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Autore: Mrs C    12/01/2013    15 recensioni
– Credo che la scelta più insignificante sia in grado di influenzare tutta la nostra vita. [3] E se non avessi accettato l'invito di Mike a venire al Bart's per conoscerti? Ci hai mai pensato, Sherlock?
– Ma non è successo.
– Sì, non è successo. Ringrazio Dio ogni giorno, per questo.
[Quarta oneshot della serie Ovunque tu vada, non rimanere bloccato]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ovunque tu vada, non rimanere bloccato'
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Il barattolo sopra il davanzale
Il barattolo sopra il davanzale






A J., perché ti devo un sorriso










La testa fa un po' male, oggi. Non riesci a ricordare bene che ore sono, e le palpebre sono troppo pesanti per aprire gli occhi. Senti la luce calda del sole sbattere contro il tuo viso e ti rendi conto di essere vicino a una finestra; non in camera vostra, perché il letto è dall'altra parte della stanza e la luce del giorno non vi arriva direttamente.
Dove sei? Gesù, la testa...
Non pensi a niente. Hai un po' paura di sapere dove sei perché non riconosci il posto. È un po' difficile anche muovere il braccio, adesso che ci fai caso.
Ti tira un po' la pelle del fianco, e ti brucia una tempia.
Sei ridotto uno straccio. I tuoi criceti lavorano – un po', sei ancora troppo scosso per farli funzionare a ritmo serrato – e capisci che, con ogni probabilità, sei in ospedale.
Un umido, freddo, asettico ospedale.
Ti chiedi se sei da solo – a Sherlock, proprio non piacciono – o se Harry è stata avvisata del fatto che questa volta ci hai quasi lasciato la pelle.
Hai le mani un po' intorpidite – quanto tempo sei rimasto bloccato a letto? – ma adesso riesci a muovere le pupille, quindi aprire gli occhi non dovrebbe costarti uno sforzo troppo grande.
Lo fai.
Il sole è acceccante, ma fa davvero freddo. Dovrebbero mettere più di queste tute sterili ai poveri degenti costretti a stare in questo posto contro volontà.
Piano piano ti abitui al bianco delle pareti, e le forme diventano più regolari e specifiche. C'è una scrivania coperta di libri e una coperta. Un armadio, proprio a fianco – solo un'anta aperta –, e una o due bottiglie sul davanzale.
È un contenitore di plastica, quello?
– John?
La sua voce ti rimbomba nelle orecchie, e per un secondo strizzi di nuovo gli occhi. Ti fa un male del diavolo e sembra quasi che abbia urlato.
Provi a parlare, a rispondergli, ma non ci riesci. Ti schiarisci la gola, ritenti.
– Sherl...
Arida. La voce ti esce strozzata e poco più di un sussurro. Volti piano la testa perché ti fa talmente male che hai paura di vomitare.
– Ti sei svegliato.
– Constatare l'ovvio... non è da te.
Fai fatica un po' ad articolare le parole, e vedi il suo viso sfocato. Le iridi azzurre spiccano in mezzo al nulla, e sono l'unica cosa su cui si focalizza la tua attenzione.
– Ho un output mentale, sono giustificato. [1]
Ridi piano, perché le costole ti fanno male. Lentamente, tutti i pezzi della vicenda si collegano al loro posto. Un inseguimento, Sherlock che spara a uno dei criminali, tu che spari al secondo, e il primo – ancora fin troppo vivo – che spara a te prima di essere freddato.
– Harry mi ucciderà.
Sherlock agrotta le sopracciglia, come fa sempre quando non capisce qualcosa. Ora i contorni del suo viso – per te, perfetto – sono ben definiti e tiri quasi un sospiro di sollievo perché puoi riconoscerlo. Non sembra ferito, ha solo una benda intorno alla testa. Probabilmente è sotto l'effetto di qualche antidolorifico, che lo rende più mansueto e un po' meno iperattivo.
Troppo mansueto e decisamente troppo poco iperattivo.
– Le avevo promesso che... saremmo stati attenti. Un po' più del solito, almeno. Anche se penso non ci abbia creduto.
Tu ridi, cercando di muovere le gambe. Ci riesci. Cerchi di sollevarti ma è ancora troppo presto. Sherlock ha il volto basso, non ti guarda negli occhi. È pallido da far paura.
– Sherlock? Cosa succede?
Il tuo ragazzo alza piano lo sguardo. Colpevole, come quando è tornato dopo tre anni di lontananza. Come quando ti ha detto la solitudine mi protegge in quella stanza asettica di laboratorio e addio sul tetto del Bart's. Sono gli stessi occhi di chi ha preso una decisione senza consultare nessuno e tu lo conosci abbastanza da averne paura.
– Sherl--
– Dovremmo smetterla.
Sbatti le palpebre. Lo stomaco ti si serra in una morsa fredda, ma lo ignori. Non è sicuramente come pensi.
– Di farci sparare addosso? Lo penso anche io.
– No, John. Dovremmo smetterla. Noi due.
Indica se stesso, te, ti guarda dritto negli occhi, poi abbassa lo sguardo. Gli spasmi al ventre diventano più forti e fastidiosi. Fanno quasi più male delle costole e la testa.
– Non è sano. È pericoloso. Mi impedisce di pensare in maniera lucida, e in tutta onestà non so se sono pronto ad accettare che il mio cervello sia--... John che stai facendo?
– Sto cercando le scarpe.
Ti tiri piano a sedere, con uno sforzo che esula quello fisico, ma che diventa quasi mentale. I tuoi occhi vagano per la stanza, e ti porti una mano alla fasciatura del fianco. La ferita pare lanciare fiamme come il diavolo in persona.
– Le scarpe?
– Per prenderti a calci nel culo. [2]
Sherlock spalanca gli occhi e boccheggia. Tu lo guardi severo, e gli tiri un ricciolo ribelle che danza sopra i suoi occhi di ghiaccio. Sei arrabbiato, stanco, ferito in ogni modo possibile e vorresti picchiarlo fino a fargli saltare un paio di denti. Ma capisci che, in questo momento, è Sherlock ad avere più bisogno d'aiuto. È totalmente in preda al panico – pensa sia colpa sua e della vostra relazione, se ti sei fatto male – e ha bisogno della tua rassicurazione.
– Che ironia da quattro soldi, John.
– Se tu smettessi di fare il cazzone, io smetterei di fare ironia.
– Stai diventando sboccato.
Gli tiri più forte i capelli, e lui geme di disappunto. La tensione si scioglie un po', anche se non sai esattamente come affrontare la questione. Sapevi che sarebbe capitata una marcia indietro, ma pensavi di non affrontarla in un letto d'ospedale, ma davanti a una tazza di thè. Più congeniale.
– Sherlock... mi dispiace che tu ti sia spaventato--
– Non mi sono spaventano.
– Stai zitto e fammi finire.
Lui mette il broncio, e tu sorridi. Non puoi farne a meno anche quando sei arrabbiato.
– Quando si è in una relazione, è normale preoccuparsi. Davvero. Ma pensaci, Sherlock... che cosa cambierebbe se decidessimo di lasciarci? Io non smetterei di essere in ansia per te. E tu non smetteresti di esserlo per me.
Gli fai una carezza sulla guancia. La barba appena accennata ti sfrega contro i polpastrelli, dandoti una sensazione di calore al centro del petto, che sostituisce il fastidioso sfregolio dello stomaco. Le sue labbra raggiungono piano le tue dita, e sorridi sfiorando la bocca dell'uomo che ti ha dato la vita in più di un senso.
– Non voglio che la mia poca stabilità emotiva causi più danni di quanto ne abbia già fatto. Io non... sono ancora in grado di gestire questa cosa.
– Nemmeno io. Nemmeno io, Sherlock. Ma mi piace.
La sua mano sinistra percorre piano il lenzuolo, giocando con la tua. Sfiora piano il dorso, la pelle fredda e le dita. Le scruta, come se ci dovesse trovare chissà quale segreto Internazionale, e tu ti senti lusingato per una così attenta cura per una cosa che ti riguarda. Non ti dice mai che ti ama, ma è come se te lo urlasse in faccia tutto il tempo. Ed è stupendo.
– Ti piace non saper gestire le cose? Non capirle? Non controllarle? Io sono frustrato, John.
– Mi piace che mi fai sempre scoprire cose nuove, di te. Mi piace non capire cosa ti passa nella testa, e insieme sapere tutto. Mi piace non riuscire a controllare quello che... mi provochi ogni volta che ti vedo. Mi piaci tu, Sherlock. L'amore è così.
La sua mano si blocca. I suoi occhi anche. Fissi nei tuoi, di una tonalità – o due – più scura. Ha le labbra socchiuse e il volto più roseo di prima. Ridi, per come sei riuscito a imbarazzarlo, ma non puoi fare a meno di farglielo capire.
– Credo che la scelta più insignificante sia in grado di influenzare tutta la nostra vita. [3] E se non avessi accettato l'invito di Mike a venire al Bart's per conoscerti? Ci hai mai pensato, Sherlock?
Sherlock inarca le sopracciglia, e la sua mano si stringe un po' di più sulla tua.
– Ma non è successo.
– Sì, non è successo. Ringrazio Dio ogni giorno, per questo.
– Ringrazi Dio di averti fatto conoscere uno sociopatico che ti ha fatto finire all'ospedale?
– In un certo senso.
Fa un po' male piegare la schiena, ma puoi sopportare il dolore per il tempo necessario a chinarti su di lui e a baciarlo. Sia tu che lui avete le labbra secche, sanno di farmaci, saliva, paura repressa e la sua lingua è irruenta mentre cerca la tua e ti toglie quel briciolo di respiro che avevi guadagnato. Ti aggrappi ai suoi capelli e gli strappi un mugolio – ti morde la bocca, oddio – che si riversa nel tuo inguine, appena una sua mano ti sfiora il collo, e l'altra scende un poco più giù.
– Credo... dovremmo. Sherlock, non possiamo--
– Mh.
– Siamo in ospedale.
– Nessuno verrà a disturbarci prima della prossima visita, dopo quello che mi hanno visto trasportare qui dentro.
Stai un po' in silenzio. Le sue labbra depositano piccoli baci lungo la clavicola scoperta.
– … Sherlock?
– Mh?
– Cosa c'è in quel barattolo sopra il davanzale?
–  Non chiedermelo, non vuoi saperlo.
Decisamente no.





Ps. I'm a Serial Addicted

[1] Riferimento a You can't start a fire worrying about your little world falling apart di rosieposie77.
[2] Ho avuto il flash di una frase che ho letto da qualche parte "mi metto le scarpe per prenderti a calci così non mi faccio male", ma non ho idea di dove, così l'ho un po' riutilizzata.
[3] Citazione del libro Il fuoco nell'anima, di Gianpiero Possieri.

Il prompt me l'ha suggerito la mia adorata Nat <3

Per un amico a cui devo molto. Spero di restituirti il favore, prima o poi.






Jess
   
 
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