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Autore: gunnantra    10/01/2013    1 recensioni
David ed Elizabeth, prima dell'arrivo nel nuovo mondo, durante e la partenza.
Una strana relazione la loro. Per alcuni potrebbe essere contronatura.
Chi dice che un robot non possa volere, ammirare, amare?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                          sempre....


“Il viaggio stà per cominciare, ma prima procederemo, come già sapete,a porvi nelle capsule criogeniche all’interno delle quali rimarrete per i prossimi due anni. Vi auguro buon viaggio e buon riposo ovviamente” 
Detto questo uno dei medici fece cenno alla compagnia di avvicinarsi alle strane capsule disposte una accanto all’altra nella stanza circolare.
La dottoressa Shaw dopo aver dato un bacio al suo compagno, al suo uomo, si avvicinò ad uno dei lettini con insicurezza ed indecisione.
Ovviamente Elizabeth era ben cosciente cosa fossero quelle capsule ma non era sicura di cosa avrebbe dovuto fare, guardandosi attorno vide gli altri componenti del gruppo stendersi all’interno mentre dei medici in camice bianco procedevano ad armeggiare su schermi posti vicino a ciascuna capsula.
Non senza indecisione sentì doveroso seguire l’esempio degli altri.
“Prego dottoressa Shaw, si stenda, io procederò a programmare la sua capsula”
Elizabeth si voltò e vide un uomo, biondo ed alto che la osservava con un sorriso appena accennato.
Quell’espressione aveva un non so che di artificioso.
“Ah…si certo…mi scusi dottore!”
Elizabeth si affrettò a fare come le era stato chiesto mentre l’uomo iniziava effettivamente a schiacciare il touch screen dello schermo posto accanto.
“Non sono un dottore per la precisione”
  La dottoressa Shaw fu riscossa dai suoi pensieri dall’uomo che parlò senza nemmeno  guardarla, come se quella breve interazione fosse un dovere piuttosto che un semplice gesto di cortesia.
“un po’ maleducato da parte sua” pensò Elizabeth, ma del resto….un robot!
Ecco perché sentiva uno strano senso di inquietudine quando le aveva sorriso e dal modo composto (e fin troppo perfetto) con cui compieva qualunque gesto.
“sarà anche un robot ma questo non significa che ha il diritto di essere maleducato”pensò lei un po’ stizzita.
  Diversamente da molti altri (ed anche dal suo compagno) non era mai riuscita a trattare i robot (sin da quando questa tecnologia aveva cominciato a diffondersi) come puri e semplici oggetti, macchine senz’anima.
  Aveva sempre pensato che lì dove risiede la ragione non si può prescindere da rispetto ed educazione, proprio per questo non riusciva a perdonare la maleducazione di quel robot che non si era nemmeno degnato di scambiare con lei uno sguardo.
“Non voglio sembrarle scortese ma… potrebbe guardarmi quando parla con me? Non sono abituata a parlare con la schiena di chicchessia”
  Forse era stata un po’ troppo dura, ma non riusciva proprio a digerire la maleducazione.
  L’uomo fermò la mano a mezz’aria e con le sopracciglia aggrottate la guardò per
  qualche secondo.
“Non intendevo offenderla in alcun modo dottoressa Shaw. Mi scusi per la mia        mancanza. Ho registrato il suo rimprovero. Le prometto che non accadrà più questo comportamento increscioso”
           Questa volta lui parlò guardandola dritta negli occhi senza mai distogliere lo sguardo e senza nemmeno sbattere le ciglia.
“No anzi mi scusi lei…non volevo essere così dura. È solo che sono molto tesa e l’educazione è sempre stato il mio punto debole. Non mi controllo quando vedo maleducazione. La ringrazio per essersi scusato”.
  Elizabeth sorrise un po’ timidamente tentando di allentare la tensione.
“Dottore posso chiederle il suo nome e cognome, se non le dispiace?”
Se doveva essere ibernata per due anni da qualcuno voleva almeno sapere il suo nome, quell’uomo poi si sarebbe preso cura di lei e di tutti gli altri quindi non voleva ricordarlo solo come “dottore”.
“David è il nome che mi è stato assegnato. Temo di non poterle dire il mio cognome perché credo che non me ne sia stato dato alcuno. Ma sono il numero 8 del mio tipo, spero con ciò di aver soddisfatto la sua curiosità”.
  Il robot rimase ad osservarla con compostezza attendendo una risposta, così gli era stato “insegnato” dal suo programmatore.
  “ha effettivamente recepito il mio rimprovero, del resto non potevo aspettarmi nulla di diverso…se solo tutti gli uomini fossero così…
“David 8? Ha davvero un bel nome sa? Posso chiamarla David?”
  Elizabeth alzò metà del suo busto e gli tese una mano, come le era stato insegnato da suo padre. Il fatto che la persona alla quale si stesse presentando non fosse propriamente una “persona” non era certamente un buon motivo per dimenticare la sua educazione, soprattutto dopo aver rimproverato David per la sua mancanza poco prima.
“Come preferisce dottoressa Shaw.  Devo chiamarla Elizabeth anch’io? Mi dica quale protocollo devo seguire d’ora in poi”
  David le strinse la mano ma non la lasciò libera.
  Era come bloccato, sapeva quale fosse il protocollo giusto quando qualcuno si presentava ma non sapeva se avrebbe potuto utilizzarlo in quella situazione, gli avevano detto che non ci sarebbe stato motivo di parlare con qualcuno durante quella operazione.
“Ah hem….non lo so David. Tu…hem…ritieni sia sconveniente chiamarmi con il mio nome? Dovrai prenderti cura di me per i prossimi due anni, imparerai a conoscermi no?”
“Io? Non vedo perché dovrebbe essere sconveniente quindi ritengo di poterla chiamare con il suo nome di battesimo Elizabeth. Ora si stenda, tenga le braccia unite al corpo e faccia un buon riposo”
“David se mi chiami per nome dovresti abbandonare il ‘lei’. Grazie…ci vediamo presto. Mi raccomando, sono nelle tue mani”
  Detto ciò Elizabeth chiuse gli occhi con un sorriso.
  David procedette a chiudere la parte superiore della capsula e schiacciò l’ultimo tasto.
  Si guardò attorno, tutti gli altri membri della compagnia erano già addormentati e i medici erano già andati via.
Era rimasto solo, lo sarebbe stato per i prossimi due anni.
Cominciò a muovere i primi passi per andare in cabina di comando.
Arrivato alla porta si voltò, guardò una capsula, l’ultima, in fondo.
“A presto…Elizabeth”
  E andò via.
 
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….2 anni dopo….
“Buongiorno Elizabeth” disse David aprendo dopo due anni il coperchio della capsula
“Oh David. Temo…di non sentirmi troppo bene. Scusami”
  David si accorse che la dottoressa aveva i conati e subito le porse una scodella e la coprì con un lenzuolino.
“Elizabeth è normale. Non ti preoccupare. Questo tuo stato è causato dallo stato prolungato di ibernazione. Passerà a breve”
  Il cyborg cominciò a batterle lentamente sulla spalla, gli era stato insegnato che quello era un buon modo per consolare qualcuno.
“Eli siamo arrivati…ci siamo!”
Uno degli scienziati della compagnia si era precipitato dalla dottoressa e l’aveva abbracciata.
  David si allontanò da lei un po’ infastidito dal comportamento di quell’uomo che, nel tentativo di abbracciare Elizabeth, aveva praticamente spinto via con poca grazia la mano di David.
 “Elizabeth ne sarebbe risentita se stesse meglio. Questa è di sicuro mancanza di educazione” pensò David andando a prendere una bibita.
  Tornando si fermò poco lontano e rimase a guardare i due dottore di fronte a lui: l’uomo tentava di abbracciarla e la dottoressa Shaw tentava di sorridere mentre chiaramente tratteneva i conati.
  Come un turbine, dopo un bacio sulla fronte, l’uomo andò via a vestirsi e la dottoressa cominciò a respirare chiaramente iniziando a sentirsi meglio.
  David sentì che ora poteva avvicinarsi e porse il bicchiere alla dottoressa.
“Il momento peggiore è passato David. Ti ringrazio! Non ho la minima idea di cosa sia questa bevanda ma mi fido di te. A proposito, scusa per prima, Charlie è stato un po’ maleducato vero? Cerca di capirlo è solo eccitato per essere arrivato fin qui. Beh, a dirla tutta lo sono anche io”.
“Non ti preoccupare. Lo comprendo e non mi aspetto un comportamento diverso”
  David le girò attorno e si pose di fronte alla ricercatrice guardandola negli occhi, non aveva dimenticato nulla in quei due anni, anzi aveva imparato a conoscerla ancora meglio grazie ai suoi sogni.
“Di questo dovremo riparlarne sai?”
  Una voce all’altoparlante annunciò che la compagnia poteva andare a vestirsi, era stata preparata una cabina per ciascuno di loro.
  Elizabeth provò ad alzarsi ma le gambe non riuscivano ancora a sostenerla completamente, troppo intirizzite per il prolungato inutilizzo; si guardò attorno, non c’era traccia del suo compagno, alzò lo sguardo timidamente fissando gli occhi in quelli di David che era già con la mano tesa e un mezzo sorriso gli tirava le labbra.
“Sei un angelo. Mi dispiace darti ancora fastidi ma non riesco proprio a camminare sola e il mio compagno è già volato via”
  Elizabeth passò un braccio attorno al collo del cyborg agganciando la mano sella spalla senza tuttavia stringere e questo chiaramente rendeva la sua presa meno salda.
  David nel frattempo le aveva passato una mano attorno alla vita e cominciò a incamminarsi.
“Non soffro alcun dolore se stringi la presa, sono letteralmente più duro dell’acciaio”
  David abbassò lo sguardo, guardarla negli occhi quando parlava era diventato praticamente un imperativo per lui.
  Elizabeth sorrise brevemente ma si accorse che questo le causava fitte all’addome.
“Non…l’avevo dimenticato David…ma comunque non riuscirei, temo sempre di farti del male. È inutile, sono un caso perso. Pensa che da bambina piangevo se qualche giocattolo cadeva dalla mensola, ero certa che si fosse fatto del male per causa mia…Oddio David….con questo non voglio dire che tu sia un giocattolo. È solo che…”
  Elizabeth aveva alzato la testa involontariamente e si era trovato a qualche centimetro dalle labbra del cyborg (era effettimente alto, anche troppo rispetto a lei).
  Labbra perfette, pelle perfetta, sguardo perfetto e (ora poteva dirlo con cognizione di causa) fisico (statuario) perfetto…era un robot, creato per essere perfetto, questo non le impedì tuttavia di sentirsi imbarazzata e pensò a cosa avrebbe detto il suo compagno se l’avesse vista in quel momento.
  Riflettendo Elizabeth si rese conto che probabilmente non avrebbe avuto alcuna reazione poichè per lui David era un oggetto e in quel momento era come una macchina monoposto che la stava trasportando in un altro luogo.
“Nessun problema Elizabeth, capisco appieno. Non mi sarei sentito offeso nemmeno se avessi inteso considerarmi un giocattolo, del resto è quello che sono: un giocattolo tecnologico molto costoso”
  David proprio non riusciva a capire tutto quel chiedere scusa o quel ringraziare, non capiva perché lei temesse che lui avrebbe potuto fraintendere.
  Nessuno mai, nemmeno suo padre nonchè creatore si era mai preoccupato di moderare le parole per evitare che lui si sentisse offeso.
  Ed era anche piuttosto divertente vederla mentre tentava di scusarsi e mentre arrossiva per l’imbarazzo.
“Te l’ho già detto due anni fa e te lo ripeto David, di questo tuo atteggiamento troppo remissivo dovremmo riparlarne”
“Come vuoi”
  Il tocco di Elizabeth sulla sua spalla non si fece mai troppo forte, non rischiò mai di affondare le unghie nella sua perfetta pelle sintetica, nemmeno quando scivolò e rischiò di cadere.
  E questa assenza di istinto di sopravvivenza David proprio non lo capiva.
 
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Ore 23.14
Elizabeth era in cucina, illuminata solo da una luce sul soffitto, mentre faceva girare nel bicchiere un po’ di quelle strana sostanza che David le aveva offerto poco dopo averla risvegliata.
  David si accostò silenzioso all’uscio della stanza, aveva visto la luce ed aveva sentito qualche rumore ed era andato a controllare per verificare se a qualcuno servisse aiuto (proprio come gli era stato detto di fare).
“Oh David, ancora sveglio?”
  Elizabeth si voltò non appena sentì dei leggeri passi alle sue spalle.
“Non ho alcuna necessità di riposare, talvolta chiudo gli occhi per evitare un sovraccarico di sistema ma non sono obbligato. Tu?”
“Non riesco a dormire. Sono felice, molto, di essere giunta fin qui…ma d’altra parte sono terrorizzata! E se non trovassimo nulla? E se ciò che trovassimo fosse ben diverso da ciò che ci aspettiamo in realtà? Vorrei poter avere la tua sicurezza e razionalità”
  David si accostò al tavolo ed Elizabeth spostò lo sgabello accanto a lei per farlo accomodare…
“Solo se ti va di stare a sentire i vaneggiamenti di una pazza archeologa in piena notte”
  David si accomodò con eleganza poggiando le mani sulle gambe e tenendo la schiena dritta volgendo la testa in direzione della dottoressa.
“Ascolto con piacere Elizabeth, sono stato solo per due anni, una chiacchierata non mi farà male”
“David, non riesci proprio a dire ‘mi piace’, ‘non mi piace’, ‘voglio’, ‘non voglio’?”
“Non posso farlo, non sono stato programmato per questo”
“Forse sono io a vederti esattamente come me…forse è questo il mio errore. Però mi piace considerarti un amico. Al di là Charlie ovviamente, tu sei l’unico con cui riesco a parlare sai? E spesso sei l’unico con cui riesco a parlare, troppo spesso noi ‘esseri umani’ siamo troppo impegnati su noi stessi”
“Per quanto non sia nel mio sistema trovo…dilettevole parlare con te e conoscerti. Non credere che anche noi robot troviamo interessante ogni parola che ci viene rivolta, tranne i comandi, ma dobbiamo fingere che lo sia. Questa discussione, ad esempio, è interessante e dilettevole”.
  David non sapeva se aveva utilizzato l’espressione giusta, “dilettevole”…non sapeva come altro descrivere quella sua ricerca di contatto con la dottoressa e quella sua voglia di approfondire la sua conoscenza.
Elizabeth aveva parlato di amicizia, David sapeva benissimo la definizione di amicizia, la derivazione semantica del termine e avrebbe potuto tradurre il termine il tutte le lingue conosciute (moderne e antiche), ma non aveva dati per definire una sua amicizia in prima persona.
“Allora amicizia sia. Bada bene David: ciò che si dice fra amici non va mai rivelato. Croce sul cuore”
  David alzò le sopracciglia con espressione ironica.
“Oh beh David…è un modo di dire. Non prendermi sempre alla lettera!”
  Elizabeth rise di gusto, per la prima volta da quando era salita su quella navicella per un momento era riuscita a dimenticare tutto: gli architetti, Dio, pianeti, l’archeologia, Charlie e la sua incapacità a procreare.
  David la guardò, per la prima volta una vera risata, l’aveva vista altre volte mentre spiava i suoi sogni nel due anni di solitudine, ma vederla dal vivo era ben diverso; inoltre si sentiva inorgoglito per esserne stato lui l’artefice.
  Lui e non Charlie il bruto, come lo definiva spesso fra sé e sé.
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“Allacciate bene i caschi, se si sfilassero non sappiamo cosa potrebbe accadervi e non vogliamo responsabilità”
  David aveva finito di prepararsi e aspettava paziente che anche gli altri finissero.
  Si stavano tutti preparando per la loro prima uscita, erano tesi non sapendo cosa avrebbero trovato fuori dalle pareti di quella navicella, la loro unica ancora di salvezza in quel mondo sconosciuto.
“Hey, e a te che serve il casco? Non sei nemmeno una persona”
  Charlie, lo guardava beffardo allacciando le cinture.
  David non si scompose semplicemente prese posto accanto ad Elizabeth, che era seduta accanto a Charlie; inizialmente non voleva rispondere poi pensò a ciò che gli diceva Elizabeth a proposito del non dover accettare la maleducazione.
“Sono programmato per essere il più umano possibile per non far percepire a voi la mia chiara superiorità fisica ed intellettuale”.
  Elizabeth lo guardò e gli fece un cenno di assenso con il capo e lo guardò con orgoglio: aveva tenuto testa a Charlie, gli aveva risposto per le rime senza essere volgare.
“Charlie smettila”
  Charlie guardò la sua donna e non riusciva proprio a capire che senso avesse difendere quel David, era solo un robot e quindi non aveva sentimenti.
  Elizabeth voltò la testa verso il suo uomo e gli augurò ‘in bocca al lupo’, dopo di che toccò il braccio di David e chinando la testa (per quanto possibile visto l’ingombro del casco) verso di lui gli sussurrò ‘in bocca al lupo anche se credo che fra di noi tu sia l’unico a non dover temere della tua incolumità’.
  David a sua volta chinò la testa e le sussurrò ‘effettivamente non sono preoccupato della mia incolumità, ma questo non mi impedisce di essere comunque preoccupato per la tua”, poi con un leggero sorriso ancora sulle labbra tornò a guardare di fronte a sé, nel nulla.
 
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  Charlie era morto, nel modo peggiore, arso vivo mentre qualcosa gli cresceva nelle membra e lo trasformava in un mostro.
  Elizabeth non riusciva a fermare le lacrime, temeva per la sua vita e per quel qualcosa che cresceva dentro di lei ma non riusciva a smettere di ripercorrere gli ultimi momenti di agonia del suo uomo.
  David era andato via dopo averla sedata, non le aveva permesso di liberarsi di quella ‘cosa’ dentro di lei, ma lei non poteva continuare a sentire che era ancora lì e si muoveva e…cresceva. Maledizione! Doveva fare qualcosa!
  Si stese nella macchina, lo asportò…il dolore era indicibile ma era sicura che il suo Charlie doveva aver sofferto di più quindi strinse i denti.
  La cosa venne fuori. Un mostro, non c’era altra definizione.
  Ricordò che una volta Charlie aveva definito David “un mostro” e lei ovviamente l’aveva rimproverato chiedendo scusa al cyborg.
Beh, David non era un mosto…quella cosa lo era.
David….doveva cercarlo…era l’unico che voleva vedere in quel momento.
Charlie non c’era più, David era la sua unica ancora di salvezza.
Camminò appoggiandosi alle pareti della navicella….non sapeva per quanto aveva camminato.
Aprì una porta e quel (maledetto) vecchio era lì, e chino ai suoi piedi c’era David, lo aveva riconosciuto da quel taglio perfetto e da quel colore innaturale che gli stava così bene, lo aveva sempre pensato dal primo momento ma non l’aveva mai detto.
David alzò lo sguardo… “Elizabeth?”, la guardò: mezza nuda, piena di sangue e con gli occhi rossi dal pianto, una cicatrice ricucita alla ben e meglio sul basso ventre….il ventre era piatto.
L’aveva asportato, aveva fatto un cesareo d’urgenza…senza anestesia. Ed era ancora in piedi (più o meno), lo sguardo dolorante ma fiero.
David sapeva che da lui ci si sarebbe aspettato…nulla.
Doveva rimanere ai piedi del suo creatore, ma non ci riusciva.
Si avvicinò a lei a grandi passi e la coprì con il suo camice, voleva proteggere la sua dignità dagli sguardi di chi non sapeva chi lei veramente fosse e perché si trovasse in quelle condizioni.
  Elizabeth si lasciò coprire e si appoggiò a lui. David la prese fra le braccia e la sollevò senza difficoltà mentre lei lo guardava tentando di ringraziarlo non avendo forza.
“Tieni gli occhi aperti Elizabeth, ora ti darò un anestetico rapido. Non permetterò che tu debba soffrire ancora….io….non voglio vederti soffrire”
  Dopo aver detto quella frase David si fermò per un paio di secondi, pensieroso, ma fu subito riscosso da un gemito di dolore di Elizabeth fra le sue braccia e continuò a camminare velocemente con l’idea di portarla il prima possibile in infermeria.
  Ciò detto senza nemmeno incrociare lo sguardo del suo padrecreatore uscì dalla stanza.
“Grazie David”
  Elizabeth sentì che le forze venivano meno a ritmo vertiginoso, ma ora non aveva paura di perdere conoscenza, ora era fra le braccia di un amico, non sapeva dove la stava conducendo poiché sentiva le orecchie ovattate, non aveva capito cosa David le avesse detto ma in quel momento non riusciva ad avere pensieri razionali.
 
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“Sei sicura di voler venire con noi? Ho ripulito la ferita, non è infettata ma sono certo che tu stia provando dolore in questo momento”
  David la stava aiutando ad indossare il casco, l’aveva vista contorcersi per una fitta quando aveva provato ad alzare le braccia per indossarlo.
“Più che certa David. Devo sapere, capire. Altrimenti la morte di Charlie non sarà valsa a nulla, altrimenti tutti sarà stato vano”.
  David non riusciva proprio a capire quella mania autolesionista di Elizabeth, ma era certo di ammirare la sua forza d’animo.
  Si sedettero, uno accanto all’altra ed Elizabeth senza voltare la testa per guardarlo gli prese una mano fra le sue e se la poggiò sulle gambe.
“Ti chiedo scusa David, ma ne ho bisogno. Stò stringendo lo so bene, ma non ho altro a cui aggrapparmi”
“Più duro dell’acciaio Elizabeth. Tornerai indietro comunque vada”
  Elizabeth inclinò il casco per poggiarlo su quello di David, sempre senza guardarlo negli occhi, e sorridendo.
“Grazie per essermi accanto”
David non le rispose, non riteneva ci fosse bisogno di dire altro pur tuttavia pensò una sola parola “Sempre”.
 
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“Elizabeth? Dottoressa Shaw, mi senti?”
  Lo scalpo di David giaceva per terra, solo morte accanto a lui.
  Elizabeth era fuggita poco prima, e David aveva pensato che temeva che quella donna peccasse di istinto di sopravvivenza e se così fosse stato ora lei giacerebbe accanto a lui, insieme agli altri, senza vita. Ma per fortuna si era sbagliato.
David?
  Era viva. Non si sa dove, ma lei era viva. Non era ancora salva però.
“Elizabeth, lui ti stà cercando”
  David non ebbe tempo di dire altro, ci furono rumori confusi e lui pensò che questa volta l’avrebbe persa, non era riuscita ad avvisarla in tempo.
Rimase in silenzio, ‘con il fiato sospeso’ direbbe Elizabeth, del resto se non si prendeva alla lettera era proprio ciò che stava facendo.
  Aspettava in silenzio.
  Dopo qualche minuto sentì del passi, in un primo momento pensò che la creatura, dopo aver ucciso Elizabeth stesse tornando.
  In quel momento pensò qualcosa che lo sorprese: si sarebbe fatto sentire da quella cosa che di sicuro avrebbe spappolato la sua testa ponendo fine alla sua attesa, se Elizabeth non c’era più non aveva più senso sperare di rimanere in vita.
  Qualche secondo dopo razionalizzò che i passi erano troppo leggeri.
“David?”
“Elizabeth?”
  David la chiamò per farle capire dove fosse, per un momento sentì una strana sensazione di vergogna. 
  Lui era abituato a farsi vedere da lei sempre composto, perfetto ed ora invece giaceva senza il suo corpo, in una parola? Sconfitto.
  “Elizabeth…temevo fossi morta”
  “timore”….Elizabeth non aveva chiaramente compreso cosa significasse per lui quella parola.
  Poco tempo dopo erano insieme, sull’unica navicella rimasta su quel pianeta.
  Elizabeth gli aveva chiesto di condurla sul pianeta originario degli Architetti (come lei era solita chiamarti), lui si era dichiarato capace di farlo in realtà aveva soltanto pochi indizi su cui basare la rotta e le ricerche; tuttavia non le aveva detto nulla: era certo che se anche le avesse esposto i suoi dubbi e l’insicurezza di quel viaggio (probabilmente autodistruttivo) lei sarebbe partita in ogni caso.
  David voleva esserci, voleva essere con lei.
  Per quanto stupido e irrazionale quel viaggio poteva sembrare lui sarebbe rimasto con lei.
  David ed Elizabeth erano nella cabina di controllo, il robot la istruiva sulle attività da compiere per la partenza e lei (da brava scolara) faceva tutto ciò che le era chiesto senza un momento di tentennamento, fidandosi ciecamente del suo mentore.
  Erano in volo, insieme.
  Elizabeth tirò un sospiro di sollievo e si lasciò cadere su una delle grandi sedie e chiuse gli occhi dopo aver lanciato un sorriso, velato dalla stanchezza, verso David
  “Sempre” pensò David “comunque vada”.
 
 
FINE!
Salve a tutti!
 Lo so che su questo fandom ci sono pochissime fan fiction ma a me (per quanto strano possa sembrare) piace tantissimo.
Spero vi sia piaciuta e spero di leggere altre di queste storie prima o poi :o)
 
A presto. Grazie per aver letto! :o)
   
 
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