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Autore: Notthyrr    09/01/2013    3 recensioni
[Narfi; Loki; Heimdall]
'Quel luogo non è la destinazione di una gita turistica'
In quel luogo è facile perdersi.
Quel luogo, tutti lo possono raggiungere.
Da quel luogo, non sempre si torna indietro…
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fables of Asgard'
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Se qualcuno avesse mai domandato la mia età, probabilmente sarebbe stato complicato dire tutta la verità, a meno che il curioso interlocutore non provenisse dal mio stesso regno. A dirla tutta, le mie origini affondano le proprie radici da tutt’altra parte, ma lì, ad Asgard, il regno eterno degli dèi, ero nato e sempre vissuto per quasi settant’anni. Per gli abitanti del regno chiamato Midgard, recinto di mezzo, che gli umani hanno banalmente battezzato Terra, un settantenne dovrebbe apparire come un anziano dai capelli canuti. Per questo avrei trovato abbastanza imbarazzante essere del tutto sincero con uno di loro: i miei capelli ancora erano neri e i mortali non mi avrebbero detto nemmeno ventenne.
Credo sia questo il dono più grande di noi Asi e la nostra maledizione; o, forse, solo la mia. Mio padre nutriva una premura morbosa nei miei confronti e il vecchio settantenne era visto da tutti come il poppante appena svezzato. Non ero il suo unico figlio: prima di me ce n’erano stati altri quattro, ma lui non li ricordava mai, forse perché nemmeno li considerava figli suoi, o forse perché non è che fossero del tutto umani, né vivessero in luoghi frequentabili.
Spesso mi sentivo dire che gli somigliavo molto — a mio padre, intendo —, ma la cosa mi rendeva felice soltanto quando veniva specificato l’ambito di comparazione: i tratti somatici. Lui era veramente bello — e questo spiegava almeno un po’ la schiera dei miei fratellastri —; purtroppo non si poteva dire altrettanto del suo carattere: lunatico e paranoico oltre ogni umana immaginazione, non mi dispiaceva affatto essere diametralmente opposto a lui, benché un po’ rimpiangessi di non aver ereditato appieno la sua eccezionale intelligenza.
Per concludere questa patetica presentazione che sembra l’introduzione di un racconto autobiografico di poco conto, il mio nome è Narfi. Narfi figlio di Loki, ma credo questo fosse già chiaro, dal momento che la sua fama — nel bene, ma soprattutto nel male — è di gran lunga superiore alla mia. Il buon senso, d’altronde, non è mai stato tra le virtù degli asgardiani (e mio padre era il primo), ma mi amava troppo per non tentare almeno di invitarmi a non diventare quello che lui era. E io troppo lo amavo — benché possa essere apparso il contrario — per non ascoltare le sue suppliche.
Non quel giorno. Nonostante gli altri potessero pensarla diversamente, settanta inverni mi gravavano sulle spalle e quel desiderio che tanto mi bruciava in petto doveva essere esaudito: dovevo andare a Jötunheim. La mia infanzia era stata popolata dai giganti che lo abitavano, ma mai ne avevo visto uno, se non nei racconti di mia madre. E poi, io lo sapevo: era da là che mio padre veniva e io morivo di curiosità.
Quello che, però, pochi credo conoscessero era il problema di fondo che si annidava dietro la questione: Loki non ne voleva sapere.
Accadeva spesso, quasi una volta al mese, che Thor figlio di Odino fosse incaricato dal padre di raggiungere il regno dei giganti per controllare che tutto si svolgesse convenientemente; molto spesso che le cose non stessero andando proprio per il verso giusto; ancora più spesso che il tanto amato dio del tuono — per il quale ammetto di provare una sincera simpatia — si portasse appresso anche mio padre, al fine di evitare che combinasse qualche danno in sua assenza, cosa che accadeva quattro volte su due.
Seduto sul Bifröst, il ponte dimensionale che collegava Asgard agli altri regni — unico passaggio, secondo Heimdall, il guardiano; uno dei tanti, a detta di mio padre —, vidi il biondo dio del tuono, martello alla mano, incedere spavaldo lungo il ponte al fianco di mio padre che, quando mi notò, non poté evitare di lasciarsi sfuggire un sorrisino divertito, uno di quei sorrisi che, se non erano volti a sedurre una dea, potevano essere l’ultima cosa che qualcuno vedeva prima di mettersi in cammino sul sentiero per Helheim.
Bisbigliò qualcosa a Thor, che scrollò le spalle e mi superò, mentre Loki si arrestava al mio cospetto. I suoi inquietanti occhi chiari scorsero lungo la mia leggera armatura, fino a posarsi sulla mia spada, intagliata per assomigliare a un serpente: «So già cosa mi stai per chiedere.» disse mentre il suo sorriso si addolciva. «E tu già sai cosa sto per risponderti io, non è vero?»
Imbronciato, incrociai le braccia sul petto: «Non sono più il bambino irresponsabile cui hai negato di visitare Jötunheim: sono cresciuto!»
Loki rise e lanciò un’occhiata verso la sala circolare con la quale terminava il Bifröst.
«Più che pregarmi di andare a Jötunheim…» disse divertito, osservando Thor scambiare qualche parola con Heimdall. «Dovresti ringraziarmi per non aver rivelato a nessuno che ci spii durante i consigli…»
Sgranai gli occhi, incredulo: «Lo sapevi?»
Lui scrollò le spalle: «Pensi che non l’abbia mai fatto? Ma andare a Jötunheim è un’altra storia. È pericoloso e non c’è nulla di divertente. Non è la destinazione di una gita turistica.»
«Immagino non abbia senso discutere…» Ecco che fine faceva, davanti a lui, tutta la mia determinazione, la mia caparbia testardaggine. Quell’uomo pareva ucciderla, farla evaporare come acqua al sole. Sicuramente lo faceva per il mio bene e, più che probabilmente, ero davvero il bambinetto ingenuo che non volevo essere quando non riuscivo a capirlo e credevo di poter farmi strada a Jötunheim a colpi di spada e uscirne illeso.
«Non con me.» replicò lui, posandomi dolcemente una mano sul capo. «Dai, non fare così; non t’imbronciare: torno a breve e passeremo un po’ di tempo assieme.» Non pareva molto, ma poteva aiutare.
Mi regalò un altro affettuoso sorriso e se ne andò di corsa, attraversando l’arco che segnava l’ingresso della sala al cui interno lo attendevano Thor e Heimdall, con la spada sguainata.
Con i piedi sospesi nel vuoto e il viso rivolto nella loro direzione, guardai il meccanismo azionato dalla spada del guardiano mettere in moto l’intera sala, che cominciò a ruotare rapida su se stessa. Era sempre uno spettacolo magnifico vedere la guglia che sormontava il salone puntare verso il cielo e proiettare il lungo raggio bianco che trasportava gli dèi da un regno all’altro. Lo fissai finché la luce non fu evaporata nel cielo e Heimdall ebbe estratto la spada dal meccanismo, riportando la stanza alla sua posizione originale.
Seduto immobile sul ponte in snervante attesa, la mia fervida immaginazione di ragazzo cominciò a figurarsi l’immagine di Loki e Thor che correvano veloci sul suolo arido di Jötunheim e trattavano con i giganti, prima che la mia mente divagasse distorcendo la figura del dio del fuoco nella mia e rendendomi protagonista di uno scontro con gli Jötnar.
Il sole che tramontava dietro il Bifröst accompagnò i miei sogni infantili, fin quando la sala non riprese a ruotare, riportandomi le immagini dei due Asi, i visi stanchi e infiacchiti dal viaggio.
Thor uscì per primo, passandomi accanto a schiena dritta e incedendo veloce verso il palazzo.
A breve, anche mio padre mi venne incontro, fermandosi esattamente alle mie spalle: «Narfi, ti chiedo scusa…» Abbassò lo sguardo. Loki che si sentiva in colpa? «Abbiamo dovuto sopprimere una rivolta annidata al confine; sono terribilmente stanco. Non ti dispiace se rimandiamo, vero?»
Gli rivolsi uno sguardo velato della tacita tristezza che mi stringeva il cuore, ma annuii senza staccare gli occhi da quelli chiari di mio padre.
Lui sorrise, come se con poche brevi parole si fosse discolpato: «Ti mando Moði, va bene?» aggiunse poi, prima di allontanarsi a passi leggeri.
Rimasi a guardare la sua schiena scomparire oltre l’ingresso del palazzo senza accorgermi che qualcuno mi si era avvicinato finché questi non mi toccò una spalla, facendomi sobbalzare. Mi volsi di scatto, quasi spaventato: «Heimdall!» esclamai rinunciando al filo dei miei pensieri che si era perso oltre il portone d’ingresso.
Il guardiano sostenne il mio sguardo con occhi color miele: «Qualcosa ti turba, giovane asgardiano?» mi domandò con la sua rassicurante voce profonda.
Per un attimo mi chiesi cosa fosse giusto rispondergli e soppesai le parole che stavano per uscirmi di bocca: mio padre e il guardiano non potevano vedersi e, se solo ne avessero avuto l’occasione, si sarebbero cavati gli occhi a vicenda. Eppure, Heimdall mi sembrava così gentile… Sentivo che, di lui, a dispetto di quanto Loki potesse dire, ci si poteva fidare e le parole mi sfuggirono prima che potessi fermarle: «Gli dèi mi trattano come se fossi un bambino…» mi lamentai.
L’uomo mi sorrise con dolcezza, comprensivo: «Ti hanno negato qualcosa d’importante?»
Un po’ in imbarazzo, mi tormentai le mani, arrossendo lievemente: «Beh, ecco… so che non dovrei dirtelo, visto che papà lo fa per il mio bene, ma… lui non vuole che visiti Jötunheim!» mi sfogai. «Ha paura che, una volta là, mi accada qualcosa; pensa che non sappia difendermi! Ma Jötunheim è un regno sottomesso ad Asgard e io pensavo che…»
Il sorriso sul volto di Heimdall non accennò a spegnersi: «Capisco la tua rabbia: tuo padre può fare il buono e il cattivo tempo come gli pare e piace, ma non vuole che tu faccia lo stesso. Che cosa crudele, vero?»
Si chinò appena verso di me e la spada gli tintinnò contro l’armatura, attirando la mia attenzione. Quel metallo dorato pareva attrarre magneticamente il mio sguardo, che seguiva ogni raggio di luce che si rifletteva sulla lama. Quella poteva essere l’unica chiave per il mio obbiettivo.
«Però, dicono che è per il mio bene…» ribadii poco convinto senza staccare gli occhi dalla spada.
Heimdall rise: «Tutti devono infrangere le regole, ogni tanto…» m’incoraggiò, regalandomi un sorriso mieloso.
Inarcai un sopracciglio, fingendomi sorpreso quando in cuor mio sapevo dove volesse andare a parare: «Che cosa intendi?»
Il sorriso sul suo volto si distese e l’uomo fece dondolare volutamente la spada al suo fianco, lanciandomi un’occhiata complice.
Quell’irripetibile occasione mi fece seppellire nei meandri della mia coscienza ogni raccomandazione di mio padre e mi decisi a seguirlo nella sala circolare, quando una voce di ragazzo chiamò il mio nome. Mi volsi per vedere Moði corrermi incontro, sul volto una nota di disappunto: Loki doveva avergli chiesto di passare un po’ di tempo con me, ma io non avevo nessuna intenzione di portarmelo dietro.
«Stai partendo?» mi chiese, evidentemente deluso.
Per un secondo non seppi quale risposta dargli. Heimdall mi posò una mano sulla spalla, togliendomi d’impaccio: «Narfi sta solo andando a svagarsi un po’.» mi giustificò. «Però… tu non devi dirlo a nessuno, d’accordo?» Si portò un dito alle labbra e sorrise al giovane figlio di Thor, che annuì poco convinto e si dileguò.
In quel momento, davvero non trovavo parole per esprimere l’enormità della gratitudine che provavo per il guardiano. Non sospettavo nulla, non potevo nemmeno immaginare che cosa realmente si nascondesse dietro quella simulata gentilezza. Il mio cuore di fanciullo non conosceva la malizia: nella mia mente non si formava nemmeno vagamente l’idea che Heimdall avesse calcolato tutto. Del resto, ero il figlio dell’uomo che tanto odiava e, tutti lo sanno, non c’è modo migliore di ferire un uomo che colpirne il figlio. Quella era una vendetta, una crudele vendetta che il guardiano si prendeva su un innocente, godendo della stessa gioia meschina che condannava nel nemico.
Mentre mi preparavo alla partenza e la luce bianca e pura del Bifröst mi avvolgeva, credevo che nulla mi sarebbe accaduto; che, al minimo segnale di pericolo, Heimdall — che sarebbe rimasto a seguire i miei passi — mi avrebbe riportato indietro, al sicuro, tra le mura di casa mia; che la questione sarebbe rimasta tra noi.
Oh, quanto mi sbagliavo…
 

And your father’s misdeeds are his son’s to carry in shame…



 

Note: Perfetto: un altro frammento, un altro episodio ad Asgard. È impossibile tenersene lontani…
Premetto che sia questo capitolo che quello che seguirà in una settimana sono stati terribilmente riadattati per poter essere contenuti in due capitoli: per cominciare, l’intero frammento sarebbe stato preso da un racconto intero che stavo riscrivendo in questi giorni (dunque, qualcosa sulle 350 pagine), perciò, mentre nella versione originale la faccenda non finisce certo così facilmente, questi due episodi si concludono da sé.
Detto questo, vorrei precisare alcune cose sulle descrizioni: in primis, so bene che i capelli di Thor sarebbero rossi (‘Il dio rosso’, d’altronde, dovrebbe già dire qualcosa), ma davvero non riesco a immaginarmelo così (incolpiamo la Marvel, dai). Stesso vale per Loki. Riguardo il Bifröst, anche l’immagine che me ne sono fatta è un po’ influenzata dall’universo Marvel, ma, d’altronde, ai fini della storia e della descrizione ho preferito una sala presieduta da un guardiano a un ponte da percorrere a piedi per raggiungere un altro regno.
Spero sia comunque apprezzato!
Per concludere, giusto per specificarlo (anche se sembra pubblicità occulta), la frase finale è un frammento di Shadow of the Swastika, una canzone della band Viking Metal feringia Týr.
Grazie per la lettura!
~Notthyrr

  
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