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Autore: PostBlue    11/01/2013    1 recensioni
Non ti ho sentito arrivare.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho iniziato a scrivere di te quando ho capito che era l'unico modo per raggiungerti.
Non fisicamente. Non ho modo di sapere se tu abbia mai letto qualcuno dei miei libri.
Però c'è un momento, un punto preciso del mio pensiero, in cui riesco non ad immaginarti ma a vederti.
E' come un piccolo scatto. Un click quasi impercettibile, ma quando lo sento so che quello che vedo è reale.
Scrivere è l'unico modo per allargare quella finestra. Per tenerla aperta più a lungo.
Anche se so perfettamente che non è altro che un espediente per ingannare l'eternità.
Che non potrà mai neanche lontanamente colmare l'infinito spazio della tua assenza nella mia vita.
 
Non ti ho sentito arrivare. Ma immagino sia normale. La percezione ha bisogno di una distanza minima per essere efficace. Avrei dovuto aspettarmelo perché da due giorni quell’angolo della mia mente dove sono abituato a trovarti era completamente irraggiungibile. Nero. Come se fosse schermato. Avrei dovuto capire quanto eri vicino.
 
Febbraio è il mese che odio di più. E’ il più freddo e il più ingrato perché si porta dietro le macerie delle aspettative del nuovo anno che immancabilmente sono già crollate o hanno cominciato a scricchiolare. E’ il mese della disillusione. E’ un limbo di attesa dove l’inverno ha ormai stufato ma la primavera non ha ancora intenzione di farsi vedere. E’ un mese da attraversare in apnea, aspettando solo che passi.
Rallento il passo perché non è tardi e ho bevuto abbastanza per non avere troppo freddo. Sto camminando sul lungo fiume e sto pensando all’ultima conversazione con la persona con cui ho appena trascorso la serata. Mi fermo, mi appoggio sulla balaustra e mi accendo una sigaretta. Il fiume è lento e gonfio, tra le sue rive ghiacciate. Guardo lo smalto nero scheggiato sulle unghie delle dita che reggono la sigaretta e penso che probabilmente farei meglio a smettere. Con lo smalto o con le sigarette? Non lo so neanch’io. Mi sento pigro e anche i miei pensieri lo sono.
La mia mano si alza a portare la sigaretta alle labbra. Le ha quasi raggiunte ma quello è il momento in cui la sento. Una voce alle mie spalle che pronuncia il mio nome.
La tua voce che pronuncia il mio nome.
Cazzo. Passi la vita ad aspettare qualcosa e quando arriva non sei pronto.
Non ho più caldo e non ho più freddo. Non sento più niente. Evidentemente il mio corpo decide di prendere in mano la situazione – data la palese inefficienza di quel sistema di controllo centralizzato che dovrebbe essere il mio cervello – perché mi volto e faccio quello che bene o male ci si aspetta che faccia. Tutto il balletto rituale dei saluti e della sorpresa di quando si rincontra qualcuno dopo un lungo periodo di tempo. E non importa che nei dodici anni trascorsi da quando ti ho avuto davanti per l’ultima volta non sia passato un solo giorno in cui io non abbia pensato a te. Un solo giorno in cui non ti abbia cercato. Non importa neanche che ci siano stati periodi in cui davvero ho fatto tutto quello che era umanamente possibile per evitarlo.
Ho provato a tenerti fuori  ma non c’è posto abbastanza lontano dove io non possa vederti.
Quando l’ho capito ho cominciato ad aspettarti.
Mi proponi di andare a bere qualcosa e sento la mia voce che dice di sì, certo.
Da qualche parte dentro di me suona un campanello d’allarme ma è troppo distante. La vecchia storia del fare attenzione a quello che si desidera perché lo si potrebbe ottenere.
Siamo seduti a parlare da ore e facciamo finta di ignorare il fatto che molte delle cose che ci siamo raccontati le sapevamo già. Non abbiamo mai smesso di inseguirci anche quando pensavamo di averlo fatto.
 
Siamo due creature che si risvegliano dopo un sonno lungo secoli. Stranieri provenienti da un universo di ghiaccio. Persi in un mondo di cui non sanno assolutamente nulla. Camminiamo per mano perché non sappiamo fare altro.
 
Siamo profughi su un pianeta ostile. Non c’è più aria, non c’è più acqua. Tutto quello che conoscevamo è stato spazzato via. Non c’è più niente.
Ci siamo solo io e te.
 
 
 
NOTA
Lo so. L’ho fatto di nuovo. Chiedo perdono. E’ che a volte le ossessioni si ripresentano e in qualche modo bisogna gestirle. Liberarle. Anche se non è detto che serva.
Sono sempre loro due. I mie due amati/odiati protagonisti delle altre Nonsense.
Cosa dire? Prima o poi mi passerà. Nel frattempo siate pazienti.
Grazie a chi mi legge e a chi mi recensisce.  
   
 
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