Fanfic su attori > Josh Hutcherson
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Autore: irispaper29    09/01/2013    6 recensioni
“Ma perché cerchi sempre di sorridere?”
“Perché sono i sorrisi ad illuminare il mondo”
Alexandra sembra una normalissima comune ragazza orfana, che studia e lavora tre stagioni su quattro, mentre l’estate la passa, nonostante ella abbia ben ventanni, al Campo Mezzosangue, un campo estivo che si paga le spese coltivando e vendendo fragole.
Invece la sua vita non era mai stata normale, ma almeno prima riusciva a fingere che lo fosse. Invece la sua vita viene stravolta e comparirà un piccolissimo dettaglio. Un dettaglio così piccolo che sembrerebbe insignificante, mentre invece è di grande valore, perché cambierà la sua vita. Sembrerebbe un dettaglio senza nome, ma non è così. È una persona. Una persona di nome Josh Hutcherson.
[Josh compare dal secondo capitolo, il primo è un prologo, una specie di "finestra" sul mondo della protagonista, che vi consiglio di leggere comunque, per capire la sua psicologia].
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Lime, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sento la sveglia trillare rumorosamente. “Ok” penso “È  ora di alzarsi .Comincia una nuova grande giornata”. Mi alzo e corro in bagno per darmi una lavata. Mi guardo allo specchio. Mi piacerebbe poter dire di essere bella, ma non posso proprio. Non sono ne bella ne brutta. Distolgo lo sguardo per pettinarmi i capelli, che non sono proprio perfetti, ma accettabili. Sono lisci, castani. Dopo essermi pettinata mi lavo i denti, che almeno quelli, sono a posto. Di dimensioni normali e bianchi.
Dopo essermi lavata torno in camera mia. Non ci si può aspettare niente di grandioso da quella, ne dal resto dell’appartamento, ma è l’unico che mi posso permettere. Le mura sono bianche, un po’ sporche di grigio verso il soffitto, ma non sono male. Almeno non hanno perdite come il mio ultimo monolocale, dove, quando pioveva, giravo con l’ombrello. Il letto è un po’ duro, ma comunque comodo, e i sostegni sono un po’ arrugginiti, ma io non me ne faccio un problema, tanto ho fatto l’antitetanica. Ho persino un armadio vero, anche se mezzo vuoto. Insomma, non posso permettermi troppi vestiti, anche se, visto che sono orfana, sono “agevolata” con le tasse e l’istruzione, ma devo comunque pagare l’affitto, il cibo, l’acqua, la corrente e altra roba simile. Certo con l’eredità avrei potuto farmi una casa vera e propria, avere qualche agio in più, ma non ho mai nemmeno pensato di toccare quei soldi, anche se mi avrebbero reso ricca. Non volevo il denaro che mia madre mi ha lasciato in eredità. Lei era una studiosa contemporanea, si occupava soprattutto di mitologia greca e romana. Poi si mise a scrivere come hobby e divenne una scrittrice famosa americana, i suoi libri avevano avuto un gran successo, quindi era ricchissima. Poi però era morta in un incidente d’auto. Ma fu previdente, in vita. Non appena venni registrata all’anagrafe, provvide a fare un testamento, in cui mi lasciava tutto, compresa la sua villa, tutto il suo denaro, perfino i suoi vestiti. Pur non volendo, fui costretta ad accettarli, ma non toccai mai nemmeno un soldo. Misi tutto in banca e lasciai quella casa, per me piena di ricordi troppo dolorosi, e, pur avendo solo sette anni, fui costretta a cavarmela da sola, più o meno. All’inizio tentarono di rinchiudermi in un orfanatrofio, dove rimasi per due anni. cercando di darmi in adozione. Però fu inutile: già non mi presentavo bene, con la mia dislessia, l’iperattività e un disturbo di deficit dell’attenzione, nessuno mi voleva, visto che ero anche troppo sfortunata. Quando facevano un periodo di prova, mi riportavano sempre indietro, spaventati. Tipo, una volta, al mare, venni tirata giù da qualcosa. Mi riportarono indietro, dicendo che ero troppo indisciplinata, che mi ero allontanata troppo. E altra roba simile. Così fuggii dall’orfanatrofio, e mi diressi ovunque mi portasse l’istinto. Fu un periodo di paura per me, spesso venivo attaccata da strani esseri, tipo un gigante con un solo occhio, o una cheerleader con i capelli infuocati e le gambe spaiate, una di asino e l’altra di metallo. Riuscivo solo a chiamarli “mostri”. Un giorno, mentre ero nascosta dietro un cassonetto della spazzatura, sentii delle voci, di un ragazzo e una ragazza. Li spiai, parlavano velocemente, riguardo a cose assurde, ma capii che erano in fuga, come me. Vidi che la ragazza aveva l’aspetto da punk, con i capelli neri dritti e l’eyeliner che dava risalto ai suoi occhi blu elettrico. Al braccio aveva uno strano braccialetto. Dietro di lei c’era una bambina, di circa sette anni, dai capelli biondi e gli occhi grigi. Nonostante la sua età e il fatto che stava indossando una maglietta di dieci taglie più grossa di lei, sembrava intelligente. Accanto a lei c’era un ragazzo alto, biondo anche lui, con gli occhi azzurri e un magnifico sorriso. Poi quel suo sorriso scomparve, si voltò, capii subito che mi avevano scoperta. Ma rimasi ferma, non feci nulla. Poi, all’improvviso, mi ritrovai la ragazza davanti, con una lancia in mano e uno scudo su cui era incisa una testa spaventosa, con i capelli di serpente. Compresi subito chi era: Medusa. Indietreggiai, terrorizzata, come un insetto disorientato, guardandola come per pregarla di non farmi del male. Probabilmente avevo paura che la testa incisa sullo scudo mi trasformasse in pietra, perché i miei occhi, all’inizio, rifiutavano di aprirsi. Il ragazzo era proprio accanto a lei, e stringeva in mano una spada di bronzo, ma aveva l’aria meno combattiva. La bambina invece era dietro di lui, stringeva un piccolo coltello di bronzo, mi guardava fisso. Capii immediatamente di non avere scampo, erano più di me, più forti, a parte forse la bambina, e io ero armata solo di un paio di coltelli che, anche se affilati, davanti alla loro roba sembravano piuttosto scemi. Vedendomi indietreggiare il ragazzo si rivolse alla ragazza:- Ehi, Talia, ritira lo scudo, la stai spaventando.
Seguendo il suo consiglio, la ragazza di nome Talia ritirò lo scudo, che tornò ad essere il suo particolare braccialetto. Il ragazzo mi guardava, e mi chiese:- Chi sei?
Ignorando la sua domanda, chiesi a mia volta, tremando:- Non mi farete del male vero? Non siete come quei…quei “cosi”, quelle creature orribili?
Vidi il ragazzo rivolgere uno sguardo d’intesa a Talia, poi mi chiese:- Sei dislessica?
Io annuii, poi Talia mi chiese se ero iperattiva e se avevo un disturbo da deficit dell’attenzione. Io annuii di nuovo, poi mi chiesero di nuovo chi fossi. Io, sentendo la mia paura, balbettai:- Io sono Alexandra, detta Alex.
:-Ciao Alex-mi disse il ragazzo- io sono Luke. Lei è Talia, mentre questa piccolina è Annabeth.
Strinsi la mano a Luke e Talia, poi mi chinai un pochino con la schiena e strinsi la mano di Annabeth, dicendo:- Ciao. Sai che hai un nome bellissimo? E scommetto che sei molto intelligente. Non è così?
La bambina annuii e , cosa che mi sorprese un po’, mi abbracciò stretta. Poi, quando si sciolse, mi alzai. Luke e Talia mi guardavano in un modo strano. Luke non riusciva a parlare, così fu Talia a chiedermi:- Ehi, Alex, perché non vieni con noi?
:-Davvero? Volete che venga con voi?
:-Certo, insieme saremo più rintracciabili, ma anche più forti, non è il caso di separarci.
:-Rintracciabili? Che significa, e perché volete tanto che venga con voi?-chiesi.
Luke e Talia si scambiarono uno sguardo complice, poi Luke disse, di fretta:- Non qui. Vieni-.
Mi prese per un braccio e mi trascinò in un altro vicolo, seguito da Talia e Annabeth. Si assicurò che non fossimo seguiti, poi mi chiese:- Beh, ecco, chi sono i tuoi genitori?
:-Sono orfana di entrambi, mia madre è morta alcuni anni fa. Mio padre non l’ho mai conosciuto.
:-Beh, allora è probabile che tu sia una mezzosangue.
:- Mezzosangue? Che significa?- chiesi, sconcertata.
:-Mezzosangue-mi spiegò Talia, paziente- significa che sei figlia di una mortale e di un dio della mitologia greca. Anche se noi preferiamo il termine “semidei”.
:-Un dio? Stai scherzando, vero?-esclamai, pensando che mi stessero prendendo in giro.
:-Ti pare che stiamo scherzando?-mi chiese Talia, guardandomi con serietà.
:-Ok, non prendetela male, ma non riesco proprio a crederci!- esclamai di nuovo.
:-Beh, qui tutti lo siamo!-affermò Luke, ridendo. La piccola Annabeth annuii, sincera.
:- Ma non è possibile, insomma, cos’è che avrei di tanto speciale, per essere la figlia di un dio della Grecia? Li conosco tutti a memoria, mia madre li studiava, diceva che avevano capacità particolari. Tipo, Poseidone il potere sul mare, e Elio quello sui venti, Apollo sul sole. Ma non ho nulla di simile, sono perfettamente normale!
:-So che è difficile da capire-mi disse Luke con tranquillità- ma è vero. Ora vivono a New York, sull’Empire State Building, tranne Ade, che vive negl’ Inferi, a Los Angeles. Tu sei la figlia di uno degli dei, maschi, ovviamente, visto che avevi una madre. Magari siamo persino fratelli, tu e io!
:-Fratelli?- chiesi, incuriosita. Avevo sempre desiderato un fratello o una sorella.
:-Si, fratelli-ripeté Luke.
:-Chi è tuo padre, o tua madre?- chiesi. Non sapevo perché, ero curiosa.
All’improvviso la sua espressione si riempì di rabbia.
:-Ok, non c’è bisogno di arrabbiarsi, se non vuoi dirlo, amen!
:-Oh, scusa- disse- io non volevo. Comunque, sono figlio di Ermes.
:-Ermes-ripetei- si, me lo aspettavo.
:-Te lo aspettavi?- mi chiese Luke, sconcertato.
:-Si, per i lineamenti elfici, le sopracciglia, il fisico atletico, il sorriso furbetto-spiegai.
:-Ah. Si, in effetti. Sai, probabilmente non siamo fratelli. Tu non ce li hai, i lineamenti atletici o il sorriso furbetto. Il tuo è troppo dolce, sai, tipo acqua e sapone-. Ovviamente non poteva sapere che avrei sviluppato il fisico atletico alcuni anni dopo e che anche io avevo un sorriso furbetto.
:-Spera piuttosto di non essere mia sorella-sbotto Talia, nervosa.
:-Perché?-chiesi.
:-Sono figlia di Zeus, sono maledetta.
:-Maledetta?
:-Si. Dopo la seconda guerra mondiale, per tutti i casini combinati dai semidei figli di Zeus, Ade e Poseidone, questi decisero di giurare sullo Stige di non fare più figli con le mortali. Ma io sono nata, e, visto che Zeus è immortale, sono stata maledetta al suo posto.
:-Oh, mi dispiace un sacco Talia-dissi, veramente triste per lei.
Lei mi fece un cenno, come per dire che non le importava. Poi mi chinai accanto alla piccola Annabeth e le chiesi:- E i tuoi, di genitori?
:-Il mio papà non mi vuole. E la mia mamma è intelligentissima. Lei è la dea Atena.
:-Atena-ripetei, poi mi diedi uno schiaffo in testa, fingendomi disperata- oh, cavolo, avrei dovuto capirlo, una bambina così intelligente, e io non l’ho capito. Sono proprio una scema.
Lei rise e mi strinse la mano con la sua, così piccola rispetto alla mia, anche se avevo solo tre anni in più di lei.
:-Beh, i bambini sono la bocca della verità, giusto? Ora posso solo credervi.
:-Ok. Non pensavo fosse così facile convincerti…comunque ora dobbiamo proprio andare.
:-Andare? E dove?- chiesi.
:-In un posto più sicuro per noi semidei. Un posto che cerchiamo da tempo, tanto tempo.
 
Viaggiammo a lungo, alla ricerca di un posto sicuro, seguiti da orde di mostri. Un giorno, disperati, tornammo a casa di Luke, per prendere dei medicamenti e un po’ di cibo. Ma Luke, nonostante fosse il figlio del dio dei ladri, venne scoperto, così facemmo tutti la conoscenza dei suoi genitori. Solo allora capii perché era scappato. In pratica era orfano, come me. Il padre, ovviamente, lo vedeva una volta o due nella vita se era fortunato, la madre sembrava un po’, ecco, matta insomma. Ma non mi importava, volevo solo che Luke ed Ermes la smettessero di litigare, non mi è mai piaciuta la lite in famiglia.
Ma questo è il più insignificante episodio della mia vita. Della mia però, non della sua.
Comunque, continuammo il nostro viaggio, catturati persino da un ciclope e poi raggiunti da un satiro, Grover. Ci portò fino al Campo Mezzosangue, ma, quando arrivammo, non fui felice. Perché, per farci arrivare sani e salvi, Talia era morta.
In seguito, venni stipata nella casa di Ermes, sembrava molto vecchia, abbandonata. E si stava piuttosto stretti. Insomma, era pieno di gente non riconosciuta, come me, e un sacco di figli di Ermes. Ma non ci badai troppo. Talia era morta, sentivo solo un enorme vuoto nel cuore.
Ma da allora, decisi di andare avanti, visto che non potevo tornare indietro, più o meno. Rimasi al campo ad allenarmi fino alla maggiore età, poi tornai a New York, con la promessa di tornare al campo d’estate. Mi fu consigliato di rimanere, visto che non avevo nessuno da cui tornare, ma non sarebbe mai più stato lo stesso al campo, non potevo restare. Non senza Luke.
Così d’estate faccio la spola tra il campo e questo appartamento, e lavoro molto, oltre a studiare. Ma c’è di peggio, di questa normalissima vita da semidea.

 

 Nota dell'autrice: Carissimi lettori, volevo solo informarvi che questa è la mia prima fantfiction, quindi non sono esperta. Per cui, se ci sono recensioni positive o critiche, mi raccomando, scrivetemi, senza esitare. E se c'è qualche problema, sorry! Mi scuso anticipatamente. E vi avverto che Josh sarà presente dal prossimo capitolo, giuro.




 

   
 
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