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Autore: Nitor_Thryside    10/01/2013    0 recensioni
E, in fondo, la mamma di Myriam era stata l’unica persona a cui si fosse affezionata davvero dopo che sua madre era morta.
Per lei poteva arrivare rinnegare in parte sé stessa?
Sì, poteva.

Primissima fanfiction in assoluto, speriamo di aver fatto un buon lavoro, ovviamente recensioni e critiche sono bene accette.
Possibili spoiler per chi non ha letto il terzo libro.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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«È morta poche ore fa, i nostri medici non hanno potuto fare niente.»
«È morta!? Come... No! Non è possibile...»
«Mi spiace davvero, signorina Sarah.»


Sarah si rigirò tra le mani una parrucca bionda, logorata dal dubbio.
Che fare? Ingannare la persona che più tra tutte amava la sua defunta migliore amica ed evitarle così una terribile sofferenza, o dirle la verità cruda e fredda e distruggere un’altra parte del suo povero cuore?
La risposta era piuttosto ovvia.
Ma lei non voleva saperne di accettarla.
Era sempre stata un ragazza determinata e sincera, e quella situazione stava mettendo a dura prova entrambe quelle sue qualità. Ma era sempre stata anche una ragazza altruista. E, in fondo, la mamma di Myriam era stata l’unica persona a cui si fosse affezionata davvero dopo che sua madre era morta.
Per lei poteva arrivare rinnegare in parte sé stessa?
Sì, poteva.
Ingoiò con la forza il groppo che le impediva di respirare e si asciugò con un gesto deciso le due lacrime che le avevano solcato a tradimento le guance.
Era finito il tempo di piangere, ora doveva difendere tutto ciò che rimaneva di sua sorella.
Si legò i capelli scuri, unica differenza tra lei e quella ragazzina che il destino aveva voluto così simile a lei e, al contempo, così diversa, e indossò la parrucca.
Camminò con passo svelto, percorrendo a grandi falcate buona parte dell’ospedale e guadagnandosi, di tanto in tanto, occhiatacce da parte delle infermiere che la vedevano avanzare con quel passo marziale.
Indugiò solo quando si trovò di fronte alla porta della stanza di quella che ormai poteva considerare sua zia.
Immaginava con orrore e infinita tristezza il respiro agonizzante della donna, a cui un fato infame aveva tolto tutto: un marito, una vita felice, una figlia.
Le avevano diagnosticato una malattia terminale che l’avrebbe uccisa in breve tempo e l’avevano rinchiusa in quelle maledette quattro mura, lontano dagli affetti e dalla sua casa; poco dopo, Myriam era venuta a sapere la notizia ed era morta.
Maledetto incidente stradale! pensò con rabbia e disperazione.
La sua amica aveva sempre avuto un animo ribelle e tormentato, aveva passato i suoi pochi anni a desiderare quello che non aveva e a cacciarsi nei guai per ottenerlo; infine, l’ennesima bravata l’aveva lasciata moribonda sul ciglio della strada. E non erano stati in grado di salvarla.
Sorrise con amarezza a quelle riflessioni.
Curioso il destino: qualche dio crudele l’aveva posta proprio al suo fianco. Lei che aveva tutto.
Loro due erano sempre state come facce della stessa medaglia: vicine, ma lontane.
Uguali, ma opposte.
Fu con questi pensieri che la sua mano andò ad abbassare la maniglia della porta. Non appena entrò, l’odore di disinfettante e lenzuola sterilizzate le punse le narici.
Avanzò con gli occhi bassi e necessitò uno sforzo sovrumano per riuscire a sollevarli sulla figura dal viso pallido e scavato abbandonata nel letto.
«Myriam?»
Quello della donna fu poco più che un sussurro, ma rimbombò ugualmente in quel luogo asfittico.
«Sì, mamma.» rispose Sarah. «Sono qui.»
Si avvicinò lentamente, cercando di farsi forza ad ogni passo.
Quando fu al suo capezzale, il suo stomaco si attorcigliò e il suo cuore si strinse in una morsa. Davanti non poteva avere la sua governante, non era possibile.
Dov’erano il suo sorriso triste, le guance tonde e il trucco sbavato?
Non riusciva a trovarli, a scorgerli sotto quelle labbra secche schiuse in un vano tentativo di parlare, quelle guance emaciate e quegli occhi incavati e opachi.
Odiò con tutta sé stessa la malattia che l’aveva ridotta così, e i medici che non sapevano trovare una cura.
«Che bello, tesoro... sei venuta...»
La donna sporse verso di lei una mano ossuta. Sarah non disse niente, si limitò a prendere quella mano e ad usarla per coprire la lacrima solitaria che le solcò il viso.
«Come stai?»
«Molto meglio... ora che ci sei tu.»
Ogni parola sembrava costare estrema fatica e pronunciarla costava diversi respiri affannati.
Sarah le sorrise con determinazione, le si sedette accanto e cominciò a raccontarle di un’immaginaria festa con gli amici che stava organizzando per la sua guarigione, a rievocare i ricordi di tutti i loro viaggi assieme, a scoprire il mondo.
In fondo, Myriam e sua madre avevano viaggiato spesso e lei aveva sempre amato stare alla finestra ad aspettare fremente il loro ritorno e le nuove storie che avrebbe portato.
Lo sguardo che ricevette in cambio fu dolce e rassegnato. Lei sapeva. Sapeva che da quel viaggio non ci sarebbe stato ritorno.

Continuò ad andare lì tutti i giorni, sempre alla solita ora. Indossava la parrucca bionda, adattava il suo animo forte a quello vagamente insofferente di Myriam e si presentava a sua madre.
Il dolore che accompagnò quel periodo fu sordo, ma ugualmente straziante.
Vide la donna spegnersi con lentezza, la sua mano che non riusciva più a stringerla come all’inizio.
Resistette due, tre, quattro... dieci... venti... settanta giorni. Alla fine, nel settantatreesimo giorno, non resistette più.
Sarah era lì, come al solito.
Non appena era entrata aveva percepito che l’aria era diversa: si era fatta più pesante, più tesa.
Quando si sedette accanto al letto della sua governante, quella cominciò a riempirla di raccomandazioni; le disse di seguire sempre i suoi sogni, di non abbandonarli mai, le chiese di essere forte e, se poteva, di cercare di non dimenticarla mai.
E la ragazza capì che cosa stava per accadere.
Lo capì, ma non volle accettarlo.
Con un nodo tremendo alla gola, cominciò ad accarezzare la donna sulla testa, sussurrandole che sarebbe andato tutto bene, che sarebbe passata, che loro due sarebbero tornate a viaggiare...
Non ottenne niente, se non l’ennesimo sorriso stanco.
Le lacrime le salirono agli occhi e le inondarono le guance senza che riuscisse a fermarle, il cuore prese a battere più lentamente, a fare male ad ogni contrazione.
«Non lasciarmi... Sei l’unica che mi rimane. Ti prego, non lasciarmi...»
La sua voce si spezzò.
La donna sorrise ancora, l’accarezzò sulla fronte.
Una sola lacrima le sfuggì all’angolo di un occhio. Fece uno sforzo estremo, l’ultimo. E le disse: «Sarah, tu meriti molto di più da questa vita. Meriti un angelo che si prenda cura di te.»
Poi chiuse gli occhi, questa volta per sempre.

Sarah passò lo sguardo sulle pareti della sua stanza. Si era svegliata lì, poche ore prima.
Le dissero che aveva chiamato i medici, che avevano cercato in tutti i modi di salvarla, ma non ci erano riusciti. Le dissero che aveva urlato, con tutto il fiato che aveva nei polmoni, finché la sua voce non si era incrinata, e che aveva pianto, accartocciata su sé stessa, finché non era svenuta.
Era stata incosciente per un giorno intero.
Una foto sgualcita attaccata ad un muro catturò la sua attenzione. Lineamenti più affilati dei suoi, più femminili, occhi più chiari e capelli neri.
Sua madre.
Quando era morta lei era stato anche peggio: non aveva mangiato per quasi una settimana, finché non avevano dovuto ficcarle una flebo nel braccio e non aveva parlato per oltre un mese. Suo padre, poi... non si era più ripreso, a volte si chiedeva se era davvero lui ad avere di fronte, o soltanto una sua immagine sfuocata.
Ora, guardandola negli occhi attraverso quella foto, si sentì come se l’avesse persa di nuovo.

Sarah si rigirò tra le mani una parrucca bionda. Ancora. La sua determinazione vacillava. Ancora.
Era incredibile come dopo quei pochi mesi, tanti aspetti della sua vita di allora si ripetessero, e, altrettanto incredibile, era vedere come altri fossero ormai totalmente diversi.
Questa volta la domanda era: tradire suo padre e i suoi ideali di guerra, oppure Raziel e il suo vangelo d’amore?
Di nuovo la risposta era ovvia. E di nuovo bussava timidamente in un antro nascosto della sua mente senza apparirle davanti chiara e tonda.
Alla fine l’aveva trovato, il suo angelo. Ora si trattava di scegliere se amarlo o perderlo, di voltare le spalle a suo padre e credere nei suoi e nei propri sogni.
Ne valeva la pena?
Sorrise. Sì, ne valeva la pena.
Una volta suo padre le aveva detto: «Segui sempre il cuore, Sarah. Ma non lasciare che il cuore ti uccida.»
E decise.
«Sì, papà: seguirò il cuore, usando la testa.»

Sarah si sentiva svuotata e nella leggerezza dell’anima prendeva forma solo un sentimento. Guardò Raziel e gli disse ciò che non aveva mai confessato nemmeno a sé stessa.
«Ti amo.»





BuonSalve mondo!
Liete di conoscerti, efp. Allora: noi siamo Nitor e Thryside e questa è la nostra prima fan fiction in assoluto.
Come siamo andate?
Dobbiamo nasconderci dai pomodori?
Questo è in assoluto il momento che ci è sembrato più toccante di tutto il terzo libro, spero che vogliate lasciarci una recensione per quest'obbrobrio, critiche e commenti sono bene accetti.
Ringraziamo chiunque leggerà, bacioni a tutti :*
  
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