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Autore: dragon_queen    09/01/2013    0 recensioni
"Credere è la chiave per divenire folle. Non credere è la condizione per rimanere nell'oscurità"
Non seppe perchè quelle parole le sembrarono così vere, ma d'istinto chiuse gli occhi, sgombrando la mente. In fondo la follia sarebbe stata l'unica scappatoia per quella sua vita priva di soddisfazioni. Poi, sospirando, spinse la porta...
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Una cavolata, premetto. Mi è venuta mentre guardavo il video di Cesare Cremonini "Il comico" e ho preso a scrivere. Spero comunque che mi facciate sapere cosa ne pensate :D
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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Anita passeggiava per le strade deserte della città, osservando il sole che spuntava appena dalla coltre di nuvole che ricoprivano il cielo. Respirò a pieni polmoni la brezza primaverile che la investì e lasciò che il vento le scompigliasse i capelli biondi e ricci, proprio come quelli di un angelo.

Con la bicicletta a mano, camminava tranquilla all'apparenza, ma la mente era sconvolta ancora da quelle visioni, da quell'ombra malvagia che la sovrastava, che le faceva del male senza che lei potesse reagire. Quel giorno però era riuscita a scappare, prima che fosse troppo stordita dalle botte per farlo.

Raggiunse il parco, divenuto fin da piccola l'unico posto in cui poteva evadere stando da sola, anche quello pressocchè deserto. L'erba era ricoperta da un leggero strato di brina e i ciottoli scricchiolavano in una strana melodia sotto i suoi piedi e le ruote della bici.

Al centro del giardino stava un laghetto artificiale, circondato da una vecchia inferiata alta poco meno di un metro, il quale dava alloggio ad un'allegra famiglia di anatre variopinte, tornate pochi giorni prima dalla loro migrazione verso luoghi più caldi.

Anche lei sognava di andarsene, magari inghiottita da qualche bel sogno che non finisse mai, portata via da quella vita che in fondo le provocava solo incubi. Migrare verso luoghi a lei più consoni, adatti alla sua fantasia sfrenata, alla sua voglia di evadere. Si era sentita inadatta, come se fin dalla sua nascita non fosse stata destinata a tutto quello.

Poggiò la bici a terra, sul vialetto, andandosi ad accucciare al di là dell'inferiata, rannicchiata come quando da bambina si nascondeva durante i litigi tra i suoi genitori.

Si sporse un poco sul pelo dell'acqua, osservando il suo riflesso e d'istinto portò una mano alla guancia ancora arrossata a causa dall'ennesimo schiaffo che il padre le aveva tirato. Se solo si fosse fermato a quello...

Una lacrima le scivolò languida sulla guancia, scendendo giù per la mascella e scomparendo della pesante felpa che indossava. Non ne versò altre però. Si era imposta sempre di non farlo e quella era stata solo un attimo di debolezza.

D'un tratto fu riscossa da un rumore alle sue spalle. Si voltò in fretta, notando una figura che si allontanava pedalando proprio con la sua bici. Si alzò per inseguirlo.

-Fermati, dannazione!!- gli gridò dietro, tentando di rincorrerlo, raccogliendo poi una manciata di ciottoli con l'intenzione di tirarglieli dietro nel tentativo di fermarlo.

Quello però era ovviamente troppo veloce per lei, così abbandonò ogni intento quasi immediatamente, fermandosi in mezzo al viottolo, una manciata di ciottoli in una mano, i capelli scombinati dal vento, il volto sconvolto da quell'improvviso e insensato furto.

-Mi ci mancava solo questo- sorrise tristemente tra sé e sé, lasciando poi andare la manciata di sassi, e si mise entrambe le mani in tasca, incamminandosi verso casa.

Decise però di percorrere la strada più lunga, quella che passava dalla periferia. Era evidente il suo desiderio di non tornare, ma non aveva in fondo altro posto dove andare.

Mentre osservava i suoi piedi avvicendarsi l'uno dietro l'altro, ascoltava attentamente i rumori della città che si risvegliava, pensando come al solito ai giorni in cui lei e i suoi genitori apparivano come una famiglia normale.

Poi suo padre aveva perso il lavoro, cominciando a bere e diventando violento. In un primo tempo se l'era rifatta con sua madre, scaricando poi la sua rabbia sulla figlia una volta che aveva raggiunto un'età in cui potesse riuscire a coprire i lividi che le provocava.

Lo odiava. Ma come si poteva totalmente desiderare la morte di un genitore, colui che aveva contribuito a darti la vita? Lei ci era riuscita.

Quell'uomo non era più il padre che ricordava. Era un mostro che aveva preso il suo posto.

Anita molte volte aveva pensato di scappare da quella vita che la incatenava in un'inutile realtà, ma in fondo sapeva che se lei fosse sparita suo padre avrebbe ricominciato ad accanirsi sulla madre.

Poi la donna era venuta meno un paio di anni prima, morta di stenti, dissero. In realtà si era semplicemente addormentata per non risvegliarsi più. Come la invidiava...

L'aveva accusata anche di quello, non risparmiandosi neanche quel giorno.

D'un tratto una strana sensazione le attanagliò lo stomaco, costringendola leggermente a piegarsi su se stessa per lenire il dolore.

Lo sguardo vagò alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarla, per fermarsi poi sulla vecchia casa sulla collina che tutti evitavano perchè creduta infestata.

In effetti non era casuale sentire musica e schiamazzi provenire da quell'edificio, vecchio e disabitato da molto tempo. Più di una volta la polizia era intervenuta pensando a feste abusive, ma quando erano entrati avevano trovato solo muffa e odore di vecchio.

Stava per andarsene, quando, poggiata ad una delle colonne vicino alla porta, intravide la sua bicicletta, abbandonata e priva di sorveglianza.

-Guarda che razza di idioti...- sospirò, iniziando a risalire il prato in discesa per raggiungere l'abitazione.

Prima però di raggiungere il mezzo si guardò per un attimo intorno, timorosa di incontrare il misterioso ladro pronto a tenderle un agguato.

Assicuratasi che non ci fosse nessuno, afferrò saldamente il manubrio, con l'intenzione di ridiscendere e andarsene. In quel momento però l'orecchio captò una strana musica proveniente dall'interno, i cui toni parevano antichi e ipnotici, costringendola ad abbandonare nuovamente la bici e dirigersi verso la pesante porta d'ingresso.

Provò a spingerla, ma senza risultato. Alzò lo sguardo per poterla osservare in tutta la sua magnificenza, notando una scritta dalle lettere sbiadite, ma ancora leggibile.

Credere è la chiave per divenire folle. Non credere è la condizione per rimanere nell'oscurità”

Non seppe perchè quelle parole le sembravano così vere, ma d'istinto chiuse gli occhi, sgombrando la mente. In fondo la follia sarebbe potuta essere l'unica scappatoia per quella sua vita priva di ogni soddisfazione. Poi, sospirando, spinse la porta.

 

* * * *

 

Ciò che le apparve dinnanzi fu un groviglio confuso di corpi, un gesticolare innaturale, smorfie nascoste quasi totalmente da grottesche maschere, mentre gli abitanti della casa si cimentavano in una festa colma di euforia e trasgressione. I loro abiti erano strani, parevano antichi, come quei balli alle corti francesi. La luce era soffusa e dava all'intero ambiente un'ambigua intimità.

Nessuno pareva essersi accorto di lei, la quale rimase ferma sulla porta, chiedendosi se la sua fosse stata la scelta giusta. Colta da un improvviso senso di raziocinio, si voltò di scatto, afferrando la maniglia della porta che si era richiusa prontamente dietro di lei. Tentò di aprirla, ma quella non si muoveva.

Forse ci sarebbe stata un'uscita sul retro. Tanto valeva provare, ma per farlo avrebbe dovuto attraversare tutta la sala.

Così mosse qualche passo, venendo ipnotizzata da quel ritmo così cadenzato e ripetivo, attirando l'attenzione solo di quelli prossimi ai suoi movimenti. La folla a poco a poco si apriva al suo passaggio, osservandola attraverso le orbite vuote delle loro maschere, inarcando le lunghe labbra in espressioni sardoniche. Qualcuno allungò una mano come a sfiorarla, ma senza avere il coraggio di toccarla.

Era come se la stessero aspettando, come se lei fosse stata l'ospite d'onore.

In silenzio, senza guardare realmente nessuno dei presenti, giunse finalmente in mezzo alla stanza. I partecipanti avevano formato un cerchio attorno a lei, bloccandole la via, e Anita riusciva a captare il parlottare e le risatine, cosa che la stava facendo innervosire. Abbassò quindi lo sguardo, stringendo i pugni.

Avvertiva i loro sguardi su di lei che la studiavano, giudicavano, schernivano. Ma chi erano loro per giudicarla? Così infine esplose:

-Si può sapere cosa avete da fissarmi?!?-

Quelli continuarono a sorridere, sghignazzare, come dei pazzi. Come dei...folli.

In quel momento qualcuno prese a battere le mani, uno strano applauso si propagò nell'aria, facendola voltare.

Anita alzò lo sguardo, osservando la figura che con passo cadenzato stava scendendo la rampa di scale di marmo che portava al piano superiore. Era un giovane di bell'aspetto, lunghi capelli neri che gli arrivavano sino a metà schiena, legati in una mezza coda, mentre i suoi occhi erano rossi rubini. Pareva qualcosa di etereo, di non terreno. Indosso un abito proveniente da una favola e un lungo mantello blu notte che svolazzava al suo passaggio.

-Benvenuta fanciulla alla corte dei folli- disse con voce impastata, avvicinandosi quando la folla che si era riunita si era spalancata al suo passaggio.

Lei, impaurita e affascinata al tempo stesso, rimase pietrificata sul posto, non riuscendo a distogliere lo sguardo da quello di lui. Era come una perversa attrazione, come se lo avesse già conosciuto in un lontano passato.

Avvertì il calore di una carezza tra i capelli e chiuse d'istinto gli occhi, dato che ormai da tempo non ricordava più quella sensazione. Poi un respiro le si fece vicino, soffermandosi all'altezza del suo orecchio. Rabbrividì al contatto, sentendo poi sussurrare:

-Finalmente sei giunta-

-Chi sei?- chiese in un sospiro.

-Io sono Damian, il principe dei folli, e da secoli attendevo la tua venuta-

Anita riaprì lentamente gli occhi, ritrovandosi il volto bellissimo del giovane a pochi centimetri dal suo. Come se qualcosa si fosse risvegliato in lei, fece un passo indietro, liberandosi dagli effetti di quello strano incantesimo.

-Non so chi tu sia, ma io voglio solo uscire da questa casa-

Quello, osservandola freddo, scoppiò a ridere.

-Non puoi andartene. Chi varca queste soglie, è destinato a rimanere a far parte della mia corte-

-Menti!!- gridò.

-Non è forse credendo che tu sei entrata? Non è forse pensando che la follia fosse la sola scappatoia da una vita triste e piena di dolore che hai spalancato la porta? Tu hai accettato spontaneamente di restare. Tu lo desideravi...-

Le sue parole erano vere, non poteva dire il contrario. Continuando ad arretrare, si ritrovò d'un tratto con la schiena contro a quello che sentì essere un muro e in quel momento le ginocchia, cedendo, la costrinsero a scivolare sino a terra. Vide il principe avvicinarsi e piegarsi su un ginocchio per poterla guardare negli occhi. Lentamente le spostò un ciuffo di capelli biondi che le ricadeva sul viso, carezzandole la stessa guancia che il padre aveva colpito.

Per un attimo le sembrò di vedere nei suoi occhi una scintilla di disappunto, di rabbia contro colui che le aveva fatto quello.

D'improvviso il dolore dello schiaffo svanì, lasciando unicamente una sensazione di pace. Come incantata, ebbra di un altro muto incantesimo, lei afferrò la mano che il ragazzo le porgeva, alzandosi in piedi e seguendolo sino al piano superiore.

-Io ti conosco...- disse mentre saliva gli ultimi scalini.

Non era una domanda, quindi non avrebbe preteso una risposta, ma conteneva comunque una richiesta di spiegazione.

-Cosa provi?- chiese Damian, fissandola per un attimo prima di aprire l'unica porta presente, dando accesso ad una stanza immersa nella penombra.

Lentamente la fece entrare mentre le loro mani ancora rimanevano intrecciate e Anita sentì di colpo, sotto di sé, la morbidezza di un letto.

Nonostante la quasi totale oscurità riusciva ancora ad intravedere gli occhi rubino di lui che la fissavano, colmi di chissà quale strano sentimento.

D'istinto lei alzò una mano, andando a sfiorare il viso di lui, trovandolo freddo al tatto, ma che riusciva comunque ad infondergli uno strano calore.

-Io...sento che non è la prima volta che ti vedo. È come se la tua presenza mi rassicurasse, come se il solo stare con te cancellasse interamente il mio passato-

Vide il ragazzo sorridere e prendere ad avvicinarsi al suo viso. Lei non si allontanò, era come se sentisse che era la cosa giusta.

Le loro labbra si toccarono in un bacio casto, che però poi divenne sempre più passionale. Di colpo delle immagini sfrecciarono nella sua mente, costringendola a ritirarsi. Lui però non si arrese, continuando a lasciare una scia di caldi baci sul suo collo.

Anita sollevò il viso verso il soffitto, arpionando con entrambe le mani gli abiti di lui, sentendo il suo corpo fremere sotto il suo corpo e liberando un gemito dalle labbra socchiuse.

Ciò che provava però non era una cosa nuova per lei, assomigliando più ad un ritrovato ricordo.

In quel momento Damian risalì per riprendere possesso delle sue labbra, lambendole come se ne fosse assetato.

-Mi appartieni...- sussurrò.

Anita sapeva che era così. Ben presto si trovò schiacciata sotto il peso del principe, mentre le sue mani vagavano sul suo corpo. Godeva sotto i suoi tocchi, come se nella vita non avesse aspettato niente di più.

Una parte di lei avrebbe voluto fuggire, mentre l'altra le gridava di restare, rimanere in quel mondo di cui Damian era il sovrano.

-Sei mia...- sentì ancora sussurrare al giovane, mentre avvertiva il tocco freddo delle sue mani sull'addome, sotto la stoffa della felpa.

Sussultò quando una delle mani di lui scese lungo la coscia, fermandosi poco lontano dall'inguine.

-Perchè nonostante non ti conosca sento di appartenerti da sempre?- chiese, fermata subito da un gemito.

Damian mordicchiò il lobo del suo orecchio, per poi passare la lingua sulla pelle profumata e morbida del collo. Strusciò poi delicatamente il naso contro la sua mascella, sussurrando poi:

-Ci siamo già conosciuti, secoli fa. Allora mi sei sfuggita, ti ho perso, ma non riaccadrà-

Quando la mano di lui si insinuò nella sua intimità, Anita inarcò la schiena, soffocando un gemito più forte dei precedenti, infilando le dita tra i morbidi capelli del giovane.

-Dillo. Di che sarai mia-

-Sono tua- disse lei languidamente, fissandolo negli occhi, prima che le loro labbra si incontrassero ancora.

Non vide il sorriso freddo che si aprì poco dopo sulle labbra del principe, prima di affondare in lei e farla nuovamente sua.

 

* * * *

 

Abbandonarsi alla follia mai era stato più dolce e appagante. Fissava Damian mentre si rivestiva davanti alla finestra, mentre lei, ancora sdraiata sul letto, non riusciva ancora a credere a quello che aveva fatto.

Lo chiamò e lui si voltò, serio. Poi si schiuse in un sorriso e le si avvicinò, inginocchiandosi sul materasso prima di baciarla di nuovo.

Anita, abbandonata completamente alla sua volontà, non notò però quello che il giovane nascondeva dietro la schiena. Sentì solo una sensazione di freddo attorno al collo e un frusciare di catene si propagò nel silenzio della stanza.

Quando lui si allontanò per osservarla, lei si portò una mano al collo, scoprendo una sorta di collare. Non disse niente, respirò impercettibilmente e sorrise. Ormai era completamente assuefatta a lui, alla sua presenza, al suo profumo, al suo tocco su di lei.

Lentamente lui le accarezzò una guancia, sorridendo appena mentre la guardava negli occhi.

-Abbandonati alla follia, piccola Anita. Lasciati trasportare dalla pazzia e dall'irrazionalità. Abbandona tutto ciò che di materiale e doloroso ti legava alla vita di prima. Torna ad essere la mia regina e viviamo insieme l'eternità-

Lei non rispose, non ne aveva la necessità. Si avvicinò e lo baciò delicatamente, gli occhi colmi di desiderio e dedizione. Damian aveva fatto di lei una regina, una schiava, una serva dell'irrazionalità. Ma ad Anita non importava.

Per la prima volta la follia e la pazzia non le erano mai sembrate più belle e liberatorie.

Mentre Damian se ne andava, lasciandola nelle tenebre, solo questo lei disse:

-Sarò per sempre tua, principe dei folli-

  
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