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Autore: Nina Ninetta    11/01/2013    5 recensioni
Ogni anno Victoria prende parte al pranzo del Ringraziamento, dove incontra i suoi famigliari e si sente sempre più fuori luogo a causa del divorzio da Miguel e per non aver esaudito il desiderio dei suoi genitori di diventare nonni. Questa volta però rincontrerà i suoi vecchi vicini di casa e - in particolare - Arthur: un ragazzo innamorato di lei da quando era bambino...
N.B. Il titolo è chiaramente tratto da una canzone di G.Nannini "Amami Ancora".
III posto nel contest "Magiche Feste" indetto da Dollarbaby e valutato da E.Comper sul forum di EFP
III posto nel contest "As strong as a woman" indetto da Sbasby EFP sul forum di Efp.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Amami ancora, fallo dolcemente, un anno, un mese, un'ora. Perdutamente.

Prima parte

 
Spense il motore dell'auto e rimase per qualche altro minuto nel buio dell'abitacolo.
Sapeva ancora di nuovo, la tappezzeria odorava di concessionario. Non che la precedente macchina fosse stata una carcassa così vecchia e malandata da doverla rottamare, ma i soldi che il suo ex marito le versava ogni inizio mese sul suo personalissimo conto in banca - cielo, così tanti per una persona sola! - doveva pur spenderli in qualche modo. E quel SUV nero e splendente che le aveva ammiccato nel concessionario BMW solo qualche settimana prima le era sembrato un pretesto più che buono per comprarla. Per farla sua.
Perché di suo non aveva nulla: né un uomo da amare, né un figlio da coccolare.
Si accese una sigaretta e spirò fuori il fumo della prima boccata. Era un peccato fumare in quell'ambiente immacolato che costava quasi quanto un appartamento in periferia, ma era di sua proprietà: poteva anche prendere a martellate la carrozzeria luccicante, non sarebbe dovuto importare a nessuno!
Una foglia ingiallita scivolò lungo il parabrezza bagnato dalla pioggia, la fissò mestamente, ricordandole la metafora della sua vita. L'autunno era ormai giunto da un pezzo, i colori avevano smesso di arricchire il paesaggio. Inspirò ancora e sentì il fumo acre bruciarle infondo alla gola. Lei era un dottore, sapeva meglio di chiunque altro che quelle dannate Winston l'avrebbero uccisa, eppure troppo spesso una boccata di fumo era tutto ciò che le era rimasto per tirarsi su di morale. L'unica compagna con cui condividere pensieri e timori.
Lì, al riparo nella sua cabina profumata, osservò per diversi minuti la casa dei suoi ormai anziani genitori, persone brave - sicuramente - ma che da lei avevano sempre preteso troppo: una laurea a pieni voti, un buon lavoro, un ottimo partito da sposare e… tanti nipotini.
Qualche macchina era già nello spazio antistante la casa, segno che alcuni degli invitati erano dentro a consumare l'aperitivo.
Odiava il Giorno del Ringraziamento come un bambino può detestare le punture.
Odiava rincontrare sempre le stesse persone e anno dopo anno ritrovarsi a rispondere alle solite domande invadenti.
Odiava i suoi cugini che le lanciavano sguardi languidi e non scordavano mai di complimentarsi con lei per ciò che si "portava appresso" nonostante i suoi vicinissimi quarant'anni.
In verità le zie avevano iniziato a dire che era vicina agli “anta” da cinque o sei anni, figuriamoci adesso che ne aveva trentanove.
Cosa le avrebbero detto quest'anno? Che era ormai vicina ai cinquanta?
Della cenere scivolò sul sedile in pelle chiara e lei vi soffiò sopra, tirando un'altra rigenerante boccata di fumo grigio.
Odiava la moglie di suo fratello che non mancava mai di prenderla sotto braccio, trascinandola con lei in un angolo appartato della casa per chiederle se avesse conosciuto un nuovo amore, fingendo di esserle amica semplicemente per impicciarsi della sua vita privata. Forse temeva che un giorno si sarebbe dovuta prendere cura di una vecchia e scorbutica cognata che dopo il divorzio non era riuscita ad andare avanti? Probabile.
In ogni caso no, non aveva conosciuto un nuovo amore e non aveva intenzione di farlo!
Con Miguel, il suo ex marito, non si era cotta: si era bruciata. E viva. Quando quella mattina alle cinque, di ritorno da un turno in ospedale - dove tra l'altro a breve sarebbe stata promossa primario di cardiochirurgia - lo aveva trovato beatamente addormentato a letto, nel loro letto, con una puttana nuda al suo fianco. Aveva creduto di poter morire di infarto. O di ictus. Ovviamente non era accaduto nulla di tutto ciò, per questo motivo più di una volta nei mesi successivi pensò che sarebbe stato meglio essere schiattata lì per lì, su due piedi. Il divorzio si era rivelato un travaglio lungo mesi e mesi, alla fine dei quali le erano spettati diversi soldi, grazie a quello che i giudici chiamano adulterio e che per lei altro non è che tradimento da parte dello stronzo e imbecillità da parte del cornuto.
Presentando le dimissioni con effetto immediato - facendo quasi morire di crepa cuore il suo vecchio - aveva preso a girare il mondo: Europa, Asia, Africa. Quando era tornata a casa (un'enorme villa affacciata direttamente sul mare) l'aveva trovata vuota e desolante, con il fruscio delle onde a farle compagnia e foglie rinsecchite sparse per la terrazza. Priva di lavoro si era mantenuta per interi mesi grazie ai soldi che lo stronzo le versava puntualmente ogni otto del mese. E guai a sgarrare di un giorno, era subito pronta a farlo contattare dal suo legale.
Una lunga e datata macchina grigia si fermò accanto alle altre, da lontano riconobbe le figure dei suoi cugini deficienti che mai - da che aveva memoria - avevano saltato uno solo di quei vistosi ed elaborati pranzi preparati da sua madre per l'evento.
Inspirò l'ultimo tiro dalla sigaretta e la tenne ferma fra le labbra mentre apriva lo sportello per scendere, quindi la gettò sul cemento e la schiacciò sotto un tacco.
Era pronta ad affrontare il Giorno del Ringraziamento e tutto ciò che ne sarebbe conseguito: famiglia, domande, pranzo. Non necessariamente in quest'ordine.
 
Era bella Victoria. Alta, con un bel seno prosperoso e i fianchi sinuosi, agile nei movimenti, con grandi occhi castani e morbidi capelli ramati che spesso teneva sciolti e ondulati lungo la schiena.
Uno dei suoi cugini la riconobbe da lontano e alzò un braccio per richiamare la sua attenzione, no che ce ne fosse l'esigenza in verità.
«Victoria!» urlò mentre lei si avvicinava a passi lenti e ponderati per il vialetto di casa Gonzales, muovendosi con disinvoltura su alti tacchi sottili.
«Hey, Mauricio!» questi gli si accostò per passarle una mano dietro la schiena e posarle un bacio sulla guancia. Detestava il suo toccarla ogni volta che ne aveva l'occasione: ora il braccio, ora il viso, ora i capelli, ora la schiena. Con un passo laterale si liberò ben presto della sua stretta, senza dimenticare di sorridere. Peccato che quello pericoloso non fosse Mauricio: era suo fratello Alexis, immobile sulla porta d'ingresso, con un ghigno sul volto e gli occhi che la scrutavano come se potesse spiarne la biancheria intima. Gli passò davanti, udendo la sua voce bassa (l'alito sapeva già di alcool) salutarla senza troppi complimenti.
«Ciao bellezza!»
«Alexis» gli rispose solo, sobbalzando quando avvertì un buffetto sulla chiappa destra.
«Come fai ad essere così bella anche alla tua età?»
Victoria si limitò a lanciargli un'occhiataccia, quindi si affrettò ad entrare in casa, dove si sarebbe potuta mischiare alla folla e sviare i loro attacchi insistenti.
E pensare che era solo all'inizio della giornata.
Sua madre le andò incontro a braccia aperte, gli occhi rossi di commozione come ogni benedetto anno. Si abbracciarono e strinse anche suo padre quando le si accostò. Amava i suoi genitori, avrebbero venduto l'anima per la loro figlia e il solo pensiero di averli delusi la logorava lentamente - ma inesorabilmente - giorno dopo giorno.
Sua madre era una donna alquanto tozza e con un cuore grosso così. Lei possedeva tutto ciò che sua figlia a trentanove anni suonati si era ritrova a desiderare come l'acqua nel deserto. La rivelazione vera e propria si era manifestata durante una sera d'estate, quando si era imbambolata di fronte ad un tramonto tanto bello da emozionarla. Peccato che in quel momento avesse realizzato che non aveva neanche uno straccio di persona con cui condividerlo. Né un cane o un gatto.
La mamma non glielo aveva mai detto espressamente, tuttavia Victoria sapeva che il fatto di essere fuori età massima per avere un figlio l'aveva delusa, sfiduciata. Avvilita. Nonostante sua madre fosse stata la mamma più affettuosa del mondo, era una donna di una certa età e all'antica che viveva l'utero arido di sua figlia come una vergogna personale. Di questo Victoria se ne dispiaceva non poco, per sé stessa certo, ma anche per il nipotino che non era stata in grado di regalare alla sua adorata madre.
L'altolocato della casa era sicuramente suo padre, in giacca e cravatta in qualsiasi occasione della vita, impeccabile perfino quando andava a letto la sera con pigiama e giacca da camera abbinata. Era alto suo padre, sfiorava il metro e novanta e Victoria doveva sicuramente a lui i suoi centimetri d'altezza. Il signor Gonzales era un ex detective di ottant'anni oramai in pensione, che aveva passato la maggior parte della vita alla ricerca di un ipotetico killer, perennemente rinchiuso in una stanzina buia, chino su fascicoli e mappe topografiche della città per l'ennesimo caso di omicidio. Nel taschino della camicia sbucava sempre una biro nera - abitudine che tutt'ora non aveva perso - perché diceva che la vera arma di un detective non è la pistola, bensì la penna poiché è attraverso gli indizi che si giunge alla verità.
«Victoria! Quando sei arrivata?»
Lei si voltò sciogliendo l'abbraccio con i genitori per finire fra le braccia di Alonso: il suo fratellino adorato che aveva amato da bambina e che nonostante tutto, nonostante l'arpia che aveva sposato, sentiva ancora di essergli particolarmente affezionata. Questo la guidò tenendola per mano lungo il corridoio, fino alla sala da pranzo dove incontrò il resto della comitiva. Sua cognata era accomodata sul divano a sorseggiare un drink analcolico - cosa che la meravigliò molto - intenta in una conversazione con sua zia, madre di Alexis e Mauricio. Entrambe la scrutarono da capo a piedi prima di sorriderle in maniera così penosamente falsa da farle venire il voltastomaco.
«Tesoro, ma tu non mangi?» era evidente che Angela, sua cognata, si riferisse al fisico asciutto e snello che Victoria aveva sempre vantato «Con tutti i soldi che ti versa quel poverino!» sghignazzò insieme alla signora che le era accomodata di fianco.
L'arpia non aveva perso tempo a sfoderare i suoi artigli affilati e la lingua biforcuta. Victoria abbozzò un sorrisetto, fece per risponderle a tono quando qualcuno chiuse la sua mano intorno a quella propria. Chinò lo sguardo e vide il sorriso dolcissimo di sua madre che correva sui visi di tutti e due i suoi adorati figli: Victoria e Alonso.
«Potreste venire un attimo? Voglio presentarvi delle persone»
«Ce-certo» Victoria la seguì interdetta, inviando occhiate alle spalle per captare suo fratello che silenzioso la seguiva a ruota facendo spallucce, come a dire "io non so niente".
«In realtà li conoscete già. Abitavano vicino a noi tanto tempo fa, poi si sono trasferiti quando lui ha trovato lavoro in... ah! Eccoli, eccoli!»
Una donna e un uomo, decisamente più giovani dei loro genitori ottuagenari, chiacchieravano amichevolmente con il padrone di casa Gonzales. Quando li videro giungere dal corridoio smisero di ciarlare e si voltarono a guadarli.
«Loro sono i miei bambini: Victoria e Alonso» lei notò come sua madre pronunciasse fieramente i loro nomi e il cuore le si riempì di nostalgia per un passato che non sarebbe mai più tornato. In quel preciso istante si rese conto che troppo spesso si danno per scontate le cose che più meritano la nostra gratitudine. Un pensiero fulmineo che attraversò la mente di Victoria lasciandola così frastornata da farle perdere la cognizione di ciò che la circondava. Poi la donna sessantenne nella hall la strinse talmente forte, stampandole due sonori baci sulla guancia, da farla rinvenire subitaneo, manco l'avesse schiaffeggiata.
«Stento a credere che sia tu! Quando andammo via dal quartiere eri un bocciolo e adesso...» la tenne per le mani «Oh cielo, sei una bellissima donna!»
Si ricordava di loro, una famiglia abbastanza numerosa con tre o forse quattro figli, costretti a cambiare casa quando il loro papà era stato trasferito per motivi di lavoro in una lontana città sulla West Coast, che tuttavia adesso faticava a ricordare.
A quei tempi Victoria aveva solo ventiquattro anni e una vita piena di sogni e desideri da avverare. Piena di aspettative. Quindici anni sembrano tanti, ma in realtà passano veloci e un giorno sarà troppo tardi per poter rimediare agli errori compiuti, alle scelte sbagliate.
Anche il marito della donna le strinse la mano e le schioccò due baci sulla guancia. Sembravano tutti commossi, le domande di rito si accavallavano e si fondevano fino a rispondere ad una cosa per un'altra, quando un toc-toc sulla porta d'ingresso richiamò la loro attenzione.
Sull'uscio di casa comparve un ragazzo che sicuramente non sarebbe passato inosservato con quell' orecchino luccicante e i capelli con il taglio militare, in jeans e camicia chiara che spiccavano contro una pelle naturalmente ambrata. Da sotto le maniche appena attorcigliate spiccavano alcuni tatuaggi. Il primo pensiero di Victoria su di lui fu se ne avesse degli altri in parti del corpo meno visibili. Si vergognò all'istante di quella domanda poco pudica che la sua mente aveva posto e si sforzò di tornare in sé.
«Ecco mio figlio!» esordì la signora che pocanzi l'aveva abbracciata «Arthur, ti ricordi di loro?» lui sorrise, così vero, così genuino, senza ambiguità.
«Vagamente» e la guardò. Per la prima volta gli occhi adulti di Victoria e di Arthur si incrociarono.
 
Era ancora più bella di quanto ricordasse. Quel tubino nero, dentro al quale il suo corpo era celato, non faceva che stimolare la sua fantasia. Poteva non ricordare il resto della famiglia Gonzales, ma lei, Victoria, la ricordava più che bene. Benissimo.
Era solo un bambino delle elementari quando l'aspettava affacciato alla finestra della sua camera ogni pomeriggio solo per vederla rincasare da scuola; o la sera, quando rientrava accompagnata dal fidanzato del momento, avvertendo un morso di invidia per quel ragazzo ventenne, con la moto e i capelli pieni di brillantina, grande abbastanza da prendere la sua amata Victoria e stringerla contro di sé, mentre la baciava con ardore. In una limpida notte d'autunno, aggrappato al davanzale della sua cameretta, con le foglie che cadevano dai rami come lacrime dagli occhi, si era ripromesso che un giorno - quando anche lui si sarebbe potuto permettere una moto e i capelli con la gelatina - avrebbe afferrato Victoria e l'avrebbe baciata con più passione di quell'imbusto con il giubbotto di pelle e senza cervello.
Le voci gioiose di Mauricio e Alexis irruppero simili a un tuono che sferza il cielo. Arthur avvertì lo sguardo di lei cedere sotto al proprio, eppure non smise di osservarla neanche per un attimo, fin quando Victoria si allontanò silenziosa e la sua figura sinuosa svanì lungo il corridoio illuminato dalle abatjour a muro.
Come ogni anno il suo posto a tavola nel Giorno del Ringraziamento era tra suo padre e suo fratello e a lei non dispiaceva: la faceva tornar bambina e infondo, tra loro due, si sentiva protetta, sembrava che ogni cosa potesse tornare identica a tanti anni fa.
Da consuetudine il taglio del tacchino spettava al padrone di casa e suo padre - in completo blu e cravatta bianca - lo eseguì con invidiosa maestria, intanto che ricordava con il suo vecchio vicino di casa dell'omicidio che per anni aveva tenuto sulle spine l'intero quartiere. Quando suo padre era giunto alla conclusione che l'assassino della giovane vittima appena maggiorenne non era altri che un insospettabile insegnante di pianoforte, Victoria aveva appena compiuto 17 anni. Non conosceva di persona la povera disgraziata ritrovata in un canale di scolo senza occhi, né lingua, e bestialmente seviziata; però l'aveva incontrata spesso nei luoghi che frequentava essendo loro coetanee. Al contrario, sapeva bene chi fosse il maestro di piano che una volta a settimana si recava nella sua scuola per dare lezioni gratis ai ragazzi disabili.
In un certo senso questo l'aveva scossa più dell'omicidio in sé.
Ormai le voci facevano da sottofondo, ogni santo anno le domande che rivolgevano all'ex detective erano più o meno sempre le stesse, le risposte identiche, i complimenti si sprecavano e si ripetevano. Ciò nonostante Victoria era distratta, completamente immersa nei suoi più intimi pensieri, sebbene si fosse rimproverata più volte di smetterla di fissare Arthur, il suo ex vicino di casa che ricordava con le fattezze di un ragazzino. Questo era praticamente all'altro capo del tavolo, bombardato dalle idiozie pronunciate dai cugini Gonzales, tuttavia lui sembrava divertirsi, rispondendo e ridendo alle loro sciocchezze.
O era troppo educato, o li stava prendendo per il culo e loro non se ne erano resi conto.
Aveva qualcosa che l'attraeva. Il suo modo di vestire forse? Così diverso dai canoni di buona famiglia a cui era stata abituata e nei quali aveva guizzato fra l'università prima, l'ospedale con tutti quei dottori importanti poi e infine la famiglia aristocratica del suo ex marito. Arthur era una sorta di marziano per Victoria, una specie di abitante del mondo proibito, tutto tattoo e muscoli, così diverso dalle braccia mingherline di Miguel - lo stronzo - che l'avevano stretta per anni e che lei, nonostante tutto, aveva amato profondamente. Si chiese come dovesse sentirsi una donna a stare tra quelle braccia dominanti, magari poggiare la testa sul suo addome, passargli una mano tra i capelli radi, sfiorare con le dita quell'orecchino impertinente e magari… chissà...
Suo fratello Alonso le strinse la mano, distogliendola dai suoi pensieri tutt'altro che casti, quindi le fece l'occhiolino. Victoria lo guardò stralunata, confusa.
Cosa diamine gli prendeva adesso?
Lui ticchettò una forchetta contro un bicchiere di cristallo, richiamando così l'attenzione dei presenti. Di nuovo Arthur la guardò, bevendo un sorso di vino bianco. A Victoria sembrò che quel bicchiere stesse in realtà celando un sorrisetto ambiguo, ma forse era solo la sua immaginazione che le faceva un brutto scherzo.
«Ho una cosa da annunciare» esclamò Alonso alla sua sinistra, lasciandole la mano per prendere quella di sua moglie Angela «Noi aspettiamo un bambino» siglarono l'annunciò con un fugace bacio sulle labbra.
Un boato di congratulazioni riempì l'ampia sala da pranzo. I signori Gonzales si fiondarono ad abbracciare entrambi gli sposi. Victoria non poté fare a meno di notare la commozione mal trattenuta dalla madre mentre stringeva più che poteva la nuora, tra gli schiamazzi generali le parve di udire un "grazie" appena sussurrato.
Si sentì mancare.
Angela è incinta, pensò.
Zii e cugini si riversarono sulla coppia a suon di pacche sulla spalla a lui e baci a lei, in particolare le donne sembravano impazzite, manco avessero annunciato l'arrivo del Messia.
Victoria rimase impassibile sulla sua sedia, come gelata, impietrita, gli occhi puntati nel piatto quasi vuoto che aveva davanti. Sentiva il cuore pulsarle nelle tempie e lo stomaco contrarsi dalla rabbia, i pensieri si mischiavano simili a cianfrusaglie in un vortice.
Angela è incinta.
Sarebbe dovuta essere lei la prima a dare un nipote ai suoi genitori, non quell'arpia, non Angela. Non Alonso. Lei e solo lei. La primogenita, la figlia laureata che salvava vite umane effettuando operazioni a cuore aperto; non il diplomato in ragioneria che si era accontentato di un lavoretto qualunque in banca e si era sposato la prima donna che aveva conosciuto sulla faccia della terra!
Angela è incinta.
Ma Victoria non aveva più un marito, né un lavoro. Era solo una sporca mantenuta, un relitto senza un futuro, una nullafacente di cui la famiglia oramai si vergognava (e per ovvi motivi, pensò).
Angela è incinta.
Con uno sforzo smisurato alzò lo sguardo, duro e freddo, e lo vide fissarla, senza sosta, senza pudore, neppure quando i loro occhi si scontrarono a metà della lunga tavolata imbandita. E questa volta non ebbe dubbi: le stava sorridendo con malizia.
Braccia conosciute le si chiusero intorno alle spalle: era suo fratello. Non poté fare a meno di ricambiare la stretta. Alonso era al settimo cielo, chissà da quanto tempo aveva voglia di confessarglielo, ma aveva preferito dirlo proprio durante il pranzo del Ringraziamento. Per quanto si sforzasse di provare gioia per lui e per il nipotino che stava per arrivare, Victoria continuava a provare un certo disagio, un egoismo cieco che neanche pensava di possedere. Suo padre propose di brindare a suo figlio e a sua nuora. I calici si alzarono all'unisono. Tra quei bagliori di cristallo e i tintinnii, gli occhi di Arthur cercarono e trovarono quelli di Victoria. Lui bevve tutto d'un sorso il suo vino, lei non brindò insieme al resto della compagnia, però non distolse lo sguardo. Neanche per un attimo.
  
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