alle spalle quell’orribile ed in vivibile posto.
 Mi tirai su controvoglia, sbadigliando e aprendo le braccia per stiracchiarmi. Aprì gli occhi che incontrarono solo l’oscurità. Non amavo accendere la luce al mattino, perciò mi vestivo al buio con la conseguenza che ogni mattina, battevo una testata contro lo sportello dell’armadio.
Andai verso la sedia vicino alla scrivania e presi i primi vestiti in ordine di mucchio. Diciamo che non avevo una buona fama come “ragazza ordinata” e mia madre non perdeva occasione di ripetermelo. Indossai i jeans e una felpa nera, una delle centinaia di felpe nere che abitavano il mio armadio, e andai ad attaccarmi al termosifone caldo. Gli rimasi attaccata come una lucertola al sole per un buon quarto d’ora e nel fra tempo mi ero riaddormentata con la testa sopra la parte superiore. Fui riportata alla realtà da un bruciore sulla fronte. Sembrava quasi che avessi un pezzo di carne carbonizzato e persino l’odore me lo ricordava.
Spalancai gli occhi e cominciai a saltare sul posto battendomi la mano sulla fronte in fiamme. Che idiota, ti pare il momento di dormire! Mi ammonì da sola. La porta di camera era chiusa come sempre. Lo pretendevo, doveva essere chiusa altrimenti non riuscivo a dormire. Mi incantai a fissare la parte interna della porta. Negli ultimi tempi, andando contro a quello che mi diceva mia madre, avevo cominciato ad attaccare sulla superficie liscia, qualsiasi cosa mi passasse per la testa. Prendevo un foglio, scrivevo e lo attaccavo. Ogni tanto, come in quel momento mi imbambolavo a fissare la miriade di scritte. La mia attenzione però, quella mattina, fu attratta da un foglietto che avevo attaccato la sera prima. C’era scritto OLTRE a lettere maiuscole e le avevo colorate di verde, così istintivamente. Avevo deciso di attaccarla così che in alcuni momenti, mi sarei potuta voltare e guardarla e magari immaginare, di non mettere piede in quella scuola e scappare in un altro luogo oltre l’immaginabile. Naturalmente vagavo troppo con la fantasia, ma queste piccole cose mi davano un po’ di allegria nelle giornate invernali.
Stavo esitando troppo e guardando l’orologio sul comodino vidi che erano già le sette e mezzo ed ero in ritardo. A mal in cuore aprì la porta ma quello che mi trovai davanti non era il lungo corridoio che portava in soggiorno, non era il ritratto di mio nonno che mi guardava accigliato dalla cornice del suo quadro. No, niente del genere. Quello che mi trovai davanti era qualcosa che non conoscevo e che non avevo mai visto prima. O almeno non nella realtà!
La prima cosa che notai non fu, tramite la vista. Ero talmente abituata all’oscurità della mia camera, che l’improvvisa luce, mi costrinse a chiudere gli occhi. Un suono strano e innaturale come un gracchiare e fischiare insieme, davano uno strano effetto alla sinfonia che sentivo. Aprì gli occhi mettendoci qualche secondo ad abituarmi. Un’esplosione di colori mi si parò davanti. Alberi di ogni colore e dimensione, dal giallo intenso al verde del muschio, al marrone della corteccia degli alberi al rosso intenso del fuoco. Tutto in un unico insieme: una foresta. Ero ancora sotto l’asse della porta e mi voltai indietro. Davanti una quantità indefinita di vegetali e indietro la mia camera nera e senza vita.
Potevo fare una scelta: andare avanti o… cosa sarebbe successo? Avrei richiuso la porta e sari tornata nel mio mondo?! Perché certamente quella non era la mia realtà! Dietro l’anta della porta di camera mia, non c’era un bosco che sembrava prendere vita da un momento a l’altro riversando su di me creature che neanche conoscevo. Certo, posso tornare indietro e fare che cosa, andare a scuola? No, decisamente se potevo scegliere, avrei proseguito. In fondo chi mi garantiva che quello non fosse un sogno? Nessuno e tanto valeva provare e avere un po’ di coraggio.
Avevo deciso e con naturalezza feci un passo avanti. Dietro di me, la porta batté vigorosamente, scomparendo del tutto. Al suo posto non rimase nulla e il paesaggio si uniformò.
Mi guardai intorno alla ricerca di qualsiasi cosa che mi avrebbe indicato una direzione. Senza rendermene conto, dopo aver formulato nella testa il pensiero, un sentiero si allungo sotto i miei piedi. Presumo che io debba seguirlo. Ho ero decisamente una sciocca o tanto coraggiosa da infilarmi in qualcosa che non conoscevo e che sicuramente non avrebbe portato nulla di buono.
Camminai senza fretta lungo il sentiero, i jeans sfregavano provocando il loro tipico suono.
Intorno a me il paesaggio non cambiò. Gli alberi alti ma anche piccoli, mi facevano compagnia. Le foglie di colore e dimensione diverse, si muovevano all’unisono nella stessa direzione del vento. Il suono che avevo sentito all’inizio era cessato con il mio entrare dentro quel luogo.
Per circa tre chilometri non incontrai nessuno e cominciavo ad essere stanca.
Poi la strada cominciava a salire e vidi degli strani movimenti tra gli alberi, però non erano dati dal vento. Con gli occhi, analizzai ogni minimo spazio tra i rami e mi accorsi di un movimento fugace tra un albero a pochi metri da me. Con istinto dissi:
- Fatti vedere!- sapevo che c’era qualcuno che mi guardava e qualcosa mi diceva che non lo faceva da poco tempo.
Con un salto agile, la persona o qualsiasi tipo di creatura che fosse, scese a terra.
- Che ci fa un umana, qui?- disse la voce. Era melodiosa e dolce come se potessi assaporarla in bocca. Non riuscivo a vedere bene così mi avvicinai anche se timorosa.
- Perché prima di fare delle domande a me, non rispondi a una delle mie.- ero a poca distanza ora e lo vedevo bene, fin troppo. Era simile ad un essere umano, alto non più di qualche centimetro rispetto a me, ma aveva lungi capelli biondi legati in una coda dietro la testa, occhi di un verde molto simile a le foglie degli alberi che ci circondavano. Ma la cosa che lo differenziava da me, era la lunghezza delle orecchie. Erano a punta e non ne avevo mai viste di simili tranne che nei film.
- Quale domanda richiede una risposta- mi chiese sempre con quel suo tono melodioso. Se prima il mio sguardo si era posato sul suo volto stavolta, si poso sul resto del corpo. Portava abiti strani. Fatti di pelle da quello che potevo notare. Una camicia bianca e un gilé sopra. Dei pantaloni di marrone scuro e stivali alti fin sotto al ginocchio. Notò il mio sguardo incuriosito e senza volere, abbassai la testa imbarazzata.
- Allora?- mi richiese stavolta più brusco.
- Ehm… per cominciare dove mi trovo- gli chiesi.
- Questo è Infinitus, il regno in cui vivo.- sbalordita ma incuriosita, continuai con la mia seconda domanda:
- E tu sei?-
- Io sono Omnir il guardiano dei confini- disse solenne.
- Il guardiano… dei confini? Quali confini?- chiesi curiosa.
- Adesso devi tu, rispondere alle mie domande umana-
- D’accordo ma solo se la smetti di chiamarmi umana ed usi il mio nome. Io sono Hellen- gli spiegai.
- Come vuoi tu. Allora Hellen, come hai fatto ad arrivare qua?-
- Io… sono passata dalla porta- dissi.
- Quale porta?! Non esistono porte che conducono ad altri mondi qui, a Infinitus. Lo si può raggiungere solo… ma lasciamo stare. Spiegati meglio.- con occhi che analizzavano ogni mia espressione che mi passava sul volto, mi pose la domanda.
- Mi ero appena alzata stavo per aprire la porta di camera ma, quella che avevo davanti non era casa mia ma questo bosco-
- E tu sei entrata senza esitazione?- chiese alzando un sopracciglio dorato per la curiosità.
Mi sentivo stranamente sotto esame, la cosa non aveva senso. Perché mai dovevo sentirmi a disagio! Con voce fiera dissi:
- Si, non vedo cosa ci sia di male- lo sfidai. La sua reazione mi stupì. Sul suo volto si formò un gran sorriso, che a parere mio avrebbe fatto cadere ai suoi piedi, una qualsiasi delle mie compagne di scuola. Traballai un po’ sulle gambe e poi ripresi stabilità. 
- M-ma, ma tu non sei un essere umano vero?- era una delle domande alla quale volevo assolutamente una risposta.
- No. Io sono un elfo.- per poco non caddi all’indietro. In fondo non dovevo stupirmi più di tanto: ero entrata in una foresta mai vista, dietro una porta.
- Ora che sei qui, non rimane altro da fare che portarti dal mio sovrano. Lui saprà cosa fare.- disse.
- Dal tuo sovrano? Quindi ci sono altri elfi come te?-
- Si, molti e se può interessarti ragazza, non siamo le uniche creature a vive in questo luogo-
Ero eccitata, chissà quali creature si celavano nei meandri di Infinitus e poi avevo scelto io di entrare.
- Va bene allora, fammi strada- gli dissi. Notai che si era irrigidito alle mie parole e mi domandai perché.
- Seguimi umana- disse con tono duro. Credo di averlo offeso in qualche modo,pensai ma lo seguì senza emettere un sibilo.  
  
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