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Autore: indiceindaco    09/01/2013    3 recensioni
"Did you love this world, And did this world not love you?[...]
-Stai rinunciando, Matt?- dice Mello, con voce incolore, pronto all'eventualità di portare a termine il piano anche da solo.[...]
-Non rinunciare, Mello. "
Ispirata alla canzone omonima di Grandaddy, un piccolo pretesto per raccontare di Matt, the 2000 man.
Perché lui è semplice, è stupido, è il pilota.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Matt, Mello | Coppie: Matt/Mello
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note: 

http://www.youtube.com/watch?v=hfA517IKjVc

 

Non so perché, ma sentendo per caso questa canzone di Grandaddy, in uno dei miei vagabondaggi su youtube, me ne sono innamorato. Trovo che sia un capolavoro. E non ho potuto che vederci loro, sempre, in ogni verso. 

Ma prima di lasciarvi alla lettura, devo tediarvi oltre. La canzone, per quanto io ne abbia riportato il testo, risulta oscura e intricata, colma di significati concavi e convessi. 

Ho ripreso, leggendo diversi commenti, l'interpretazione generale della canzone, per meglio esserne ispirato. Per tanto la riporto qui, così che anche la storia possa essere più comprensibile: 

 

"La colonna portante di questa canzone è quella dell'isolamento e della disconnessione dai pericoli di una società troppo progressista così come dalla realtà. L'uomo 2000 è un eroe isolato. 

 

[…] Ad un certo punto immagino che tutti siamo stati "l'uomo 2000". […] Come l'uomo 200, ritorneremo alla terra ferma/società (come la nave nella canzone) un giorno e magari accolti calorosamente. Ma tutto ha un costo! Sono sorpreso che nessuno abbia parlato molto della parte della canzone che dice: "I believe they want you to give in". La musica ed il testo si fermano e si sente un debole accompagnamento al pianoforte. L'uomo 2000 ha una decisone difficile da prendere. È bello che tu sia tornato e tutto, ma devi giocare con le nostre regole se pensi di essere pronto a finire il tuo isolamento. Il verso finale "don't give in 2000 man" mostra la prospettiva di Grandaddy: non venderti troppo presto. Non conformarti alla società che non ti comprende. 

 

Non scopriremo mai quale sia la decisione dell'uomo 2000…spetta all'ascoltatore decidere."

 

(http://www.songsmeaning.net)

 

Detto ciò vi lascio alla storia. Ci si vede in fondo.

 

 

 

 

He's simple, 

he's dumb,  

he's the pilot.

 

 

 

 

"Adrift again 2000 man 

You lost your maps, 

You lost the plans 

How's it goin 2000 man?  

Well it's just nice to have you back again 

But I guess they still don't understand 

And they can never understand 

Are you giving in 2000 man? 

 

Did you love this world 

And did this world not love you?

 

Are you giving in 2000 man? 

Don't give in 2000 man"

 

Matt era stato un bambino semplice, per quanto timido e schivo. Non era né viziato né capriccioso, poiché nessuno lo aveva mai viziato né tanto meno assecondato i suoi capricci. Era di indole buona, lo si vedeva da quei pallidi sorrisi quando chinava la testa per ringraziare. Grazie, sussurrava sempre. Come sentisse di dover ricordare a tutti quanto fosse grato di essere lì, tra le mura della Wammy's House. 

Non aveva mai pianto, non aveva proferito parola sulla mancanza di casa propria o dei genitori, non parlava molto con gli altri bambini. Non scorrazzava negli ampi giardini, né nel cortile beandosi del cielo azzurro. Preferiva rimanere incollato alla sua consolle grigia, in disparte, da solo. 

 

Nessuno sembrava preoccuparsi di lui, né lui sembrava preoccuparsi del mondo che lo circondava. Matt, sembrava appartenere ad un altro pianeta, uno di quelli privi di gravità, fatto di cose impalpabili. Si poteva pensare che, magari per sbaglio, un giorno, si sarebbe reso conto di saper respirare, di star vivendo. Rinchiuso nella sua piccola bolla di cristallo, fatta di motivetti accattivanti e ritmati da game boy, Matt scivolava sulla realtà senza far rumore, come se non lo riguardasse neanche. 

Si poteva pensare fosse triste. Certo, a guardarlo lo si capiva che non era felice come lo si è solo durante l'infanzia. Ma non era neanche triste. Matt era un bambino semplice.

 

Poi successe che si accorse di respirare. Fu all'ingresso da quella tormentata porta che è la pubertà. 

Nessuno seppe da dove venisse, ma scattò in lui una scintilla, in un pomeriggio di novembre, che lo spinse ad abbandonare la consolle per terra. Si alzò in piedi e fronteggiò il ragazzino biondo, di poco più grande di lui, che lo aveva appena schernito. Senza dire una parola stampò gli occhi in quelli azzurri di quel caschetto dorato, mentre gli altri spettatori fissavano ammutoliti quell'insolita reazione. Matt non era mai stato oggetto di insulti o di beffe, per tanto mai aveva risposto. Mai era stato chiamato in causa, se non per essere direttamente interpellato da insegnanti o impiegati alla Wammy's. 

 

-Ripeti quello che hai detto.- disse pacato, con quella voce che andava già cambiando timbro dati i suoi tredici anni.

-Ho detto che non meriti di stare qui. Nessuno qui dentro lo merita, perché non fate altro che essere dei mocciosi frignoni. Questo posto dovrebbe essere solo per i migliori- disse l'altro, beffardo.

Matt strinse i pugni e lo trafisse con lo sguardo. Le labbra si accartocciarono su loro stesse. Il biondino ghignava di fronte a lui, mettendogli dentro una sensazione mai provata prima, che gli faceva ribollire il sangue. I pensieri si accavallarono, confondendosi. Il piccolo Matt, che non faceva che dimostrare quanto fosse grato d'essere stato accolto alla Wammy's, tutto si sentiva tranne che poco meritevole. Il Matt che volgeva verso l'età adulta, fremeva dalla rabbia. La risata maligna dell'altro gli rimbombò nelle orecchie, mentre questo lo squadrava.

-Sei uno stupido. Un patetico stupido.- disse il biondino, pronto a liquidarlo ed andarsene. 

Fu in quell'istante che Matt respirò, come fosse la prima volta, e si accorse di essere vivo. Un impulso, come una repentina scossa elettrica, scosse il suo braccio. Colpì con un pugno il viso dell'altro ragazzino. Si avventò contro di lui, mosso da una furia devastante. Ed ogni respiro era un colpo che andava a slabbrare la pelle, ogni graffio era un dolore alle nocche, mentre l'altro rispondeva alla sua furia. 

 

Il loro comportamento era stato stupido, avrebbe detto più tardi il direttore della Wammy's, vedendoli malconci e doloranti, seduti di fronte alla sua scrivania. Era stato stupido e non s'era mai visto, aggiunse. Li mise entrambi in punizione, facendo intendere che non sarebbe stato contento di punirli nuovamente. Si poteva pensare, chiunque lo avrebbe fatto, che da quel momento l'astio non avrebbe fatto che crescere. Ogni ragazzino, lì alla Wammy's, avrebbe scommesso che quei due si sarebbero presto saltati alla gola, di nuovo. Niente di più sbagliato, si poteva pensare.

 

***

 

La strada scorre rapida, oltre il finestrino della sua auto. Una mano è mollemente poggiata sul cambio, l'altra stringe un lato del volante. Il piede abbandonato accanto alla frizione batte il tempo della canzone nella sua testa, il destro è fisso sull'acceleratore.

Le luci della città si riflettono nell'abitacolo e accarezzano per un instante gli occhialoni, tirati sulla sua testa, lasciando scie aranciate.

Sente la testa alleggerirsi dalla tensione, accumulata nell'ultima mezz'ora. La velocità fa defluire il sangue che la rabbia aveva fatto pulsare alle tempie, rimettendolo in circolo con una generosa dose di adrenalina. Una curva gli mozza il fiato, mentre lo stomaco sembra essere arrivato in gola. 

 

Non ha una meta, non sa dove sta andando, ha solo seguito le istruzioni fino a quel momento, adesso deve solo giocarsela. Nell'enorme viale che ha appena imboccato, aorta della città, aumenta la marcia dando un colpo secco all'acceleratore. Per un attimo il motore va fuori giro, impreca mentalmente per quella strozzatura. Non ce la fa, si dice, calcolando mentalmente le distanze. Inchioda e, non curante della velocità a cui sta andando, tira sù il freno a mano, certo che un testa coda non può mai far male. La macchina ruota come impazzita. Poi frena, impassibile. Il piede sinistro preme sulla frizione, mentre la mano veloce mette in folle. Tira fuori dalla felpa un pacco di sigarette accartocciato e sulla buona strada per essere gettato via, vuoto. Accende la sigaretta, lasciando cadere l'accendino chissà dove. Poi scende dall'auto.

 

La prima boccata è solo per essere sicuro di averla accesa, come sempre. E mentre questa sfuma già, la seconda è un piacere alla quale non saprebbe rinunciare. La prima boccata l'ha già scordata, la seconda gli accarezza ancora il palato, la terza è seguita da una pioggia di proiettili.

 

***

 

Mello gli strappa di mano il joystick, proprio mentre sta per superare l'ultimo livello. Poi spegne il televisore, con sommo disappunto di Matt.

-Non stai facendo attenzione.- dice parandoglisi di fronte.

Matt alza gli occhi al cielo e sfrega la sigaretta, ormai consumata, sul fondo del posacenere blu, colmo fino all'orlo, tanto che sul tavolino dov'è poggiato sono disseminati numerosi mozziconi. 

-Dio, Mello…come la fai lunga. Domani scaravento Takami nell'auto e basta. Il tuo bel rapimento sarà servito su un piatto d'argento.- dice Matt, banalizzando e svilendo il loro programma, solo per alleggerire la tensione in cui versava il biondo. Poi si avvicina al suo viso, facendo per baciarlo.

-Takada. Si chiama Kiyomi Takada, Matt! Dannazione, ma mi hai ascoltato?

Mello gli mette una mano sullo sterno per impedire che si avvicini e finisca per distrarre entrambi, su quel sudicio divano.

-Abbiamo ripetuto il piano una ventina di volte, non ne posso più. E poi non credo sia fondamentale sapere come si chiami quella là.- dice Matt abbandonando il mento sul petto, come afflitto.

-Maledizione Matt. Tutto deve filare liscio, domani, o siamo fottuti.- dice Mello prendendogli il volto fra le mani per guardarlo, severo, negli occhi.

-Saremmo comunque morti, domani.- dice Matt serio, liberandosi dalla presa dell'altro come infastidito.

Mello scatta in piedi, con due falcate raggiunge la finestra, dandogli le spalle.

Matt dal canto suo sprofonda sul divano, portandosi una mano sugli occhi, ben cosciente di aver esagerato.

-Non morirai, Matt.- mormora il ragazzo, scrutando Matt riflesso sul vetro. Una goccia solca la figura specchiata del ragazzo dai capelli vermigli.

Matt si alza, per rimanere qualche passo indietro rispetto a lui, ancora con lo sguardo fisso sulla finestra. Mello non oltrepassa la barriera che li separa dal mondo esterno, la usa ancora per guardarlo.

Il vetro è ora specchio, si guardano negli occhi, ma è uno sguardo frammentato dalla distanza che la lastra gelida pone fra loro.

-Sì, ma tu…- la domanda di Matt muore in gola, non ha neanche il coraggio di formularla. Si può facilmente pensare ad una voce spezzata, incrinata come la vetrata colorata di una cattedrale, la si può immaginare tremare come una fiamma che vada estinguendosi. 

Mello abbassa lo sguardo, Matt può facilmente vedere il suo viso, sebbene l'altro sia di spalle.

-Io cosa, Matt?- dice, in un sussurro.

Matt fa uno, due, passi, sente il calore dell'altro così vicino, potrebbe allungare una mano ed impedirgli di scappare, trattenerlo. Poi si appella a tutto il coraggio a sua disposizione e mormora:

-Io non morirò, hai detto così. E tu?

Ora si sentono solo i clacson delle auto, giù nella strada. Mello si gira, il suo volto non tradisce alcuna espressione, i capelli coprono quell'orrendo morso di pelle che il fuoco ha voluto strappargli.

Matt allunga una mano, scosta le ciocche dorate, accarezza la cicatrice, lentamente. Poi poggia un dito sulle sue labbra.

-Non deve essere per forza così…- dice come a volersene convincere, mentre sotto il suo polpastrello sente sorgere un sorriso amaro.

-Non può essere che così. 

Gli occhi di Matt pizzicano incredibilmente, mentre alla sua mente affiora malinconia, per tutto quello che si sono negati, che si negheranno da domani. Sente il peso degli abbracci mancati, delle promesse non mantenute, dei silenzi prolungati, dei piccoli battibecchi che non hanno che sottratto tempo ad entrambi. Sente la ferita dell'abbandono di Mello, qualche mese prima, riaprirsi. Sente quel momento scivolare ed avvizzire, certo che non rifiorirà.

Con un goffo slancio abbraccia Mello, lo stringe a sé, come ad imprimerselo sul corpo. Nella consapevolezza di quanto possa essere effimero quell'istante. 

-Non farlo, basta non rispettare il piano, basta lasciar perdere, basta….- sussurra Matt, contro i capelli di Mello, le braccia al suo collo, mentre l'altro lo interrompe stringendolo di rimando. Matt smette di respirare.

-Stai rinunciando, Matt?- dice Mello, con voce incolore, pronto all'eventualità di portare a termine il piano anche da solo. Poi si scosta, e prende il suo viso fra le mani. Gli occhi verdi di Matt non tradiscono le lacrime che non verserà. Lo sguardo di Mello scivola alla bocca dell'altro. 

Matt fa combaciare le loro labbra, in silenzio, solo in un incastro. Lieve, come è lieve la sua voce quando poi, smarrito nell'eventualità di perderlo, mormora:

-Non rinunciare, Mello. 

 

 

 

 

 

Note: 

ok, magari sono scaduto nell'OOC più sconcertante. Per tanto mi dileguo, per nulla soddisfatto di tutto ciò.

  
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