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Autore: Artemisia17    12/01/2013    2 recensioni
I sacerdoti dei templi, avvolti dalle bende talari e dalla loro infinita superbia, proclamano l'immortalità, l'essenza senza fine degli dei. Stupidi. Esiste un patto tra dei e uomini, in cambio della venerazione gli uni proteggono gli altri. Ma questo prima della fine, perchè prima i mortali e poi gli altri, tradiscono questo patto millenario. La disastrosa presa di Corinto, avvenuta nel 146 a.C da parte dell'esercito Romano, ne è solo il simbolo. Insieme alla coppia per eccellenza dell'Olimpo.
Genere: Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La luce argentea della luna fece sfacciatamente capolino da una nuvola, illuminando il viso perlaceo della dea di una luce fredda, immortale.
Le belle labbra, così delicate e soffici da sembrare petali di rose adagiati dal lieve zefiro, si contrassero bruscamente, provocando una dolorosa piega alla base della fronte, in un punto indefinito tra le due sopracciglia, che si scontrarono l’una contro l’altra come due cobra reali; per un solo secondo vi fu una ruga sul viso senza fine e senza inizio. Era sicura che Selene lo avesse fatto apposta, giusto per irritarla, per farla esplodere, come se ce ne fosse stato bisogno.
Era non aveva mai avuto bisogno di stimoli per compiere la sua vendetta. Mai. Eppure lasciò che i raggi supplichevoli le bagnassero ancora il corpo, purificandola, ma senza darle una pace, che non aveva mai conosciuto, cui ormai non aspirava più.
Era stanca. Si lasciò scappare un soffio, una specie di sibilo malcelato, che voleva essere notato, troppe volte preludio di una risata senza gioia. L’Olimpo trattenne il respiro. I temerari uccellini che avevano osato cantare fino ad allora si zittirono, il piccolo battito del loro cuore che aumentava sempre di più. Le frasche degli alberi frinirono più forte, come se tentassero di divincolarsi, di scappare. Tutti gli abitanti di quella prigione fatata trattennero il fiato. Perfino la luna si nascose dietro ad una nuvola. Tutti scapparono da lei, con un vano tentativo di non farle udire tutto. Sciocchi.
La porta si aprì, lentamente, mentre il suo regale marito faceva la sua entrata nella farsa che era la sua vita. No, non più la loro.
Il grande Zeus aveva smesso da tempo di danzare, prima inventando nuovi passi, abolendo strumenti e creandone di nuovi e, alla fine, ponendo in una angolo la ballerina principale, la protagonista, mentre nell’aria vibrava un canto nuovo, più tenebroso e fiero, quasi un canto militare.
Il direttore non si era nemmeno accorto che l’orchestra non obbediva più ai suoi ordini e che a passi non corrispondevano più emozioni.
Il compositore non riusciva più a piroettare su quelle note.
Non si accorgeva di molte cose, il grande Zeus. Come lei, sua degna sposa.
Non ricordava bene quando era successo. Come faceva fatica a ricordare l’ultima volta che Zeus si era degnato di entrare nelle sue stanze, per altri motivi che non fossero i suoi nuovi tradimenti. La mente della donna si sciolse lentamente, quasi come un sospiro per troppo tempo trattenuto, lasciando che il mondo continuasse a vivere senza di lei.
Il loro matrimonio era stato bellissimo. Gli dei sono immortali, ecco cosa dicono i sacerdoti, legati dalle loro bende talari. Quanto erano stupidi. Allora erano davvero immortali. Zeus e i suoi fratelli erano ancora uniti, in pace, a tirarsi robuste pacche sulle spalle, complimentandosi a vicenda per la gloriosa vittoria ottenuta, il veleno acre della gelosia non aveva ancora fatto capolino nei loro cuori. E loro le spose, così belle, etere, il nome dee era stato coniato apposta per loro, per quella aurea di perfetta felicità che le ammantava come un caldo mantello.
Non avrebbe saputo dire con esattezza quando tutto era finito. Forse perché non c’era stata una vera fine. Quei piccoli tradimenti, i primi, in un certo senso, erano quasi sopportabili, una tacita promessa fra loro due. Loro non sono niente, amore mio, solo tu regni sovrana nel mio cuore, queste erano le parole sussurrate tra le lenzuola di seta, nel loro talamo nuziale.
Ed era vero. Così stranamente veritiero. E lei si era divertita a incalzare quelle povere sventurate, a schiaffeggiarle con la verità: loro erano nessuno. I loro figli, no, però. Così, uno dopo l’altro, la reggia degli dei si era popolata di bastardi. Il che era sopportabile. Lei urlava, ordinava, ogni tanto inviava l’Idra, ma mai … realmente. Era quasi un gioco. Finì perfino ad affezionarsi a quel fringuello con i calzari ai piedi e sopportava con pacata accondiscendenza le figlie di Mnemosine insieme al loro protetto Apollo, forse un po’ offeso. Poi, tutto era crollato.
Il re si avvicinò alla finestra a grandi passi, lanciando i bracciali d’oro sul pavimento, provocando un clangore metallico che rimbombò nelle stanze affollate e silenziose del palazzo. La piccola mano della dea si chiuse per un attimo per poi, riaprirsi sconfitta. Il marito si fermò per un attimo, stordito da tutto quel silenzio.
Mai una quiete simile era aleggiata in quei saloni gloriosi, adornati da ori e stucchi, magnifiche opere create dagli dei stessi e la stessa musica delle Muse a rallegrare gli animi.
Il re degli dei e degli uomini era invecchiato. Certo, il suo aspetto esteriore, la mera materia divina era rimasta intatta mentre i secoli erano passati senza scalfirlo. I capelli castani scuri, con dei lievi riflessi biondi, erano flosci, stanchi e la preoccupazione per il suo regno in rovina aveva creato un perenne taglio sulla fronte, parallela alla cicatrice provocata dall’ascia di Efesto. Gli occhi, quanto erano cambiati! Quei pezzi di cielo, un firmamento di blu scuro con tante stelle splendenti a illuminarlo, si erano come arrochiti, affilati. L’azzurro più luminoso della volta celeste si era ingrigito, come mare in tempesta, perdendo per sempre quel lampo di luce fulminea che lo attanagliava a volte, così simile alle sue saette. Anche se il corpo rimaneva alto e prestante, Era non poté fare a meno di notare il mantello sporco di fango, la rada barbetta che stava invano cercando di far crescere, le spalle cadenti. La pelle sembrava più bianca e farinosa, quasi come se della polvere, reduce del tempo, si fosse attaccata.
Rimasero in silenzio, entrambi, senza saper bene cosa dire, come due attori che hanno dimenticato la loro parte durante la loro opera più importante, l’ultima, prima della chiusura del sipario. L’arrivo di Hermes fu quasi piacevole, smorzando quell’aria cupa e opprimente che si era venuta a creare. Di certo, il messaggero alato avrebbe voluto trovarsi da tutt’altra parte in quel momento, ma una rapida occhiataccia di Artemide aveva ottenuto l’effetto voluto. Il ragazzo si ricordava perfettamente che l’ultimo essere che si era frapposto in una litigata fra i due sposi divini, il suo fratellastro Efesto, era stato sbalzato via dall’Olimpo, in un volo diretto verso il centro della Terra. Meno male che aveva i calzari alati.
“ Padre!” Solo il tono leggermente stridulo del piccione viaggiatore svegliò la regina dai suoi pensieri, che con calma ponderata si scostò una ciocca di capelli dalla fronte alta e armoniosa.
“ Padre! Corinto è caduta, è stata rasa al suolo, tutti i suoi templi distrutti, gli abitanti deportati. I Romani stanno depredando tutte le opere d’arte, le statue, gli scritti! Padre!”
Sebbene Hermes nella sua lunga esistenza avesse consegnato innumerevoli notizie funeste e distruttive, la sua voce stridette contro la sua abituale professionalità, il suo apparente distacco nei confronti delle vittime. Zeus aprì le mani, gli occhi stupiti che si addensavano di fulmini e saette. In lontananza, un tuono vibrò. Era sentì tutti gli dei prendere le armi: la vergine cacciatrice stava radunando la sua muta mentre il fratello fletteva la corda dell’arco. Perfino la candida Afrodite prese in prestito una spada dal suo burbero marito, Atena aspettava solo un ordine del sacro padre e Dioniso, con la sua consueta sconsideratezza, stava già preparando il vino per il futuro banchetto della vittoria.
“ Padre?” Era vide il viso del re cambiare, mille emozioni serpeggiare sul volto stanco e vecchio. Non era mai stato così vecchio. Zeus alzò la mano in un segno di attacco per poi riabbassarla, le labbra strette in un grumo di carne. Alla fine, la dea realizzò, capì.
“ Ricostruiremo la città.” La voce carnevosa si propagò in ogni affranto, udito da tutti i suoi abitanti. Gli dei e le dee annuirono decisi, le mani sulle armi, aspettando pazientemente altri ordini che non arrivarono.
L’uomo fece un passo indietro, osservando le fiamme che turbinavano nel camino.
“ Ma … Padre. Re degli dei e degli uomini,” Hermes si fece più vicino, abbassando la voce e, senza accorgersene, si fece più piccolo di quanto già non fosse. “ ora attacchiamo?” Zeus neanche lo sentì, le fiamme che si riflettevano sulle pupille dilatate.
“ Padre! Dobbiamo fare qualcosa! Corinto è stata attaccata, è nostro dovere aiutare gli uomini. I Romani non sono degni della nostra protezione.” Il piccione si fece più audace, sfiorando il braccio del padre, che sembrò per un tratto riscuotersi.
“ So, benissimo quali sono i miei compiti e di certo non ho bisogno che un bamboccio me lo ricordi!” Hermes si ritrasse immediatamente, come colpito da una scudisciata.
In lontananza un vulcano ruggì la sua ira.
Era capì che Zeus non avrebbe mai fatto niente.
Troppo occupato ad osservare enfatico il suo potere, ormai affievolito, troppo preso nella lotta fratricida con i suoi fratelli.
Zeus non avrebbe fatto niente. Mentre il mondo degli uomini, i loro uomini, le loro creature, si sgretolava.

“ Il tempo degli dei è finito.” Si stupì lei stessa della fermezza della propria voce, della forza con cui arrivò alle orecchie di tutte le creature e dell’indifferenza che ciò le provocava.
“ Il nostro tempo è finito. Inizia il potere di altri dei, l’alba di altri uomini. Dei con poteri diversi e uomini che li adorano. Il l’era dell’onore, degli eroi, degli dei non sarà più. E con essa il mito, la storia, i ricordi. Noi eravamo immortali, ma il tempo degli dei, il nostro tempo, è finito.”
 La sua voce si affievolì man mano che parlava, fino a ridursi ad un soffio vitale. L’intera foresta, stupita da simili parole, aspettò la replica del re suo marito. Perché doveva esserci una replica, uno scatto, una continuità. Zeus non si mosse. Zeus non avrebbe fatto niente. Era sentì i passi strascicati dei figli bastardi disperdersi per il palazzo, scappando, discutendo, tentando una resistenza. Zeus non fece niente. Lei si limitò a sospirare, reclinando il capo sulla spalla destra, lasciando che la luce della luna Selene le illuminasse il viso, fin quando anche lei scomparve, lasciandola sola con i suoi spettri.               
 

Buongiorno, sebbene bazzichi in questo forum da diverso tempo, questa è la mia prima ff epica e pubblicata, per cui vi pregherei di farmi sapere che cosa ne pensate, soprattutto se non vi è piaciuta in modo da migliorare e imparare. Grazie mille, alla prossima!
ps. Se non si era capito, Corinto è stata presa nel 146 a.C dall'esercito romano e decretò la fine formale del mondo greco.
 

 
  
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